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Pandemia non legittima risoluzione del contratto (Tr. Rimini, 28/6/2020)

28 giugno 2020, Tribunale di Rimini

La risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta non opera di diritto e deve essere oggetto di una pronuncia giudiziale avente natura costitutiva.

L’intenzione manifestata da una delle parti di avvalersi di tale rimedio, dunque, non la autorizza a sospendere l’esecuzione della prestazione, posto che non vi è estinzione dell’obbligazione (come nel caso dell’impossibilità sopravvenuta) e non ricorre una delle ipotesi disciplinate dagli artt. 1460 e 1461 c.c. (che, a determinate condizioni, consentono ad uno dei contraenti di rifiutare o sospendere in via di autotutela l’esecuzione della propria prestazione).

Non è possibile ritenere una eccessiva onerosità sopravvenuta quando l’azienda oggetto del contratto è ancora nella disponibilità di una delle parti e non vi sono elementi sufficienti per escludere che quest’ultima, a restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria allentate, possa proficuamente riavviare l’attività alberghiera per la stagione estiva.

La pandemia e le conseguenti misure di contenimento adottate nei mesi di marzo, aprile e maggio 2020 hanno precluso quasi del tutto l’esercizio dell’attività alberghiera e che si sia trattato di eventi di carattere imprevedibile e straordinario: tuttavia, le drastiche misure adottate hanno avuto vigenza temporanea e, almeno attualmente, non essendovi più restrizioni agli spostamenti all’interno del territorio nazionale, non appare verosimile che una località turistica come Rimini resti senza turisti durante la stagione estiva. Il carattere straordinario degli eventi è stato tenuto in considerazione anche dal legislatore nazionale, che ha introdotto una serie di misure a sostegno delle imprese, di cui anche la ricorrente può beneficiare per riavviare la propria attività.

Contratto valido e vincolante quando lo squilibrio tra le prestazioni ha avuto carattere solo temporaneo, non incompatibile con la conservazione del contratto.

In tema di fideiussioni a prima richiesta, il garante è tenuto a pagare il creditore senza poter opporre le eccezioni che avrebbe potuto opporre il debitore principale, salvo il caso di dolo.

 

 


TRIBUNALE ORDINARIO di RIMINI

Sezione Unica CIVILE

R.G. 2020/1368

Nel procedimento cautelare iscritto al n. r.g. 1368/2020 promosso da:

J con il patrocinio dell’avv. AD elettivamente domiciliato in **

RICORRENTE

contro
F** con il patrocinio di **


Il Giudice

sciogliendo la riserva assunta, pronuncia la seguente

ORDINANZA

Con ricorso ex art. 700 c.p.c., la ditta individuale J premettendo che, in data 24 febbraio 2017, aveva stipulato con la società F un contratto di affitto avente ad oggetto l’azienda alberghiera ad insegna Hotel F, esercitata nei locali siti in Rimini,** con prossima scadenza prevista per 31.03.2021; che per l’annualità 01.04.2020-31.03.2021 era stato fissato tra le parti un canone dell’importo di Euro 90.000,00 (novantamila/00) oltre IVA, di cui Euro 10.000,00 oltre IVA già corrisposti da JEMA in data 26.09.2019 ed i restanti 80.000,00 oltre IVA da versare alle scadenze previste in contratto del 01.06.2020, 31.07.2020 e 30.08.2020; che il pagamento era garantito da quattro fideiussioni bancarie rilasciate da R S.C. - chiedeva al Tribunale di inibire a R S.C. il pagamento delle suddette fideiussioni, posto che la loro escussione da parte di F Sas sarebbe del tutto illegittima in ragione della risoluzione ex art. 1467 c.c., che il contratto di affitto di azienda dovrà subire in ragione della sopravvenuta situazione emergenziale da COVID-19.

