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Mutamento del giudice nell'abbreviato condizionato (Cass. 6930/19)

13 febbraio 2019, Cassazione penale

Alla nullità di ordine generale a regime intermedio conseguente all’omessa dichiarazione circa l’eventuale conservazione di efficacia degli atti compiuti dal giudice astenutosi o ricusato se tempestivamente rilevata o eccepita dalla difesa dell’imputato che vi abbia interesse avanti al diverso giudice incaricato della prosecuzione del giudizio, ben può porsi rimedio con la trasmissione degli atti all’autorità che aveva deciso sulla dichiarazione di astensione o di ricusazione affinché provveda a compiere l’atto omesso.

Il divieto di utilizzo ai fini della deliberazione di prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel corso del giudizio, anche con riguardo al fatto che si tratti di prove assunte davanti ad un giudice persona fisica diverso da quello che decide, ovvero da un collegio differentemente composto.

Qualora si tratti di prove a carico, il mutamento del giudice nel corso del giudizio non dà necessariamente luogo alla nullità della sentenza, ma, qualora nella composizione antecedente a quella della deliberazione il collegio abbia acquisito una prova che si riveli priva di incidenza sulla motivazione della sentenza, il vizio rilevabile è quello della inutilizzabilità del mezzo di prova: per contro, si tratti di prove richieste a discarico, nonostante l’ampiezza del diritto alla prova - anche costituzionalmente sancito (v. art. 111 Cost., comma 3) - è da rilevarsi che lo stesso dev’essere esercitato in armonia con le previsioni processuali che governano la materia e la possibilità di far valere l’eventuale violazione del diritto nel giudizio di legittimità è comunque subordinata al fatto che si tratti di prova decisiva ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d).

Nel caso del giudizio abbreviato condizionato, tuttavia, la prospettiva è indubbiamente diversa e più ampia, perché il principio sancito dall’art. 442 c.p.p., comma 1-bis, va coordinato con la previsione di cui all’art. 438, comma 5, del codice, che fa assurgere la prova alla cui assunzione l’imputato abbia subordinato la richiesta di essere giudicato con il rito semplificato - e che sia stata dal giudice ritenuta necessaria e compatibile con le finalità di economia processuale proprie di detto rito - ad imprescindibile condizione di legittimità di una decisione allo stato degli atti. Contrariamente a quanto di regola accade nella valutazione circa il controllo sulla legittimità della mancata assunzione della prova, quando si tratti di prove a discarico cui sia stata subordinata, e accolta, la richiesta di giudizio abbreviato, salvo il caso di impossibilità per ragioni imprevedibili e sopraggiunte, la mancata assunzione di una prova acquisibile si traduce in nullità certamente riconducibile all’ipotesi di ordine generale di cui all’art. 178 c.p.p., lett. c). Detta nullità, se non sanata, si estende alla sentenza conclusiva del giudizio, emessa senza che sia stata offerta all’imputato la possibilità di far legittimamente assumere - e del pari legittimamente utilizzare - le prove che avevano condizionato la decisione allo stato degli atti.

Corte di Cassazione

sez. III Penale, sentenza 9 gennaio – 13 febbraio 2019, n. 6930
Presidente Ramacci – Relatore Reynaud

