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Nomina a difesa via PEC .. con il brivido (Cass. 21683/19)

17 maggio 2019, Cassazione penale

In assenza di specifica normativa di settore o se la normativa prevede genericamente il deposito dell’atto ma non come forma esclusiva di trasmissione, allora, a seconda della tipologia dell’atto, può anche ammettersi che esso venga trasmesso con Pec, ma in questo caso la parte si assume un rischio, potendo quell’atto non essere portato tempestivamente a conoscenza del giudice.

 

Corte di Cassazione

sez. II Penale, sentenza 15 gennaio – 17 maggio 2019, n. 21683
Presidente Gallo – Relatore Verga

Ritenuto in fatto

Ricorrono per Cassazione F.F. e T.F. avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano che il 4.7.2018 ha confermato la sentenza del Tribunale che il 22.9.2017 li ha condannati per tentata truffa, in danno di A.D.C. , così qualificata l’originaria imputazione di violazione dell’art. 642 c.p..

Deducono i ricorrenti con il ricorso a firma Avv. P. D.S.:
1. violazione dell’art. 108 c.p.
Lamenta il difensore (Avv. P.DS.) di avere inviato via pec in data 3.7.2018 la nomina a difensore di fiducia di T.F. , avvenuta in tale data, con contestuale revoca di ogni altro difensore, con richiesta motivata di termine a difesa ex art. 108 c.p.p., istanza che non veniva esaminata dai giudici d’appello
2. Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla data di commissione del reato. Sostiene che trattandosi di tentata truffa la data di commissione del reato deve essere fatta risalire al momento del sinistro, momento in cui è avvenuta la formazione del verbale di constatazione amichevole (6.5.2010) di cui A.D.C. disconosce la firma, con la conseguenza che alla data della pronuncia in appello il reato era già prescritto.

Con il ricorso a firma avv. GM deducono:
1. vizio della motivazione anche per travisamento. Contestano la ricostruzione dei fatti e la mancata valutazione della tesi difensiva.
2. Violazione di legge in ordine alla valutazione di credibilità della persona offesa
3. Violazione di legge in relazione alla conferma delle statuizioni civili per difetto di querela da parte dell’ente assicuratore costituitosi parte civile, nonché vizio della motivazione per mancanza di una effettiva verifica circa l’esistenza del presunto danno lamentato. Sostiene che al momento della costituzione di parte civile erano abbondantemente decorsi i termini per la presentazione della querela. Lamenta mancata prova dell’an e del quantum del risarcimento.

Considerato in diritto

Ricorso Avv. D. S. P..
Con il primo motivo di ricorso lamenta il difensore di avere inviato via pec in data 3.7.2018 la nomina a difensore di fiducia di T.F. , avvenuta in tale data, con contestuale revoca di ogni altro difensore, con richiesta motivata di termine a difesa ex art. 108 c.p.p., istanza non esaminata dai giudici d’appello.

La doglianza è palesemente destituita di fondamento.

Secondo il disposto dell’art. 96 c.p.p. l’atto di nomina del difensore di fiducia perché produca effetti nel processo è necessario che si concretizzi in una dichiarazione dell’imputato (o di un prossimo congiunto nei limiti di cui all’art. 96 c.p.p., comma 3) resa oralmente all’autorità procedente ovvero consegnata alla stessa dal difensore o trasmessa con raccomandata.

Accanto a pronunce che ritengono valida la nomina del difensore di fiducia, pur se non effettuata con il puntuale rispetto delle formalità indicate dall’art. 96 c.p.p., in presenza di elementi inequivoci dai quali la nomina possa desumersi per "facta concludentia"(Sez. VI 20.4.2012 n. 16114, Briganti, Rv. 252575 che ha ritenuto valida la nomina per telegramma, depositata presso la Procura delle Repubblica da un avvocato che ha poi proposto appello cautelare ex art. 310 c.p.p.; Sez. II, n. 15740, del 22/02/2011, dep. il 20/04/2011, Donato, Rv. 249938, Sez. III, n. 17056, del 26/01/2006, dep. il 18/05/2006, Chirico, Rv. 234188 e Sez. IV, n. 11378, del 12/01/2006, dep. il 31/03/2006, Dimmito, Rv. 233681) ve ne sono altre che ritengono che la nomina del difensore di fiducia è un atto che deve rispettare, per essere valido, forme e modalità previste dall’art. 96 c.p.p.; in questo senso, in termini specifici, si è espressa, Sez. I, n. 35127, del 19/04/2011, dep. il 28/09/2011, Esposito, Rv. 250783, Sez. VI, n. 15311 del 14/03/2007, dep. il 17/04/2007, Floris, Rv. 236683 e Sez. I, n. 11628 del 2/03/2007, dep. il 15/03/2007, Cravotto, Rv. 236162.

