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Minimi tariffari nelle professioni intellettuali (Cass. 20428/2018)

2 agosto 2018, Cassazione civile

Nella disciplina delle professioni intellettuali, il compenso va determinato in base alla tariffa, e adeguato all’importanza dell’opera, solo ove non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’art. 2233 c.c. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di sua determinazione, attribuendo rilevanza, in primo luogo, alla convenzione intervenuta fra le parti e poi, esclusivamente in mancanza di quest’ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice, mentre non operano i criteri di cui all’art. 36, comma 1, Cost., applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato 

La violazione dei precetti normativi che impongono l’inderogabilità dei minimi tariffari non importa la nullità, ex art. 1418, comma 1, c.c., del patto in deroga, in quanto trattasi di precetti non riferibili a un interesse generale, cioè dell’intera collettività, ma solo a un interesse della categoria professionale.

Il primato della fonte contrattuale induce a ritenere che il compenso spettante al professionista, ancorché elemento naturale del contratto di prestazione d’opera intellettuale, sia liberamente determinabile dalle parti e possa anche formare oggetto di rinuncia da parte del professionista, salva l’esistenza di specifiche norme proibitive.

 

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 14 marzo – 2 agosto 2018, n. 20428
Presidente D’Ascola – Relatore Grasso

 

Fatti di causa

1. - Con decreto n. 448/01, notificato il 24 aprile 2001, il Presidente del Tribunale di Perugia ingiungeva alla Regione Umbria il pagamento della somma di lire 102.249.472, oltre interessi legali e rivalutazione sino al saldo, per il mancato pagamento degli onorari dovuti dalla Regione allo Studio Tecnico Ingegneri L.C. e F.O. . Avverso tale decreto ingiuntivo, la Regione Umbria proponeva opposizione.
Il Tribunale di Perugia, con sentenza depositata 11 luglio 2008, accogliendo, per quanto di ragione, l’opposizione, condannava l’amministrazione a versare allo Studio Tecnico Ingegneri L.C. e F.O. la somma di Euro 52.807,44 oltre interessi e spese legali.
2. - Avverso tale pronuncia proponeva impugnazione la Regione Umbria.
La Corte d’appello di Perugia, con sentenza depositata il 14 novembre 2012, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato la Regione Umbria al pagamento, in favore dello Studio Tecnico, della somma di Euro 6.414,65 oltre accessori. Ha, inoltre, condannato gli appellati in solido al pagamento delle spese del primo e del secondo grado di giudizio, compensandole nella misura di 1/10.
3. - Per la cassazione della decisione della corte d’appello lo Studio Tecnico Ingegneri L.G. e F.O. in liquidazione ha proposto ricorso sulla base di otto motivi.
La Regione Umbria si è costituita con controricorso.