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 12 gennaio 2018, la Corte d’appello di Perugia ha confermato la pronuncia con la quale, all’esito di giudizio abbreviato condizionato, l’odierna ricorrente era stata condannata alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione e 500 Euro di multa, oltre pene accessorie di legge, per il reato previsto dalla L. 20 febbraio 1958, n. 75, artt. 3 e 4, per aver favorito e sfruttato la prostituzione di diverse donne che esercitavano il meretricio presso un albergo gestito dalla società di cui l’imputata era legale rappresentante ed un annesso club dalla medesima presieduto.
2. Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso il difensore dell’imputata, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
3. Con il primo motivo, si deducono violazione dell’art. 42 c.p.p., comma 2, art. 525 c.p.p., comma 2, e art. 190-bis c.p.p., anche con riferimento agli artt. 178 e 179 dello stesso codice, nonché vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui si disattendono le identiche censure già sollevate con il gravame. Si lamenta, in particolare, che, nell’accogliere la dichiarazione di astensione del magistrato originariamente incaricato di trattare il procedimento come g.u.p., per aver il medesimo svolto il ruolo di componente del collegio in un procedimento connesso celebrato contro l’imputata, il presidente del tribunale non aveva indicato quali atti compiuti dal giudice poi astenutosi conservassero efficacia. Avanti a quel giudice, che aveva ammesso la richiesta di giudizio abbreviato condizionato, erano stati infatti escussi i testimoni alla cui audizione l’imputata aveva condizionato la richiesta del rito e, nonostante l’opposizione della difesa all’utilizzabilità dei relativi verbali nel giudizio abbreviato proseguito avanti al diverso magistrato incaricato di sostituire il giudice astenuto, le prove non erano state rinnovate.
Nel disattendere le eccezioni di violazione di legge sollevate nel gravame osservando che il provvedimento presidenziale sull’efficacia degli atti era successivamente intervenuto, la sentenza avrebbe confuso la questione della declaratoria di "efficacia" degli atti, mai pronunciata da alcuno - e governata dall’art. 42 c.p.p., che prevedrebbe una sorta di presunzione di inefficacia degli atti compiuti dal giudice astenutosi - con la diversa questione della "utilizzabilità" degli stessi nel caso di mutamento del giudice, fattispecie regolata dall’art. 525 c.p.p., comma 2.
4. Con il secondo motivo, si deducono violazione dell’art. 525 c.p.p., comma 2, e vizio di motivazione per mancata declaratoria di inutilizzabilità delle prove assunte dal giudice poi astenutosi in mancanza del consenso del difensore alla loro rinnovazione mediante lettura ai sensi degli artt. 511 e 525 c.p.p.. Avrebbe errato la Corte nel ritenere - come già fatto dal giudice di primo grado - che l’art. 525 c.p.p. non si applichi al giudizio abbreviato, in quanto non richiamato dall’art. 442 dello stesso codice. Il principio di immutabilità del giudice, osserva la ricorrente citando conforme giurisprudenza di legittimità, si applica anche alla decisione del giudizio abbreviato, fatta salva l’ammissione del rito.
5. Con il terzo motivo si deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui non riconosce che il fatto non sussiste ovvero che non costituisce reato, sul rilievo che non vi sarebbe stata abituale tolleranza della prostituzione nell’albergo gestito dalla ricorrente e, in ogni caso, che ella non ne fosse consapevole. Si lamenta, poi, che la sentenza, senza effettiva motivazione, reputi credibili le dichiarazioni rese da alcune delle ragazze escusse - da cui aveva ricavato un accordo in forza del quale esse esercitavano la prostituzione nelle camere dell’albergo e la ricorrente lo tollerava, fornendo biancheria e percependo dal cliente l’aggiuntivo compenso di 50 Euro - senza ritenere invece credibili, con apodittica motivazione, le diverse dichiarazioni rese da altre ragazze pur indicate come meretrici nel capo di imputazione e da alcuni dei presunti clienti. Da ultimo, si censura la sentenza per aver respinto senza effettiva motivazione la doglianza proposta con il gravame circa il mancato ricorso all’utilizzo di un interprete nel corso delle s.i.t. assunte dalle ragazze straniere, benché alcune di loro avessero dichiarato, davanti al g.u.p., di non aver neppure compreso le domande loro rivolte dalla polizia giudiziaria, ciò che sarebbe stato confermato dall’agente S. .
6. Con l’ultimo motivo di ricorso si deduce il vizio di motivazione in ordine al mancato accoglimento delle doglianze rassegnate con riguardo alla determinazione della pena nei minimi edittali, al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in termini di equivalenza, piuttosto che di prevalenza, sulla contestata aggravante e sulla recidiva, al mancato riconoscimento dei doppi benefici di legge.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
La consultazione degli atti processuali - imposta dalla natura procedurale della doglianza - ha consentito al Collegio di verificare la correttezza del rilievo contenuto nella sentenza impugnata e la radicale infondatezza della contraria allegazione contenuta in ricorso, dove inspiegabilmente il fatto viene taciuto ed addirittura negato. Ed invero, la dichiarazione di efficacia di tutti gli atti istruttori compiuti dal giudice astenutosi è stata effettuata dal presidente del tribunale in data 27 febbraio 2014, in calce al verbale dell’udienza tenutasi quel giorno, chiuso alle ore 10.45, essendogli stati trasmessi quella stessa mattina gli atti a seguito dell’eccezione sull’inadempimento della prescrizione di cui all’art. 42 c.p.p., comma 2, sollevata dalla difesa.
Ciò premesso, la Corte territoriale ha respinto il motivo di gravame sollevato sul punto invocando il principio - ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità - secondo cui la mancata piena contestualità tra accoglimento dell’astensione e decisione in merito agli atti meritevoli di conservare efficacia non incide sul rispetto del dettato dell’art. 42 c.p.p., che fa riferimento ad una decisione intrinsecamente unitaria e coerente che ben può essere adottata in una sequenza ravvicinata, ove questa sia giustificata da diversi tempi di ponderazione (Sez. 6, n. 20097 del 18/03/2003, Santeramo, Rv. 227211; Sez. 6, n. 23262 del 18/03/2003, Gissi, Rv. 225679; Sez. 6, n. 23261 del 18/03/2003, Matteucci, Rv. 225756). Il ricorrente non contesta l’assenza di giustificazioni circa la mancanza di contestualità, ma quand’anche come appare - si fosse trattato, nel primo provvedimento, di una mera omissione, non v’è ragione di impedire che la stessa sia sanata dal presidente del tribunale in tempo utile per chiarire se e quali atti siano ritenuti efficaci nel giudizio che prosegue avanti al diverso giudice incaricato della trattazione, come avvenuto nel caso di specie in limine all’udienza di prosecuzione del procedimento.

