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Sostituzione del difensore di ufficio senza giustificato motivo? (Cass. 1245/18)

12 gennaio 2018, Cassazione penale

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La sostituzione del difensore di ufficio senza giustificato motivo integra una nullità solo in presenza di una concreta lesione del diritto di difesa, conseguendone la legittimità della designazione di un difensore diverso da quello originariamente nominato allorquando quest'ultimo non abbia svolto alcuna attività defensionale, anche se non ricorrono le condizioni per la sua sostituzione ai sensi dell'art. 97 c.p.p.:  l'attività difensiva, con tutta evidenza, non può ritenersi limitata a quella di udienza o che comunque preveda un'interlocuzione con l'autorità giudiziaria essendo evidentemente tale anche quella che si realizza nei rapporti con il proprio assistito.

E' nulla la notificazione  effettuata a difensore di ufficio diverso da quello originariamente designato e a quest'ultimo sostituito per effetto di nomina disposta al di fuori delle ipotesi di sostituzione tassativamente indicate nell'art. 97 c.p.p., comma 4, che sono il mancato reperimento o comparizione ovvero l'abbandono della difesa.

E' ammessa la rinnovazione della nomina del difensore di ufficio in persona di soggetto diverso da quello originariamente designato quando quest'ultimo non si sia in concreto attivato svolgendo alcuna incombenza difensiva, giacchè la sostituzione assicura la possibilità effettiva di assistenza per gli atti processuali ancora da compiere

La nullità del decreto che dispone il giudizio per l'omessa notifica all'imputato dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari è di natura relativa e, pertanto, deve essere eccepita, a pena di decadenza subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti.

La determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra, tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

(ud. 23/11/2017) 12-01-2018, n. 1245

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROMIS Vincenzo - Presidente -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - rel. Consigliere -

Dott. RANALDI Alessandro - Consigliere -

Dott. BRUNO Mariarosaria - Consigliere -

Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.V., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 07/07/2016 della CORTE APPELLO di BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PEZZELLA VINCENZO;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa DE MASELLIS MARIELLA;

Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso.

Nessun difensore è presente.

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Brescia, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente, C.V., in data 7.7.2016 confermava la sentenza del Tribunale di Bergamo, emessa in data 11.1.2016, con condanna dell'imputato al pagamento delle maggiori spese processuali.

Il Tribunale di Bergamo, all'esito di giudizio dibattimentale, aveva dichiarato C.V. responsabile dei reati p. e p. dal D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 189, commi 6 e 7, in quanto, essendo alla guida dell'autovettura Volvo V70 targata (OMISSIS), dopo aver investito il pedone, N.A., mentre attraversava la carreggiata con passaggio regolamentato da segnale semaforico, che in quel momento proiettava luce verde, comportamento nel corso del quale la N. ha riportato danni alla persona, non si è fermato per un tempo sufficiente a consentire l'identificazione e non ha prestato soccorso alla predetta persona, in (OMISSIS) il (OMISSIS).

L'imputato veniva condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione, con applicazione della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida per tre anni.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, C.V., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

a. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Il tutto con riferimento alla mancata declaratoria della nullità del decreto di citazione a giudizio e della conseguente nullità della sentenza di primo grado per omessa notifica dell'avviso di chiusura di indagini al difensore di ufficio.

Il ricorrente eccepisce la nullità del decreto di citazione a giudizio e di tutti gli atti conseguenti, per la mancata notifica dell'avviso di conclusione delle indagini al nominato difensore di ufficio e domiciliatario. La nomina - fa presente-risaliva alla data del 26.12.2011, antecedente all'avviso ex art. 415bis cod. proc. pen., in occasione del verbale di identificazione.

L'avviso veniva erroneamente notificato ad altro difensore di ufficio, nominato successivamente in data 30.3.2012.

Il difensore ricorrente precisa che ella, originario difensore di ufficio, nominata il 26.12.2001, veniva poi nominata difensore di fiducia, con atto depositato il 5.2.2013.

Viene evidenziato che l'eccezione veniva sollevata alla prima udienza dibattimentale del 25.9.2015 e, rigettata con ordinanza dibattimentale, veniva nuovamente riproposta tra i motivi di appello.

