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Presunti innocenti, ma ingabbiati durante il processo

2 maggio 2018, Nicola Canestrini

 La detenzione in gabbie metalliche di un indagato o di un imputato durante il processo costituisce oggettivamente un trattamento inumano e degradante; la detenzione in un box di vetro  invece viola i diritti della difesa (sub specie: presunzione di innocenza, partecipazione effettiva al processo e  diritto a comunicare riservatamente con il proprio difensore).  

(Di seguito, una sintesi della versione integrale dell'articolo - con note - di N.Canestrini, La detenzione in gabbie metalliche durante l’udienza è lesiva dei diritti fondamentali dell’imputato, Giurisprudenza Penale Web, 2018, 4).

 

In Italia, l’uso delle gabbie o dei box di vetro per rinchiudervi gli indagati o gli imputati durante le udienze a loro carico pare potersi sussumere sotto l’articolo 474 c.p. che stabilisce chel'imputato assiste all'udienza libero nella persona, anche se detenuto (art. 474 c.p.p., prima parte); al pari di ogni altra parte privata egli siede, in via di principio, a fianco del difensore (art. 146, disp. att., cfr. peraltro la normativa sulla videoconferenza).

Quando assiste all'udienza l'imputato detenuto la regola di libertà è suscettibile di subire eccezioni "per prevenire il pericolo di fuga o di violenza" (art. 474 c.p.p., seconda parte). 

Peraltro, la collocazione indiscriminata degli indagati o imputati in gabbie o box di vetro durante le udienza a loro carico è lesiva dei loro diritti fondamentali.

E la compatibilità dell’uso indiscriminato dei box di vetro o gabbie con i diritti fondamentali verrà analizzato sotto il punto di vista dello standard CEDU e del diritto dell’Unione europea, anche alla luce della direttiva sulla presunzione di innocenza UE/2016/343, entrata in vigore dallo scorso 1 aprile 2018, e che punta ad uniformare le legislazioni dei vari paesi membri con l’intento dichiarato di “rafforzare il diritto a un equo processo nei procedimenti penali, stabilendo norme minime comuni relative ad alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo” e di “rafforzare la fiducia degli Stati membri nei reciproci sistemi di giustizia penale e, quindi, a facilitare il riconoscimento reciproco delle decisioni in materia penale”.

1.1. Il diritto ad un processo equo: la presunzione di innocenza

La presunzione di innocenza è stata definita “pietra angolare del giusto processo”, sancita dall’art. 6, §2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) nonché dall’articolo 48.1 della Carta UE dei diritti fondamentali, oltre che da numerosissime convenzioni e strumenti internazionali; fa peraltro parte delle tradizioni costituzionali di tutti gli Stati membri, oltre che ad essere presente in numerosissime legislazioni nazionali extraeuropee. 

Il principio ha una portata no solo processuale, ma anche extraprocessuale, laddove per esempio può costituire parametro di riferimento anche per valutare la legittimità di comportamenti di pubbliche autorità, prima o dopo il processo, o campagne mediatiche che presentino l’imputato come colpevole.

 1.2 Uso di mezzi di coercizione fisica nella direttiva europea e nello standard CEDU

  Con riferimento all’uso di mezzi di coercizione fisica degli indagati o imputati, la direttiva 343/2016 sub art. 5 prescrive che essi non siano presentati come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica. Vengono però fatte salve le misure di coercizione fisica che si rivelino necessarie per ragioni da valutarsi caso per caso, per specifiche ragioni di sicurezza o al fine di impedire che gli indagati o imputati fuggano o entrino in contatto con terzi. 

Il considerando 20 fa riferimento a “manette, gabbie (..) e ferri alle gambe”, con una clausola di salvaguardia particolarmente ampia, dato che viene prevista la eccezione che “il ricorso a tali misure sia necessario per ragioni legate al caso di specie in relazione alla sicurezza, ad esempio al fine di impedire che indagati o imputati rechino danno a se stessi o agli altri o a beni, o al fine di impedire che gli indagati o imputati fuggano o entrino in contatto con terzi, tra cui testimoni o vittime” ed escludendo la necessità di una decisione formale da parte delle autorità. 

  Lo standard CEDU pare invece di maggiore consistenza, laddove rileva come l’indagato / imputato non possa essere trattato in maniera tale da violare il principio della presunzione di innocenza, anche solo obbligandolo a vestire una uniforme carceraria: in relazione all’abbigliamento, la direttiva si limita a prescrivere “ove fattibile” che “le autorità competenti dovrebbero astenersi dal presentare gli indagati o imputati, in tribunale o in pubblico, in uniformi carcerarie, onde evitare di dare l'impressione che siano colpevoli” (considerando 21).

     Quanto all’uso di gabbie metalliche nei tribunali, la Corte EDU, nella sua composizione più autorevole, ha però affermato che ciò influisce sulla presunzione di innocenza, principio il cui rispetto è richiesto dal diritto ad un processo equo, chiamando in causa il rispetto che l’amministrazione della giustizia in una società democratica deve ispirare nel pubblico e, soprattutto, nell’accusato ( cfr. diffusamente infra). 

(la versione integrale dell'articolo con note è N.Canestrini, La detenzione in gabbie metalliche durante l’udienza è lesiva dei diritti fondamentali dell’imputato, Giurisprudenza Penale Web, 2018, 4).

 

2.1 Il diritto ad un processo equo: la partecipazione effettiva al processo e al colloquio riservato con il difensore nella direttiva e nello standard CEDU

     L’articolo 8 della direttiva 343/2016, in uno con i consideranda 34 e 35, sancisce il diritto degli indagati e imputati di presenziare al processo.