Ed invero, trattandosi della violazione di una disposizione che, in quanto finalizzata ad attestare, in prima battuta, l’eventuale inefficacia degli atti processuali compiuti dallo iudex suspectus, allorché la posizione di possibile non imparzialità riguardi l’imputato, viene in rilievo un’ipotesi di nullità di ordine generale ai sensi dell’art. 178 c.p.p., lett. c), riconducibile al regime c.d. intermedio di cui all’art. 180 c.p.p.. All’udienza preliminare del 27 febbraio 2014, l’inosservanza è stata tempestivamente dedotta dalla difesa ai sensi dell’art. 182 c.p.p., comma 2, - così impedendosi la sanatoria, che altrimenti si sarebbe verificata giusta il disposto di cui all’art. 183, lett. a) ed il giudice procedente ha fatto sostanziale applicazione dell’art. 185 c.p.p. trasmettendo gli atti al presidente del tribunale perché provvedesse a compiere l’atto omesso, come poi correttamente avvenuto senza che la nullità conseguente all’iniziale violazione avesse comportato l’invalidità derivata di altri atti processuali medio tempore compiuti.
Va affermato, pertanto, il principio di diritto secondo cui alla nullità di ordine generale a regime intermedio conseguente all’omessa dichiarazione circa l’eventuale conservazione di efficacia degli atti compiuti dal giudice astenutosi o ricusato, prevista dall’art. 42 c.p.p., comma 2, se tempestivamente rilevata o eccepita dalla difesa dell’imputato che vi abbia interesse avanti al diverso giudice incaricato della prosecuzione del giudizio, ben può porsi rimedio con la trasmissione degli atti all’autorità che aveva deciso sulla dichiarazione di astensione o di ricusazione affinché provveda a compiere l’atto omesso.
1.1. Va ancora rilevato che, come hanno precisato le Sezioni Unite di questa Corte, la valutazione di efficacia od inefficacia, operata dal giudice che decide sull’astensione o sulla ricusazione, pur autonomamente non impugnabile, è successivamente sindacabile, nel contraddittorio tra le parti, dal giudice della cognizione (Sez. U, n. 13626 del 16/12/2010, dep. 2011, Digiacomantonio e aa., Rv. 249299). Nella motivazione di tale decisione si specifica ulteriormente che è il giudice che procede al giudizio che "ha una competenza generale in ordine alla valutazione di ammissibilità delle prove ed alla assunzione delle stesse e sarà, pertanto, tale giudice a verificare in ultima analisi anche la efficacia o meno degli atti a contenuto probatorio compiuti dallo iudex suspectus prima della autorizzazione alla astensione ed a determinare la definitiva inclusione o esclusione di tali atti dal fascicolo per il dibattimento, attività che deve necessariamente precedere la valutazione di utilizzabilità o meno delle prove" (se si tratti di giudizio abbreviato, il riferimento al fascicolo per il dibattimento andrà ovviamente inteso con riguardo al fascicolo del processo).
In sostanza, indipendentemente dalla valutazione fatta dal presidente del tribunale, la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 42 c.p.p., comma 2, affida al giudice incaricato della trattazione del procedimento in sostituzione di quello astenutosi o ricusato la competenza a decidere definitivamente e nel contraddittorio delle parti - quali atti, da quello compiuti, siano efficaci oppure no, ferma restando l’ulteriore valutazione della loro concreta utilizzabilità in omaggio al principio di oralità e immediatezza tra giudice che assume la prova e giudice che decide il processo (cfr., di recente, Sez. 6, n. 4694 del 24/10/2017, dep. 2018, Picone e a., Rv. 272195).
