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Più reati: unico disegno criminoso o stile di vita illecito? (Cass. 3272/20)

27 gennaio 2020, Cassazione penale

Per ritenere più fati reato avvinti dal vincolo della continuazione è necessaria l'ideazione unitaria delle pluralità di condotte illecite, che devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l'originaria progettazione di una serie ben individuata di illeciti, già concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenziali.

Il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l'omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea: non è, per converso, necessaria la concomitante ricorrenza di tutti i predetti indicatori, potendo l'unitarietà del disegno criminoso essere apprezzata anche al cospetto di soltanto alcuni di detti elementi, purché significativi.

L'accertamento di tali indici è rimesso all'apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia sorretto da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamento dei fatti.

Il programma criminoso unico non deve essere confuso con la sussistenza di una concezione di vita ispirata all'illecito, perché in tal caso la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntato al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l'abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all'istituto della continuazione, preordinato al favor rei.

La verifica di un programma unitario criminoso, che rende applicabile un più benevolo trattamento sanzionatorio attesa la minore capacità a delinquere di chi si determina a commettere gli illeciti in forza di un singolo impulso, anziché di spinte criminose indipendenti e reiterate, investe l'inesplorabile interiorità psichica del soggetto, e non può essere compiuta sulla base di indici meramente presuntivi ovvero di congetture processuali, essendo necessario dimostrare che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo della continuazione invocato siano stati concepiti ed eseguiti nell'ambito di un programma criminoso unitario.

 

 

Corte di Cassazione

Sent. Sez. 1 Num. 3272 Anno 2020

Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: CAPPUCCIO DANIELE
Data Udienza: 07/10/2019 deposito 27/01/2020

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BE nato a M il **

avverso l'ordinanza del 09/01/2019 della CORTE APPELLO di TRENTO

udita la relazione svolta dal Consigliere DANIELE CAPPUCCIO;
lette le conclusioni del PG, il quale chiede dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 25 gennaio 2019 la Corte di appello di Trento ha rigettato l'istanza, presentata nell'interesse di EB, volta al riconoscimento del vincolo della continuazione, in executivis, tra i reati per cuiegli è stato condannato:

1) dalla Corte di appello di Trento con sentenza del 29 marzo 2017, divenuta irrevocabile il 16 novembre 2018, per la ricettazione di quadri falsi commessa tra il 30 aprile 2010 ed il 23 agosto 2011;

2) dal Tribunale di Trento con sentenza del 14 aprile 2015, divenuta irrevocabile il 26 ottobre 2018, per i reati di truffa e ricettazione di un assegno, commessi, il primo, tra novembre 2012 e marzo 2013 e, il secondo, tra luglio e novembre del 2012;

3) dalla Corte di appello di Trento con sentenza del 5 aprile 2013, divenuta irrevocabile il 18 ottobre 2018, per il reato di ricettazione di un assegno, commesso tra gennaio e luglio 2012;

4) dal Tribunale di Rovereto con sentenza del 2 maggio 2013, divenuta irrevocabile il 14 giugno 2016, per il reato di ricettazione di un assegno, commesso nel giugno del 2012;

5) dal Tribunale di Trento per il reato di bancarotta semplice documentale.

2. Il giudice dell'esecuzione ha, in proposito, ritenuto che, esclusa in radice la possibilità di ricondurre al medesimo disegno criminoso la bancarotta semplice, commessa attraverso l'omessa tenuta dei libri obbligatori, e la ricettazione di assegni o quadri falsi, dall'esame delle motivazioni sottese alle singole condanne emerge che i titoli di credito oggetto di ricettazione provengono da differenti furti e non sussiste legame di sorta tra le distinte vicende criminose.

