Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Sospensione condizionale, assenza di condanne penali e pubblica amministrazione (TAR FVG, 127/20)

15 aprile 2020, TAR Friuli Venezia Giulia

La sospensione condizionale della pena differisce dalla riabilitazione in quanto è disposta prima di qualsiasi verifica circa la condotta del condannato successiva alla sentenza di condanna mentre la riabilitazione costituisce un beneficio che può essere concesso solo a seguito di una pronuncia del Tribunale di sorveglianza il quale attesta il riacquistato possesso dei requisiti morali da parte del condannato operando una valutazione ex post della sua condotta.

Il giudice penale concede la sospensione condizionale della pena quando "presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati", formulando una prognosi positiva di non recidività del condannato, ai fini di consentirne la permanenza in società: ben diversa e più pregnante è invece la valutazione che la P.A. deve compiere ai fini dell'attribuzione di funzioni amministrative a soggetti privati, che non può ridursi ad una mera prognosi di futura conformità del loro comportamento all'ordinamento penale (la quale dovrebbe ritenersi scontata in chi partecipa all'esercizio del potere pubblico) ma investe, più incisivamente, la loro affidabilità e onorabilità, a garanzia della legalità, dell'efficienza, del prestigio dell'Amministrazione.

Non può configurarsi, in conclusione, alcun collegamento tra la sospensione condizionale della pena e la sussistenza del requisito morale relativo all'assenza di condanne penali per determinati reati, per cui possa ritenersi che dalla prima consegua necessariamente il secondo. Quest'ultimo appare, al contrario, frutto di valutazioni autonome e che hanno riguardo ad interessi diversi da quelli presi in considerazione del giudice penale.

  

Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

Sent., (ud. 15/04/2020) 15-04-2020, n. 127

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;

sul ricorso numero di registro generale 73 del 2020, proposto da

-OMISSIS-di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato FF, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato MC, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

del provvedimento prot. N. -OMISSIS- - class mcr-ud-1-1, notificato a parte ricorrente via pec il 10/02/20 in forza del quale il direttore del servizio motorizzazione civile regionale, della Regione Autonoma del Friuli Venezia Giulia, disponeva la Revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto concessa con determinazione n. -OMISSIS-dalla Provincia di Pordenone al signor -OMISSIS-, nato a -OMISSIS-il -OMISSIS-, in qualità di legale rappresentante dell'impresa individuale denominata "-OMISSIS-di -OMISSIS-" (partita I.V.A-OMISSIS-), con sede a -OMISSIS-.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 84 comma 2 del D.L. n. 18 del 2020;

Visto il decreto cautelare n. 15 del 13.03.2020;

Vista l'istanza di differimento della trattazione avanzata dal ricorrente in data 24.03.2020;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 aprile 2020 il dott. Luca Emanuele Ricci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

La ricorrente Agenzia impugna il provvedimento con cui la Motorizzazione Civile dalla Regione Friuli-Venezia Giulia ha revocato l'autorizzazione all'esercizio dell'attività di consulenza per la circolazione dei mezzi di trasporto e ne chiede, in via cautelare, la sospensione.

Il provvedimento si fonda sul rilievo dell'intervenuta condanna penale definitiva ad 1 anno e 6 mesi di reclusione, con sospensione condizionale della pena, a carico del titolare, per il delitto di peculato (art. 314 c.p.).

Ne consegue il venir meno del requisito morale-soggettivo previsto dall'art. 3, comma 1, lett. c della L. n. 264 del 1991 (non aver riportato "condanne per delitti contro la pubblica amministrazione ... salvo che non sia intervenuta sentenza definitiva di riabilitazione"), la cui mancanza, quando accertata in un momento successivo al rilascio dell'autorizzazione, ne determina la revoca ai sensi dell'art. 9 comma 3 della medesima legge.

