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Rincorrere un autobus è reato? (Cass. 7845/20)

20 febbraio 2020, Cassazione penale

Sussiste il reato di interruzzoine di pubblico serevizio anche nel caso in cui c'è solo un turbamento nella regolarità del servizio, nel senso di una condotta che ne impedisce l'ordinato e regolare svolgimento, posto a tutela della collettività.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

 (ud. 29/01/2020) 27-02-2020, n. 7845

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGO Geppino - Presidente -

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Consigliere -

Dott. PAZIENZA Vittorio - Consigliere -

Dott. SGADARI Giuseppe - est. Consigliere -

Dott. MONACO Marco Maria - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

G.G., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 17/07/2015 della Corte di appello di Brescia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione della causa svolta dal consigliere Giuseppe Sgadari;

udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale Zacco Franca, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Brescia, in sede di rinvio della Corte di cassazione, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale di Bergamo del 20.7.2010, confermava la responsabilità del ricorrente per i reati di minaccia e interruzione di pubblico servizio, commessi ai danni di un autista di un autobus di linea.

2. Ricorre per cassazione G.G., deducendo:

1) violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di cui all'art. 340 c.p..

La Corte di appello avrebbe travisato il principio di diritto espresso dalla sentenza di annullamento con rinvio della Corte di cassazione, essendo rimasto accertato in fatto che il ricorrente non aveva cagionato alcun apprezzabile ritardo o interruzione del servizio pubblico.

La condanna è, dunque, stata confermata sulla base di un giudizio che non ha svolto una corretta ricostruzione del fatto, violando anche l'art. 25 Cost. per indeterminatezza delle condotte ritenute punibili, laddove interpretate nel senso indicato in sentenza. Sotto questo profilo, il ricorrente pone la questione di legittimità costituzionale dell'art. 340 c.p. in relazione all'art. 25 Cost.;

2) violazione di legge per la mancata applicazione dell'art. 131-bis c.p., rilevabile in qualunque stato e grado ed anche nel giudizio di cassazione.

Motivi della decisione


Il ricorso è manifestamente infondato.

1.Il ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha rilevato, in punto di fatto, come l'imputato si fosse posto all'inseguimento dell'autobus pubblico per circa due chilometri e mezzo, lo avesse affiancato, avesse minacciato pesantemente l'autista tanto che quest'ultimo prima ancora di arrivare al capolinea aveva chiamato il 113 ed, inoltre, che il mezzo, insieme ad alcuni passeggeri intimoriti, fosse rimasto fermo al capolinea per 3040 minuti fino all'arrivo della polizia.

Ne consegue che, descritto compiutamente il fatto - in termini tali da rendere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale formulata dal ricorrente - la Corte di appello ha fatto buon governo del principio di diritto fissato nel caso in esame dalla Corte Suprema, che aveva ravvisato la sussistenza del reato anche nel caso in cui vi fosse stato un turbamento nella regolarità del servizio, nel senso di una condotta, come quella dell'imputato, che ne aveva impedito l'ordinato e regolare svolgimento, posto a tutela della collettività (come si vede turbata dal comportamento del ricorrente in quanto, nello specifico, alcuni passeggeri si erano risolti a rimanere dentro il mezzo per un tempo considerevole in attesa della polizia).

Tale principio di diritto, formulato dalla sentenza rescindente, peraltro in adesione a precedenti arresti di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 1334 del 12/12/2018, dep. 2019, Rv. 274836, n. 1913 del 2018, Rv. 272321), citati dalla Corte di merito e che lo stesso ricorso mostra di conoscere, prendono spunto dal tenore letterale della norma di cui all'art. 340 c.p., laddove, tra le condotte punibili, individua quella, non solo di colui che "interrompe", ma anche di colui che "turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico".

2.In ordine al secondo motivo la norma di cui all'art. 131-bis c.p., è stata introdotta con il D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, sicchè essa era in vigore al momento della pronuncia della sentenza impugnata e non risulta, neanche dal verbale di udienza del giudizio di rinvio, che il ricorrente avesse fatto una richiesta di applicazione di tale causa di esclusione della punibilità.

La giurisprudenza di legittimità condivisa dal Collegio ritiene che la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, ex art. 131-bis c.p. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, se tale disposizione era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza di appello, ostandovi la previsione di cui all'art. 606 c.p.p., comma 3, (Sez. 5, n. 57491 del 23/11/2017, Moio, Rv. 271877).

L'inammissibilità del ricorso ne preclude comunque la rilevabilità di ufficio, secondo quanto affermato da parte della giurisprudenza (Sez. 6, n. 7606 del 16/12/2016, dep. 2017, Curia, Rv. 269164).

Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle Ammende, commisurata all'effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, nella udienza pubblica, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2020