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Rapina con pistola giocattolo (Cass. 39253/21)

2 novembre 2021, Cassazione penale

Per configurare l'aggravante dell'uso dell'arma nel delitto di rapina è sufficiente il ricorso ad una arma "giocattolo" che non sia immediatamente riconoscibile come tale; la circostanza sussiste cioè quando l'azione minatoria risulta aggravata dal ricorso ad uno strumento che "appare" come un'arma da sparo.

Pertanto la sussistenza dell'aggravante dipende non solo dalla oggettiva assenza sull'oggetto dei segni dell'arma da gioco (tappo rosso e similari), ma anche dal fatto che tali segni non sono visibili e riconoscibili dalla vittima.

L'accertamento della riconoscibilità dell'arma come un oggetto da gioco deve essere dunque effettuato valutando sia le circostanze ambientali "oggettive" che incidono sulla visibilità dei segni del giocattolo (tappo rosso e similari), sia la percezione "soggettiva" che la vittima ha avuto di quei segni

 

Cassazione penale

sez. II, ud. 22 giugno 2021 (dep. 2 novembre 2021), n. 39253
Presidente Cervadoro – Relatore Recchione

Ritenuto in fatto

1. la Corte di appello di Bologna confermava la condanna dei ricorrenti per i reati di rapina aggravata e tentativo di danneggiamento.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore del C. che deduceva:

2.1. violazione di legge: nella quantificazione della pena non sarebbe stato considerato lo stato psico-fisico del C. ; le emergenze processuali indicherebbero una seria difficoltà di relazione che avrebbero dovuto essere considerate nella definizione del trattamento sanzionatorio.

3. Ricorreva anche il difensore del L. che deduceva:

3.1. vizio di motivazione in ordine alla valutazione della capacità di intendere e volere del ricorrente: la Corte avrebbe fatto propria la tesi del perito senza prendere in considerazione le altre consulenze in atti e senza valutare che il ricorrente nel corso del primo colloquio era compensato da neurolettici, che gli psicofarmaci gli erano stati somministrati anche in carcere e che all'ingresso nell'istituto penitenziario aveva comunicato ai medici di essere assuntore di stupefacenti; tali argomenti proposti con la prima impugnazione non erano stati valutati dalla Corte di appello.

3.2. Violazione di legge e vizio di motivazione: la rapina era stata ritenuta aggravata dall'uso dell'arma giocattolo: si deduceva che era irrilevante la "percezione" della vittima, dato che l'aggravante dipendeva dal dato oggettivo dell'uso di un'arma non classificata come giocattolo (le pistole in sequestro erano non erano classificate come armi da sparo, ma da gioco).

3.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'accertamento della responsabilità per il danneggiamento: le prove raccolte non indicherebbe la sussistenza del reato nè sotto il profilo oggettivo, nè sotto quello oggettivo. In particolare non sarebbe emerso che il ricorrente aveva gettato a terra la frutta, nè che l'azione di danneggiamento sia stata interrotta dal fatto che erano state allertate le forze dell'ordine (come risultava dalla testimonianza della M. ).

Considerato in diritto

1. Il ricorso proposto nei confronti del C. è infondato.

In materia di definizione del trattamento sanzionatorio il collegio ribadisce che la determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicché l'obbligo della motivazione da parte del giudice dell'impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d'appello, quando egli, accertata l'irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell'art. 133 c.p. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d'appello (Sez. 6, n. 10273 del 20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass. N. 155508; n. 148766; n. 117242).

Nel caso in esame la invocata rideterminazione in melius del trattamento sanzionatorio non veniva effettuata dalla Corte di appello in quanto venivano ritenuti ostativi sia il dolo di premeditazione, che la pluralità dei comportamenti delittuosi ed i precedenti: la motivazione sul punto non presenta illogicità manifeste e si sottrae ad ogni censura in questa sede.

2. Il ricorso del L. è infondato.

2.1. È infondato il motivo con il quale si contesta la carenza di motivazione in ordine alle doglianze proposte con la prima impugnazione nei confronti della valutazione relativa alla capacità di intendere e volere. Il collegio ribadisce che la motivazione che esprime la valutazione della prova scientifica deve esporre le ragioni che sorreggono la validazione della tesi proposta, che deve tenere in considerazioni gli argomenti offerti dai tecnici di parte, che svolgono una funzione essenziale nella formazione della prova tecnica (ex multis: Sez. 4, Sentenza n. 43786 del 17/09/2010, Rv. 248943).

Nel caso in, esame il compendio motivazionale integrato composto dalle due sentenze di merito, nella parte in cui valuta la prova scientifica (disposta per valutare la capacità di intendere e di volere) risulta esaustivo e coerente con le ermeneutiche fornite dalla Corte di legittimità.

Il primo giudice prendeva infatti in analitica considerazione tutti gli accertamenti scientifici sia quelli effettuati dal perito, che quelli disposti dai consulenti, e riteneva che la premeditazione, accertata attraverso l'accurata valutazione delle fonti di prova, fosse indicative di un nucleo antisociale della personalità del ricorrente prevalente rispetto al suo disturbo di personalità (pag. 9 della sentenza di primo grado).

