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Malato di AIDS trasmette al partner inconsapevole il virus: lesioni gravissime (Cass. 6911/23)

16 febbraio 2023, Cassazione penale

la formula "al di là di ogni ragionevole dubbio", che impone di pronunciare condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana: indimostrati altri rapporti sessuali, siccome negati dalla persna offesa, sussite il nesso cauale con la trasmissione del virus HIV.

E' sufficiente a provare il dolo eventuale il fatto che l'agente, pienamente consapevole di essere portatore del virus, abbia ciononostante ripetutamente consumato rapporti sessuali non protetti, senza avvisare il partner del proprio stato.

Cassazione penale

sez. V, ud. 23 novembre 2022 (dep. 17 febbraio 2023), n. 6911
Presidente Pistorelli – Relatore Cananzi

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Genova, con la sentenza emessa in data 11 maggio 2021, riformava parzialmente la sentenza del Tribunale di La Spezia, subordinando la sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale e confermando nel resto la responsabilità penale di B.A. , in relazione al delitto di lesioni personali gravissime in continuazione, ai sensi degli artt. 81 cpv., 582, 583, comma 2, n. 1 c.p., "per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, consumato ripetuti rapporti sessuali con A.G. , con la consapevolezza di essere affetto da virus HIV e sottacendo tale circostanza al medesimo, accettando, in tal modo, il rischio del contagio e delle conseguenti lesioni personali e per avere, con tale comportamento, trasmesso il predetto virus all'A. , che si ammalava di AIDS, malattia certamente insanabile; accaduto alla (omissis) , dal 2002 all'ottobre 2012".

2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di B.A. consta di due motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p.

3. Il primo motivo deduce violazione degli artt. 40 e 43 c.p.

La Corte di appello avrebbe errato nel qualificare come dolo eventuale, e non colpa cosciente, l'elemento soggettivo della condotta in contestazione, in violazione dei principi affermati da Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261105 - 01.

Il motivo di censura rileva come difetti la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, che B. abbia agito nonostante avesse certezza del verificarsi dell'evento. Sul punto la Corte territoriale avrebbe ritenuto sufficienti, errando, la circostanza che l'imputato fosse affetto da Aids, la lunga relazione, con incontri a volte senza precauzioni, l'assenza di prova circa l'esistenza di rapporti di A. con partners occasionali. In ciò non esplorando tale ultima circostanza e le esigenze economiche di quest'ultimo, onerando erroneamente della prova relativa l'imputato.

4. Il secondo motivo deduce vizio di motivazione per illogicità in ordine alla affermazione di colpevolezza dell'imputato.

Il motivo lamenta come la Corte di appello non abbia valutato autonomamente, limitandosi a un richiamo per relationem, quindi con motivazione apparente, i motivi di impugnazione, anche in tema di nesso di causalità, oltre che in tema di dolo.

Inoltre, aderendo alla sentenza di primo grado, la Corte di appello avrebbe fatto propria la relativa motivazione, ritenuta illogica, non rispondendo al motivo che rappresentava come più correttamente la condotta di B. fosse frutto di un "malgoverno del rischio ovvero di una inadeguatezza rispetto al dovere precauzionale" difettando la prova della direzione della volontà verso la realizzazione dell'evento.

5. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte - ai sensi del D.L. 127 del 2020 art. 23 comma 8, - con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, essendo il ricorso versato in fatto, senza dedurre travisamento della prova, ma limitandosi ad affermare circostanze non emergenti dalle sentenze di merito.

6. Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi del dl. n. 137 del 2020 art. 23, comma 8, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell'art. 7, comma 1, D.L. n. 105 del 2021.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.

2. Il primo e il secondo motivo, strettamente connessi, vanno trattati unitariamente, in quanto afferenti all'elemento psicologico del reato e al nesso causale.

2.1 Va evidenziato da subito come le due sentenze di merito possano integrare nel caso in esame la cd. doppia conforme, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, in quanto la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595 - 01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 12/04/2012, Valerio, Rv. 252615 - 01). E bene, il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile (Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997 - dep. 05/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145).

