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Prescrizione prevale (quasi) sempre su assoluzione? (Cass. 41124/19)

8 ottobre 2019, Cassazione penale

Il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità giacchè il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, ciò però non accade allorquando, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili.

Il potenziale utilizzatore di documenti o fatture emesse per operazioni inesistenti può concorrere, ove ne sussistano i presupposti, secondo l'ordinaria disciplina dettata dall'art. 110 c.p., con l'emittente, non essendo applicabile in tal caso il regime derogatorio previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 9.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

(ud. 22/05/2019) 08-10-2019, n. 41124

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto - Presidente -

Dott. CERRONI Claudio - Consigliere -

Dott. ANDREAZZA Gastone - rel. Consigliere -

Dott. LIBERATI Giovanni - Consigliere -

Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

G.M., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 17/05/2018 della CORTE APPELLO di ROMA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GASTONE ANDREAZZA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. BARBERINI ROBERTA MARIA, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio;

udito il difensore della parte civile Avv. A. T. in sostituzione dell'Avv. C. M, che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile e, in subordine, rigettato;

udito il difensore dell'imputata Avv. R. L, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. G.M. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Roma del 17/05/2018 che, in riforma della sentenza del Tribunale della medesima città in data 16/10/2015, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione, confermando le statuizioni civili, in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8 per avere concorso, quale amministratore delegato della Selex Sistemi Integrati, nella emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti negli anni 2009 e 2010.

2. Con un primo motivo lamenta la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 9 e art. 125 c.p.p., comma 3, nonchè mancanza di motivazione in relazione alle doglianze decisive dedotte nei motivi di appello in ordine alla deroga al concorso di persone nel reato di cui all'art. 9 del D.Lgs. cit. tra chi si avvale di fatture per operazioni inesistenti e chi le ha emesse. Tale questione sarebbe apparsa rilevante e decisiva per pervenire ad una sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., comma 2, posto che l'imputata, all'epoca dei fatti, rivestiva la qualifica di amministratore delegato della Società Selex Sistemi Integrati, destinataria delle fatture emesse da Print Sistem S.r.l.. Nel caso di specie, inoltre, la Selex Sistemi Integrati non avrebbe inserito nelle dichiarazioni dei redditi le fatture contestate e, pertanto, dovrebbe operare il limite di configurabilità dei modello plurisoggettivo eventuale discendente dall'art. 9, comma 1, lett. b) del D.Lgs. cit.. La norma opererebbe nel senso di escludere il concorso dell'utilizzatore nel delitto dell'emittente anche a prescindere dalla realizzazione del reato di cui all'art. 2 del D.Lgs. cit.; quest'ultimo si consuma con la dichiarazione e, per l'ormai consolidata giurisprudenza, sarebbero irrilevanti gli atti prodromici, mentre l'art. 6 del D.Lgs. cit. escluderebbe la configurabilità del tentativo anche in rapporto al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante fatture per operazioni inesistenti. Ciò posto, la ratio di cui all'art. 9 del D.Lgs. cit. non potrebbe essere solo quella di prevenire il bis in idem ma anche quella di evitare che, attraverso il meccanismo di cui all'art. 110 c.p., si vanifichi la scelta del legislatore di punire l'utilizzatore solo per il delitto di danno e non anche per il precedente delitto di pericolo e ciò in spregio anche alla scelta di evitare l'anticipazione della tutela penale alla soglia del tentativo. Nel caso di specie, inoltre, a fronte della desistenza dal commettere il reato di cui all'art. 2 del D.Lgs. cit., con la presentazione di una dichiarazione corretta e senza danno, sarebbe incongruo e contrario a tutto il sistema delineato dal D.Lgs. n. 74 del 2000 reintegrare arbitrariamente i criteri ordinari ex art. 110 c.p..