Tale nucleo motivazionale risulta ribadito dalla Corte di appello che ha affermato che la progettualità criminosa emersa era incompatibile con un impulso incontrollabile o non lucido, sicché doveva ritenersi che l'azione contestata fosse stata consumato da una persona pienamente capace di intendere e volere.

2.2 Anche il secondo motivo di ricorso che contesta la sussistenza degli elementi per ritenere integrata l'aggravante dell'uso dell'arma risulta infondato. Il collegio ribadisce che il semplice uso o porto fuori della propria abitazione di un giocattolo riproducente un'arma sprovvisto di tappo rosso non è previsto dalla legge come reato. L'uso o porto fuori della propria abitazione di un tale giocattolo assume rilevanza penale soltanto se mediante esso si realizzi un diverso reato del quale l'uso o porto di un'arma rappresenti elemento costitutivo o circostanza aggravante, come avviene quando il giocattolo riproducente un'arma, sprovvisto di tappo rosso, sia portato in aeromobile, in violazione della L. 23 dicembre 1974, n. 694, o quando sia usato nella commissione di delitti contro la sicurezza della navigazione aerea, di reati di natura elettorale, nei delitti di rapina aggravata (art. 628 c.p., comma 3, n. 1, prima ipotesi), di violenza e resistenza aggravata a pubblico ufficiale (art. 339 c.p.), di estorsione aggravata (art. 629 cpv c.p.), di minaccia aggravata (art. 612 cpv. c.p.), o quando venga portato indosso nella commissione del reato di furto. (Sez. U, Sentenza n. 3394 del 06/03/1992 Ud. (dep. 23/03/1992) Rv. 189520 - 01).

La giurisprudenza ha ulteriormente precisato che per configurare l'aggravante e decisivo il fatto che il tappo rosso o gli altri segni identificativi dell'arma come giocattolo non siano "visibili", affermando rilevanza sia alle condizioni oggettive di visibilità che alla percezione "soggettiva" della vittima.

Si è affermato infatti che sussiste pertanto l'aggravante della minaccia con uso di arma ove la minaccia sia compiuta con un'arma giocattolo il cui pur esistente tappo rosso sia occultato, anche solo temporaneamente, in modo da non renderlo "visibile" alla persona offesa.

La Corte ha affermato che è la "visibilità", e non l'esistenza del tappo, ad escludere la configurabilità dell'aggravante, per la quale rileva solo l'apparenza estrinseca dell'arma (Sez. 5, Sentenza n. 16647 del 11/03/2003, Rv. 224796).

Si ribadisce pertanto che per configurare l'aggravante dell'uso dell'arma nel delitto di rapina è sufficiente il ricorso ad una arma "giocattolo" che non sia immediatamente riconoscibile come tale; la circostanza sussiste cioè quando l'azione minatoria risulta aggravata dal ricorso ad uno strumento che "appare" come un'arma da sparo. Pertanto la sussistenza dell'aggravante dipende non solo dalla oggettiva assenza sull'oggetto dei segni dell'arma da gioco (tappo rosso e similari), ma anche dal fatto che tali segni non sono visibili e riconoscibili dalla vittima. L'accertamento della riconoscibilità dell'arma come un oggetto da gioco deve essere dunque effettuato valutando sia le circostanze ambientali "oggettive" che incidono sulla visibilità dei segni del giocattolo (tappo rosso e similari), sia la percezione "soggettiva" che la vittima ha avuto di quei segni.

In coerenza con tali indicazioni ermeneutiche i giudici di merito, con valutazione conforme nei due gradi di giudizio, ritenevano sussistente l'aggravante dato che la persona offesa aveva affermato di non avere avuto contezza del fatto che l'arma non fosse da sparo e tali dichiarazioni risultano confortate dal fatto che era emerso che la rapina era stata consumata al buio (pag. 8 della sentenza di primo grado e pag. 4 della sentenza di appello).

2.3. L'ultimo motivo di ricorso che contesta la motivazione offerta per la conferma della responsabilità in ordine al reato di danneggiamento è inammissibile.

Contrariamente a quanto dedotto la Corte di appello offriva una motivazione sufficiente a confermare le valutazioni effettuate dal primo giudice. Il giudice per l'udienza preliminare aveva infatti ritenuto accertato il tentativo di danneggiamento, dato che era stato accertato che i prodotti ortofrutticoli erano stati scagliati violentemente a terra e che tale azione era finalizzata al danneggiamento; il fatto che gli stessi prodotti fossero stati nuovamente posti in vendita aveva tuttavia indotto il primo giudice a ritenere che il danneggiamento fosse solo nella forma tentata e non anche in quella consumata (pag. 7 della sentenza di primo grado).

La Corte di appello ha confermato tale valutazione rilevando altresì che l'interruzione dell'azione criminosa era stata cagionata dal fatto che un cliente dell'esercizio commerciale aveva allertato le forze dell'ordine (pag. 5 della sentenza impugnata).

Si tratta di una motivazione priva di vizi logici coerente con le emergenze processuali, che non risulta incisa dalle doglianze difensive, che si limitano a riproporre quelle già avanzate con l'atto di appello e ad invocare una rivalutazione della capacità dimostrativa delle prove che non rientra nella cognizione del giudice di legittimità.

2. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta i ricorsi le parte che li hanno proposti devono essere condannate al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.