Ragioni della decisione

1. - Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., dell’art. 24 Costituzione e dell’art. 183 c.p.c., nel testo vigente nel 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
Parte ricorrente, al riguardo, evidenzia che l’atto d’appello della Regione avrebbe introdotto, quali motivi a sostegno dell’impugnazione, argomentazioni, circostanze e eccezioni nuove e diverse da quelle formulate nell’atto di citazione in opposizione (la menzione della determinazione dirigenziale n. 2572 del 14/7/1999 non depositata; la circostanza che in base alla stessa "...il calcolo della parcella è stato determinato direttamente dall’appaltatore..."; la limitazione della applicazione del principio di inderogabilità dei minimi tariffari; la possibilità che le spese possano restare a carico dell’appaltatore). In questo modo l’appellante avrebbe alterato i termini della controversia, introducendo un nuovo tema di indagine e di decisione.
1.1. - Il motivo è infondato.
L’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo a un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’opposto, che assume la posizione sostanziale di attore, mentre l’opponente, che riveste la posizione sostanziale di convenuto, ha l’onere di contestare il diritto azionato con il ricorso, facendo valere l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l’esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto (Cass. 3 febbraio 2006, n. 2421).
Le eccezioni vietate in appello, ai sensi dell’art. 345, comma 2, c.p.c., sono soltanto quelle in senso proprio, ovvero "non rilevabili d’ufficio", e non, indiscriminatamente, tutte le difese, comunque svolte dalle parti per resistere alle pretese o alle eccezioni di controparte, potendo i fatti su cui esse si basano e risultanti dalle acquisizioni processuali essere rilevati d’ufficio dal giudice alla stregua delle eccezioni "in senso lato" o "improprie" (Cass. 20 marzo 2017, n. 7107). Il divieto non riguarda, peraltro, le contestazioni, in fatto e in diritto, che non comportino deduzione di fatti distinti rispetto a quelli già appartenenti alla causa.
Nel caso di specie, la corte d’appello ha escluso che l’impugnazione abbia violato il divieto di nuove eccezioni, in quanto sin dall’atto di opposizione in prime cure la regione Umbria aveva sostenuto tutti gli argomenti oggetto della successiva impugnazione.
La determinazione dirigenziale è stata inoltre menzionata dalla regione Umbria in primo grado e prodotta unitamente al ricorso per decreto ingiuntivo.
In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, stante la mancanza di autonomia tra il procedimento che si apre con il deposito del ricorso monitorio e quello che originato dall’opposizione ex art. 645 c.p.c., i documenti allegati al ricorso suddetto, rimasti a disposizione della controparte, agli effetti dell’art. 638, comma 3, c.p.c., ed esposti, pertanto, al contraddittorio tra le parti, benché non prodotti nella fase di opposizione nel termine di cui all’art. 184 c.p.c. (nella formulazione applicabile ratione temporis), non possono essere considerati "nuovi", sicché, ove depositati nel giudizio di appello, devono essere ritenuti ammissibili, non soggiacendo la loro produzione alla preclusione di cui l’art. 345, comma 3, c.p.c. (nel testo introdotto dall’art. 52 della l. n. 353 del 1990) (Cass. 4 aprile 2017, n. 8693).
La corte d’appello, inoltre, ha specificato che il mancato riferimento nell’opposizione all’atto presupposto (determinazione dirigenziale di affidamento dell’incarico) rispetto al contratto non ha alcun valore al fine della determinazione delle tariffe che le parti hanno consensualmente stabilitò nel contratto medesimo.
Le questioni concernenti la limitazione del principio di inderogabilità dei minimi tariffari e l’aspetto dei rischi propri del contratto d’appalto emergono dagli scritti difensivi in primo grado.
1.2. - La doglianza concernente il vizio di motivazione, del tutto genericamente formulata, non può essere ricondotta alla nuova previsione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012 conv. con la legge n. 134 del 2012, per cui è denunciabile in cassazione solo l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il vizio motivazionale previsto dal n. 5) dell’art. 360 c.p.c., pertanto, presuppone la totale pretermissione di uno specifico fatto storico.
2. - Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c..