3. Con un secondo motivo lamenta violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3, nonchè mancanza di motivazione in relazione al dolo specifico richiesto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8. La Corte territoriale, pur avendo correttamente riassunto i motivi di appello, non avrebbe motivato in ordine all'elemento soggettivo del reato che, sia nel capo di imputazione che nella sentenza di primo grado, sarebbe stato ritenuto come dolo alternativo benchè in nessun punto fosse delineata una prevalenza. Nell'ipotesi in cui il fine di frodare il fisco concorra con altro e diverso fine, l'indagine non avrebbe potuto limitarsi a verificare la semplice concorrenza di entrambi ma sarebbero state necessarie ulteriori e più approfondite verifiche in virtù del ruolo determinante che il dolo specifico svolgerebbe all'interno della fattispecie. Deduce che, dalla sentenza di primo grado, sarebbe emersa la compresenza di due finalità perseguite, quali quelle di consentire l'evasione di imposte per Selex Sistemi Integrati e di predisporre fondi extra bilancio per l'erogazione di utilità a pubblici ufficiali; tuttavia, la società non avrebbe mai inserito nella dichiarazione annuale quelle fatture e, conseguentemente, non avrebbe evaso le imposte ed inoltre, quand'anche fosse residuato il perseguimento in via esclusiva della creazione di fondi extra bilancio, si sarebbe dovuto necessariamente escludere il dolo specifico.

4. Con un terzo motivo, lamenta mancanza o apparenza di motivazione in relazione alla valutazione del materiale probatorio o alla ritenuta insussistenza delle condizioni di evidenza per una pronuncia più favorevole poto che, nonostante le specifiche questioni dedotte con l'atto di appello in particolare con riguardo alla valutazione delle prove dichiarative, la Corte territoriale al fine di escludere l'applicabilità dell'art. 129 c.p.p. avrebbe richiamato assertivamente proprio quelle prove dichiarative censurate.

5. Con un quarto ed ultimo motivo lamenta violazione dell'art. 578 c.p.p. nonchè mancanza di motivazione in relazione alle doglianze sulle statuizioni civili attesa l'insussistenza di danni per la parte civile Selex Sistemi Integrati anche nell'ipotesi di conferma della pronuncia di condanna. Per decisione della stessa G., all'epoca ancora al vertice della società, non appena conosciuta l'esistenza di indagini sulla Print Sistem, tutte le fatture in contestazione non sarebbero state inserite nella dichiarazione dei redditi, con conseguente insussistenza di accertamenti e soprattutto senza l'inserimento in contabilità di dati passivi fittizi che avrebbero potuto cagionare quanto invece dato erroneamente per certo nell'impugnata sentenza. Peraltro, la costituzione di parte civile della Selex S.I. sarebbe stata basata sul reato di appropriazione indebita contestato nell'altro capo di imputazione, posto che per il reato di cui all'art. 8 del D.Lgs. cit., l'unica persona offesa legittimata a costituirsi parte civile sarebbe l'amministrazione finanziaria dello Stato; tuttavia, per il reato di appropriazione indebita, l'imputata sarebbe stata assolta con sentenza passata in giudicato ma anche su tali questioni la Corte di appello avrebbe omesso di motivare.

Motivi della decisione


1. Preliminarmente, va osservato che la sentenza impugnata ha riformato, per estinzione del reato dovuta alla prescrizione maturata nelle more, la sentenza di condanna pronunciata in primo grado, pervenendo così a dichiarare l'improcedibilità nei confronti dell'imputata confermando le statuizioni civilistiche già oggetto della pronuncia del Tribunale.

2. Ciò posto, con il primo motivo la ricorrente ha sostenuto essenzialmente che l'addebito a lei mosso di concorso nella emissione di fatture per operazioni inesistenti si sarebbe tradotto in violazione del disposto di cui all'art. 9 stante la veste della stessa di legale rappresentante della società destinataria di dette fatture.

Tale assunto non è condivisibile.

