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Motivazione per relationem legittima (Cass. 45847/04)

26 novembre 2004, Cassazione penale

La motivazione "per relationem" di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando faccia riferimento, anche di semplice rinvio, ad un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; l'atto di riferimento, quando non venga trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile.

Il coordinamento fra il disposto dell'art. 292, comma 2, lett. c) e c bis) e quello dell'art. 309, comma 9, c.p.p., consente di affermare che al Tribunale del Riesame deve essere riconosciuto il ruolo di giudice collegiale e di merito sulla vicenda de liberiate, onde allo stesso non è demandata tanto la valutazione della legittimità dell'atto, quanto la cognizione della vicenda sottostante e, quindi, primariamente la soluzione del contrasto sostanziale tra la libertà del singolo e la necessità coercitiva, con la conseguenza che la dichiarazione di nullità dell'ordinanza impositiva deve essere relegata a ultima ratto delle determinazioni adottabili; che tale nullità, invero, può essere dichiarata solo ove il provvedimento custodiale sia mancante di motivazione in senso grafico ovvero ove, pur esistendo una motivazione, essa si risolva in clausole di stile, onde non sia possibile, interpretando e valutando l'intero contesto, individuare le esigenze cautelari il cui soddisfacimento si persegue

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

(ud. 08/07/2004) 26-11-2004, n. 45847

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D'URSO Giovanni - Presidente

Dott. OLIVIERI Renato - Consigliere

Dott. TUCCIO Giuseppe - Consigliere

Dott. LICARI Carlo - Consigliere

Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) CHISARI SALVATORE N. IL 20/05/1980;

avverso ORDINANZA del 30/01/2004 TRIB. LIBERTA' di MESSINA;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LICARI CARLO;

sentite le conclusioni del P.G. Dr. Giuseppe Febbraro, il quale ha chiesto dichiararsi la manifesta infondatezza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.

Rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione
OSSERVA

Il Tribunale di Messina, investito del riesame proposto da Chisari Salvatore avverso l'ordinanza con la quale il G.I.P. presso ti Tribunale della stessa città aveva disposto nei suoi confronti la custodia cautelare in carcere per il reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e dei reati-fine di acquisto e vendita delle medesime sostanze, ha deciso, con ordinanza del 30/1/2004, di parzialmente confermarla, nel senso di sostituire la misura della custodia in carcere con quella meno afflittiva degli arresti domiciliari.

Avverso tale decisione il Chisari, per mezzo del difensore, propone ora ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento sulla scorta dei motivi di seguito indicati.

1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, sotto il profilo della violazione di legge, che non sia stata accolta l'eccezione di inutilizzabilità, ex artt. 203 e 273, comma 1 bis, c.p.p., dei risultati delle prime intercettazioni telefoniche, perchè autorizzate in data 13/12/2001 dal G.I.P. sulla scorta di informazioni di P.G., riferite con note del 29/6/2001 e del 6/12/2001, le cui fonti, in dispregio della disciplina introdotta con Legge 29/6/2001 n. 63, non erano state indicate, nè escusse nel corso delle indagini preliminari.

Secondo il ricorrente, il rigetto dell'eccezione, motivato dai giudici del riesame con l'affermazione che le fonti confidenziali non costituivano l'unico elemento posto a fondamento della richiesta di autorizzazione alle intercettazioni, tradirebbe il tentativo di sminuire la reale portata e rilevanza delle informazioni confidenziali, in quanto gli ulteriori elementi di indagine, contenuti anch'essi nelle due cerniate note informative, non erano in grado di supportare la valutazione di sufficienza indiziaria circa l'integrazione della fattispecie contestata di associazione mafiosa di cui all'art. 416 bis c.p., trattandosi di elementi congetturali, scarsamente sintomatici in tal senso e, quindi, inidonei a costituire i presupposti per procedere alle intercettazioni alla stregua della disciplina eccezionale, surrettiziamente utilizzata alla stregua della Legge n. 203 del 2001 in materia di criminalità organizzata, mentre avrebbe dovuto essere applicata quella ordinaria, più garantista dei diritti del cittadino, dettata dagli artt. 266 e segg. c.p.p..

2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione dall'obbligo di motivare in relazione alla ricorrenza dei sufficienti indizi di reato ex art. 13 D.L. n. 151/1991 convertito con la Legge n. 203/2001, con la conseguenza che sarebbero inutilizzabili i risultati non solo delle prime operazioni di intercettazione, ma anche i risultati di quelle successive alle prime.

