Il potere officioso del Giudice di disporre l’assunzione di nuovi mezzi di prova, esercitato nel perseguimento dell’interesse della ricerca della verità in vista della punizione delle condotte penalmente sanzionate, non trova limitazione nel potere dispositivo in materia di prove delle parti ed è esercitabile anche per l’assunzione di prove da cui le parti siano decadute, a cui abbiano rinunciato o non abbiano richiesto, purché ne ricorra l’assoluta necessità.
Il potere del giudice di assunzione, anche d’ufficio, dei mezzi di prova può essere esercitato anche ove trattasi di prove dalle quali le parti siano decadute - per mancata o irrituale indicazione nella lista di cui all’art. 468 cod. proc. pen. - dovendo intendersi per prove "nuove" ai sensi dell’art. 507 (e, correlativamente, dell’art. 603) tutte quelle precedentemente non disposte, siano esse preesistenti o sopravvenute, conosciute ovvero sconosciute. E siffatto potere suppletivo non trova ostacolo nella circostanza che non vi sia stata alcuna acquisizione probatoria ad iniziativa delle parti.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 22 novembre 2018 – 8 gennaio 2019, n. 556
Presidente Morelli – Relatore Tudino
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata, emessa il 23 novembre 2016, il Tribunale di Udine ha assolto C.J.L. dal reato di cui all’art. 483 cod. pen. perché il fatto non sussiste.
2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso il Procuratore generale della Corte d’appello di Trieste, deducendo violazione della legge penale in riferimento all’art. 507 cod. proc. pen., per avere il tribunale omesso di attivare i poteri di integrazione probatoria, pur a fronte di un principio di prova di falsità, del tutto erroneamente applicando il principio di soccombenza della prova a carico.
Considerato in diritto
1.Il ricorso del Procuratore generale è fondato.
2. Secondo il consolidato orientamento di legittimità, il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, previsto dall’art. 507 cod. proc. pen. non può essere limitato a quei mezzi di prova aventi carattere di novità nel senso che non avrebbero potuto essere richiesti dalle parti al momento del deposito delle liste testimoniali, poiché il requisito della "novità" si riferisce sia ai mezzi di prova non introdotti precedentemente, sia a quelli provenienti da fonti probatorie già esaminate, ma su circostanze e contenuti differenti (Sez. 2, n. 54274 del 04/10/2016, Altana, Rv. 268857; Sez. 6, n. 10561 del 16/03/1998, Grimaldi, Rv. 211719).
2.1. Nella delineata prospettiva, è stato, altresì, affermato che il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, previsto dall’art. 507 cod. proc. pen., può essere legittimamente esercitato dal giudice anche con riferimento a quelle prove in ordine alla cui ammissione si sia verificata la decadenza delle parti per omesso tempestivo deposito della lista testimoniale ai sensi dell’art. 468 cod. proc. pen., comma 1. (ex plurimis Sez. 5, n.32017 del 16/03/2018, Parnoffo, Rv. 273643; Sez. 4, n.22033 del 12/04/2018, Militello Rv. 273267; Sez. 1, n. 3979 del 28/11/2013, P.G. in proc. Milano, Rv. 259137).
Ed invero, sebbene la formazione della prova in dibattimento sia rimessa al potere di indicazione e richiesta delle parti, nonché sottoposta a precise regole per assicurarne la discovery, sì da consentire la piena esplicazione del diritto di difesa attraverso l’esercizio del diritto alla prova contraria, purtuttavia il principio dispositivo in materia di prova non è incondizionato.
Siffatto principio, enunciato all’art. 190 cod. proc. pen., subisce plurimi correttivi attraverso il riconoscimento dei poteri istruttori d’ufficio nel giudizio dibattimentale (art. 507 cod. proc. pen.), nel giudizio di appello (art. 603 cod. proc. pen., comma 3) e nel giudizio abbreviato (art. 441 cod. proc. pen., comma 5, nel testo modificato dalla L. n. 479 del 1999).
2.2. Siffatte deroghe al principio dispositivo sono state ritenute compatibili con il principio del contraddittorio affermato dall’art. 111 Cost., comma 2, in quanto anche la prova testimoniale ammessa d’ufficio a norma dell’art. 507 cod. proc. pen. è assunta - al pari della prova ammessa su richiesta delle parti - nel rispetto delle regole del contraddittorio e secondo la modalità dell’esame diretto e del controesame stabilite dall’art. 498 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 41281 del 17/10/2006, P.M. in proc. Greco, Rv. 234907; Sez. U, n. 11227 del 06/11/1992, Martin, Rv.191606).