In particolare, quanto al fumus boni iuris, la ricorrente esponeva che le misure di contenimento introdotte per fronteggiare l’emergenza Covid-19 le avevano impedito di esercitare l’attività dal RESISTENTE mese di marzo fino al momento di deposito del ricorso, che aveva ricevuto numerose disdette delle prenotazioni da parte dei clienti dell’albergo e che l’Hotel F non aveva aperto l’attività nell’anno 2020. La riapertura dell’albergo nel rispetto delle normative igienico sanitarie, inoltre, avrebbe imposto una drastica riduzione della capienza della struttura e al contempo l’esborso di ingenti somme per l’adeguamento ai protocolli di sicurezza.

In definitiva, quindi, la ricorrentesosteneva che “la pandemia COVID-19 consegna alla Ditta J un’azienda alberghiera “Hotel F” le cui caratteristiche, capienze, ospiti, avviamento ed introiti sono completamente diverse da quelle che aveva al momento della stipula contratto di affitto di azienda tra le parti in data 24.02.2017, e ciò ovviamente per cause del tutto imprevedibili ed indipendenti dal Sig. * titolare della J e prospettava l’intenzione di proporre azione di merito per ottenere la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta.

Quanto al periculum in mora, affermava, da un lato, che l’escussione delle fideiussioni avrebbe comportato l’escussione del pegno di titoli finanziari del titolare MDO da parte di R S.c. e l’azione di regresso da parte del terzo fideiussore, dall’altro lato, che in caso di accoglimento della domanda nel merito incontrerebbe serie difficoltà ad ottenere la restituzione di quanto versato da parte della società resistente. In via subordinata, chiedeva il sequestro conservativo ex art. 671 C.p.c., sino alla concorrenza di Euro 105.000,00 delle somme che R S.C. fosse obbligata a corrispondere a F Sas in forza dell’escussione di una o più delle fideiussioni di cui sopra.

Rigettata la richiesta di emissione di decreto inaudita altera parte, veniva fissata udienza di comparizione delle parti.

Si costituiva in giudizio la resistente, eccependo l’inopponibilità nei suoi confronti della documentazione allegata al ricorso, l’inammissibilità/improponibilità della avversa domanda cautelare, siccome preclusa dalla clausola solve et repete di cui all’art. 12 del contratto di affitto di azienda e l’inammissibilità della richiesta di inibire ad un soggetto estraneo al giudizio, quale R soc. coop., il pagamento delle fideiussioni. Inoltre, la resistente contestava la sussistenza dei presupposti per l’emissione del provvedimento cautelare, affermando, quanto al fumus boni iuris, che le fideiussioni in questione garantivano l’esatto adempimento di obbligazioni contrattuali ulteriori rispetto al mero pagamento del canone di affitto e che erano del tutto indipendenti e svincolate dagli esiti della futura azione di risoluzione del contratto, nonché che nel mese di aprile 2020 le parti avevano già valutato gli effetti della pandemia sulle reciproche obbligazioni ed avevano convenuto di riequilibrarne l’assetto attraverso il differimento al 01.06.2020 del termine di pagamento della rata del canone di affitto in scadenza al 01.04.2020. Inoltre, quanto ai presupposti previsti dall’art. 1467 c.c., sosteneva che per fronteggiare l’emergenza erano state introdotte misure pubbliche di sostegno alle imprese, anche alberghiere, e che anche nel corso dei mesi di lock down la struttura avrebbe potuto essere utilizzata per accogliere il personale in servizio presso l’ospedale di Riccione.

Quanto al periculum in mora, la resistente evidenziava la solidità del patrimonio della F di ** e l’assoluta incapacità patrimoniale del titolare dell’impresa ricorrente. Infine, la resistente dava atto di aver già offerto alla controparte la riduzione del canone di affitto dell’azienda alberghiera ad € 65.000,00, con rilascio anticipato dell’azienda alla data del 10 ottobre 2020, offerta rifiutata dalla controparte.

All’udienza di comparizione, le parti insistevano per l’accoglimento delle rispettive conclusioni e il Giudice assegnava loro termini per il deposito di note difensive di replica e contro replica, riservando la decisione all’esito.