Il ricorrente, dopo aver riportato le considerazioni svolte nell'atto di appello, lamenta che la Corte distrettuale abbia ritenuto l'infondatezza della questione sulla scorta delle argomentazioni del primo giudice, richiamando un orientamento giurisprudenziale, di cui alla sentenza 6921/2006 di questa Corte, secondo il quale la sostituzione del difensore d'ufficio al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 97 c.p.p., comma 4 non comporterebbe alcuna nullità laddove il difensore d'ufficio originariamente nominato non abbia svolto alcuna attività defensionale.

Il ricorrente sostiene che tale orientamento di legittimità, da un lato contrasta con la lettera della norma di cui all'art. 97 c.p.p., comma 5 (che consente la sostituzione solo per giustificato motivo) e dall'altro non affronta le altre ragioni di diritto poste all'attenzione della corte d'appello. Infatti, affermare che, laddove il difensore d'ufficio non abbia iniziato l'esercizio della sua attività difensiva, non opererebbe il principio della immutabilità del difensore, non risolverebbe il diverso aspetto evidenziato relativo al diverso trattamento in tal modo riservato al difensore d'ufficio rispetto a quello di fiducia.

Inoltre, aggiunge il ricorrente, la giurisprudenza richiamata, non si riferisce al caso in cui il difensore di ufficio sia anche domiciliatario, questione sulla quale - si lamenta - nulla dice la Corte territoriale.

Il ricorrente richiama l'orientamento delle Sezioni Unite di questa Corte di cui alla sentenza 35402/2003, sull'immutabilità del difensore di ufficio a prescindere dal concreto esercizio dell'attività difensiva, in ragione del principio dell'equiparazione del difensore d'ufficio a quello di fiducia.

Pertanto, la motivazione del provvedimento impugnato non sarebbe esaustiva, non risolvendo le questioni poste con i motivi di appello.

b. Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o decadenza ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c). Il tutto sempre con riferimento alla mancata declaratoria della nullità del decreto di citazione a giudizio (e della conseguente nullità della sentenza di primo grado) per omessa notifica dell'avviso di chiusura indagini al difensore d'ufficio.

La motivazione del provvedimento impugnato farebbe erronea applicazione della disposizione relativa alla notifica dell'avviso ex art. 415bis cod. proc. pen. al difensore, di quella di cui all'art. 552 c.p.p., comma 2, nonchè di quella di cui all'art. 97 cod. proc. pen., laddove ritiene che il difensore d'ufficio sia sostituibile senza ragione e che, dunque, i difensori d'ufficio siano tra loro fungibili ed interscambiabili se non abbiano concretamente esercitato il loro ufficio, nonchè laddove ritiene soddisfatto il requisito della preventiva notifica dell'avviso di chiusura delle indagini con la notifica dello stesso avviso ad un difensore diverso da quello che risultava essere il difensore dell'indagato al momento della emissione dell'avviso.

Nel caso specifico, poi, il difensore d'ufficio rivestiva anche il ruolo di domiciliatario, pertanto vi sarebbe stata anche violazione dell'art. 161 cod. proc. pen. con notifica avvenuta in luogo diverso dal domicilio eletto.

c. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Inosservanza o erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b). Il tutto con riferimento alla mancata assoluzione dell'imputato per non aver commesso il fatto quanto meno ex art. 530 c.p.p., comma 2..

Il ricorrente eccepisce l'insufficienza degli elementi di prova in relazione alla corretta individuazione dell'auto investitrice e del conducente della stessa auto, riportando integralmente i motivi di appello proposti su entrambi gli assunti.

La motivazione della sentenza impugnata, su dette questioni, risulterebbe insufficiente, frutto di travisamento della prova, incoerente ed illogica, nonchè frutto di erronea applicazione della legge.

L'auto investitrice sarebbe stata identificata mediante la verifica di quali auto grigie fossero transitate dopo il punto del sinistro, ma la corte di appello - si lamenta - giungeva all'erroneo convincimento che l'unica vettura transitata fosse quella del C. a causa di un travisamento della risultanza probatoria rappresentata dalla testimonianza dell'agente D..

Questi, infatti, non avrebbe mai affermato che l'auto in questione era l'unico veicolo ad essere transitato sulla via di fuga, ma piuttosto l'unica auto grigia ad essere transitata sulla via di fuga con provenienza da piazza (OMISSIS).

Pertanto, conclude il ricorrente, ben avrebbe potuto, l'auto investitrice, provenire da altra via perpendicolare.