Nel ricorso, ricostruito il quadro fattuale e giuridico della vicenda, vengono articolati sostanzialmente due motivi di impugnazione (il terzo non risultando avere un contenuto argomentativo realmente autonomo rispetto ai precedenti):

- Violazione di legge ed eccesso di potere, per non avere l'Amministrazione tenuto conto degli effetti della sospensione condizionale della pena, concessa contestualmente alla condanna in sede penale. Tale beneficio, considerato in particolare il disposto dall'art. 166 comma 2 c.p., impedirebbe, in mancanza di diversa espressa determinazione legislativa, di disporre la revoca.

- Violazione del principio di proporzionalità, alla luce della ridotta gravità dei fatti accertati nel giudizio penale e dell'intervenuto versamento all'Erario dell'integralità delle somme dovute.

L'Amministrazione nella propria memoria sottolinea la delicatezza dei compiti di natura pubblicistica che la L. n. 264 del 1991affida ai soggetti privati, tra i quali l'incasso di somme e valori in nome e per conto della P.A. Alla luce di ciò, si giustificano i requisiti soggettivi di cui all'art. 3 della stessa legge e i poteri di vigilanza e controllo attribuiti alla Regione Friuli-Venezia Giulia con la L.R. n. 26 del 2014. Replicando, nello specifico, ai motivi di ricorso, l'Amministrazione rileva:

- Quanto al primo motivo, che la sospensione condizionale della pena non priva di rilievo l'intervenuta condanna per quanto attiene alla verifica del requisito soggettivo di cui all'art. 3 lett. c) della L. n. 264 del 1991. Cita in particolare un precedente in tal senso del TAR Lombardia (Tar Lombardia, sez. III, Milano 17.7.2003, n. 3596) che fa leva sulla diversità esistente tra la valutazione operata dal giudice penale ai fini della concessione del beneficio - avente ad oggetto la presunzione che "il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati" - e quella operata dall'Amministrazione, relativa specificamente all'idoneità morale dell'interessato ad una corretta gestione del servizio.

- Quanto al secondo motivo, che i requisiti soggettivi di accesso sono definiti in termini univoci e il relativo riscontro non ammette l'esercizio di alcuna gradualità, né potrebbe configurarsi una misura meno afflittiva della revoca. Nello specifico, l'Amministrazione nega l'assunto per cui il delitto commesso presenterebbe caratteri di minima offensività, alla luce degli ingenti importi oggetto dei ritardati pagamenti (circa Euro 350.000,00) e del carattere sistematico di tali ritardi.

Il ricorso è stato trattato nella camera di consiglio dell'8 aprile 2020 in conformità all'art. 84 comma 2 del D.L. n. 18 del 2020, che consente la definizione collegiale della domanda cautelare anche in data antecedente al 15 aprile 2020, laddove sia stato emanato decreto monocratico di accoglimento della domanda cautelare e non sia pervenuta istanza di rinvio dalla parte su cui "incide" la misura cautelare. Nella presente controversia tale soggetto non può essere identificato nell'Agenzia ricorrente che, al contrario, beneficia degli effetti della sospensione disposta con D.P. n. 15 del 13 marzo 2020. Non può, pertanto, essere accolta la richiesta di differimento della trattazione ad una data successiva al 15 aprile, di cui all'istanza del 23.03.2020, non potendo ammettersi che una parte protragga a proprio vantaggio e in conseguenza di richiesta unilaterale proveniente da sé gli effetti favorevoli del decreto monocratico (così l'ordinanza del Cons. Stato, sez. V, 10 aprile 2020, n. 1881).

La trattazione deve intendersi operata nella pienezza dei poteri spettanti al collegio in sede cautelare, compreso quello di definire il merito del giudizio ai sensi dell'art. 60 c.p.a.

In tal senso si ritiene opportuno procedere nella presente fattispecie, sussistendone i presupposti di legge.

Il ricorso deve essere respinto, stante l'infondatezza di tutti i motivi articolati.

Preliminarmente, si rileva la regolarità della procura attribuita al legale della Regione resistente, depositata contestualmente alla memoria di costituzione sotto forma di copia digitale di originale formato su supporto cartaceo e da considerarsi apposta "in calce" all'atto (benché contenuta in separato documento) in base all'art. 8 del D.P.C.M.40/2016.

