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Niente affidamento terapeutico per chi è pericoloso (Cass. 20104/20)

7 luglio 2020, Cassazione penale

La ratio dell’affidamento "terapeutico" è quella di perseguire la cura del soggetto, per cui il programma di recupero assume un ruolo di centralità nella applicazione della misura, vista nell’ottica di un affrancamento del soggetto stesso dalla droga e/o dall’alcool ovvero dal mondo della devianza.

In caso di serio pericolo di recidiva del condannato, ben può ritenersi insufficiente il solo programma terapeutico, posto che la riuscita del progetto di recupero dipende dalla collaborazione dell’interessato, negata dalla condizione di persona pericolosa e dagli indici sintomatici che emergano nella specifica vicenda all’esame del giudice.

 

Corte di Cassazione

sez. I Penale

sentenza 22 giugno – 7 luglio 2020, n. 20104
Presidente Di Tomassi – Relatore Aliffi

Ritenuto in fatto

Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di sorveglianza di Milano ha rigettato l’istanza di ammissione alla misura alternativa dell’affidamento in prova terapeutico di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 94 proposta dal detenuto A.M. , in quanto soggetto dotato di consistente pericolosità sociale, tale da rendere il beneficio richiesto inidoneo ad assicurare la prevenzione del pericolo che egli commetta altri atti illeciti penalmente rilevanti.
2. Avverso il provvedimento ha proposto ricorso per cassazione l’A. , per mezzo del difensore di fiducia, avv. Camillo Bongiorni, denunziando, quale unico motivo di impugnazione, violazione di regge in riferimento al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94 nonché vizio di motivazione e mancata valutazione di prove decisive.
Secondo il ricorrente, il Tribunale, pur avendo dato atto di tutte le circostanze favorevoli dedotte nell’istanza ed in particolare del giudizio positivo espresso nella relazione di sintesi in considerazione della positiva evoluzione della sua personalità e l’idoneo contesto familiare, ha incongruamente fondato la decisione di rigetto solo sulla pendenza di altro procedimento penale per reati commessi dall’A. in epoca precedente o contigua rispetto a quello oggetto del sentenza in esecuzione senza adeguatamente valutare il fruttuoso percorso di resipiscenza già avviato.

Considerato in diritto

1, In premessa va ricordato che è pacifico il principio secondo cui la pericolosità sociale e il rischio di recidiva rendono inidonea allo scopo la misura dell’affidamento terapeutico nei confronti di persona tossicodipendente o alcoldipendente. A seguito delle modiche introdotte dalla L. n. 49 del 2006, il comma 4 prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94 prevede espressamente che il programma di recupero debba assicurare la prevenzione dei reati, nella logica che impone al giudice di valutare la pericolosità del condannato, la sua attitudine a intraprendere positivamente un trattamento, al fine di garantire un effettivo reinserimento nel consorzio civile (cfr. Sez. 1, n. 15963 del 21/03/2013 P.G. in proc. Inerte, Rv. 255690; Sez. 1, n. 48041 del 09/10/2018, Massimino, Rv. 274665). Il giudizio di idoneità del programma terapeutico non vincola, d’altro canto, il giudice che è soggetto solo alla legge e non anche agli atti della pubblica amministrazione; egli, pertanto, deve compiere una complessa valutazione sul probabile conseguimento delle finalità del programma proposto prendendo in esame non solo l’astratta attitudine del trattamento a realizzare il reinserimento nella società ma anche la concreta possibilità che esso riesca a contenere e a controbilanciare la pericolosità del condannato (Sez. 1, n. 23343 del 23/03/2017, Arzu, Rv. 270016; Sez. 1, n. 53761 del 22/09/2014, Palena, Rv. 261982). Anche la Corte Costituzionale, con sentenza 5 dicembre 1997, n. 377, ha chiarito che la ratio dell’affidamento "terapeutico" è quella di perseguire la cura del soggetto, per cui il programma di recupero assume un ruolo di centralità nella applicazione della misura, vista nell’ottica di un affrancamento del soggetto stesso dalla droga e/o dall’alcool ovvero dal mondo della devianza. A fronte, però, di una valutazione di serio pericolo di recidiva del condannato, ben può ritenersi insufficiente il solo programma terapeutico, posto che la riuscita del progetto di recupero dipende dalla collaborazione dell’interessato, negata dalla condizione di persona pericolosa e dagli indici sintomatici che emergano nella specifica vicenda all’esame del giudice.
3 1.2. Attenendosi a tali principi, il Tribunale di sorveglianza, con motivazione immune da vizi, ha valutato negativamente, con argomentazioni esaustive e logiche, prive di contraddittorietà, la posizione dell’A. evidenziando come lo stesso, nonostante la condotta regolare tenuta durante la recente detenzione anche domiciliare, il rafforzamento della consapevolezza rispetto ai meccanismi delle dipendenze e delle connesse problematiche e, infine, il parere favorevole espresso della equipe, aveva dato dimostrazione di una rilevante capacità di commettere gravi reati fino ad epoca recente e contigua ai reati oggetto della condanna (ricettazione, utilizzo indebito di carte di credito, furto in appartamento aggravato, commessi con recidiva qualificata dal 12.6.2013 al 3.5.2017), in adesione ad una spinta recidivante non controllabile attraverso l’esecuzione del programma in atto. L’A. , infatti, era stato sottoposto a misura cautelare, confermata anche in sede di riesame, perché gravemente indiziato della consumazione fino al 2017 di ben ventinove reati, anche della stessa specie di quelli accertati dal giudice della cognizione. Rispetto a detto dato fattuale, valutato in ragione della sua pregnanza e significatività, prevalente su quelli di segno contrario, non ignorati ma espressamente presi in esame, il ricorso nulla di concreto oppone, limitandosi a sollecitare un nuovo e diverso apprezzamento di merito estraneo al giudizio di legittimità.
3. Alla luce di quanto premesso il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
4. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuale e della somma di Euro tremila alla Cassa delle Ammende non ricorrendo ipotesi di esonero.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.