Si lamenta in ricorso che la corte di appello avrebbe respinto l'argomento logico sollevato dalla difesa, che l'auto avrebbe potuto difficilmente provenire da Piazza (OMISSIS) perchè in tal caso l'auto sarebbe dovuta passare con il rosso, sul presupposto che il semaforo rosso non rende impossibile il transito. Tale considerazione, però, apparrebbe meramente astratta, non in relazione con tutte le risultanze del caso concreto, senza dar conto del perchè si possa ipotizzare in concreto che l'auto sia passata con il rosso.

La risultanze probatorie sarebbero tutte contrarie all'assunto della Corte distrettuale in quanto l'agente D. non riferiva di un impegno dell'incrocio con semaforo rosso, nè nessun teste faceva riferimento ad un attraverso pirata che tenuto conto del punto e della densità di passaggio avrebbe molto probabilmente dato luogo ad uno scontro con qualche altra autovettura.

Inoltre, aggiunge il ricorrente, anche l'identificazione del C. come conducente della auto investitrice sarebbe fondata unicamente sulla mera presunzione dell'essere l'intestatario del mezzo. Pertanto, la motivazione sul punto, oltre ad essere carente, violerebbe i principi di cui all'art. 192 c.p.p., comma 2, all'art. 533 cod. proc. pen. ed il principio dell'onere della prova in capo all'accusa.

d. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e). Erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., lett. b), con riguardo all'art. 133 cod. pen.. Il tutto con riferimento alla mancata riduzione della pena e alla mancata concessone dei benefici di legge (sospensione della pena e non menzione).

La motivazione sul diniego della riduzione di pena sarebbe apodittica, insufficiente, contraddittoria e frutto di erronea applicazione della legge penale.

Il trattamento sanzionatorio, infatti, viene giustificato, da un lato, facendo riferimento ad una condotta cui il legislatore non lega più un disvalore penale (la violazione dell'art. 116 C.d.S.), dall'altro la sentenza richiama a fondamento del diniego della diminuzione della pena quella che è la condotta tipica del reato, piuttosto che circostanze concrete.

Il ricorrente lamenta, infine, la mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, che sarebbe stata motivata con la mancanza di resipiscenza da parte dell'imputato. Sul punto mancherebbe la motivazione della corte di appello che si sarebbe limitata ad aderire alla tesi del primo giudice.

Il C. precisa che anche qualora si ritenesse, in tal modo, comunque soddisfatto il requisito di completezza della motivazione, si dovrebbe in ogni caso considerare che l'argomentare del giudice di primo grado è frutto di erronea applicazione della legge penale laddove utilizza il diritto di fesa, estrinsecatosi nella mancata partecipazione al processo, come criterio di valutazione ex artt. 133 e 163 cod. pen..

Chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata riformandola nel senso richiesto ed in base alle motivazioni di cui sopra e provvedendo se del caso ex art. 620 c.p.p. e/o art. 623 c.p.p., lett. a) e/o c) e/o art. 624 cod. proc. pen., e/o quindi, emettendo i relativi, provvedimenti di annullamento totale o parziale della suddetta sentenza e/o emettendo tutti gli ulteriori necessari provvedimenti anche di natura conseguenziale a favore dell'imputato C.V..

Motivi della decisione
1. I motivi sopra illustrati sono tutti infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.

2. quanto ai motivi sub a. e sub b. dall'esame degli atti, cui questa Corte di legittimità ha ritenuto di accedere in ragione della natura processuale della doglianza, emerge che:

1. nel verbale di identificazione e dichiarazione di domicilio redatto dalla Polizia Locale di Bergamo il 26/12/2011 al C.V. venne nominato difensore d'ufficio l'Avv.AML del Foro di Bergamo;

2. in data 30/3/2012 veniva emesso l'avviso ex art. 415bis cod. proc. pen. atto con cui veniva nominato, evidentemente sull'erroneo presupposto che non ne avesse già uno, altro difensore di ufficio, in persona dell'Avv.CL, cui veniva notificato l'avviso; non è verificabile dagli atti se in tale occasione l'avviso ex art. 415bis c.p.p. sia stato notificato - e dove - anche all'imputato;

3. Il 4/2/2013 l'originario difensore di ufficio avv. AML veniva dal C. nominata difensore di fiducia e procuratore speciale e con tale nuova nomina il C. eleggeva domicilio in via (OMISSIS) in (OMISSIS), formalmente dichiarando di revocare ogni precedente elezione.

4. Il 19/6/2013 il PM procedente disponeva che venisse notificato l'avviso ex art. 415bis c.p.p. all'indagato al nuovo domicilio eletto, in (OMISSIS), e il 26/6/2013 la Polizia Locale di Bergamo glielo notificava a mani proprie.