Del resto, sostiene il ricorrente, nello stesso decreto autorizzativo del 13/12/2001, il G.I.P., motivando la sussistenza dei sufficienti indizi in ordine al delitto di associazione di tipo mafioso, si è limitato ad un incongruo rinvio per relationem alle informazioni date dalla polizia giudiziaria con le note del 29/6/2001 e del 6/12/2001, senza svolgere alcun vaglio critico in ordine al contenuto delle medesime, frutto essenzialmente di informazioni confidenziali.

3. La terza doglianza riguarda la violazione degli artt. 268, comma 3, e 271 c.p.p, per la ragione che le operazioni captatorie sarebbero state eseguite presso la sala di ascolto del Commissariato di P.S. di Taormina e non presso gli uffici della Procura della Repubblica sulla scorta di decreti di esecuzione del P.M., carenti di motivazione in ordine ai presupposti richiesti dall'art. 268, comma 3, c.p.p. ed, in particolare, in ordine al requisito delle eccezionali ragioni di urgenza, essendosi il P.M., proprio su tale requisito, limitato ad un mero riferimento al provvedimento autorizzatorio del G.I.P. e, a loro volta, i giudici del riesame erroneamente espressi, in controtendenza rispetto all'orientamento giurisprudenziale condiviso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 919 del 2004, nel senso che il requisito di urgenza sia in re ipsa quando si verte in materia di criminalità organizzata, e che, in concreto, legittimo sia stato, ai fini della motivazione sulle eccezionali ragioni di urgenza, il solo richiamo da parte del P.M. alla motivazione del provvedimento autorizzativo del G.I.P..

Trattandosi di questione ritenuta rilevante ai fini della decisione, il ricorrente solleva, in via subordinata, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 268, comma 3, c.p.p., per contrasto con i principi dettati negli artt. 3 comma 2, 13, 24 comma 2 e 111 della Carta costituzionale, nella parte in cui sembrerebbe consentire al P.M., nei procedimenti relativi a reati di criminalità organizzata, di omettere nel decreto di esecuzione delle operazioni di intercettazione la motivazione in ordine alla ricorrenza delle eccezionali ragioni di urgenza, al fine di giustificare l'utilizzo di impianti diversi da quelli della Procura della Repubblica.

4. Il quarto motivo ripropone l'eccezione di nullità dell'ordinanza di custodia cautelare, per avere il G.I.P. omesso di valutare la posizione processuale del singolo indagato in relazione alla sussistenza delle concrete esigenze cautelari, affermate invece genericamente per tutti gli associati.

Avendo i giudici del riesame rigettato l'eccezione, facendo ricorso al potere di integrazione della motivazione del provvedimento del primo giudice, ma non riuscendo asseritamente nell'opera di completamento della denunciata carenza, il ricorrente solleva, in via subordinata, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 292, comma 2, c.p.p., per presunto contrasto con gli stessi parametri costituzionali sopra indicati, nella parte in cui sembrerebbe autorizzare il giudice cautelare, in sede di applicazione di una misura custodiale in procedimenti relativi a reati di criminalità organizzata, di omettere la motivazione in ordine alla concreta e specifica sussistenza delle esigenze cautelari con riferimento alla posizione processuale del singolo indagato.

5. Con il quinto ed ultimo mezzo di impugnazione, infine, il ricorrente lamenta l'erronea applicazione delle norme di legge ed il vizio di illogicità della motivazione nella parte in cui i giudici del riesame, nel confermare la avversata partecipazione dell'indagato alla contestata associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, avrebbero indicato quali gravi indizi di colpevolezza quelli desumibili dai singoli reati-fine, cioè da elementi equivoci, in quanto rilevanti eventualmente solo ai fini della probabilità di colpevolezza in ordine al reato di cui all'art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990, non attinenti però all'elemento oggettivo della struttura organizzativa del delitto associativo.

Il ricorso non appare al Collegio meritevole di accoglimento e ne va disposto, quindi, il rigetto, con le conseguenze di legge per quanto concerne il pagamento delle spese del procedimento. In riferimento al primo mezzo di impugnazione, va ritenuta giuridicamente corretta la motivazione adottata dal Tribunale del Riesame di Messina per respingere l'eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche autorizzate con decreto in data 13/12/2001 dal GIP. presso il Tribunale di quella città.