Tanto premesso circa lo svolgimento del processo, occorre preliminarmente osservare che, in risposta all’eccezione di inammissibilità del ricorso cautelare, in quanto rivolto verso un soggetto (R) estraneo al giudizio, in sede di note conclusive la ricorrente ha integrato la propria domanda, chiedendo in via gradata di inibire alla Società F. di escutere le fideiussioni di cui sopra.

Tale integrazione deve essere considerata ammissibile, dal momento che nel procedimento cautelare non sono previste preclusioni e, nel caso di specie, la controparte ha avuto modo di svolgere le proprie difese sul punto con le note autorizzate (v. in termini Trib. Catania, 20 giugno 2009, e Trib. Salerno, 16 giugno 2009).

La domanda volta a inibire alla banca il pagamento delle fideiussioni, o in alternativa a disporre il sequestro delle relative somme, deve effettivamente essere considerata inammissibile, in quanto rivolta nei confronti un soggetto estraneo al presente giudizio.

Quanto alla domanda svolta nei confronti della odierna resistente, invece, non sussistono i presupposti nel merito per l’accoglimento del ricorso, per le ragioni di seguito esposte.

Nel caso di specie, il pagamento del canone di affitto di azienda risulta garantito da fideiussioni “a prima richiesta”, con espressa previsione che la Banca ha assunto l’obbligo di corrispondere l’importo a favore del terzo beneficiario “anche se fossero sorte contestazioni in qualunque sede, giudiziaria o arbitrale” e “senza alcuna responsabilità circa l’esistenza, la validità o l’esigibilità del credito garantito” (art. 7 del contratto quadro, doc. 9 fasc. ricorrente).

Ci si trova, dunque, di fronte a contratti autonomi di garanzia, e non a garanzie fideiussorie accessorie, con la conseguenza che, come espressamente pattuito e come confermato dalla giurisprudenza, il garante è tenuto a pagare il creditore senza poter opporre le eccezioni che avrebbe potuto opporre il debitore principale, salvo il caso di dolo.

È noto, infatti, che in ipotesi di contratto autonomo di garanzia il giudice della cautela possa e debba inibire ex art. 700 c.p.c. il pagamento da parte della Banca garante soltanto quando sussista la prova liquida dell'abusività dell’escussione (Corte di cassazione Sez. 3, Sentenza n. 30509 del 22/11/2019: "in tema di contratto autonomo di garanzia, l'abusività della richiesta di garanzia ai fini dell'accoglimento dell'exceptio doli deve risultare prima facie o comunque da una prova c.d. liquida, cioè di pronta soluzione che il garante è tenuto a fornire mentre non possono essere addotte a suo fondamento circostanze fattuali idonee a costituire oggetto di eccezione di merito opponibile dal debitore garantito al creditore beneficiario della garanzia, in ragione dell'inopponibilità da parte del garante di eccezioni di merito proprie del rapporto principale").

Al debitore è riconosciuta la possibilità di avvalersi del rimedio generale dell'exceptio doli, purché alleghi e dimostri la condotta abusiva del creditore, il quale abbia escusso la garanzia in carenza del diritto di credito (in ragione, ad esempio, dell’avvenuto pagamento), al fine di realizzare uno scopo diverso da quello riconosciuto dall'ordinamento e/o all'esclusivo fine di arrecare pregiudizio al debitore. Occorre, in buona sostanza, che la sussistenza del fumus di tale dolo risulti da prove univoche e non da mere difese e che risulti evidente, certo ed incontestabile il venir meno dell’obbligazione principale, per adempimento o per altra causa (v. Trib. Bologna, 11 maggio 2020, est. Gattuso).

Nel caso di specie, la prova dell’abusività e della fraudolenza dell’escussione, motivata dalla ricorrente nella eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione posta a suo carico e conseguente risoluzione del contratto ex art. 1467 c.c., non è stata fornita.