La ratio che sorregge la norma appena ricordata, infatti, riposa nella esigenza di evitare che la sola circostanza di utilizzazione, da parte del destinatario, delle fatture per operazioni inesistenti possa integrare anche il concorso nella emissione delle stesse così come, all'inverso, il solo fatto dell'emissione possa integrare il concorso nella utilizzazione, da parte del destinatario che abbia ad indicarle in dichiarazione, delle medesime; in altri termini, la norma ha inteso evitare la sostanziale sottoposizione per due volte a sanzione penale dello stesso soggetto per lo stesso fatto giacchè l'emissione trova la sua naturale conseguenza nella utilizzazione mentre l'utilizzazione trova il suo naturale antecedente nell'emissione: nè la emissione nè la utilizzazione sono, dunque, fini a se stesse sicchè, ove l'emissione integrasse anche il concorso nella utilizzazione così come l'utilizzazione integrasse anche il concorso nella emissione, il risultato sarebbe quello di una sostanziale violazione del divieto di bis in idem, che la norma ha dunque inteso scongiurare.

Così stando le cose, è allora conseguente ritenere che tale violazione non operi allorquando, come nel caso di specie, il destinatario delle fatture non ne abbia fatto utilizzazione, circostanza questa riconosciuta e dedotta dalla stessa ricorrente (che del resto non risulta essere stata imputata per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2) mentre resta non censurato il fatto, sottolineato dalla sentenza di primo grado (v. specificamente pag. 20), richiamata sul punto dalla sentenza impugnata, che, secondo quanto dichiarato dal teste I., i pagamenti effettuati da Selex nei confronti della emittente Print Sistem S.r.l per prestazioni non eseguite erano autorizzati dall'amministratore delegato G.M..

Sarebbe del resto irrazionale il risultato cui si perverrebbe seguendo invece l'assunto della ricorrente, ovvero una situazione di irrilevanza penale nei confronti di chi abbia posto in essere comportamenti riconducibili alla previsione concorsuale in relazione alla emissione della documentazione fittizia per il solo fatto di non avere utilizzato poi quella stessa documentazione.

Nè è dato comprendere il riferimento in ricorso alla scelta effettuata dal legislatore di evitare di sanzionare condotte che si arrestino alla fase del mero tentativo posto che nella specie la condotta di emissione, a cui avrebbe concorso l'imputata, si è invece indubitabilmente perfezionata.

Va dunque, in definitiva, ribadito che il potenziale utilizzatore di documenti o fatture emesse per operazioni inesistenti può concorrere, ove ne sussistano i presupposti, secondo l'ordinaria disciplina dettata dall'art. 110 c.p., con l'emittente, non essendo applicabile in tal caso il regime derogatorio previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 9 (già in tal senso Sez. 3, n. 14862 del 17/03/2010, P.M. in proc. Perconti, Rv. 246967).

Ne consegue che, irrilevante la mancanza di motivazione della sentenza impugnata con riferimento non a questione di fatto ma a questione di diritto (tra le altre, Sez.1, n. 16372 del 20/03/2015, P.G. in proc. De Gennaro, Rv. 263326, secondo cui infatti nel giudizio di cassazione il vizio di motivazione non è denunciabile con riferimento a questioni di diritto, poichè queste, se sono fondate e disattese dal giudice, motivatamente o meno, danno luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge, mentre, se sono infondate, il loro mancato esame non determina alcun vizio di legittimità della pronuncia), il motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato.

3. Il secondo e il terzo motivo sono fondati.

Va anzitutto ricordato che, secondo quanto affermato da questa Corte a sezioni unite, se, in via generale, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità giacchè il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, ciò però non accade allorquando, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili.

In tale caso, infatti, in presenza di amnistia o prescrizione, la valutazione approfondita che il giudice deve effettuare ai fini civilistici in adempimento del disposto di cui all'art. 578 c.p.p., e che porti, anche solo per insufficienza o contraddittorietà delle prove, all'accertamento della mancanza di responsabilità penale, "esplica i suoi effetti sulla decisione penale, con la conseguenza che deve essere pronunciata in tal caso la formula assolutoria nel merito" (Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273).