Ciò perchè la valutazione di sufficienza giudiziaria è stata compiuta dal giudice del merito e, poi, da quello dell'impugnazione, in aderenza al valido principio giuridico affermato dalle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione (v. Sez Un. 21/6/2000, ric. Primavera e altri), secondo cui, in ipotesi di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, come quella contestata all'odierno ricorrente, sono da ritenere idonee ad integrare il requisito della sufficienza degli indizi di reato (e non di colpevolezza) ex art. 13 D.L. n. 151/1991 convertito con Legge n. 203/2001, le informazioni legittimamente acquisite dagli organi di polizia giudiziaria, riferite al P.M. e da questo poste a fondamento della richiesta di autorizzazione alle intercettazioni. Nella fattispecie, il requisito della sufficienza degli indizi di reato è stato desunto dal contenuto delle note informative del Commissariato di P.S. di Taormina del 29/6/2001 e del 6/12/2001, espunte da esso, come è stato precisato, le notizie riferite da una fonte confidenziale, riconosciute espressamente non essere utilizzabili proprio per il divieto posto dalle vigenti disposizioni di cui agli artt. 203 e 273, commi 1 bis, c.p.p., introdotte con la Legge n. 63/2001. Trattasi delle stesse disposizioni di legge che il ricorrente ora assume essere state disapplicate, mentre, invece, è testuale nel provvedimento impugnato l'esclusione della utilizzazione della notizia di natura confidenziale ai fini della ricognizione positiva dei presupposti legali per autorizzare le intercettazioni telefoniche.

Il che equivale a dire che l'eccezione riproposta nel ricorso è destituita di fondamento, anche se si voglia, come intende il ricorrente, perseverare nella contestazione che nemmeno gli ulteriori elementi di indagine riferiti nelle suddette note del Commissariato di P.S. soddisfino a pieno, per la natura asseritamente congetturale dei medesimi, i presupposti per procedere alle intercettazioni alla stregua della disciplina prevista per i reati in materia di criminalità organizzata. In proposito, a confutazione delle tesi contrarie proposte nel ricorso, è da osservare:

- innanzitutto, che il reato associativo contestato al ricorrente (art. 74 DPR. n. 309 del 1990 e non art. 416 bis c.p.) rientra nel novero di quelli che legittimano il ricorso alla disciplina eccezionale prevista dalla citata Legge n. 203 del 2001;

- in secondo luogo, che la rilevanza degli elementi di indagine, ritenuti utilizzabili ai fini della integrazione dei presupposti di legittimità delle intercettazioni telefoniche disposte dal G.I.P., è stata congruamente motivata dai giudici del riesame con il richiamo agli episodi storici e agli accadimenti processuali ritenuti più sintomatici dell'esistenza della struttura associativa coinvolta nel narcotraffico, in collegamento con consorterie di stampo mafioso operanti nella zona compresa tra Catania e Taormina: quanto basta per ritenere - come è stato esaustivamente evidenziato dai medesimi giudici - ai soli fini della legittimità delle intercettazioni, integrata la sufficienza degli indizi del contestato reato associativo, al di là della riferibilità soggettiva di questo all'odierno ricorrente, non richiesta però dalla legge citata;

- in terzo luogo, che la valutazione degli elementi utilizzati ai fini predetti, protesi alla rappresentazione di fatti delittuosi inerenti anche allo spaccio delle sostanze stupefacenti e di personaggi gravitanti nel mondo della criminalità organizzata che in quei fatti apparivano coinvolti, rientra nella competenza esclusiva del giudice di merito e che l'intervento del giudice di legittimità sul provvedimento restrittivo della libertà personale può essere determinato solo dalla mancanza o manifesta illogicità della motivazione, la quale, nella fattispecie, risulta invece essere stata basata sui contenuti concreti e specifici dell'accusa, sulle circostanze e sui fatti significativi delle ipotesi delittuose contestate, sicchè il giudice del riesame ha avuto la possibilità di effettuare il controllo sulla gravita degli indizi e sulla rilevanza e concludenza degli elementi posti a base delle affermate esigenze cautelari, da salvaguardare in relazione al caso concreto;