Nel caso di specie, dal verbale di prosecuzione dell’udienza preliminare dello stesso 27 febbraio 2014 - riaperto alle ore 12.00 - emerge come il provvedimento con cui il presidente del tribunale aveva ritenuto efficaci tutti gli atti compiuti dal giudice astenutosi non abbia formato oggetto di contestazione da parte della difesa, né il g.u.p. ha ritenuto di dover diversamente disporre, sicché la questione sull’efficacia delle prove assunte dal precedente giudice nel giudizio abbreviato condizionato è stata definitivamente, e correttamente, risolta.
2. È invece fondato il secondo motivo di ricorso.
Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado e da quello d’appello, l’orientamento maggioritario di questa Corte - condiviso dal Collegio, salvo quanto più oltre si dirà con riguardo all’impossibilità di estendere in via analogica la previsione di nullità speciale contenuta nel primo capoverso - è nel senso che i principi sanciti, per il giudizio dibattimentale, dall’art. 525 c.p.p. si applichino anche alla fase decisoria del giudizio abbreviato. In particolare, il principio di immutabilità del giudice trova applicazione anche nel giudizio abbreviato subordinato ad un’integrazione probatoria su richiesta dell’imputato, limitatamente alle fasi della trattazione e della deliberazione della sentenza, non invece a quella inerente alla decisione incidentale sull’ammissione del rito e delle sue modalità di svolgimento (Sez. 3, n. 37100 del 18/06/2015, Benassi, Rv. 264584; Sez. 5, n. 11938 del 09/02/2010, Mortillaro e aa., Rv. 246896; Sez. 6, n. 13111 del 22/01/2009, Accogli e a., Rv. 243831; Sez. 2, n. 33840 del 26/09/2006, Azzi, Rv. 234970). Analogo principio è stato affermato anche nel procedimento in camera di consiglio di cui all’art. 127 c.p.p. (Sez. 1, n. 4927 del 17/12/1991, dep. 1992, Ciacci, Rv. 188906) e ribadito nel giudizio di riesame (Sez. 3, n. 14755 del 02/03/2004, Di Fusco) e nel procedimento di sorveglianza (Sez. 1, n. 17146 del 05/04/20.16, Loi, Rv. 267242).
Si tratta, invero, di un principio processuale di carattere generale che non può essere ritenuto inapplicabile nel giudizio abbreviato - come invece argomentato dai giudici di merito - sul rilievo che l’art. 525 c.p.p. non è richiamato dall’art. 442 c.p.p., comma 1, ove si fa rinvio soltanto agli artt. 529 ss. Coerentemente con la tecnica utilizzata dal legislatore per disciplinare il procedimento del giudizio abbreviato, la speciale - e stringata disciplina contiene sostanzialmente le norme che regolano in modo specifico il rito speciale. Con particolare riguardo alla fase della deliberazione della sentenza non si sono dunque espressamente richiamate le disposizioni contenute nel capo 1 del titolo 3 del libro sul giudizio - vale a dire gli artt. da 525 a 528 c.p.p. - perché in larga parte riferite ad un processo celebrato avanti ad un giudice collegiale, mentre l’intera fase decisoria e post-decisoria, a cui nel libro settimo è dedicato l’intero titolo 3 (artt. da 525 a 548), viene compendiata, anche in forza del menzionato rinvio, nel solo art. 442 c.p.p.. E, a ben vedere, detta disposizione - che pure non prevede espressamente la nullità assoluta della sentenza non deliberata dal giudice che abbia partecipato all’intero giudizio abbreviato, sicché, anche per il principio di tassatività di cui all’art. 177 c.p.p., questa conseguenza non può affermarsi - è sufficiente a garantire gli effetti del declinato principio, che, per quanto osservato, si riferiscono sostanzialmente all’immediatezza tra assunzione della prova e decisione.