Non è mancato chi (Sez. 3, Sentenza n. 4968 del 19/01/2011 Rv. 249409) ha affermato che occorre distinguere l’atto in sé, che deve consistere in una inequivoca manifestazione di volontà, come tale dovendosi intendere il termine "dichiarazione" utilizzato dall’art. 96 c.p.p., ed il mezzo attraverso il quale detta dichiarazione viene fatta pervenire alla autorità procedente che ne è il necessario destinatario. Ed ha precisato che la dichiarazione direttamente resa all’autorità procedente o la consegna diretta della nomina da parte del difensore o mediante spedizione per raccomandata rendono più agevole la verifica della esistenza del rapporto fiduciario e della effettiva provenienza della dichiarazione, mentre la consegna della nomina con altri mezzi proprio per le particolari modalità di trasmissione, richiede un controllo più rigoroso circa la provenienza, la effettiva e completa ricezione da parte del destinatario, la data di trasmissione e ricezione e di ogni altro dato essenziale che consenta di ritenere soddisfatte le condizioni indicate dalla norma.
In sintesi anche a ritenere che la trasmissione della nomina del difensore di fiducia può non sottostare ad uno specifico rigore formale, deve comunque affermarsi che la stessa deve garantire la medesima affidabilità della consegna diretta o a mezzo raccomandata ed è onere di chi la effettua curare che ciò avvenga.
In questo contesto si inserisce l’uso della pec.

Questa Corte ha avuto modo di affermare che quando il Legislatore prevede una modalità tassativa di trasmissione (ubi lex voluit...), allora la Pec va sicuramente esclusa.

Quando invece il Legislatore non prevede una modalità esclusiva di trasmissione, allora occorre distinguere: se la normativa di settore consente una qualunque forma di trasmissione, e dunque non solo il deposito, allora la Pec può essere ammessa ed in questo caso può anche non essere richiesto quel dovere di diligenza del mittente nell’accertarsi della sottoposizione tempestiva dell’atto al giudice; se non vi è una specifica normativa di settore o se la normativa prevede genericamente il deposito dell’atto ma non come forma esclusiva di trasmissione, allora, a seconda della tipologia dell’atto, può anche ammettersi che esso venga trasmesso con Pec, ma in questo caso la parte si assume un rischio, potendo quell’atto non essere portato tempestivamente a conoscenza del giudice.

Anche a ritenere che nel caso in esame l’invio a mezzo pec, possa essere individuato, al pari del telegramma o del telefax, come strumento attraverso il quale la dichiarazione di nomina viene fatta pervenire alla autorità procedente che ne è il necessario destinatario, non può non rilevarsi che nel caso di specie risulta dagli atti che l’avvocato DS ha inviato a mezzo pec alle ore 21.11 del 3.7.2018 la dichiarazione di nomina con allegata istanza di termine a difesa, comunicazione che a causa del malfunzionamento della pec, come attestato da comunicazione in data 4.7.2018 di DGSIA - Supporto Sistemico che segnalava agli utenti abilitati a caselle pec la possibilità di inoltrare i messaggi utilizzando il canale web mail di pec, il messaggio in argomento è pervenuto alla Corte d’appello, come attestato dalla Cancelleria, nel pomeriggio del 4.7.2018,quindi ad udienza conclusa. Deve aggiungersi che in sede dibattimentale avanti la Corte d’Appello il ricorrente era assistito dal difensore di fiducia avv. MG, presente a mezzo di sostituto processuale, nominato ex art. 102 c.p.p., avvocato che nella sua qualità di difensore e procuratore speciale ha presentato anche ricorso per cassazione con atto del 12.9.2018.