- in quarto luogo, che la prospettazione di una diversa e per il ricorrente più favorevole valutazione del quadro indiziario delineato dal Tribunale del riesame, alla quale sostanzialmente è proteso il ricorso, non tiene conto che non può costituire vizio, che comporti controllo di legittimità, opporre alla valutazione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, dato che in quest'ultima ipotesi verrebbe inevitabilmente invasa l'area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito. Le suesposte argomentazioni sono pertinenti anche al secondo mezzo di impugnazione, con il quale il ricorrente ha inteso, scendendo però nel merito della valutazione degli elementi indiziari, sottoporre a critica la motivazione adottata ai fini della ritenuta ricorrenza dei sufficienti indizi di reato ex art. 13 D.L. n. 151/1991convertito con Legge n. 203/2001.

Può solo aggiungersi che, ai suddetti fini, corretto appare al Collegio il rinvio per relationem, operato da parte del giudice di merito, alle note del Commissariato di P.S. contenenti l'esposizione dettagliata dei fatti sintomatici della configurabilità delle ipotesi di reato contestate, posto che la motivazione "per relationem" di un provvedimento giudiziale è da considerare legittima quando, come nel caso in esame, faccia riferimento, anche di semplice rinvio, ad un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; l'atto di riferimento, quando non venga trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall'interessato o almeno ostensibile.

In riferimento alla terza doglianza, premesso che, nel caso di specie, il P.M. ha disposto che le operazioni captative venissero compiute presso gli impianti installati nel Commissariato di P.S. di Taormina in considerazione della indispensabile necessità di integrare costantemente l'attività tecnica con adeguati servizi di osservazione, controllo e pedinamento, ritiene il Collegio che tale motivazione sia corretta e congrua non solo ai fini della specificazione della ragione della insufficienza o della inidoneità degli impianti della Procura della Repubblica, ritenuti dal P.M. inadeguati rispetto all'esigenza di non creare ritardi nella complessa e indilazionabile azione investigativa complementare a quella tecnica di captazione, ma anche ai fini della indicazione delle eccezionali ragioni di urgenza legittimanti il ricorso ad impianti alternativi rispetto a quelli esistenti presso la Procura della Repubblica, ritenute insite nella necessità di acquisire con sollecitudine elementi utili alle indagini aventi ad oggetto l'azione criminale in corso di svolgimento dell'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

E' orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte, infatti, che, in tema di operazioni di intercettazione telefonica od ambientale, il requisito della inidoneità od insufficienza degli impianti, previsto dall'art. 268, comma 3, c.p.p. quale condizione legittimante l'utilizzazione di impianti diversi da quelli installati presso gli uffici della Procura della Repubblica, riguarda non solo i problemi tecnici delle apparecchiature, ma anche la loro insufficienza od inadeguatezza rispetto alla specifica indagine probatoria ed alla necessità di acquisire, con sollecitudine, eventuali elementi utili alle indagini.

E' noto, del resto, anche il principio affermato con sentenza n. 919 del 2004 dalle Sezioni Unite Penali secondo cui è legittimo il decreto del P.M. che dispone, ricorrendone i presupposti a norma dell'art. 268, comma 3, ult. parte, c.p.p., il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria, quando sia motivato per relationem al provvedimento autorizzativo del giudice, e dalla motivazione di tale ultimo provvedimento emergano anche quelle eccezionali ragioni di urgenza giustificative del ricorso agli impianti di captazione alternativi.

Tali principi giuridici depongono, di per sè stessi - a prescindere dalla considerazione che nella fattispecie la motivazione è stata adottata direttamente dal P.M. nel suo decreto esecutivo delle operazioni captative già autorizzate dal GIP - per la manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 268, comma 3, c.p.p., posto che l'interpretazione che di tale norma intende profilare, per di più in forma dubitativa, il ricorrente è in netto contrasto con quella accreditata dalla giurisprudenza di legittimità, la quale esige nel decreto del P.M. di esecuzione delle operazioni di intercettazione la motivazione in ordine alla ricorrenza delle eccezionali ragioni di urgenza, al fine di giustificare l'utilizzo di impianti diversi da quelli della Procura della Repubblica, ammettendo soltanto la motivazione per relationem nel rispetto di specifiche condizioni.