5. L'8/11/2013 veniva emesso il decreto che dispone il giudizio, ritualmente notificato, ove si dà atto del corretto domicilio dichiarato dal C. e del fatto che lo stesso sia difeso di fiducia dall'Avv. AML;

6. Alla prima udienza del 25/9/2015 l'Avv. A eccepiva l'avvenuta errata notificazione dell'avviso ex art. 415bis c.p.p. al nuovo difensore di ufficio nominato con lo stesso, avv. C, e non a lei, ma il Tribunale rigettava l'eccezione sul rilievo che nessun danno aveva subito l'attività defensionale con tale errata notifica;

7. La doglianza veniva reiterata con i motivi di appello, ma la Corte territoriale, con la sentenza impugnata la riteneva infondata richiamando la sentenza 6921/2006 di questa Corte di legittimità, condividendone le conclusioni, secondo cui è abnorme, in quanto comporta un'indebita regressione del procedimento, la declaratoria di nullità del decreto di citazione a giudizio, derivante dalla notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari ad altro difensore di ufficio anzichè a quello originariamente nominato, qualora quest'ultimo, ancorchè sostituito al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 97 c.p.p., comma 4, non abbia svolto alcuna attività defensionale.

Nel caso di specie, i giudici del gravame del merito evidenziavano che dall'esame della documentazione in atti si evince che dalla sostituzione del difensore d'ufficio, in concreto, non è conseguito alcuna menomazione al diritto e alle facoltà di difesa atteso che il difensore originariamente nominato, nell'esplicazione dell'incarico non aveva posto in essere alcun atto.

3. Come visto sub 2.4 non ci sono problemi per quanto concerne la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari all'imputato, effettuata a mani proprie nel giugno 2013 al suo nuovo domicilio eletto.

La doglianza dei punti sub a. e sub b. di cui in premessa, tempestivamente dedotta nella fase di merito (cfr. il condividibile dictum di Sez. 5, n. 44825 del 14/5/2014, Restucci Rv. 262104 secondo cui la nullità del decreto che dispone il giudizio per l'omessa notifica all'imputato dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari è di natura relativa e, pertanto, deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all'art. 491 cod. proc. pen., subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti; conf. Sez. 5, n. 34515 del 4/7/2014, Grujio, Rv. 264272), investe, dunque, la sola circostanza che l'avviso di conclusione delle indagini non sia stato notificato all'avv. A, ma all'altro difensore di ufficio.

Orbene, va detto che il Collegio ritiene condivisibile l'argomentazione spesa in punto di diritto dalla Corte territoriale, che va tuttavia precisata, in quanto l'attività difensiva, con tutta evidenza, non può ritenersi limitata a quella di udienza o che comunque preveda un'interlocuzione con l'A.G. essendo evidentemente tale anche quella che si realizza nei rapporti con il proprio assistito.

E' vero, infatti, come sostiene il ricorrente, che le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno affermato il principio secondo cui è nulla la notificazione (in quel caso si trattava dell'estratto contumaciale di sentenza) effettuata a difensore di ufficio diverso da quello originariamente designato e a quest'ultimo sostituito per effetto di nomina disposta al di fuori delle ipotesi di sostituzione tassativamente indicate nell'art. 97 c.p.p., comma 4, che sono il mancato reperimento o comparizione ovvero l'abbandono della difesa (Sez. Un. n. 35402 del 9/7/2003, Mainente, Rv. 225363).

