I protocolli stipulati presso molte sedi giudiziarie, pur avendo acquisito rilievo spiccato negli ultimi decenni, quali forme di autoregolamentazione di prassi condivise, non hanno efficacia vincolante, ma persuasiva. In nessun caso possono incidere nella determinazione legislativa dei minimi nei compensi professionali stabiliti per legge.
Corte di Cassazione
sez. II civile
ord., 20 ottobre 2023, n. 29184
Presidente Carrato – Relatore Caponi
Fatti di causa
Nel 2019 l'avvocato P.S. proponeva dinanzi al Tribunale di Palermo opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170 avverso il decreto di liquidazione nella misura di Euro 700 (anziché in quella di Euro 1.700 richiesta) quale compenso per l'attività professionale svolta in un procedimento penale, nell'interesse di persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Il decreto impugnato si richiamava al protocollo d'intesa del 2016 tra il Presidente del Tribunale, il Presidente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati, il Presidente della Camera penale e il dirigente amministrativo del Tribunale.
La ricorrente (che aveva aderito al protocollo) denunciava un'erronea quantificazione del compenso, per l'omissione della remunerazione della fase istruttoria, articolatasi tra l'altro in una serie di udienze. In sede di prima liquidazione, il giudice monocratico aveva considerato che, essendo stato il procedimento penale definito con sentenza di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, l'attività istruttoria non dovesse essere considerata al fine della liquidazione e quindi non dovesse applicarsi il punto n. 6 del protocollo d'intesa relativo ai processi dibattimentali più complessi.
Il presidente delegato del Tribunale di Palermo ha rigettato l'opposizione, valorizzando l'avverbio "sostanzialmente" al punto n. 1 del protocollo, relativo ai "processi che si concludono in atti sostanzialmente predibattimentali". Le spese dell'opposizione sono state dichiarate irripetibili.
Ricorre in cassazione l'avv. P. con due motivi, illustrati da memoria. Rimane intimato il Ministero della Giustizia.
Ragioni della decisione
1. - Il primo motivo denuncia la violazione del D.M. n. 55 del 2014, artt. 12 e 13 (attuativo della L. n. 247 del 2012, art. 13, comma 6), nonché la violazione dei punti n. 1 e n. 6 del protocollo d'intesa citato nella descrizione dei fatti di causa. Si deduce, altresì, la violazione degli artt. 129,469 e 529 c.p.p.
Il secondo motivo lamenta la violazione dell'art. 2233 c.c., comma 2, in collegamento con la citata L. n. 247 del 2012, art. 13 bis e con il D.M. n. 37 del 2018. In particolare, si denuncia la violazione della inderogabilità dei minimi tabellari, fissati ex D.M. n. 37 del 2018 per il decoro professionale ex art. 2233 c.c., comma 2, nonché per il diritto all'equo compenso. Si evidenzia che la liquidazione di Euro 700,00 non copre nemmeno le fasi di studio (Euro 225,00) e decisoria (Euro 675,00), le cui remunerazioni sommate tra di loro giungono ad un minimo inderogabile di Euro 900,00.
2. - I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro evidente connessione.
Rileva il collegio che essi sono fondati.
La parte censurata del provvedimento argomenta come segue (in sintesi).
Il punto n. 1 del protocollo prevede la liquidazione di un compenso forfettario di Euro 700,00, già diminuito D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 106-bis, per i processi che si "concludono sostanzialmente" in atti predibattimentali ex art. 129 c.p.p., con elencazione espressa delle correlative cause (prescrizione, oblazione, remissione di querela). La locuzione testuale "si concludono sostanzialmente" induce a ritenere che si sia inteso privilegiare il profilo funzionale della sostanziale conclusione del procedimento (mercè l'estinzione del reato), piuttosto che il dato strutturale procedimentale della conclusione avvenuta prima dell'apertura del dibattimento. Diversamente si sarebbe impiegata la locuzione "processi in fase predibattimentale", piuttosto che l'avverbio "sostanzialmente".
Nel punto saliente, la complessiva censura è argomentata come segue.
Il provvedimento urta contro il D.M. n. 55 del 2014, sotto il profilo del disconoscimento delle fasi in cui l'attività defensionale si è effettivamente sviluppata (le quali sono quelle ex art. 12 D.M. cit.: studio, introduzione, istruzione e decisione), nonché sotto il profilo della corrispondente remunerazione ex art. 13 stesso D.M. ("se (...) sopravvengono cause estintive del reato (...), sono liquidati i compensi maturati per l'opera svolta fino alla (...) pronunzia della causa estintiva"). Tale disciplina è sicura espressione dei valori costituzionali dell'effettività retributiva dell'attività lavorativa (artt. 4,35 e 36 Cost.).
Orbene, in relazione all'attività penale, il D.M. n. 55 del 2014, art. 12,comma 3, lett. c), prevede che per fase istruttoria o dibattimentale sono da intendere esemplificativamente: le richieste, gli scritti, le partecipazioni o assistenze relative ad atti ed attività istruttorie procedimentali o processuali anche preliminari, rese anche in udienze pubbliche o in camera di consiglio, che sono funzionali alla ricerca di mezzi di prova, alla formazione della prova, comprese liste, citazioni e le relative notificazioni, l'esame dei consulenti, testimoni, indagati o imputati di reato connesso o collegato.
Ne segue che la fase istruttoria è difficilmente ineludibile (tra l'altro il riferimento ad ogni attività procedimentale o processuale, anche di carattere preliminare, lo testimonia), per tacere che nel caso di specie si sono svolte una serie di udienze (cfr., in proposito, ad es. Cass. n. 3889/2023). Non può escludersi, quindi, la correlativa remunerazione, a prescindere dalla circostanza che poi il giudizio penale - come nel caso in esame - si sia concluso con sentenza di estinzione per prescrizione, poiché si sarebbe dovuto comunque tener conto, in sede di liquidazione a favore del difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio, di tutti i compensi maturati per l'opera svolta fino alla pronuncia della suddetta sentenza (come si evince dal D.M. n. 55 del 2014, art. 13 cit.).
Quanto ai protocolli stipulati presso molte sedi giudiziarie, essi hanno acquisito un rilievo spiccato negli ultimi decenni, quali forme di autoregolamentazione di prassi condivise. Essi sono generalmente promossi da gruppi di magistrati, avvocati e di funzionari amministrativi che si assumono l'impegno di cooperare per migliorare l'amministrazione della giustizia in un determinato ambito territoriale. Accanto alla responsabilità imputabile individualmente, sulla base delle norme che definiscono i loro ruoli professionali nell'organizzazione giudiziaria e nel processo, questi gruppi si fanno liberamente carico di una responsabilità ulteriore, imputabile collettivamente alle persone che con la loro attività, secondo le proprie competenze, incidono sulla amministrazione della giustizia.
Tuttavia, i protocolli, in conformità alla loro natura, non hanno efficacia vincolante, ma persuasiva. In ogni caso essi non possono incidere nella determinazione legislativa dei minimi nei compensi professionali (a prescindere dal fatto che, nel caso di specie, si rivela debole l'interpretazione che il provvedimento impugnato ha dato alle citate disposizioni del protocollo).
3. - In definitiva, il ricorso deve essere accolto, con la conseguente cassazione del provvedimento impugnato ed il derivante rinvio della causa al Tribunale di Palermo, in persona di altro magistrato, che, oltre a riquantificare i compensi effettivamente spettanti alla ricorrente sulla scorta dei su citati riferimenti normativi applicabili ed in relazione alle attività difensive in concreto esplicate (in base ai principi in precedenza esposti), provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Palermo, in persona di altro magistrato, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.