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Schiamazzi davanti al bar, barista condannata (Cass. 33096/22)

8 settembre 2022, Cassazione penale

Risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio che non impedisca i continui schiamazzi provocati degli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne: la qualità di titolare della gestione dell'esercizio pubblico comporta l'assunzione dell'obbligo giuridico di controllare, con possibile ricorso ai vari mezzi offerti dall'ordinamento come l'attuazione dello "ius excludendi" e il ricorso all'autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell'ordine e della tranquillità pubblica.

 

Corte di Cassazione

sez. III penale

17 maggio 2022 (dep. 8 settembre 2022), n. 33096
 

Presidente Sarno – Relatore Socci  

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 14 maggio 2021 il Tribunale di Lagonegro ha condannato C.V. alla pena di Euro 250,00 di ammenda, relativamente al reato di cui agli art. 81 e 659 del c.p. perché nella qualità dell'esercizio pubblico denominato "(omissis) " (...) esercente l'attività di somministrazione di alimenti e bevande in ore notturne, in più occasioni, anche oltre l'orario di chiusura del locale, disturbava il riposo di R.F.S., abitante in un appartamento vicino al predetto esercizio; commesso dal 9 agosto 2015 e fino al 21 agosto 2018.

2. Ricorre in cassazione l'imputato, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 c.p.p., comma 1, disp. att.

2. 1. Violazione di legge (art. 659 c.p.). il rumore deve essere idoneo a cagionare disturbo a un numero indeterminato di persone e non ad una sola persona (come nel caso in giudizio). Solo la parte civile ha lamentato rumori intollerabili, che sono stati esclusi, invece, dai testi M.R.D., M.llo F. R.A.L.S. e G.C.. Anche se non risulta richiesta la prova concreta del disturbo a più persone deve, comunque accertarsi l'astratta idoneità del disturbo a più persone. Nel caso in giudizio sussiste la prova (in relazione alle testimonianze suddette) dell'inidoneità dei rumori a creare disturbo a più persone.

2. 2. Violazione di legge (art. 521 c.p.p.). Il Tribunale ha condannato l'imputato per un fatto diverso da quello contestato nell'imputazione. La condanna è intervenuta per l'organizzazione di eventi musicali con l'utilizzo di apparecchiature musicali e per non aver impedito gli schiamazzi agli avventori del locale nelle vicinanze dello stesso. Il fatto commissivo dell'organizzazione degli eventi musicali non risulta mai contestato, anche nella modifica dell'imputazione, che si è limitata a indicare una data diversa del commesso reato.

2. 3. Violazione di legge (art. 40 e 659 c.p.). Il Tribunale individua una condotta omissiva, ovvero il mancato impedimento agli schiamazzi compiuti dagli avventori fuori dal locale. Al titolare di un'attività commerciale non può addebitarsi nessun obbligo di vigilanza degli spazi esterni al locale. Il dovere di vigilanza compete esclusivamente all'ente pubblico proprietario dell'area. Il titolare dell'attività commerciale non ha nessun potere di coercizione sugli avventori, che si trovano fuori dal suo locale.

2. 4. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Tutte le circostanze presupposto della condanna non hanno trovato un riscontro probatorio. Non risultano provate la consegna di oggetti di tipo musicale agli avventori, l'ingaggio di gruppi musicali e, inoltre, non è stata accertata la morfologia dei luoghi e l'età media dei residenti vicino al Bar del ricorrente. I testi che hanno confermato i rumori (come riferiti dalla parte civile) avevano percepito gli stessi dall'abitazione della parte offesa. Anche l'aver ritenuto la sussistenza di molteplici occasioni di superamento della soglia dei rumori non risulta accertato nell'istruttoria dibattimentale; infatti, la stessa parte civile ha riferito solo di sei episodi (in media due all'anno) dal 2015 al 2018.

2. 5. Violazione di legge (art. 530 c.p.p.). Il contrasto tra le prove testimoniali esclude l'accertamento dell'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 659 c.p. al di là di ogni ragionevole dubbio. La diffusività del rumore deve essere idonea a cagionare disturbo a più persone, tale prova manca nel caso in giudizio.

2. 6. Violazione di legge e omessa motivazione relativamente alla particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.). La sentenza ha dato atto di una non particolare gravità dei fatti, irrogando la solo pena pecuniaria, in misura contenuta.

Non può neanche ritenersi una condotta abituale quella del ricorrente, in quanto nell'arco dei tre anni solo per sei volte sarebbe stata superata la normale tollerabilità.

In presenza di un'espressa richiesta dell'applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, il Tribunale avrebbe dovuto motivare il diniego, invece ha omesso qualsiasi motivazione.

Ha chiesto pertanto l'annullamento della decisione impugnata.

2. 7. La Procura Generale, Sostituto Procuratore Generale Ciro Angelillis ha depositato conclusioni scritte per il rigetto del ricorso.