Ed invero, l’art. 442, comma 1-bis, c.p.p., nel prevedere che "ai fini della deliberazione il giudice utilizza gli atti contenuti nel fascicolo di cui all’art. 416, comma 2, la documentazione di cui all’art. 419, comma 3, e le prove assunte nell’udienza", fa implicito riferimento, quanto a queste ultime, alle prove ritualmente acquisite dal medesimo giudice che ha condotto il procedimento.

È proprio con riguardo all’immediatezza tra assunzione della prova e decisione del processo, del resto, che viene affermata l’immutabilità del giudice anche laddove non si tratti di giudizio dibattimentale: il principio di immutabilità del giudice ha riguardo alla identità fisica del giudice che assume la prova e decide (Sez. 3, n. 30416 del 01/07/2016, Bianco, Rv. 267353, relativa al giudizio abbreviato; in senso analogo, Sez. 4, n. 5273 del 21/09/2016, dep. 2017, Ferrentino e aa., Rv. 270383, che ha escluso la violazione del principio con riguardo un’udienza preliminare conclusasi con l’emissione del decreto che dispone il giudizio senza lo svolgimento di alcuna attività istruttoria; Sez. 5, n. 11938 del 09/02/2010, Mortillaro e aa., Rv. 246896, sempre relativa all’udienza preliminare).
2.1. La previsione di cui all’art. 442 c.p.p., comma 1-bis, interpretata nell’indicato senso, ha indubbiamente il medesimo significato di quella che comunemente si riconosce al disposto di cui all’art. 526 c.p.p., comma 1, vale a dire il divieto di utilizzo ai fini della deliberazione di prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel corso del giudizio, anche con riguardo al fatto che si tratti di prove assunte davanti ad un giudice persona fisica diverso da quello che decide, ovvero da un collegio differentemente composto.
In particolare - si è affermato - qualora si tratti di prove a carico, il mutamento del giudice nel corso del giudizio non dà necessariamente luogo alla nullità della sentenza, ma, qualora nella composizione antecedente a quella della deliberazione il collegio abbia acquisito una prova che si riveli priva di incidenza sulla motivazione della sentenza, il vizio rilevabile è quello della inutilizzabilità del mezzo di prova (Sez. 5, n. 44017 del 28/09/2005, De Stefano, Rv. 232809; Sez. 1, n. 37537 del 07/07/2004, Addis, Rv. 229791).
Qualora, per contro, si tratti di prove richieste a discarico, nonostante l’ampiezza del diritto alla prova - anche costituzionalmente sancito (v. art. 111 Cost., comma 3) - è da rilevarsi che lo stesso dev’essere esercitato in armonia con le previsioni processuali che governano la materia (cfr. Sez. 2, n. 2350 del 21/12/2004, dep. 2005, Papalia e aa., Rv. 230717) e la possibilità di far valere l’eventuale violazione del diritto nel giudizio di legittimità è comunque subordinata al fatto che si tratti di prova decisiva ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), (cfr. Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Impellizzari, Rv. 273577; Sez. 2, n. 48630 del 15/09/2015, Picher e aa., Rv. 265323; Sez. 4, n. 6783 del 23/01/2014, Di Meglio, Rv. 259323).
2.2. Nel caso del giudizio abbreviato condizionato, tuttavia, la prospettiva è indubbiamente diversa e più ampia, perché il principio sancito dall’art. 442 c.p.p., comma 1-bis, va coordinato con la previsione di cui all’art. 438, comma 5, del codice, che fa assurgere la prova alla cui assunzione l’imputato abbia subordinato la richiesta di essere giudicato con il rito semplificato - e che sia stata dal giudice ritenuta necessaria e compatibile con le finalità di economia processuale proprie di detto rito - ad imprescindibile condizione di legittimità di una decisione allo stato degli atti. Contrariamente a quanto di regola accade nella valutazione circa il controllo sulla legittimità della mancata assunzione della prova, quando si tratti di prove a discarico cui sia stata subordinata, e accolta, la richiesta di giudizio abbreviato, salvo il caso di impossibilità per ragioni imprevedibili e sopraggiunte (cfr. Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte e aa., Rv. 253211; Sez. 2, n. 43876 del 07/10/2014, Seck, Rv. 260860), la mancata assunzione di una prova acquisibile si traduce in nullità certamente riconducibile all’ipotesi di ordine generale di cui all’art. 178 c.p.p., lett. c), (Sez. 2, n. 23605 del 12/03/2010, Doronzo e a., Rv. 247291). Detta nullità, se non sanata, si estende alla sentenza conclusiva del giudizio, emessa senza che sia stata offerta all’imputato la possibilità di far legittimamente assumere - e del pari legittimamente utilizzare - le prove che avevano condizionato la decisione allo stato degli atti.