Al riguardo, occorre osservare che la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta non opera di diritto e deve essere oggetto di una pronuncia giudiziale avente natura costitutiva. L’intenzione manifestata da una delle parti di avvalersi di tale rimedio, dunque, non la autorizza a sospendere l’esecuzione della prestazione, posto che non vi è estinzione dell’obbligazione (come nel caso dell’impossibilità sopravvenuta) e non ricorre una delle ipotesi disciplinate dagli artt. 1460 e 1461 c.c. (che, a determinate condizioni, consentono ad uno dei contraenti di rifiutare o sospendere in via di autotutela l’esecuzione della propria prestazione).

Peraltro, nel caso in esame, le stesse parti del contratto hanno espressamente pattuito all’art. 12 che “l’affittuario non potrà in alcun modo ritardare il pagamento del canone di affitto e non potrà far valere alcuna azione ed eccezione se non dopo aver eseguito il pagamento del canone di affitto ex art.1462 Codice Civile”.

Tale clausola non risulta soggetta all’obbligo di approvazione specifica di cui all’art. 1341 c.c., applicabile esclusivamente ai contratti predisposti da un solo contraente, e pertanto impone all’affittuaria di far valere qualunque rimedio solo dopo aver adempiuto.

Alla luce di quanto sopra, dunque, manca la prova dell’insussistenza dell’obbligazione principale, che indurrebbe a ritenere abusiva l’escussione della garanzia da parte del creditore.

A quanto sopra occorre aggiungere, quanto alla sussistenza dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, che l’azienda è ancora nella disponibilità dell’odierna ricorrente e che non vi sono elementi sufficienti per escludere che quest’ultima, ora che le restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria sono state allentate, possa proficuamente riavviare l’attività alberghiera per la stagione estiva.

Deve certamente riconoscersi, in quanto fatto notorio, che la pandemia e le conseguenti misure di contenimento adottate nei mesi di marzo, aprile e maggio 2020 abbiano precluso quasi del tutto l’esercizio dell’attività alberghiera e che si sia trattato di eventi di carattere imprevedibile e straordinario.

Tuttavia, le drastiche misure adottate hanno avuto vigenza temporanea e, almeno attualmente, non essendovi più restrizioni agli spostamenti all’interno del territorio nazionale, non appare verosimile che una località turistica come Rimini resti senza turisti durante la stagione estiva.

Il carattere straordinario degli eventi è stato tenuto in considerazione anche dal legislatore nazionale, che, come rilevato dalla resistente, ha introdotto una serie di misure a sostegno delle imprese, di cui anche la ricorrente può beneficiare per riavviare la propria attività.

Peraltro, allo stato manca la prova che la ricorrente non abbia potuto riaprire l’albergo al termine delle restrizioni dovute all’emergenza sanitaria, viste anche le contestazioni della controparte.

Lo squilibrio tra le prestazioni avrebbe, dunque, avuto carattere solo temporaneo, non incompatibile con la conservazione del contratto, come dimostrato anche dal contegno tenuto nei mesi scorsi dalle stesse parti, che hanno pattuito il differimento al 01.06.2020 del termine di pagamento della rata del canone di affitto in scadenza al 01.04.2020 (v. appendice alla fideiussione n. 148/2019 rilasciata da Rivierabanca).

In conclusione, quindi, ogni altra questione assorbita, il difetto del presupposto del fumus boni iuris preclude l’accoglimento del ricorso cautelare e rende superfluo l’esame del requisito del periculum in mora.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, nella misura minima prevista dai parametri vigenti in ragione della novità della questione trattata e dei rapporti esistenti tra le parti.

P.Q.M.

rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte resistente le spese del procedimento, che si liquidano in € 2.632,00 per compensi professionali, oltre a spese generali, iva e c.p.a. di legge.
Si comunichi.
Rimini, 28 giugno 2020

Il Giudice
dott.ssa Chiara Zito