Tuttavia, questa Corte di legittimità, negli anni a seguire, ha anche precisato, condivisibilmente, che è ammessa la rinnovazione della nomina del difensore di ufficio in persona di soggetto diverso da quello originariamente designato quando quest'ultimo non si sia in concreto attivato svolgendo alcuna incombenza difensiva, giacchè la sostituzione assicura la possibilità effettiva di assistenza per gli atti processuali ancora da compiere (Sez. 3, n. 24334 del 11/5/2004, Fiderio, Rv. 228974 in un caso in cui il decreto di citazione a giudizio era stato notificato a difensore di ufficio diverso da quello al quale era stato notificato l'avviso di conclusione delle indagini). E ha anche ulteriormente specificato che l'inosservanza della norma di cui all'art. 97 cod. proc. pen., comma 5, secondo cui il difensore di ufficio può essere sostituito solo per giustificato motivo, determina nullità solo in presenza di una concreta lesione del diritto di difesa, conseguendone la legittimità della designazione di un difensore diverso da quello originariamente nominato allorquando quest'ultimo non abbia svolto alcuna attività defensionale, anche se non ricorrono le condizioni per la sua sostituzione ai sensi dell'art. 97 c.p.p., commi 4 e 5 (così Sez. 1, n. 1616 del 2/12/2004 dep. il 2005, Abdellah, Rv. 230651, che richiama le conformi Sez. 1 n. 1617 del 2/12/2004, dep. il 2005, Lini, non massimata e Sez. 1, n. 1618 del 2/12/2004, dep. il 2005, Ahattach, non massimata, che, in applicazione di tale principio, ha annullato con rinvio l'ordinanza con la quale il giudice di merito aveva dichiarato la nullità del decreto di citazione a giudizio perchè, come nel caso che ci occupa, l'avviso ex art. 415 bis cod. proc. pen. era stato notificato a difensore diverso da quello nominato nella fase delle indagini preliminari, conforme anche Sez. 1, n. 6921 del 13/1/2006, Rejewski, Rv. 233576 richiamata nella sentenza impugnata).

In tema di difesa d'ufficio, in altri termini, è illegittima perchè lesiva del diritto di difesa la sostituzione, senza giustificato motivo, del difensore nominato che abbia effettivamente esercitato il suo ufficio e svolto in concreto attività a favore dell'imputato, ma non vi è, invece, motivo di mantenere ferma la nomina del difensore designato, quando questi non si sia in concreto attivato, svolgendo una qualche incombenza difensiva (cfr. anche Sez. 1, n. 19037 del 17/3/2005, Koseni, Rv. 231581). In questo caso, infatti, non opera il principio della immutabilità della difesa sino alla eventuale dispensa dall'incarico o nomina fiduciaria, ma viene ancor più assicurata una concreta difesa per gli atti processuali ancora da compiersi (Sez. 3, n. 25812 del 7/6/2005, Vitale, Rv. 231816).

Il condivisibile approdo giurisprudenziale cui questa Corte di legittimità è dunque pervenuta è quello che vuole essere legittima la sostituzione del difensore d'ufficio che non abbia svolto alcuna incombenza difensiva e non si sia attivato in favore del proprio assistito (così Sez. 1, n. 24582 del 28/5/2009, Adil ed altro, Rv. 243820).

Ebbene, applicando tali principi al caso che ci occupa, la doglianza proposta non può dirsi fondata, in primo luogo in quanto il difensore ricorrente non ha in alcun modo evidenziato quale incombenza difensiva avesse svolto ovvero in quale modo si fosse attivata a favore del proprio assistito nella prima fase del proprio mandato defensionale, dalla nomina di ufficio del 26.12.2011 alla sua sostituzione con l'avv. Carati il 30.3.2012, cui venne perciò ritualmente notificato l'avviso ex art. 415bis cod. proc. pen..

Va anche rilevato che questa Corte di legittimità, a partire dalle Sezioni Unite Palumbo del 2005 (Sez. Un. n. 119 del 27/10/2004 dep. il 2005, Palumbo, Rv. 229540) è andata ormai definitivamente abbandonato, in tema di notifiche, un criterio di valutazione meramente formalistico, abbracciandone uno che vuole dedotto e valutata l'effettività della lesione del diritto di difesa.

Le SSUU Palumbo ebbero a precisare - in quel caso per l'imputato ma il principio, mutatis mutandis, vale evidentemente anche per il suo difensore - che chi intenda eccepire la nullità assoluta della citazione o della sua notificazione, non risultante dagli atti, non può limitarsi a denunciare la inosservanza della relativa norma processuale, ma deve rappresentare al giudice di non avere avuto cognizione dell'atto e indicare gli specifici elementi che consentano l'esercizio dei poteri officiosi di accertamento da parte del giudice.

Ebbene, ciò, come si diceva, non è avvenuto nel caso che ci occupa. E, peraltro, va evidenziato che, essendo poi dal giugno 2013 l'avviso ex art. 415bis c.p.p. pervenuto all'imputato ed essendone l'Avv. Andreucci difensore di fiducia, con un rapporto fiduciario che è rimasto in essere per tutto il rimanente giudizio, se è vero che il medesimo imputato ha difeso il C. in entrambi i gradi di merito e lo difende dinanzi a questa Corte di legittimità, ed ha poi ricevuto regolare notifica del decreto di citazione a giudizio, la stessa non deduce in cosa si sia concretizzato il vulnus alla sua attività difensiva per non avere ricevuto essa stessa, bensì altro difensore di ufficio, l'avviso ex art. 415bis cod. proc. pen..

