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Msiura alternativa nell'UE solo se c'è collaborazione del condannato (Cass. 16942/20)

4 giugno 2020, Cassazione penale

L'affidamento in prova al servizio sociale può svolgersi anche fuori dal territorio nazionale, ma sul territorio dell'UE, a condizione che sussistano le altre condizioni previste dalla legge (tra le quali la collaborazione del condannato).

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

(ud. 25/05/2020) 04-06-2020, n. 16942

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Mariastefania - Presidente -

Dott. TARDIO Angela - Consigliere -

Dott. BONI Monica - Consigliere -

Dott. ALIFFI Francesco - Consigliere -

Dott. RENOLDI Carlo - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.M., nato ad (OMISSIS);

avverso l'ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Ancona in data 10/7/2019;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Carlo Renoldi;

letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. VIOLA Alfredo Pompeo, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata limitatamente alla domanda di detenzione domiciliare ex art. 47-ter ord. pen., comma 1, lett. c).

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 10/7/2019, il Tribunale di sorveglianza di Ancona ha rigettato le istanze di affidamento in prova al servizio sociale e di semilibertà avanzate da M.M. in relazione alla pena residua di 2 anni, 3 mesi e 2 giorni di reclusione inflittagli per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73; e ha dichiarato inammissibile la domanda di detenzione domiciliare proposta, per motivi di salute, ai sensi dell'art. 47-ter ord. pen., comma 1, lett. c).

Secondo il Tribunale di sorveglianza, il condannato, recidivo per avere commesso, nel (OMISSIS), un reato analogo a quello oggetto del titolo detentivo ora in esecuzione, non poteva beneficiare di alcuna delle chieste misure alternative alla detenzione perchè: aveva, in via principale, chiesto di espiare la misura alternativa nello Stato estero dove risiedeva e ciò non era consentito dalla normativa vigente per come interpretata dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione; aveva tenuto un atteggiamento che, considerati i precedenti penali, non aveva consentito di acquisire notizie aggiornate sul suo conto, necessarie per valutare l'idoneità dell'affidamento in prova una volta manifestata la disponibilità a scontare la pena nel territorio nazionale; infatti, pur avendo fatto rientro in Italia nel corso dell'anno 2019, non si era presentato in udienza, non aveva avviato i necessari contatti con l'UEPE, nè con le Forze dell'ordine e non aveva nemmeno prospettato specifiche attività come oggetto del percorso di prova; non aveva indicato l'occupazione da svolgere in Italia, ove ammesso al regime di semilibertà; doveva ancora espiare una pena superiore a quella che consente l'ammissione alla detenzione domiciliare generica.

Quanto alla richiesta di detenzione domiciliare, fondata sulle precarie condizioni di salute di M., il Tribunale ha, infine, rilevato che, già alla luce della documentazione sanitaria prodotta, non poteva ricavarsi alcuna incompatibilità con il regime detentivo ordinario, nè risultava la necessità, per il condannato, di mantenere frequenti contatti con i presidi sanitari territoriali.

2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione lo stesso M., per mezzo del Difensore di fiducia, avv. RR, deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p., la inosservanza o erronea applicazione dell'art. 47 ord. pen. e art. 47-ter ord. pen., comma 1, lett. c), nonchè la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alle pronunce sfavorevoli al condannato.

In particolare, il ricorso lamenta, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), che, il Tribunale di sorveglianza: abbia ritenuto infondata la questione di illegittimità costituzionale sollevata dalla difesa con riferimento alla impossibilità di M. di espiare le misure alternative nello Stato estero di residenza, senza considerare il profilo della disparità di trattamento in violazione dell'art. 3 Cost., reso evidente dai provvedimenti con cui lo stesso Tribunale ha concesso il beneficio ai condannati residenti nello Stato di (OMISSIS); abbia omesso di valutare la documentazione allegata all'istanza, attestante il percorso di risocializzazione compiuto da M. dopo la consumazione del reato, in campo sia lavorativo che familiare; non abbia considerato che il condannato, come documentato, da tre anni a oggi avrebbe sempre lavorato in (OMISSIS) e, più di recente, avrebbe patito gravi problemi di salute, sicchè non avrebbe potuto partecipare alle udienze e agli incontri con l'UEPE; abbia valorizzato l'unico precedente penale, benchè di epoca assai risalente; abbia erroneamente considerato come condizione ostativa alla concessione dell'affidamento in prova la mancanza di un lavoro in Italia; si sia limitato a dare atto delle condizioni di salute in cui versa M. senza spiegare perchè le stesse, pur rendendo necessari continui contatti con uno specifico presidio territoriale in ragione dell'applicazione di un defibrillatore sottocutaneo, siano compatibili con il regime detentivo.

3. In data 4/12/2019, è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata, limitatamente alla domanda di detenzione domiciliare ex art. 47-ter ord. pen., comma 1, lett. c).

Motivi della decisione


1. Il ricorso è parzialmente fondato e, pertanto, deve essere accolto per quanto di ragione.

2. Il Tribunale di sorveglianza ha respinto la richiesta di affidamento in prova al servizio sociale, avanzata in via principale, sul presupposto che tale misura alternativa, debba svolgersi, in via continuativa, all'interno del territorio nazionale e non in un Paese estero.