Anche in relazione a conclusioni raggiunte da questa Corte in casi simili (cfr. Sez. 5, n. 37551 del 25/06/2008, Spinola, Rv. 241953), va dunque affermato il principio secondo cui è affetta da nullità di ordine generale a regime intermedio la sentenza emessa all’esito del giudizio abbreviato condizionato ad integrazione probatoria, qualora la prova oggetto dell’integrazione non sia utilizzabile per essere stata acquisita in violazione del principio di immutabilità del giudice.
2.3. Nel caso di specie, dal verbale riassuntivo dell’udienza del 27 febbraio 2014, h. 12.00, si ricava che, a seguito dell’intervenuta decisione del presidente del tribunale sulla ritenuta efficacia degli atti istruttori assunti dal giudice astenutosi, la difesa dell’imputata ha immediatamente eccepito l’inutilizzabilità delle prove, dichiarando espressamente di non prestare il consenso alla rinnovazione delle stesse mediante semplice lettura degli atti avanti al nuovo giudice incaricato di trattare e decidere il procedimento, con ciò implicitamente - ma chiaramente - richiedendone la riassunzione orale da parte del medesimo. A seguito del rigetto dell’eccezione da parte del giudice, la conseguente sentenza è stata fatta oggetto di gravame anche su questo punto, avendo l’imputata, con il primo motivo d’appello (pag. 1), dedotto la "nullità della sentenza per mancata declaratoria di inutilizzabilità degli atti per mancanza del consenso del difensore alla rinnovazione degli stessi mediante lettura, ex artt. 511 e 525 c.p.p.: violazione del principio di immutabilità del giudice".
Al di là dell’inesatto richiamo alle menzionate disposizioni processuali regolanti il dibattimento, per quanto sopra osservato, le ragioni in fatto e diritto esposte erano fondate e chiare erano le doglianze rivolte al giudice del gravame di merito a sostegno dell’invocata nullità della sentenza di primo grado: "il nuovo GUP, dinanzi all’eccezione proposta dalla difesa, e al mancato consenso alla rinnovazione degli atti mediante lettura, anziché dichiarare d’ufficio "utilizzabili" tutti gli atti assunti dinanzi al giudice precedente, avrebbe dovuto prendere atto del dissenso manifestato dallo scrivente difensore e provvedere a riassumere dinanzi a sé tutte le prove integrative assunte dinanzi al giudice precedente" (atto d’appello, pag. 6).
3. L’errato rigetto della doglianza di nullità della sentenza di primo grado comporta, pertanto, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, restando assorbiti gli ulteriori motivi.
Nel caso di specie deve peraltro trovare applicazione la regola sancita nell’art. 623 c.p.p., lett. b). Per quanto osservato, infatti, ricorre il caso di accertamento di "una delle nullità indicate nell’art. 180 che non sia stata sanata e da cui sia derivata la nullità...della sentenza di primo grado" (art. 606 c.p.p., comma 4, ult. parte), sicché, a mente di tale disposizione, la Corte d’appello avrebbe dovuto dichiarare la nullità della sentenza di primo grado ed il relativo, omesso, provvedimento va in questa sede adottato disponendosi la trasmissione degli atti al tribunale di Perugia, sezione g.i.p., per nuovo giudizio, come di regola affermato in casi analoghi (cfr. Sez. 3, n. 12234 del 04/02/2014, F., Rv. 258703; Sez. 6, n. 24271 del 30/05/2013, F., Rv. 256818; Sez. 3, n. 1948 del 28/11/2001, dep. 2002, Muscas, Rv. 221059).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e la sentenza di primo grado e rinvia al Tribunale di Perugia sezione g.i.p..