4. Del tutto infondata è la doglianza in punto di responsabilità dell'imputato sub c. in quanto tesa ad ottenere una rilettura degli elementi di prova che non è consentita in questa sede.

Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio e dell'attribuzione dello stesso alla persona dell'imputato non sono, infatti, proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

Il ricorso, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, che appare logica e congrua, nonchè corretta in punto di diritto, e pertanto immune da vizi di legittimità.

La Corte territoriale aveva già chiaramente confutato, nel provvedimento pugnato tutte le tesi oggi riproposte, a cominciare da quella con cui si censurava il ragionamento logico seguito dal giudice di prime cute per la individuazione del veicolo.

I giudici del gravame del merito evidenziano come sia stato accertato in fatto e non sia in discussione che in data 31/10/2011 in zona (OMISSIS), N.A., mentre stava attraversando viale (OMISSIS) (in prossimità dell'incrocio con la via (OMISSIS) e a sud di questo, attraversamento da est verso ovest) fu travolta da un auto in transito e che subito dopo l'urto, il conducente faceva una breve sosta a circa 70/80 metri dal punto in cui si era verificato il sinistro, indi si allontanava dal luogo, senza prestare la dovuta assistenza e senza consentire la propria identificazione.

Ebbene, a confutazione del rilievo difensivo secondo cui le indagini, sul punto, sarebbero sommarie giacchè, non si sarebbe tenuto conto della regolazione semaforica dell'incrocio, che se la persona offesa stava attraversando sul passaggio pedonale regolato da semaforo con il verde, era più probabile che l'auto provenisse (in manovra di svolta) dalla via perpendicolare al rettilineo suddetto e per completezza la verifica degli organi accettatori avrebbe dovuto riguardare anche le auto transitanti nelle vie perpendicolari, la Corte territoriale, condividendo il percorso logico argomentativo del giudice di prime cure, rileva che il primo punto da cui occorre partire sono le dichiarazioni della persona offesa, la quale ebbe a riferire di avere attraversato la strada sulle strisce pedonali e con semaforo verde per i pedoni e che durante l'attraversamento venne investita ma non riuscì a vedere l'auto responsabile. Ebbene, ad integrazione la Corte territoriale aggiunge un altro dato pacifico, e cioè che le strisce pedonali sono subito dopo un incrocio (così mappa tridimensionale dei luoghi in atti) e la dinamica del sinistro dimostra che l'unica via di fuga percorribile dopo il sinistro fosse la via (OMISSIS)).

Viene anche ricordato che il teste oculare Ci.Al., mentre percorreva a piedi il viale (OMISSIS) (in direzione della Stazione)... sentiva la frenata di un auto che proveniva da dietro: si voltava e assisteva all'investimento della N. da parte di una vettura (di colore grigio).

Con un ragionamento del tutto logico, dunque, i giudici del gravame del merito rilevano che due sono i dati di rilievo: l'auto responsabile era di colore grigio e dopo il sinistro si allontanava in direzione della stazione ferroviaria, percorrendo l'unica strada possibile, ovvero via (OMISSIS). E se questi sono i dati disponibili, altrettanto logicamente ritiene la Corte bresciana che le indagini eseguite dalla Polizia Locale, furono correttamente svolte: ed infatti, attraverso l'impianto di video sorveglianza disponibile (in (OMISSIS)), la PG (teste D.), intervenuta sui luoghi a breve distanza (circa dieci-quindici minuti dopo il fatto), verificò quali e quante vetture fossero transitate in quel frangente sulla via (OMISSIS). E sulla base dei dati disponibili il teste D. ha dichiarato che l'unica auto in transito sulla strada, corrispondente alle caratteristiche descritte dal Ci. era la "Volvo" del C..

Le censure mosse dalla difesa che lamenta il mancato accertamento delle auto provenienti dalle vie perpendicolari alla via (OMISSIS), sono state, dunque, ritenute infondate, atteso che le indagini svolte sono assorbenti rispetto a quelle richieste, perchè riguardano un dato che, da solo, è sufficiente a fornire soddisfacenti risposte sui punto. E' ovvio, infatti - si legge ancora nella sentenza impugnata - che, a prescindere dalla provenienza dell'auto pirata (via (OMISSIS) o sue perpendicolari) la verifica sull'unica via di fuga (via (OMISSIS)), consente di affermare, in linea con quanto affermato dalla Polizia Locale, che in quel dato frangente l'unica auto corrispondente alla descrizione del teste oculare era proprio quella del C., cui si risaliva, mediante la lettura della targa.