Ha aggiunto che la finalità di profitto economico, connessa alle difficoltà finanziarie che portarono al fallimento dell'impresa gestita da B, costituisce movente finale di tutti i reati contro il patrimonio e non anche momento volitivo espressivo dell'identità del disegno criminoso e che la crisi economica dell'impresa non dimostra, di per sé, la programmazione unitaria dei singoli reati che l'imprenditore commetta allo scopo di farvi fronte — specie quando parte di essi riguardino un parallelo commercio di quadri, attività estranea alla ditta di legname di Bonfanti — ma, al più, la tendenza a delinquere di cui la recidiva è espressione.

3. EB propone, tramite il difensore, avv. CS, ricorso per cassazione articolando un unico, complesso motivo, con il quale deduce violazione di legge sostanziale e processuale e vizio di motivazione per avere il giudice dell'esecuzione escluso la continuazione sulla scorta di elementi non decisivi e trascurando che, sopravvenuta la crisi d'impresa, il ricorrente si rese protagonista di una unica ideazione criminosa che lo condusse, in un arco temporale circoscritto a pochi anni, a porre in essere condotte illecite espressive dell'iniziale ed originaria programmazione perché destinate all'acquisizione dei mezzi economici e finanziari volti a sovvertire il negativo andamento della gestione, obiettivo — non conseguito stante il sopravvenuto fallimento dell'impresa — verso il quale era altresì orientato il contegno che è valso a B la condanna per il delitto di bancarotta documentale semplice.

Nella stessa direzione militano, prosegue il ricorrente, la qualificazione dellamaggior parte dei comportamenti de quibus agitur ai sensi dell'art. 648 cod. pen. e la circostanza che gli assegni di provenienza furtiva furono destinati dall'agente al pagamento dell'affitto del terreno sul quale veniva esercitata l'attività di impresa ovvero del trasporto della merce acquistata.

4. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.

2. Preliminarmente, va ricordato che la giurisprudenza di legittimità, con riferimento al vincolo della continuazione in sede di esecuzione, ha individuato gli elementi da cui desumere l'ideazione unitaria, da parte del singolo agente, di una pluralità di condotte illecite, stabilendo che le violazioni dedotte ai finì dell'applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l'originaria progettazione di una serie ben individuata di illeciti, già concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenziali (Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, Daniele, Rv. 255156).

Tale programma, a sua volta, non deve essere confuso con la sussistenza di una concezione di vita ispirata all'illecito, perché in tal caso «la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntato al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l'abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all'istituto della continuazione, preordinato al favor rei» (Sez. 5, n. 10917 del12/01/2012, Abbassi, Rv. 252950).

La verifica di tale preordinazione — ritenuta meritevole di più benevolo trattamento sanzionatorio attesa la minore capacità a delinquere di chi si determina a commettere gli illeciti in forza di un singolo impulso, anziché di spinte criminose indipendenti e reiterate — investendo l'inesplorabile interiorità psichica del soggetto, non può essere compiuta sulla base di indici meramente presuntivi ovvero di congetture processuali, essendo necessario dimostrare che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo della continuazione invocato siano stati concepiti ed eseguiti nell'ambito di un programma criminoso unitario (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, Bottari, Rv. 267596).

Ne discende che «Il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l'omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea» (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074).

Non è, per converso, necessaria la concomitante ricorrenza di tutti i predetti indicatori, potendo l'unitarietà del disegno criminoso essere apprezzata anche al cospetto di soltanto alcuni di detti elementi, purché significativi (in questo senso cfr., tra le tante, Sez. 1, n. 8513 del 09/01/2013, Cardinale, Rv. 254809; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, Lombardo, Rv. 242098).

L'accertamento di tali indici è rimesso all'apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia sorretto da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamento dei fatti.

3. Nel caso di specie, il giudice dell'esecuzione ha fatto ineccepibile applicazione dei canoni ermeneutici testé indicati, ponendo l'accento sulla giuridica impossibilità di ricondurre le condotte illecite di Bonfanti ad una unica ed originaria determinazione criminosa, costituendo esse, piuttosto, espressione della deliberata scelta dell'imprenditore di fronteggiare le difficoltà economiche via via intervenute attraverso il sistematico ricorso al crimine.