Parte ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Perugia, ha ritenuto i motivi d’appello sufficientemente specificati, respingendo l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione proposta. In particolare, si sottolinea che la Regione Umbria non avrebbe avanzato censure puntuali e specifiche, idonee a confutare l’iter logico giuridico seguito dal giudice di prime cure, in base al quale la fattispecie concreta è regolata dalla legge n. 109 del 1994, come modificata dalla legge n. 415 del 1998, e in particolare il compenso deve essere determinato ai sensi dell’art. 17, comma 14 ter e quater, che sancisce la nullità di ogni patto contrario.
2.1. - Il motivo è inammissibile.
Quando, con il ricorso per cassazione, venga dedotto un error in procedendo, il sindacato del giudicè di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (Cass. 21 aprile 2016, n. 8069; Cass., Sez. Un., 22 maggio 2012, n. 8077).
L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, tuttavia, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di puntualizzare - a pena di inammissibilità - il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso (Cass. 29 settembre 2017, n. 22880).
Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di ammissibilità di un motivo di appello, ha l’onere di menzionare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice d’appello e non sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice; non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne in ricorso per cassazione il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa mancanza di specificità.
Nel caso di specie sono stati del tutto omessi i richiami al contenuto dell’atto di appello.
2.2. - La doglianza concernente il vizio di motivazione, del tutto genericamente formulata, non può essere ricondotta alla nuova previsione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.
3. - Con il terzo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa- applicazione dell’art 342 c.p.c. in relazione all’art 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art 360, comma 1, n. 5, c.p.c. In ricorso si evidenzia che la sentenza del Tribunale di Perugia n. 723/08, resa in data il 4/2-1/7/2008, era passata in giudicato per decorrenza dei termini stabiliti ex lege per la valida proposizione dell’appello, termini ormai scaduti da diversi mesi al momento della costituzione nel giudizio di secondo grado dell’attuale ricorrente.
3.1. - Il motivo è infondato.
Al di là dell’erroneo richiamo all’articolo 342 c.p.c., che disciplina la forma dell’atto l’appello e non i termini per la sua proposizione, il gravame risulta essere stato tempestivamente proposto, essendo stata la sentenza del tribunale depositata in data 1 luglio 2008 e non notificata; l’atto d’appello è stato presentato alla notifica l’8 settembre 2009 e lo stesso giorno notificato alla controparte, nel rispetto del termine che comprende la sospensione feriale e che può operare due volte, nell’ipotesi in cui, come nella specie, dopo una prima sospensione il termine annuale non sia decorso interamente al sopraggiungere del successivo periodo (Cass. 29 settembre 2009, n. 20817).
3.2. - La doglianza concernente il vizio di motivazione, del tutto genericamente formulata, non può essere ricondotta alla nuova previsione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., come dinanzi specificato.
4. - Con il quarto motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 14 bis, ter e quater legge 11 febbraio 1994, n. 109, come modificata dalla legge 18 novembre 1998, n. 415, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1; n. 5 c.p.c.
Secondo quanto dedotto, la Corte d’appello di Perugia avrebbe omesso di valutare la portata della legge n. 109 del 1994, come modificata dalla legge n. 415 del 1998, e la sua applicazione al caso concreto, riformando senza alcuna motivazione la sentenza di primo grado e basando la propria decisione esclusivamente sull’esame della legge 5 maggio 1976, n. 340 e della legge 1 luglio 1977, n. 404. L’iter logico argomentativo seguito risulterebbe palesemente erroneo e contrario alle disposizioni di legge. La legge 109/94, come modificata dalla legge 415/98, normativa in materia di pubblici appalti successiva a quella applicata dalla corte d’appello, a tutela di un interesse pubblico, prevede espressamente la nullità di qualsiasi regolamentazione diversa dai "minimi inderogabili" ex art. 17, comma 14 ter, ed è