Ha ragione poi la Corte territoriale a ritenere che non si comprende poi, la ragione per la quale, secondo la difesa l'auto pirata non poteva aver attraversato l'incrocio con il rosso (per i veicoli provenienti sulla via (OMISSIS) e da nord). Ciò in quanto, a parte ogni considerazione sul fatto che le riprese video dimostrano proprio che l'auto provenisse da detta strada, è infatti, evidente che il "rosso" di per se non è ostacolo che renda di fatto impossibile il transito, quasi si trattasse di una "barriera fisica".

5. Del tutto prive di seria ragionevolezza sono state ritenute, inoltre, con motivazione argomentata e logica, le riflessioni svolte dalla difesa che ritiene incompatibile con la successiva fuga da parte del conducente della Volvo, la sosta a breve distanza, subito dopo il sinistro. La condotta successiva al fatto, al contrario, secondo quanto ritenuto dalla Corte bresciana, è del tutto in linea con la più naturale aspettativa della civile convivenza, in quanto il C. dopo un attimo di esitazione e, verosimilmente sorpreso, arrestava la marcia ed usciva dal veicolo per rendersi conto di quanto avvenuto e in quel frangente, temendo il peggio e visto che altre persone erano prontamente intervenute sui luoghi per soccorrere la malcapitata, si dava alla fuga.

La presenza sulla parte anteriore del cofano - si legge ancora nella sentenza impugnata - rappresenta un ulteriore elemento di prova a carico dell'imputato. La dinamica del sinistro come descritta dalla persona offesa, secondo l'argomentare dei giudici del gravame del merito, dà conto di un rotolamento repentino sulla parte anteriore dell'auto, sicchè è ragionevole ritenere che il peso della donna, certamente incrementato dalla velocità dell'urto abbia cagionato l'ammaccatura notata dalla Polizia Locale sulla vettura, dopo circa un mese e mezzo.

L'identificazione del C., quale conducente, discende dal fatto che, in mancanza di contrarie - allegazioni, l'imputato, quale proprietario della vettura (a decorrere dal 14 luglio del 2009) deve essere ritenuto detentore e, dunque, anche conducente, all'epoca del sinistro.

Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia di secondo grado, il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma un siffatto modo di procedere è inammissibile perchè trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto.

6. Quanto al reato di cui all'art. 189 C.d.S. in contestazione, va ricordato che si tratta di un reato omissivo di pericolo, il cui elemento materiale consiste, come si è già osservato, nell'allontanarsi dell'agente dal luogo dell'investimento così da impedire o comunque, ostacolare l'accertamento della propria identità personale, l'individuazione del veicolo investitore e la ricostruzione delle modalità dell'incidente.

In punto di diritto, va rilevato che la pronuncia impugnata si colloca nell'alveo dalla costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui integra il reato di cui all'art. 189 C.d.S., commi 1 e 6 (cosiddetto reato di "fuga"), la condotta di colui che - in occasione di un incidente ricollegabile al suo comportamento da cui sia derivato un danno alle persone - effettui sul luogo del sinistro una sosta momentanea, senza consentire la propria identificazione, nè quella del veicolo. Infatti il dovere di fermarsi sul posto dell'incidente deve durare per tutto il tempo necessario all'espletamento delle prime indagini rivolte ai fini dell'identificazione del conducente stesso e del veicolo condotto, perchè, ove si ritenesse che la durata della prescritta fermata possa essere anche talmente breve da non consentire nè l'identificazione del conducente, nè quella del veicolo, nè lo svolgimento di un qualsiasi accertamento sulle modalità dell'incidente e sulle responsabilità nella causazione del medesimo, la norma stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilità pratica (così questa Sez. 4, n. 20235 del 25/1/2001 Rv. 234581).

Quanto poi all'obbligo di prestare assistenza, è pacifico che l'elemento soggettivo del detto reato ben può essere integrato dal semplice dolo eventuale, cioè dalla consapevolezza del verificarsi di un incidente, riconducibile al proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, non essendo necessario che si debba riscontrare l'esistenza di un effettivo danno alle persone.