Nel merito, esaminando il primo motivo di ricorso, relativo all'intervenuta sospensione condizionale della pena e ai suoi effetti, il Tribunale ritiene che il requisito di cui all'art. 3 lett. c della L. n. 264 del 1991 abbia riguardo all'assenza di condanne da intendersi quale fatto storico, idoneo a connotare positivamente la persona del ricorrente e sancirne l'idoneità allo svolgimento di un'attività di rilievo pubblicistico (si veda, con riguardo ai provvedimenti di concessione di licenze taxi, la recente TAR Lazio, sez. II, 23 gennaio 2020, n. 949).

Il venir meno del requisito soggettivo è quindi frutto della considerazione legislativa di un accadimento (la condanna), il cui accertamento è demandato al potere dall'Amministrazione.

Non può invece essere ricondotto alle pene accessorie, né ai c.d. "effetti penali della condanna" - i quali invece "si caratterizzano per essere conseguenza soltanto di una sentenza irrevocabile di condanna e non pure di altri provvedimenti che possono determinare quell'effetto; per essere conseguenza che deriva direttamente, "ope legis", dalla sentenza di condanna e non da provvedimenti discrezionali della pubblica amministrazione, ancorché aventi la condanna come necessario presupposto; per la natura sanzionatoria dell'effetto, ancorché incidente in ambito diverso da quello del diritto penale sostantivo o processuale" (Cass. S.U., 20 aprile 1994, n. 7) - e non risente, pertanto, dall'intervenuta sospensione condizionale della pena.

Si condivide, sul punto, l'impianto argomentativo del precedente del TAR Lombardia citato dall'Amministrazione (Tar Lombardia, sez. III, Milano 17.7.2003, n. 3596). Il giudice penale concede la sospensione quando "presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati" (art. 164 c.p.), formulando una prognosi positiva di non recidività del condannato, ai fini di consentirne la permanenza in società. Ben diversa e più pregnante è invece la valutazione che la P.A. deve compiere ai fini dell'attribuzione di funzioni amministrative a soggetti privati, che non può ridursi ad una mera prognosi di futura conformità del loro comportamento all'ordinamento penale (la quale dovrebbe ritenersi scontata in chi partecipa all'esercizio del potere pubblico) ma investe, più incisivamente, la loro affidabilità e onorabilità, a garanzia della legalità, dell'efficienza, del prestigio dell'Amministrazione.

Non può configurarsi, in conclusione, alcun collegamento tra la sospensione condizionale della pena e la sussistenza del requisito morale relativo all'assenza di condanne penali per determinati reati, per cui possa ritenersi che dalla prima consegua necessariamente il secondo. Quest'ultimo appare, al contrario, frutto di valutazioni autonome e che hanno riguardo ad interessi diversi da quelli presi in considerazione del giudice penale.

Quanto al disposto dell'art. 166 comma 2 c.p., secondo cui "la condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l'applicazione di misure di prevenzione, né d'impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificamente previsti dalla legge, né per il diniego di concessioni, di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa" deve considerarsi:

- che la stessa disposizione fa salvi i casi espressamente previsti dalla legge, con un inciso che, pur riferito specificamente "all'accesso a posti di lavoro pubblici o privati" deve ritenersi di applicazione generalizzata. Né, del resto, per ovvie ragioni di gerarchia delle fonti, una disposizione di legge potrebbe sancire a priori la sua inderogabilità ad opera di disposizioni di pari grado.

- Che l'effetto (amministrativo) di impedimento al rilascio dell'autorizzazione non consegue "di per sé solo" alla condanna a pena condizionalmente sospesa, ricollegandosi invece a fattispecie specificamente individuate in ragione della particolare natura del reato commesso o dell'entità della pena inflitta e pertanto giudicate incompatibili con la funzione pubblica da attribuire al privato.