In tal senso, il potere del giudice di assunzione, anche d’ufficio, dei mezzi di prova può essere esercitato anche ove trattasi di prove dalle quali le parti siano decadute - per mancata o irrituale indicazione nella lista di cui all’art. 468 cod. proc. pen. - dovendo intendersi per prove "nuove" ai sensi dell’art. 507 (e, correlativamente, dell’art. 603) tutte quelle precedentemente non disposte, siano esse preesistenti o sopravvenute, conosciute ovvero sconosciute. E siffatto potere suppletivo non trova ostacolo nella circostanza che non vi sia stata alcuna acquisizione probatoria ad iniziativa delle parti, dato che la locuzione "terminata l’acquisizione delle prove" indica non il presupposto per l’esercizio del potere del giudice, ma solo il momento dell’istruzione dibattimentale a partire dal quale - nell’ipotesi in cui tali acquisizioni vi siano state - può avvenire l’assunzione delle nuove prove (ibidem, Rv.191606).
2.3. Siffatto assetto è stato ritenuto (Corte Cost. n. 111 del 26 marzo 1993) conforme ai principi costituzionali in quanto nel sistema accusatorio - i cui principi cardine si rinvengono nell’oralità, nel contraddittorio nella formazione della prova e nella accentuata terzietà del giudice - non può trascurarsi che "fine primario ed ineludibile del processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità" (sentenza n. 255 del 1992), e che ad un ordinamento improntato al principio di legalità (art. 25, secondo comma, della Costituzione) - che rende doverosa la punizione delle condotte penalmente sanzionate - nonché al connesso principio di obbligatorietà dell’azione penale (cfr. sentenza n. 88 del 1991 cit.) non sono consone norme di metodologia processuale che ostacolino in modo irragionevole il processo di accertamento del fatto storico necessario per pervenire ad una giusta decisione (cfr. la sentenza n. 255 del 1992)".
2.4. Alla stregua di siffatti principi, deve affermarsi che il potere officioso del Giudice di disporre l’assunzione di nuovi mezzi di prova, esercitato nel perseguimento dell’interesse della ricerca della verità in vista della punizione delle condotte penalmente sanzionate, non trova limitazione nel potere dispositivo in materia di prove delle parti ed è esercitabile anche per l’assunzione di prove da cui le parti siano decadute, a cui abbiano rinunciato o non abbiano richiesto, purché ne ricorra l’assoluta necessità.
4. Il tribunale di Udine non ha fatto corretta applicazione degli enunciati principi.
Proponendo una formalistica interpretazione dei criteri che governano l’iniziativa delle parti in ordine alla prova e del principio dispositivo, sostanzialmente ricondotto ad una automatica recezione nell’ordinamento processuale penale dell’onere della prova di matrice civilistica, il Giudice ha ritenuto di non poter disporre ex officio l’ammissione a deporre di B.L. , in conseguenza della omessa indicazione della medesima nella lista dei testimoni del pubblico ministero e della mancata richiesta di disporne l’esame ex art. 507 cod. proc. pen., pur in presenza di un principio di prova deposizione de relato dell’operante Snaidero - che, proprio in ragione del regime di inutilizzabilità declinato dall’art. 195 c.p.p., comma 4, rendeva assolutamente necessaria l’audizione ex officio della teste di riferimento, delle cui dichiarazioni si assume la falsa sottoscrizione ad iniziativa dell’imputato.
L’assoluta necessità della prova non richiesta deve essere, difatti, valutata non già secondo le determinazioni delle parti, bensì nella prospettiva della ricerca della verità e della salvaguardia del principio di non dispersione degli elementi dimostrativi di cui sia nota la rilevanza e pertinenza riguardo il thema probandum, che giustifica ed orienta i poteri integrativi officiosi del giudice.
5. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, annullata, con rinvio al Tribunale di Udine perché, in applicazione degli enunciati principi ed in piena libertà di giudizio, proceda a nuovo esame (V. Sez. 5, Sentenza n.42814 del 19/06/2014, PG in proc. Cataldo, Rv. 261760).
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Udine per nuovo esame.