Home
Lo studio
Risorse
Contatti
Lo studio

Decisioni

Misura cautelare non deve essere scorciatoia indebita (Cass. 13080/11)

29 marzo 2011, Cassazione penale

La custodia cautelare rappresenta in sè l'unica cautela che garantisce (in grandissima misura) il rischio della fuga dell'imputato, ma siffatta soluzione rappresenta indebita scorciatoia, nel momento in cui esime il giudice dalla delicata analisi prognostica che deve svilupparsi nel rispetto del sistema processuale in tema di limitazione della libertà dell'imputato.

Analisi che, per la situazione oggetto di considerazione, il legislatore ha rivestito di singolari precauzioni e di correlativi pesanti oneri giustificativi, cadenzati da connotazione di straordinarietà.

Il rischio di fuga deve profilarsi con ragionevole probabilità (e non soltanto mera possibilità), in ragione di attuali e concreti profili comportamentali.

 

 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Sent., (data ud. 02/02/2011) 29/03/2011, n. 13080

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATO Alfonso - Presidente

Dott. MARASCA Gennaro - Consigliere

Dott. SANDRELLI Giangiacomo - Consigliere

Dott. PALLA Stefano - Consigliere

Dott. SABEONE Gerardo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

difesa di T.C., nato il (OMISSIS);

Avverso l'Ordinanza del Tribunale della Libertà di Milano del 27.9.2010;

sentita la Relazione svolta dal Cons. Dr. Gian Giacomo Sandrelli;

sentite le Requisitorie del PG. (nella persona del Cons. Dr. Vito Monetti) che chiesto rigettarsi il ricorso;

Udito il difensore avv. BGP e avv. FS

Svolgimento del processo

Il Procuratore Generale ha avanzato istanza di applicazione della misura cautelare carceraria con istanza del 14.7.2010, ai sensi dell'art. 307 c.p.p., all'indomani della pesante condanna inflitta all'imputato, quale responsabile di aggiotaggio per manipolazione informativa ed altro. Egli segnalava il pericolo di reiterazione di analoghe condotte criminose (attese le modalità di commissione dei fatti, della rete dei collegamenti internazionali situazioni che gli hanno consentito di giovarsi di appoggi in ogni dove) ed elevato il pericolo di fuga, in ragione dell'elevatezza delle pene che è ragionevole presumere discendere da imminenti condanne.

La Corte d'Appello milanese ha respinto la richiesta con Ordinanza del 19.7.2010 escludendo, per ciò che trae alla reiterazione delle condotte illecite, l'attuale esistenza della rete di appoggi, la caduta del sistema industriale su cui fondava l'azione del T. che è da tempo dichiarato in istato di insolvenza. Per il profilo del pericolo di fuga, ha sottolineato il lungo periodo di tempo dal quale egli riacquistò la libertà, senza mostrare intento di fuga.

Avverso l'Ordinanza ha proposto appello il medesimo Procuratore Generale.

Il Tribunale del Riesame di Milano, con Ordinanza 27.9.2010, in riforma dei Ordinanza 19.7.2010 della Corte d'Appello di Milano, ha applicato a T.C. la misura cautelare carceraria, ritenendo la ricorrenza di eccezionali ragioni cautelari (disposizione sospesa ex art. 310 c.p.p.).

Il T. era stato fermato a seguito della prime indagini che avevano accertato manifestazioni vistose della sua insolvenza ed appurato l'infedeltà delle sue comunicazioni al mercato mobiliare.

Il fermo era stato convalidato il 30.12.2003 dal Tribunale di Milano che gli applicava la misura cautelare carceraria e dichiarava la propria incompetenza a favore dell'AG. di Parma, Quest'ultima riemetteva la misura cautelare.

In data 9.3.2004 era collocato agli arresti domiciliari ed il 26.9.2004 era scarcerato per decorrenza dei termini.