2. 8. L'imputato ha replicato con memoria nella quale riafferma la fondatezza del ricorso e ne chiede l'accoglimento.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato e deve rigettarsi con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Nessuna violazione dell'art. 521 c.p.p. risulta nel caso in giudizio. Deve ribadirsi a proposito la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione che esclude la violazione dell'art. 521 c.p.p. quando la contestazione è conosciuta dall'imputato (che si è difeso) in quanto emersa nel corso del processo e dalla motivazione della sentenza, a prescindere dal (Ndr: testo originale non comprensibile) imputazione riportata nell'epigrafe della sentenza: "L'accertamento nel corso del processo di una diversa forma di estrinsecazione della condotta concorsuale che integri la medesima figura di reato contestata non determina alcuna violazione nè del contraddittorio, nè del principio di correlazione tra accusa e sentenza, quando l'enunciazione dei fatti e delle circostanze ascritte all'imputato sia desumibile dal complessivo contenuto della motivazione della sentenza e dalla contestazione - riferibile al capo di imputazione in senso stretto e a tutti gli atti conosciuti e conoscibili dall'imputato purché l'imputato sia stato messo nelle condizioni di conoscere l'accusa e di esercitare le proprie difese, ed il fatto accertato sia omogeneo rispetto a quello contestato, ovvero ne costituisca uno sviluppo prevedibile" (Sez. 2, Sentenza n. 6560 del 08/10/2020 Ud. -dep. 19/02/2021 - Rv. 280654 - 01).

Infatti, nessuna lesione del diritto di difesa si è verificata nel caso in giudizio; inoltre, nello stesso ricorso in cassazione non si rappresenta la concreta violazione dei diritti di difesa ("La violazione del principio di correlazione tra l'accusa e l'accertamento contenuto in sentenza si verifica solo quando il fatto accertato si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale tale da recare un reale pregiudizio dei diritti della difesa" Sez. 4, Sentenza n. 4497 del 16/12/2015 Ud., dep. 03/02/2016, Rv. 265946 - 01).

4. Anche sull'elemento oggettivo del reato la sentenza risulta adeguatamente motivata, senza contraddizioni o manifeste illogicità. Il Tribunale evidenzia la natura dei rumori idonei a disturbare un numero indeterminato di persone. La sentenza analizza, con valutazioni di merito insindacabili in sede di legittimità, anche le testimonianze che hanno escluso il disturbo alle persone, evidenziando come gli stessi hanno riferito di episodi diversi da quelli in cui si sarebbero verificate le immissioni (o per orario diverso o per giornate in cui non si svolgevano eventi musicali); per il teste D. la sentenza rileva il suo interesse essendo la proprietaria del locale dove si è svolta l'attività di cui all'imputazione.

5. La sentenza impugnata, poi, con motivazione adeguata, immune da contraddizioni e da manifeste illogicità ha ritenuto il ricorrente responsabile anche per gli schiamazzi degli avventori fuori dal locale, perché della contravvenzione risponde il titolare dell'esercizio commerciale che non impedisce i rumori molesti.

Infatti, per la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione il titolare di un'attività risponde per non aver impedito gli schiamazzi (Sez. 3 -, Sentenza n. 14750 del 22/01/2020 Cc., dep. 13/05/2020, Rv. 279381; Sez. F, n. 34283 del 28/07/2015 - dep. 06/08/2015, Gallo, Rv. 26450101; e nello stesso senso, Sez. 1, n. 48122 del 03/12/2008 - dep. 24/12/2008, Baruffaldi, Rv. 24280801: "Risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio (nella specie, una pizzeria) che non impedisca i continui schiamazzi provocati degli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne - La Corte ha precisato che la qualità di titolare della gestione dell'esercizio pubblico comporta l'assunzione dell'obbligo giuridico di controllare, con possibile ricorso ai vari mezzi offerti dall'ordinamento come l'attuazione dello "ius excludendi" e il ricorso all'autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell'ordine e della tranquillità pubblica -").

4. Anche relativamente alla particolare tenuità del fatto deve ritenersi un'esclusione implicita non avendo il giudice irrogato la pena nei minimo edittale. Deve confermarsi sul punto la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione che in tema di particolare tenuità del fatto, ritiene come la motivazione dell'esclusione può risultare anche implicitamente dall'argomentazione con la quale il giudice abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell'imputato, alla stregua dell'art. 133 c.p., nell'irrogazione di una pena superiore al minimo edittale (Sez. 5 -, Sentenza n. 15658 del 14/12/2018 Ud., dep. 09/04/2019, Rv. 275635 - 02; vedi anche Sez. 6, Sentenza n. 44417 del 22/10/2015 Ud., dep. 03/11/2015, Rv. 265065).

Inoltre, deve rilevarsi che l'imputato non ha fatto specifica richiesta al Tribunale di applicazione dell'art. 131 bis c.p. limitandosi all'udienza del 14 maggio 2021 a richiedere: "assoluzione con formula piena perché il fatto non sussiste o non costituisce reato".

5. Segue la condanna alle spese del grado sostenute dalla parte civile costituita.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile R.F.S. che liquida in complessivi Euro tremilacinquecento, oltre accessori di legge.