3.1. L'ordinanza impugnata contiene, innanzitutto, il pregnante e condivisibile riferimento all'eterogeneità della bancarotta documentale semplice, reato peraltro punibile anche a titolo di colpa (così, tra le tante, Sez. 5, n. 53210 del 19/10/2018, Esposito, Rv. 275133), rispetto a quelli residui, tutti connotati da finalità di locupletazione economica.

Argomento, questo, non superato dalla contraria obiezione difensiva, che inserisce le diverse vicende nella parabola dell'avventura imprenditoriale di B, così offrendo una spiegazione che, quantunque plausibile sul piano storico-ricostruttivo, nulla dice in ordine all'esistenza — totalmente smentita dai fatti — di una iniziale ed unica deliberazione capace di abbracciare manifestazioni criminose tanto variegate ed intervenute nell'arco di quasi un triennio.

3.2. Analogamente, per quanto riguarda la truffa e le ricettazioni, la comune offesa al patrimonio e la contestualità spaziale sono elementi insufficienti a comprovare l'unicità del disegno criminoso.

La Corte trentina ha, invero, motivato la decisione valorizzando la distribuzione delle condotte su un ampio arco temporale e, soprattutto, il carattere evidentemente estemporaneo delle singole deliberazioni, attestato dalla non coincidenza, dal punto di vista merceologico, dell'oggetto — quadri ed assegni — delle ricettazioni e, quanto ai titoli di credito, dalla provenienza da diversi furti.

Il giudice dell'esecuzione ha, in tal modo, svolto un ragionamento esente da apprezzabili vizi logici, che non trova contraddizione nelle obiezioni sollevate dal ricorrente, dirette ad esaltare la relazione tra l'ingravescente crisi d'impresa, esitata nella decozione e nel fallimento, e la commissione dei reati dei quali qui di discute.

Detta relazione, ove pure ritenuta sussistente, non vale a comprovare l'esistenza di una onnicomprensiva deliberazione iniziale e, al contrario, induce a ritenere, in coerenza con le informazioni disponibili, che B, di volta in volta posto davanti alla stringente esigenza — all'evidenza, imprevedibile ed imprevista, ciò che, ictu ocu/i, confligge con la prospettazione difensiva — di reperire risorse finanziare per far fronte al rischio del definitivo tracollo, abbia colto le occasioni che gli si sono prospettate, anche impegnandosi nel commercio di quadri, che nulla aveva a che vedere con l'oggetto della sua impresa, in forza di un approccio estemporaneo, che ha trovato, quale filo conduttore, la generale propensione al crimine dell'agente.

3.3. Né, per giungere a diverse conclusioni, vale rimarcare l'applicazione, con la più recente tra le decisioni indicate nell'istanza disattesa dalla Corte di appello di Trento, della recidiva.

Tale istituto, sebbene compatibile con la continuazione (in questo senso cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 54182 del 12/09/2018, Pettenon, Rv. 275296; Sez. 4, n. 21043 del 22/03/2018, B., Rv. 272745; Sez. 5, n. 51607 del 19/09/2017, Amoruso, Rv. 271624), ne va, infatti, tenuto nettamente distinto, perché fondato sulla più intensa propensione al delitto palesata da chi, dopo essere stato condannato per un reato, ne commetta un altro, così palesando insensibilità all'intervento repressivo e rieducativo, e meriti, dunque, un più severo trattamento sanzionatorio, laddove l'art. 81, secondo comma, cod. pen., muove, invece, dal contrario postulato che le manifestazioni criminose che siano frutto di una originaria ed unitaria deliberazione debbano trovare una risposta punitiva meno gravosa in ragione della minore capacità a delinquere dell'agente.

4. Dal rigetto del ricorso discende la condanna di B al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..

P.Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 07/10/2019.