tesa a evitare la deroga all’applicazione dei minimi tariffari. Secondo quanto argomentato, la volontà delle parti era quella di rinviare alla fonte legislativa e l’unica norma applicabile al caso concreto era l’art. 17, comma 14 ter, legge n. 109 del 1994 come modificata dalla legge n. 415 del 1998. I principi normativi applicabili alla stessa gara, alla procedura di affidamento lavori e al contratto, ivi compresi, quindi, quelli per la determinazione del compenso sarebbero stati stabiliti per esplicita volontà della Regione dell’Umbria, che aveva curato il bando per l’affidamento dell’incarico ai sensi dell’art. 17, comma 1 lettere d), e) e g) della legge n. 415 del 1998.
Con il quinto motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 14 bis, ter e quater legge n. 109 del 1994, come modificata dalla legge n. 415 del 1998, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. Secondo partè ricorrente, nel rispetto di quanto stabilito dalla legge n. 109 del 1994, lo studio tecnico aveva eseguito l’incarico in diverse fasi di progettazione successive l’una all’altra, previste allo scopo di consentire alla Regione di valutare in diversi stadi il costo delle opere da realizzare e, di conseguenza, quello del compenso spettante al professionista. Tale valore è quello su cui deve essere calcolata la parcella secondo quanto stabilito dalla legge in materia (art. 17, commi 14 ter e quater, legge n. 109 del 1994, come modificata dalla legge n. 415 del 1998) e fatto oggetto della volontà delle parti nell’art. 4 del contratto.
Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 14 bis, ter e quater legge n. 109 del 1994 come modificata dalla legge n. 415 del 1998 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. Il giudice del gravame, in violazione delle norme indicate e in contrasto con il contenuto della delibera regionale del 29 settembre 1999 n. 1400, non avrebbe tenuto conto della circostanza che la giunta regionale aveva approvato non solo lo schema di contratto, ma anche la cifra numerica indicata nello stesso e che era stata concordata con lo studio tecnico la percentuale di sconto stabilita nella misura del 10% e, quindi, nel rispetto dell’art. 4, comma 12 bis, del d.l. n. 65/1989 (convertito in legge n. 155 del 1989), norma che sancisce unicamente la percentuale massima di sconto fissandola nel 20%.
Con il settimo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. La sentenza non avrebbe tenuto conto del fatto che l’art. 4 della scrittura privata del 18 ottobre 1999 ha recepito le disposizioni in quel momento vigenti in materia di pubblici appalti e precisamente l’art. 17 comma 14 ter legge n. 109 del 1994, come modificata dalla legge n. 415 del 1998.
Con l’ottavo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli arti. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. La mancata corrispondenza tra la sentenza della corte d’appello e i principi di legge vigenti al momento della sottoscrizione della scrittura privata del 18 ottobre 1999 inficia anche il capo che ha disposto la condanna dello Studio Tecnico Ingegneri L.G. e F.O. in liquidazione al pagamento delle spese processuali del primo e del secondo grado.
4.1. - Va innanzitutto esaminato il quarto motivo.
Esso è fondato.
4.2. - Nella disciplina delle professioni intellettuali, il compenso va determinato in base alla tariffa, e adeguato all’importanza dell’opera, solo ove non sia stato liberamente pattuito, in quanto l’art. 2233 c.c. pone una garanzia di carattere preferenziale tra i vari criteri di sua determinazione, attribuendo rilevanza, in primo luogo, alla convenzione intervenuta fra le parti e poi, esclusivamente in mancanza di quest’ultima, e in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice, mentre non operano i criteri di cui all’art. 36, comma 1, Cost., applicabili solo ai rapporti di lavoro subordinato (Cass. 5 ottobre 2009, n. 21235).
La violazione dei precetti normativi che impongono l’inderogabilità dei minimi tariffari non importa la nullità, ex art. 1418, comma 1, c.c., del patto in deroga, in quanto trattasi di precetti non riferibili a un interesse generale, cioè dell’intera collettività, ma solo a un interesse della categoria professionale (Cass. 25 gennaio 2017, n. 1900; Cass. 11 agosto 2011, n. 17222; Cass. 5 ottobre 2009, n. 21235; Cass. 28 gennaio 2003, n. 1223; Cass. 9 ottobre 1998, n. 10064).