Contemporaneamente egli era condannato dal Tribunale di Milano con sentenza 18.12.2008 per aggiotaggio, condanna che è stata confermata dalla Corte d'Appello di Milano del 26.5.2010.

Lamenta la difesa del ricorrente l'illogicità della motivazione con cui è stata riscontrata la sussistenza delle esigenze cautelari con riferimento al concreto pericolo di fuga, avendo i giudici trascurato la concretezza del rischio ed essendosi ancorati alla mera possibilità di siffatto evento, anzichè alla probabilità dello stesso;

l'illogicità concernente la motivazione relativa alla scelta della misura cautelare, dovendosi ritenere la carcerazione extrema ratio e, dunque, rinvenire premesse di eccezionale rilevanza.

Motivi della decisione

Il provvedimento è stato emesso ai sensi dell'art. 307 c.p.p., comma 2, che prevede la misura cautelare soltanto quando ricorra l'esigenza connessa al pericolo di fuga (di cui all'art. 274 c.p.p., comma 1, lett. b).

Racchiusa in questi ambiti la fattispecie processuale, risultano inutili e fuorvianti le osservazioni concernenti le ulteriori ipotesi di esigenza cautelare dettate dall'art. 274 c.p.p. e, segnatamente, quella della commissione di possibilità di delitti della stessa specie (lett. c).

L'attenta e pur meditata Ordinanza, qui impugnata, assolve indubbiamente all'onere giustificativo sulla ricorrenza delle premesse che legittimano l'applicazione di una misura cautelare che scongiuri il rischio paventato, in vista della definizione del processo di merito.

Le obiezioni difensive non possono scalfire quello che è stato ritenuto, ormai tralaticiamente da questa Corte, il corredo dei presupposti che legittimano la scelta di "anticipare" un esito che il PM. ritiene probabile e che verrebbe frustrato dalla possibile fuga dell'imputato e che il provvedimento oggetto di ricorso puntualmente (anzi, puntigliosamente) enuncia:

"Ai fini del ripristino, determinato da sopravvenuta condanna, della custodia cautelare nei confronti di imputato scarcerato per decorrenza dei termini, la sussistenza del pericolo di fuga non può essere ritenuta nè sulla base della presunzione, ove configurabile, di sussistenza delle esigenze cautelari stabilita dall'art. 275 c.p.p., comma 3, nè per la sola gravità della pena inflitta con la sentenza, che è soltanto uno degli elementi sintomatici per la prognosi da formulare al riguardo, la quale va condotta non in astratto, e quindi in relazione a parametri di carattere generale, bensì in concreto, e perciò con riferimento ad elementi e circostanze attinenti al soggetto, idonei a definire, nel caso specifico, non la certezza, ma la probabilità che lo stesso faccia perdere le sue tracce (personalità, tendenza a delinquere e a sottrarsi ai rigori della legge, pregresso comportamento, abitudini di vita, frequentazioni, natura delle imputazioni, entità della pena presumibile o concretamente inflitta), senza che sia necessaria l'attualità di suoi specifici comportamenti indirizzati alla fuga o a anche solo a un tentativo iniziale di fuga" (Cass. Sez. Un., 11 luglio 2001 Litteri ed altro, CED Cass. 219600).

Il giudizio è stato calato, correttamente, al caso di specie ed alla inconsueta storia criminale del giudicabile (tenendo, peraltro, presente che quest'ultima è metro appropriato per la commisurazione della pena, più che per l'apprezzamento della prognosi di sottrazione alla medesima), ed è stato articolato con argomenti che questo giudice non può ulteriormente valutare, trattandosi di apprezzamenti ragionevoli, plausibili e strettamente aderenti alla soluzione dei quesiti posti dalla fattispecie.

Cosi la distanza di tempo dalla scarcerazione, senza alcun dimostrato tentativo di sottrarsi ai propri obblighi, non può essere vagliato diversamente, a fronte dell'obiettivo rischio di prossima carcerazione per nuova (e definitiva) condanna.