È evidente pertanto che l’atto di nomina e la conseguente richiesta di termine a difesa, non sono pervenuti ai giudici d’appello e il difensore, utilizzando una forma di invio irrituale doveva attivarsi per verificare che l’istanza fosse effettivamente pervenuta alla cancelleria del giudice e fosse stata tempestivamente portata all’attenzione di quest’ultimo, assumendosi il rischio dell’intempestività, e non potrà pretendere di assolvere al proprio dovere di diligenza, limitandosi semplicemente a produrre la certificazione rilasciata in automatico di inoltro al destinatario della Pec.

Resta da affrontare il motivo relativo alla prescrizione del reato.

Anche questo motivo è manifestamente infondato.

Il delitto tentato, nella costruzione organica del codice penale, costituisce reato a sé, giuridicamente diverso dal relativo reato compiutamente realizzato, anche se conserva, ovviamente, la configurazione tipica dell’ipotesi criminosa alla quale inerisce.

In altre parole, anche nel tentativo viene posto in essere un evento illecito, che il codice considera in via autonoma, sebbene non sia stato completato l’iter complessivo del delitto consumato. Pertanto, nella teoria generale e nel concreto, quello che si deve considerare è l’attività fino ad allora compiuta; gli eventi successivi possono assumere vario rilievo, ma non ai fini della delimitazione fattuale e temporale del reato tentato. Conseguenza di questa visione è la specifica statuizione normativa, secondo cui "il termine della prescrizione decorre... per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole" (art. 158 c.p., comma 1). Ai fini prescrizionali, quindi, ha rilievo non il giorno in cui la condotta illecita viene scoperta o comunque il reato non può essere più consumato per cause indipendenti dalla volontà dell’agente, bensì il giorno in cui il reo ha compiuto l’ultimo suo atto, qualificabile come tentativo. Nel caso di specie l’ultimo atto accertato del tentativo di truffa è la richiesta danni del 9.2.2011 inoltrata dall’imputato F.F. alla Compagnia Assicurativa, con la conseguenza che alla data della sentenza della Corte d’Appello il reato non era prescritto, anche senza considerare la sospensione dal 12.6.2017 al 22.9.2017 per astensione dalle udienze.

Il ricorso presentato dall’avv. MG e è palesemente inammissibile, in quanto il ricorrente con i motivi su 1 e 2, reiterando doglianze già espresse in appello, si è limitato a censurare profili di carattere meramente valutativo del compendio probatorio, rinnovando contestazioni in punto di ricostruzione del fatto e delle dichiarazioni raccolte, del tutto sovrapponibili a quelle ampiamente scandagliate dai giudici dell’appello. Per un verso, dunque, il ricorso mira a sollecitare un non consentito riesame del merito, mentre, sotto altro profilo, non proponendosi una effettiva ed autonoma critica impugnatoria rispetto alla motivazione esibita dai giudici a quibus, il ricorso rassegnato finisce per risultare del tutto aspecifico.
Aspecifico è anche il motivo sub 3).

Nel caso di specie, è del tutto ovvio il collegamento tra le pretese della parte civile e il fatto di reato in contestazione, che coinvolge la compagnia di assicurazione come tenuta alla copertura dei danni. Così come correttamente i giudici d’appello hanno ritenuto l’A. legittimato alla proposizione della querela, in relazione al peggioramento della propria posizione assicurativa derivatogli dalla denuncia di falso sinistro (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 12969 del 14/03/2007 Ud. (dep. 29/03/2007) Rv. 236463, Cecere., dove l’affermazione che se la condotta tipica del reato di truffa cagiona danno non solo al soggetto che, per effetto degli artifici e raggiri, pone in essere l’atto di disposizione patrimoniale pregiudizievole, ma anche ad altri, il diritto di querela spetta anche a questi ultimi; in termini, anche Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5589 del 18/11/2014 Ud. (dep. 05/02/2015) Rv. 262812).
A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità - determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso (v. Corte Cost. sent. 186/2000) - consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di 2.000,00 Euro ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00.