     Lo standard CEDU prevede che tale diritto è implicito nel diritto ad un processo equo (sub specie pubblica udienza) e che è difficile immaginare l’esercizio di diritti della difesa senza una partecipazione personale al processo, dato che “la Convenzione ha come obiettivo di tutelare dei diritti non teorici o illusori ma concreti ed effettivi” e nemmeno “la nomina di un avvocato (..) assicura l'effettività dell'assistenza che egli può procurare all'imputato”.

     La Corte EDU è più volte difatti intervenuta a definire lo standard CEDU, che si occupa – inter alia – dei diritti alla difesa sub art. 6, in particolare, per quanto qui rileva, al § 3 lettere (b) e (c). Le facilitazioni di cui l’accusato deve disporre includono il diritto a  consultarsi con un  avvocato: la Corte ha sempre ribadito che la  possibilità   per  l’accusato  di  conferire  con  il  proprio  difensore  è  fondamentale  per  la   preparazione della difesa

 

     2.2 Uso di mezzi di coercizione fisica nella direttiva europea e nello standard CEDU: box di vetro e gabbie

     Se la direttiva 343/16 purtroppo nulla dice rispetto alle modalità della presenza dell’indagato o imputato al processo, lo standard CEDU relativo alla restrizione degli indagati o imputati in gabbie con sbarre o box di vetro viene riassunto nella sentenza resa nel caso Yaroslav Belousov v. Russia (ricorsi 2653/13 e 60980/14), con sentenza resa il 4 ottobre 2016.

     Tale fondamentale sentenza accerta diverse violazione della Convenzione nel caso di un manifestante della piazza Bolotnaya, che aveva subito una detenzione provvisoria ingiustificata, in condizioni degradanti, e perché era stato confinato in un box  di  vetro  durante  il  processo  (e  condannato  a  una  sanzione  penale  non proporzionata).

     In tale sentenza la Corte rileva come la collocazione dell’imputato in box di vetro durante il processo – oltre ad essere trattamento inumano e degradante qualora sovraffollato, cfr. infra (!) – costituisce comunque una violazione dei diritti della difesa come garantiti dall’art art. 6 § 3 lettere (b) e (c) della Convenzione riguardanti la partecipazione effettiva al processo ed alla assistenza difensiva, pur tenuto conto delle esigenze di sicurezza addotte dal governo convenuto, e ciò in quanto il ricorrente era stato confinato di default in tali box di vero durante tutto il processo durato qualche mese, senza possibilità di comunicare riservatamente con il proprio difensore se non attraverso microfoni / altoparlanti poste sul vetro ma in prossimità della polizia penitenziaria, senza poter scambiare appunti.

     Perché – ammonisce la Corte – il diritto dell’imputato di comunicare con il proprio difensore riservatamente senza rischio di essere ascoltato da terzi costituisce uno dei requisiti  di base deli un processo equo in una società democratica, perdendo altrimenti la assistenza difensiva la sua utilità.

3.1. La collocazione in box di vetro sovraffollati o in gabbie costituisce violazione dell’art. 3 della Convenzione

Nella sentenza Yaroslav Belousov v. Russia cit, la Corte Europea di diritti dell’uomo ribadisce che ogni decisione dell’autorità giudiziaria circa la disciplina dell’udienza, anche in relazione a esigenze di ordine o di sicurezza, non può risolversi in misure che contrastino con l’articolo 3 della Convenzione, che tra gli altri proibisce in maniera assoluta ogni trattamento inumano o degradante[28].

La Corte ha peraltro da tempo affermato che la restrizione in box di vetro sovraffollati o in gabbie con sbarre di metallo è sempre contraria all’art. 3 della Convenzione, “tenuto conto della natura oggettivamente degradante” di una tale collocazione, dato che le gabbie appaino all’opinione pubblica pregiudicanti  per l’immagine dell’indagato / imputato, il quale per il confinamento in gabbie proverà di sentimento di umiliazione, impotenza, paura, angoscia ed inferiorità.

Lasciando parlare la Corte nella sua composizione più autorevole:

Da ultimo, la Corte non trova argomenti convincenti per ritenere necessario tenere rinchiuso un imputato in una gabbia durante il processo per contenerlo fisicamente, per prevenire la sua fuga, per contenere comportamenti disordinati o aggressivi, o proteggerlo da aggressioni esterne. Il confinamento nella gabbia quindi può essere difficilmente inteso in modo diverso dal voler degradare o umiliare la persona ingabbiata. E’ quindi evidente il significato umiliante e degradante di una persona rinchiusa in una gabbia durante il processo".

E, per chiarire che in relazione ad uso di gabbie di metallo nelle aule dei tribunali non si tratta di fare valutazioni del caso concreto, la Corte aggiunge:

“Al di là delle circostanze concrete del caso in esame, la Corte ribadisce che la vera natura della convenzione è il rispetto della dignità umana e che oggetto e scopo della Convenzione, quale strumento per la protezione di un essere umano, richiede che le sue previsioni siano interpretate ed applicate in modo da rendere le relative garanzie pratiche ed effettive.

La Corte per tale ragione ritiene che la restrizione di una persona in una gabbia metallica durante il processo costituisca di per se stessa – considerata la sua natura oggettivamente degradante, incompatibile con gli standard di comportamenti civilizzati che sono caratteristica di una società democratica - un affronto alla dignità umana, così violando l’articolo 3” della Convenzione.

Nulla quindi c’è da aggiungere, se non l’auspicio che la barbara usanza della collocazione degli indagati e degli imputati in gabbie venga per sempre bandita dalle aule di giustizia anche italiane. 

(consulta la versione integrale dell'articolo con note di N.Canestrini, La detenzione in gabbie metalliche durante l’udienza è lesiva dei diritti fondamentali dell’imputato, Giurisprudenza Penale Web, 2018, 4).