Il primato della fonte contrattuale, pertanto, induce a ritenere che il compenso spettante al professionista, ancorché elemento naturale del contratto di prestazione d’opera intellettuale, sia liberamente determinabile dalle parti e possa anche formare oggetto di rinuncia da parte del professionista, salva l’esistenza di specifiche norme proibitive, che possono derivare soltanto da leggi formali o da altri atti aventi forza di legge riguardanti gli ordinamenti professionali (Cass. 29 gennaio 2003, n. 1317; Cass. 11 aprile 1996, n. 3401), le quali limitando il potere di autonomia delle parti, rendano indisponibile il diritto al compenso per la prestazione professionale e vincolante la determinazione del compenso stesso in base a tariffe.
4.3. - Riguardo alla tariffa degli architetti e degli ingegneri, il secondo comma dell’articolo unico della legge 4 marzo 1958, n. 143, aggiunto dall’articolo unico della legge 5 maggio 1976, n. 340, stabilisce che "i minimi di tariffa per gli onorari a vacazione, a percentuale ed a quantità, fissati dalla legge 2 marzo 1949, n. 143, o stabiliti secondo il disposto della presente legge, sono inderogabili. L’inderogabilità non si applica agli onorari a discrezione per le prestazioni di cui all’art. 5 del testo unico approvato con la citata legge 2 marzo 1949, n. 143".
L’art. 6, comma 1, della legge 1 luglio 1977, n. 404, interpretando autenticamente l’articolo unico della legge n. 340 del 1976 ne aveva limitato l’applicazione ai rapporti intercorrenti tra privati, introducendo nei commi successivi limiti ai compensi massimi per i casi d’incarichi di progettazione conferiti dallo Stato o da un altro ente pubblico a più professionisti per una stessa opera.
Il principio di inderogabilità dei minimi tariffari degli architetti e degli ingegneri è stato dunque inteso dalla giurisprudenza di legittimità come applicabile soltanto ai rapporti intercorrenti tra privati (Cass. 27 giugno 2011, n. 14187; Cass. 28 gennaio 2003 n. 1223; Cass. 19 luglio 2001 n. 9806; Cass. 26 gennaio 2000 n. 863; Cass. 30 agosto 1995 n. 9155), escludendo i rapporti tra la pubblica amministrazione e il professionista esterno.
Tale giurisprudenza, tuttavia, si è formata in relazione a ricorsi relativi a fattispecie precedenti alla l. n. 109 del 1994, come modificata dalla l. n. 415 del 1998 (c.d. legge Merloni), con cui il legislatore aveva reintrodotto, anche per la pubblica amministrazione, il principio di inderogabilità dei minimi tariffari, con espressa comminatoria di nullità dei patti contrari (v. Cass. 11 agosto 2009, n. 18223).
L’art. 17 della l. n. 109 del 1994 - nel testo all’epoca vigente prima dell’entrata in vigore del d.l. 4 luglio 2006 n. 223, conv. nella l. 4 agosto 2006 n. 248, c.d. decreto Bersani che ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali "dalla data di entrata in vigore" della legge stessa (art. 2) - dopo aver espressamente separato gli incarichi di progettazione da ogni altra attività esecutiva degli stessi, vietandone l’attribuzione allo stesso professionista, ha stabilito specifici meccanismi di calcolo dei relativi compensi devoluti a decreti da emanare dal Ministro della giustizia in concerto con quello delle strutture o dei lavori pubblici e ne ha dichiarato l’inderogabilità con espressa comminatoria di nullità dei patti contrari (con l’eccezione soltanto della riduzione del 20% dei minimi tariffari per la realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico con onere a carico dello Stato e degli altri enti pubblici di cui al comma 12-bis dell’art. 4 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 65, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 1989, n. 155).
La convenzione intervenuta tra le parti cade - ratione temporis - sotto l’applicazione della c.d. legge Merloni.
La corte d’appello, pertanto, dovrà verificare se siano stati rispettati i minimi tariffari, nella specie inderogabili, con riferimento alle prestazioni oggetto del contratto e se le opere realizzate siano conformi a quanto pattuito.
5. - Per effetto dell’accoglimento del quarto mezzo, restano assorbite le ulteriori censure articolate in ricorso.
6. - La sentenza impugnata è cassata. La causa deve essere rinviata, per un nuovo esame, alla Corte d’appello di Perugia, che la deciderà in diversa composizione.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quarto e dichiara assorbito l’esame dei restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Perugia in diversa composizione.