Era dunque compito della Corte territoriale, a fronte della costituzione di parte civile, e dei correlati poteri-doveri di accertamento della sussistenza dei danni correlati al reato, non arrestarsi alla constatata prescrizione di quest'ultimo, ma valutare la sussistenza degli elementi per fare luogo ad assoluzione nel merito dell'imputata.

A tale onere, tuttavia, i giudici della sentenza impugnata si sono indebitamente sottratti allorquando, muovendo erroneamente dalla considerazione per cui sarebbe stato sufficiente verificare la assenza di elementi che dovessero condurre con evidenza al proscioglimento nel merito secondo il canone di cui all'art. 129 cpv. c.p.p., tuttavia non operante nella specie proprio per effetto della presenza della parte civile (v. pag. 3: "nella fattispecie non sussistono le condizioni di evidenza per una sentenza di assoluzione degli imputati ex art. 129 c.p.p."), si sono limitati a prendere atto (peraltro con riferimento a solo uno dei profili contestati con l'atto di appello) della mancanza di prova della non consapevolezza dell'intera operazione da parte dell'imputata.

Consegue a ciò che è mancata ogni risposta (la sentenza si è genericamente limitata ad affermare che "gli altri motivi possono ritenersi assorbiti nelle considerazioni sopra esposte") sia in ordine al rilievo circa il fatto che la finalità di creare fondi neri avrebbe escluso il dolo specifico di evasione necessario per configurare il reato contestato sia in ordine alla censurata valutazione ad opera del Tribunale delle prove dichiarative acquisite in giudizio, rispetto alle quali, del tutto tautologicamente, la sentenza impugnata ha rimandato alla decisione del primo giudice.

4. Anche il quarto motivo è fondato.

La sentenza di primo grado (si veda in particolare pag.27) aveva condannato l'imputata al risarcimento dei danni, da liquidarsi dal giudice civile, cagionati a Selex Sistemi Integrati S.p.a., quale persona offesa costituitasi parte civile, individuati nell'inserimento in contabilità delle fatture con determinazione di elementi passivi fittizi riportati poi nelle periodiche dichiarazioni delle imposte dirette ed indirette e incidenti nel calcolo delle imposte dovute. Tali condotte, dunque, avrebbero, secondo il Tribunale, esposto la società ad accertamenti dell'amministrazione finanziaria e all'applicazione delle sanzioni e degli interessi di legge con conseguente danno per i soci, tuttavia non quantificabile.

Con l'atto di appello l'imputato aveva contestato tale punto della sentenza rilevando, da in lato, che l'inserimento in dichiarazione di dette fatture non era mai avvenuto e, dall'altro, che unica persona offesa legittimata a costituirsi parte civile per il reato di cui all'art. 8 cit. avrebbe dovuto essere l'amministrazione finanziaria.

Sennonchè, in ordine a tali punti, è mancata ogni risposta della sentenza impugnata, limitatasi incongruamente ad affermare, ancora una volta, che tale motivo avrebbe dovuto essere ritenuto assorbito da quanto esposto in precedenza, ovvero, così parendo doversi intendere, dalla prova acquisita in primo grado in ordine alla consapevolezza, da parte della ricorrente, dell'intera operazione addebitata; va infatti sottolineato che una tale conclusione appare del tutto illogica ove si consideri che il punto posto dall'appellante non era affatto condizionato alla sussistenza della consapevolezza o meno della fittizietà delle operazioni ma riguardava, come appena visto, le conseguenze sotto il profilo dei danni, dell'inserimento in contabilità e dichiarazione di dette fatture. Nè la accertata maturazione della prescrizione poteva evidentemente esonerare la Corte territoriale dall'onere di valutare la sussistenza o meno del danno conseguente al reato, discendendo direttamente dall'art. 578 c.p.p. l'onere di decidere sulle questioni di carattere civilistico.

5. In definitiva, preclusa dalla prescrizione ogni questione in ordine all'esito della decisione sotto il profilo della formula di proscioglimento adottata (in ordine al quale, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile), la sentenza impugnata deve, quanto ai correlati aspetti civilistici, essere annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello a norma dell'art. 622 c.p.p..

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 22 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019