Il Collegio, al contrario, ritiene necessariamente meritevole di maggiore valutazione la scelta della misura da adottarsi alla luce del tessuto normativo vigente.

E' dato evidente che la custodia cautelare rappresenta in sè l'unica cautela che garantisce (in grandissima misura) il rischio della fuga dell'imputato, ma siffatta soluzione rappresenta indebita scorciatoia, nel momento in cui esime il giudice dalla delicata analisi prognostica che deve svilupparsi nel rispetto del sistema processuale in tema di limitazione della libertà dell'imputato.

Analisi che, per la situazione oggetto di considerazione, il legislatore ha rivestito di singolari precauzioni e di correlativi pesanti oneri giustificativi. Invero, il codice di rito pretende che 'la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata (art. 275, comma 3) ed, ulteriormente, circoscrive siffatta opzione ponendo un espresso divieto al riguardo ("non può essere disposta la custodia cautelare un carcere ...."), addebitando al giudice un severo onere giustificativo cadenzato da connotazione di straordinarietà: "salvo che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza".

Per quanto dianzi osservato, è chiaro che le esigenze non sono quelle della reiterazione di condotte illecite, ma soltanto quelle connesse al rischio di fuga, rischio che - insegnano le Sezioni Unite - deve profilarsi con ragionevole probabilità (e non soltanto mera possibilità), in ragione di attuali e concreti profili comportamentali.

E', del pari, importante rammentare che la disposizione in esame altera le naturali cadenze processuali con un'"anticipazione" dell'esecuzione ad un momento antecedente alla conclusione del processo penale: profilo che impone due ulteriori considerazioni.

La prima tende a ribadire l'eccezionalità che deve rivestire la decisione giudiziale, la seconda rammenta che la scelta della carcerazione cautelare consente di applicare all'imputato un regime che non è allineato sulle medesime conseguenze e sui profilijgfopri u" della sanzione inflitta in sede esecutiva. E, dunque, è pur sempre dovere del giudice che rende il provvedimento cautelare, ancorchè emesso al termine della fase processuale della cognizione, accertare se "ogni altra misura risulti inadeguata" (art. 275 c.p.p., comma 3).

Invece, l'Ordinanza impugnata non esplora la possibilità di misure alternative ed, astrattamente, più consone all'età del prevenuto, accedendo - quasi fosse l'unica possibile opzione (salvo un apodittico cenno che l'"etero controllo" può essere assicurato soltanto dalla restrizione detentiva, rilievo che, come sopra osservato, rasenta l'inconsistenza per la sua estensibilità ad ogni situazione cautelare) - alla più drastica detenzione carceraria.

Il giudice della cautela non si è espresso sull'efficacia delle ipotesi di cui all'art. 281 c.p.p. e ss., ovvero sull'utilità di ascrivere all'organo di polizia il controllo sui movimenti dell'imputato, in via di prevenzione rispetto al rischio della sottrazione alla sanzione irroganda.

Analisi che si imponeva come essenziale, al cospetto dei profili, indubbiamente peculiari di questa fattispecie, affacciati dalla difesa (e fatti propri anche dalla Corte territoriale) che vertono sul lungo periodo di libertà goduto dal T. e sull'assenza di concreta ed attuale volontà di espatrio (attestata dalla restituzione del proprio passaporto).

Argomenti che, con notazione che ragionevolmente asseveri il convincimento - evidentemente sotteso all'opinione del Tribunale del riesame - che tale condotta sia unicamente mirata ad una callida e preordinata manovra per incettare fiducia, da tradire al momento opportuno, possano rendere adeguata motivazione al drastico assunto giudiziale.

Pertanto, la lacuna argomentativa impone un nuovo esame dell'Ordinanza impugnata.

P.Q.M.

Annulla l'Ordinanza impugnata, con rinvio, per nuovo esame, al Tribunale di Milano.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 marzo 2011