La trattazione del quarto e del quinto motivo di impugnazione è opportuna per la omogeneità delle questioni in esse proposte e delle soluzioni giuridiche che ad esse si attagliano. Invero, la doglianza attinente all'esercizio del potere del giudice del riesame di integrare la motivazione del provvedimento cautelare asseritamente carente sulla sussistenza delle esigenze cautelari riferite alla posizione processuale del ricorrente è manifestamente infondata, posto che il coordinamento fra il disposto dell'art. 292, comma 2, lett. c) e c bis) e quello dell'art. 309, comma 9, c.p.p., consente di affermare che al Tribunale del Riesame deve essere riconosciuto il ruolo di giudice collegiale e di merito sulla vicenda de liberiate, onde allo stesso non è demandata tanto la valutazione della legittimità dell'atto, quanto la cognizione della vicenda sottostante e, quindi, primariamente la soluzione del contrasto sostanziale tra la libertà del singolo e la necessità coercitiva, con la conseguenza che la dichiarazione di nullità dell'ordinanza impositiva deve essere relegata a ultima ratto delle determinazioni adottabili; che tale nullità, invero, può essere dichiarata solo ove il provvedimento custodiale sia mancante di motivazione in senso grafico ovvero ove, pur esistendo una motivazione, essa si risolva in clausole di stile, onde non sia possibile, interpretando e valutando l'intero contesto, individuare le esigenze cautelari il cui soddisfacimento si persegue (in tal senso: Sez. Un., ric. Primavera ed altri; Sez 6, ric. Iadadi N.).

Nella fattispecie, il principio giuridico sopra enunciato è stato applicato correttamente dal giudice del riesame, in quanto la motivazione adottata dal giudice di merito era affetta da vizio di incompletezza, emendabile dal giudice dell'impugnazione, il quale, pertanto, legittimamente esercitando il potere di integrazione della motivazione, l'ha resa puntuale in riferimento alla prospettata insufficienza delle concrete esigenze cautelari ravvisate nel provvedimento custodiale nei confronti del Chisari.

Lo stesso principio giuridico, peraltro, rende manifesta anche l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento alla norma di cui al richamato art. 292, comma 2, c.p.p., dal momento che l'interpretazione che di tale disposizione intende profilare, ancora in forma dubitativa, il ricorrente è in netto contrasto con quella accreditata dalla giurisprudenza di legittimità sopra indicata.

Per quanto concerne la doglianza circa l'erronea valutazione da parte dei giudici di merito sulla gravita degli indizi di reità in ordine al reato associativo contestato al ricorrente e sulle esigenze cautelari concretamente individuate nei confronti del predetto, va replicato che correttamente è stata a tali fini desunta la partecipazione del Chisari al reato di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti da una serie di condotte significative che, complessivamente valutate, denotano, con il grado di probabilità richiesto dalla fase cautelare, il suo organico inserimento nella struttura criminosa a carattere associativo, operante nel territorio di Giardini-Naxos e zone limitrofe, al cui vertice si pone Cipolla Maurizio, in continuo contatto con gli altri indagati, e tra essi il Chisari, il quale risultava averlo supportato per molto tempo nell'attività di spaccio della cocaina e, in particolare, in quella di reperimento degli acquirenti di detta sostanza drogante, nella consapevolezza di agire nell'ambito di quella organizzazione criminosa.

Altrettanto corretta appare la valutazione da parte del giudice del riesame, nell'esercizio legittimo del potere di integrazione della motivazione, delle esigenze cautelari riferite alla posizione del Chisari, avendo persuasivamente dedotto il pericolo di reiterazione della sua condotta criminosa dalla protrazione per molti mesi della attività di spaccio della cocaina, tagliata peraltro in modo approssimativo, con conseguente aggiuntivo danno per la salute degli acquirenti che, suo tramite, la acquistavano.

Può, in conclusione, solo ribadirsi la considerazione giuridica, già enunciata, che la prospettazione di una diversa e per il ricorrente più favorevole valutazione del quadro degli indizi e delle esigenze cautelari delineato dal Tribunale del riesame, alla quale sostanzialmente è proteso il ricorso del Chisari, non tiene conto che non può costituire vizio, che comporti controllo di legittimità, opporre alla votazione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica, dato che in quest'ultima ipotesi verrebbe inevitabilmente invasa l'area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito.

P.Q.M.
Dichiara manifestamente infondate le dedotte questioni di legittimità costituzionale. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2004.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2004