- Che la legge che disciplina l'attività in rilievo (la più volte citata L. n. 264 del 1991) attribuisce alla sola intervenuta riabilitazione (cioè alla causa di estinzione delle pene accessorie di cui all'art. 178 c.p.) l'effetto giuridico di togliere rilievo ad una precedente condanna, così implicitamente escludendo che altri istituti possano sortire analogo effetto.

Con riguardo a quest'ultima osservazione, in particolare, si richiama la recente Cons. Stato, Sez. V, 19 giugno 2019, n. 4187 che, nel rigettare l'impugnazione del provvedimento di esclusione da un concorso pubblico, disposta in ragione dell'intervenuta condanna del ricorrente a pena condizionalmente sospesa (e benché, in questo caso, diversamente dalla presente fattispecie, fosse anche intervenuta l'estinzione del reato), ha sottolineato la differente pregnanza delle valutazioni sottese alla concessione della sospensione condizionale della pena e alla riabilitazione.

Mentre, la sospensione "è disposta prima di qualsiasi verifica circa la condotta del condannato successiva alla sentenza di condanna", la riabilitazione "costituisce un beneficio che può essere concesso solo a seguito di una pronuncia del Tribunale di sorveglianza" e quindi "vale a attestare in modo più sicuro il riacquistato possesso dei requisiti morali da parte del condannato, perché, a differenza della sospensione condizionale della pena, opera sulla base di una valutazione ex post della sua condotta e, a differenza dell'estinzione della pena, postula uno specifica pronuncia costitutiva (e non meramente dichiarativa) fondata sulla verifica di prove effettive e costanti di buona condotta."

Appare quindi conforme alla ratio dell'istituto che la L. n. 264 del 1991 faccia conseguire alla sola riabilitazione, in ragione delle valutazioni da essa implicate, un effetto "ricostitutivo" dei requisiti morali e soggettivi compromessi da una precedente condanna e sarebbe del tutto irragionevole ipotizzare che il medesimo risultato possa essere conseguito per effetto della semplice sospensione condizionale.

Quanto alla pretesa violazione del criterio di proporzionalità, si obietta che le disposizioni applicate attribuiscono rilevanza alla condanna penale, senza concedere spazio ad alcuna valutazione relativa ai caratteri della fattispecie, diversi da quelli inerenti al tipo di reato (in base al bene giuridico offeso) e alla quantità di pena irrogata. Ai sensi del combinato disposto dell'art. 3 comma 1 lett. c) e dell'art. 9 comma 3 della L. n. 264 del 1991, dal riscontro di una condanna per un delitto "contro la pubblica amministrazione" a carico del titolare dell'impresa, deve conseguire la revoca dell'autorizzazione, senza che possa configurarsi alcun margine di discrezionalità nella scelta della misura o circa l'an della sua irrogazione. Ciò emerge, del resto, dalla stessa formulazione dell'art. 9 comma 3, che fa uso del tempo presente indicativo (con cui il legislatore configura gli effetti giuridici necessitati) nonché dalla mancata previsione legislativa di misure alternative e meno afflittive della revoca (le quali, in conformità al principio di tipicità dei provvedimenti, dovrebbero avere fondamento e disciplina legislativa).

Venendo, infine, al terzo motivo di ricorso, che in gran parte riprende le argomentazioni dei due precedenti, si rileva che non appare possibile distinguere tra un "dato formale" e un "dato sostanziale", nell'ambito di un contesto normativo che non presenta margini di discrezionalità, tecnica (le disposizioni rilevanti fanno ricorso a termini giuridici dal significato inequivoco) o amministrativa (trattasi di potere rigidamente vincolato).

Per le argomentazioni esposte, il ricorso viene respinto.

In ragione della novità delle questioni emerse, dell'assenza di precedenti specifici, della particolare contingenza economica, si ritiene equo disporre l'integrale compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità del soggetto giuridico ricorrente e della persona del suo legale rappresentante

Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 15 aprile 2020 con l'intervento dei magistrati:

Oria Settesoldi, Presidente

Manuela Sinigoi, Consigliere

Luca Emanuele Ricci, Referendario, Estensore