7. Infondati sono anche i profili di doglianza sub d.

La Corte territoriale ha ritenuto di negare le attenuanti generiche sul rilievo che non vi fossero ragioni di particolare rilievo tali da attenuare la gravità del fatto, mentre l'iscrizione nel casellario giudiziale di condanna per guida senza patente, condotta posta in essere in epoca successiva, sebbene ipotesi non più penalmente rilevante, denota una certa pericolosità, e inclinazione a delinquere.

Il provvedimento impugnato appare collocarsi nell'alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell'assolvimento dell'obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell'imputato, nonchè al suo negativo comportamento processuale).

Quanto alla pena inflitta dal primo giudice, la Corte territoriale la ritiene proporzionata alla gravità della condotta, dando atto che il lieve discostamento dalla pena minima è motivato dalla intensità del dolo, in quanto nel sinistro, verificatosi in centro città e su strisce pedonali, rimaneva coinvolto un pedone, dal che poteva presumersi con ragionevolezza la sussistenza di lesioni a carico dello stesso e la necessità di arrestare la marca per prestare assistenza. L'aumento di pena (mesi quattro) è stato ritenuto adeguato alla condotta dl C. che a seguito della fuga, impediva la propria identificazione, certamente utile siccome esistenti danni alla persona. La durata della sanzione amministrativa è stata ritenuta ben ponderata in relazione alla gravità del fatto e pericolosità specifica dell'imputato, conformemente al dictum della richiamata sentenza 1152/2003 di questa Corte. Nel caso di specie - si rileva condivisibilmente nella sentenza impugnata - la frenata tardiva è indice di distrazione, l'attraversamento dell'incrocio con rosso è violazione grave, perchè commessa in pieno centro e in prossimità di quadrivio molto frequentato da pedoni.

L'obbligo motivazionale è stato dunque assolto se è vero che questa Corte di legittimità ha più volte precisato che la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra, tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso - che peraltro non è quello che ci occupa - in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen (così Sez. 4, n. 21294 del 20/3/2013, Serratore, Rv. 256197; conf. Sez. 2, n. 28852 dell'8/5/2013, Taurasi e altro, Rv. 256464; sez. 3, n. 10095 del 10/1/2013, Monterosso, Rv. 255153). Già in precedenza si era, peraltro, rilevato come la specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (così Sez. 2, n. 36245 del 26/6/2009, Denaro, Rv. 245596).

8. In ultimo, manifestamente infondato è il motivo che attiene alla mancata concessione dei benefici di legge e, in particolare, della sospensione condizionale della pena, che la Corte territoriale ritiene di negare in ragione dei medesimi elementi complessivamente valutati per il diniego delle generiche e per la irrogazione del quantum di pena, che ritiene impediscano altresì la prognosi favorevole circa una futura astensione dal delitto, e la conseguente concessione dei benefici invocati dalla difesa.

In particolare viene rilevato come la gravità del fatto, l'assenza di iniziative riparatorie e di condotte da cui desumere la resipiscenza dell'imputato sono di impedimento ad una prognosi favorevole.

In proposito, va ricordato che, in tema di sospensione condizionale della pena, il giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l'obbligo di prendere in esame tutti gli elementi indicati nell'art. 133 cod. pen., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti (cfr. sez. 3, n. 30562 del 19.3.2014, Avveduto ed altri, rv. 260136; conf. sez. 2, n. 19298 del 15.4.2015, Di Domenico, rv. 263534; sez. 3, n. 6641 del 17.11.2009 dep. il 2010, Miranda, rv. 246184, in un caso in cui la Corte ha ritenuto esaustiva la motivazione della esclusione del beneficio fondata sul riferimento ai precedenti penali dell'imputato).

Non va dimenticato, peraltro, che costituisce ius receptum il principio per cui legittimamente il beneficio della sospensione condizionale della pena è negato dal giudice in base a prognosi sfavorevole nella quale rientrano, oltre le sentenze di condanna riportate dall'imputato, anche i precedenti giudiziari di cui all'art. 133 cod. pen. in quanto il giudizio prognostico ex art. 164 c.p., comma 1, per altro, è del tutto indipendente dai limiti relativi alla misura della pena fissati dall'art. 163 cod. pen. che determinano la concedibilità in astratto del beneficio ma non certo il contenuto favorevole della prognosi (così questa sez. 4, n. 4073 del 23.2.1996, Avena, rv. 205188).

9. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2018