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Perquisizione illegittima, sequestro perfettamente valido: per "interesse superiore" (Cass.13718/03)

26 marzo 2003, Cassazione penale

In presenza della illegittimità della attività di perquisizione, fondata sul mero sospetto (in assenza di almeno un concreto indizio di colpevolezza), rimane comunque valido il provvedimento di sequestro che ha trovato fondamento nel rinvenimento di cose di probabile origine delittuosa, senza che a tale attività si comunichi la illegittimità della perquisizione che a tale sequestro ha condotto.

Qualora in seguito a perquisizione compiuta d'iniziativa della polizia giudiziaria, venga effettuato il sequestro di cose o tracce pertinenti al reato, ogni questione di legittimità della perquisizione stessa, in punto di ricorrenza o meno dei presupposti che la autorizzano, deve ritenersi superata dal concreto rintraccio del corpo del reato, che legittima "ex se" il successivo sequestro, non potendosi ritenere che l'eventuale vizio della perquisizione - in ogni caso sanzionabile con provvedimenti disciplinari o penali - possa impedire, ad avvenuta constatazione del reato, il compimento di un atto consequenziale come il sequestro, obbligatorio nelle situazioni di pericolo di dispersione della prova e dunque legittimato dallo stesso accertamento del reato, indipendentemente dagli atti anteriori di ricerca.

Siffatto orientamento, che risponde al generale principio dell'"illiciter captum, liciter detentum", accolto dal vigente codice di rito, è tale da far prevalere le esigenze di difesa sociale, e di accertamento dei reati, sulla tutela dei diritti dei privati che pertanto subiscono naturalmente un affievolimento nel superiore interesse pubblico.

 

Corte Suprema di Cassazione

Sezione IV Penale

(ud. 27/02/2003) 26-03-2003, n. 13718

  

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Giovanni Silvio COCO - Presidente

Dott. Ernesto PERNA LA TORRE - Consigliere

Dott. Benito Romano DE GRAZIA - Consigliere

Dott. Sergio VISCONTI - Consigliere

Dott. Ettore PALMIERI - Consigliere

ha pronunciato la seguente 

sentenza 

sul ricorso proposto da:

1) P.V., n. il 27 settembre 1959

avverso ordinanza del 4 ottobre 2002

Trib. libertà di Ragusa

sentita la relazione fatta dal Consigliere Palmieri Ettore

lette/sentite le conclusioni del P.G. Dr.

Svolgimento del processo

V.P. ricorre avverso l'ordinanza del Tribunale del riesame di Ragusa, n. 18 del 4 ottobre 2002, reiettiva di precedente ricorso da lui proposto contro il decreto di convalida di perquisizione e sequestro di quella Procura della Repubblica emesso in precedente data 31 agosto, stesso anno.

Con il provvedimento qui impugnato, il Giudice della Cautela aveva respinto la doglianza del P., tendente a far riconoscere la illegittimità della operata perquisizione e sequestro, per mancanza dei presupposti di legge; provvedimento motivato con il rinvenimento di "beni di sicura provenienza delittuosa" che ne legittimavano, ancorché postumamente, l'esecuzione.

Innanzi a questa Corte il ricorrente deduce ora violazione e falsa applicazione dell'art. 41 del R.D. n. 773 del 1931, dell'art. 14 Cost., comma 2, degli artt. 352 e 355 c.p.p., per violazione di legge penale e vizio di motivazione. Egli sostiene la illegittimità del provvedimento del Tribunale del riesame di Ragusa che non ha tenuto conto della illegittimità della attività svolta d'iniziativa della Polizia Giudiziaria al di fuori sei presupposti di legge. Ed infatti, egli assume, la perquisizione venne operata non già in presenza di indizi, ma del semplice sospetto dato dai precedenti del P.

Nel caso di specie, la mancanza di indizi presupposti ha trasformato una attività naturalmente funzionale alla raccolta e conservazione di indizi, in (non consentita) attività di ricerca ed acquisizione della notizia di reato. Inoltre egli rappresenta quella che a suo avviso costituisce ipotesi di violazione della eccezionale previsione legittimatrice di cui all'art. 14 della Costituzione, comma 2, rappresentando così una inviolabilità del domicilio, avendo attestato, l'organo di polizia procedente, una esigenza di difesa sociale traente origine dalla previsione eccezionale e specifica di cui all'art. 41 T.U.L.P.S. fuori però dal caso ivi previsto della esistenza di tracce di un commesso reato solo in presenza delle quali si rende legittima la attività così invece illegittimamente posta in essere nel caso dedotto in ricorso. 

Motivi della decisione

È stato già affermato il principio secondo cui, qualora in seguito a perquisizione compiuta d'iniziativa della polizia giudiziaria, venga effettuato il sequestro di cose o tracce pertinenti al reato, ogni questione di legittimità della perquisizione stessa, in punto di ricorrenza o meno dei presupposti che la autorizzano, deve ritenersi superata dal concreto rintraccio del corpo del reato, che legittima "ex se", ai sensi del comma 2 dell'art. 354 c.p.p., il successivo sequestro, non potendosi ritenere che l'eventuale vizio della perquisizione - in ogni caso sanzionabile con provvedimenti disciplinari o penali - possa impedire, ad avvenuta constatazione del reato, il compimento di un atto consequenziale come il sequestro, obbligatorio nelle situazioni di pericolo di dispersione della prova e dunque legittimato dallo stesso accertamento del reato, indipendentemente dagli atti anteriori di ricerca (Cass. pen., Sez. I, 30 ottobre 1995, n. 5430, C.).

Siffatto orientamento, che risponde al generale principio dell'"illiciter captum, liciter detentum", accolto dal vigente codice di rito, è tale da far prevalere le esigenze di difesa sociale, e di accertamento dei reati, sulla tutela dei diritti dei privati che pertanto subiscono naturalmente un affievolimento nel superiore interesse pubblico.

Venendo dunque al caso dedotto in ricorso, non v'è dunque dubbio che, pur in presenza della illegittimità della disposta attività di perquisizione fondata, in assenza di almeno un concreto indizio di colpevolezza, sul mero sospetto (come evidenziato dalla difesa del ricorrente), rimane integro il provvedimento di sequestro che ha trovato fondamento nel rinvenimento di cose di probabile origine delittuosa, à sensi della disposizione di cui al secondo comma dell'art. 354 c.p.p., senza che a tale attività si comunichi la illegittimità della perquisizione che a tale sequestro ha condotto.

L'impugnazione è dunque infondata.

Alla conseguente reiezione del ricorso segue il pagamento delle spese processuali.

 

 

P.Q.M.
Visti l'art. 615 c.p.p., n. 2 e art. 616 c.p.p.,

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, addì 27 febbraio 2003.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 26 MAR. 2003