Tale assunto, più volte affermato dalla Corte di cassazione sul presupposto che gli uffici di esecuzione penale esterna siano deputati a svolgere la loro attività soltanto in ambito nazionale e che, per la sua specifica natura, detta attività non sia ricompresa tra le funzioni statali esercitabili da parte di uffici consolari (tra le molte: Sez. 1, n. 45585 del 24/11/2010, Scozzari, Rv. 249172 e in senso conforme Sez. 7, n. 34747 dell'11/12/2014, dep. 2015, Calanna, Rv. 264445; Sez. 1, n. 18862 del 27/3/2007, Magnani, Rv. 237363; Sez. 1, n. 46022 del 29/10/2004, Bravo, Rv. 230160; Sez.1, n. 3278 del 28/4/1999, Di Taranto, Rv. 213724; Sez. 1, n. 5895 del 26/10/1999, Ceruti, Rv. 215027), è stato recentemente superato dalla giurisprudenza di legittimità, la quale è pervenuta alla opposta soluzione interpretativa sulla base della nuova disciplina introdotta dal D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 38, che ha dato attuazione alla decisione quadro 2008/947/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza, delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive.

Infatti, a seguito dell'entrata in vigore di tale decreto legislativo, si è ritenuto che il condannato possa essere affidato in prova ai servizi sociali in uno degli Stati che ha dato attuazione a tale decisione quadro (Sez. 1, n. 15091 del 16/5/2018, dep. 2019, Rv. 275807). Ciò in quanto l'affidamento in prova, quale misura alternativa alla detenzione, deve ritenersi assimilabile, al di là del dato letterale, a una "sanzione sostitutiva" come descritta dal D.Lgs. n. 38 del 2016, art. 2, lett. e), ovvero a una sanzione (misura) che impone obblighi e impartisce prescrizioni compatibili con quelli elencati nel successivo art. 4 e che costituiscono di norma il contenuto del "trattamento alternativo al carcere".

Obblighi e prescrizioni diretti, da un lato, a promuovere la risocializzazione del condannato attraverso la imposizione di regole di condotta e del mantenimento di rapporti con il Servizio sociale, nonchè di prescrizioni di solidarietà e, dall'altro lato, a neutralizzare fattori di recidiva attraverso la sottoposizione a obblighi e divieti concernenti la fissazione di una stabile dimora, la libertà di movimento, lo svolgimento di attività, la frequentazione di determinati soggetti che possono favorire l'occasione di commissione di altri reati, la frequentazione di locali, la detenzione di armi ecc. 2.1. In questa prospettiva, la richiesta del condannato di eseguire la misura alternativa in (OMISSIS), ove risiede stabilmente con il suo nucleo familiare, non avrebbe trovato alcun impedimento sul piano normativo, diversamente da quanto erroneamente affermato nel provvedimento impugnato.

Tuttavia, la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 38 del 2016 prevede che, in ogni caso, la decisione da eseguire all'estero sia assunta dagli Organi dello Stato italiano, con successiva trasmissione del provvedimento applicativo a quelli dello Stato straniero in cui la misura deve essere eseguita.

E nel caso di specie il Tribunale di sorveglianza ha spiegato, in maniera puntuale ed argomentata, di non poter formulare la doppia prognosi richiesta dall'art. 47 Ord. pen., in ragione del comportamento assolutamente non collaborativo tenuto dal condannato, il quale non ha preso alcun contatto con gli organi investiti degli accertamenti istruttori e con i quali avrebbe dovuto, altresì, cooperare nel corso della misura alternativa, in tal modo palesando la scarsa motivazione a portare proficuamente avanti il percorso risocializzante in regime di affidamento o di semilibertà.

Per tale ragione, il rigetto delle due misure alternative deve ritenersi motivato in maniera del tutto congrua e logica, pur avendo mosso il Tribunale di sorveglianza da una non condivisibile premessa giuridica in ordine alla non concedibilità delle stesse nel caso in cui l'esecuzione debba avvenire all'estero.

3. A diversa conclusione deve, invece, pervenirsi con riferimento al profilo relativo alla declaratoria di inammissibilità dell'istanza di detenzione domiciliare per motivi di salute.

Infatti, una volta prospettata, anche con la produzione di documentazione sanitaria da parte dell'interessato, una situazione di salute astrattamente sussumibile nella norma richiamata, il Tribunale di sorveglianza, considerato il rango primario degli interessi coinvolti e la possibile evoluzione delle non lievi patologie cardiache che affliggevano il condannato, avrebbe dovuto attivare i poteri istruttori conferitigli dall'art. 678 c.p.p., investendo del relativo accertamento le Autorità sanitarie territoriali, le quali, a loro volta, avrebbero dovuto convocare M. per sottoporlo a visita medica al fine di verificarne le attuali condizioni cliniche. Ferma restando la possibilità di respingere, in ogni caso, la richiesta nell'ipotesi in cui l'interessato invito non avesse corrisposto all'invito, stante la conseguente impossibilità di acquisire informazioni conclusive sulla sua situazione clinica.

4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto limitatamente alla concedibilità della detenzione domiciliare, sicchè l'ordinanza impugnata deve essere rinviata, per nuovo giudizio sul punto, al Tribunale di sorveglianza di Ancona, che dovrà procedere alle verifiche più sopra indicate in ordine alle condizioni per la concedibilità della predetta misura alternativa, la cui esecuzione, in ogni caso, sarà possibile unicamente nel territorio italiano, non rientrando la stessa tra le ipotesi contemplate dal D.Lgs. n. 38 del 2016, art. 2. Nel resto, il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente alla detenzione domiciliare e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di sorveglianza di Ancona. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2020