2.2 In particolare la Corte di appello ha certamente richiamato la sentenza di primo grado, condividendone il contenuto quanto ai profili afferenti l'elemento soggettivo e il nesso causale, ma non si è limitata a un richiamo per relationem -tale da integrare la motivazione apparente, come lamenta il ricorrente -rappresentando invece come l'imputato, consapevole della gravità della patologia e della possibilità di trasmetterla al partner, abbia intrattenuto una lunga relazione senza avvertirlo dei pericoli e senza le opportune precauzioni, per quanto riferito dalla persona offesa, che ha anche narrato come i rapporti sessuali non erano sempre ‘protettì e che dovette procurarsi personalmente i preservativi perché l'imputato insisteva ad avere rapporti non protetti.

La Corte territoriale richiama direttamente, a riprova della autonomia della decisione, parte della deposizione di A., dalla quale emergono altre pratiche sessuali, per le quali la protezione non sarebbe stata comunque decisiva, oltre a risultare che A. utilizzasse anche oggetti personali di B. , come il rasoio da barba, senza che quest'ultimo lo avvisasse del pericolo.

Pertanto la sentenza ora impugnata si integra con quella di primo grado che aveva chiarito come i rapporti sessuali, dal 2002 al 2008, quando B. ospitava A. per tre-quattro mesi all'anno, erano intervenuti "un giorno si e un giorno no" e la relazione si era protatta ulteriormente, anche dopo che A. si trasferì in provincia di (omissis) dal 2008 fino al 2012, anno nel quale scoprì di aver contratto il virus HIV.

La Corte territoriale, quanto al nesso causale, conferma le ragioni già esposte dal Tribunale ribadendo come risultino indimostrati i rapporti di A. con altri partner occasionali, come anche esclusa l'ipotesi del contagio in relazione all'intervento chirurgico relativo alla deviazione del setto nasale. In tal modo valuta i motivi di appello, che contestavano la ricostruzione fattuale, non sottraendosi al dovere motivazionale, anzi evidenziando come il tema delle ipotesi alternative delle cause del contagio per A. sia rimasto assolutamente ipotetico.

Nè, secondo la Corte territoriale, avrebbe valore decisivo la circostanza che A. non fu contagiato anche da epatite e sifilide, ulteriori patologie che affliggevano l'imputato.

2.3 Quanto al nesso causale, la Corte territoriale e il Tribunale al fol. 5 della sentenza di primo grado, accertata la compatibilità della condotta decennale tenuta come causa del contagio, rilevano come per escludere il nesso causale occorrerebbe la dimostrazione dell'esistenza di altre fonti di contagio, non rinvenute ma solo astrattamente riferite.

A riguardo la Corte territoriale fa buon governo della regola di giudizio compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio", che impone di pronunciare condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (ex multis Sez. 2, n. 2548/15 del 19 dicembre 2014, Pg in proc. Segura, Rv. 262280).

Naturalmente il dubbio deve essere "ragionevole"; tale non è quello che si fonda su un'ipotesi alternativa del tutto congetturale e priva di qualsiasi conferma e la ragionevolezza non può che risultare dalla motivazione, atteso che un dubbio non motivato è già di per sé "non ragionevole" (Sez. 4 n. 48320 del 12 novembre 2009, Durante, Rv.245879).

E pertanto le plurime ipotesi alternative formulate dalla difesa nel caso in esame risultano sfornite di elementi concreti.

La giurisprudenza di legittimità in tema di nesso causale, in presenza di patologie riconducibili a più fattori causali diversi e alternativi tra loro, ha ritenuto che l'applicazione della regola di giudizio compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio", di cui all'art. 533 c.p.p., consente di pronunciare condanna a condizione che, in base al dato probatorio acquisito, la realizzazione dell'ipotesi alternativa, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. 4, n. 48541 del 19/06/2018, Castelli, Rv. 274358 - 01; conf. N. 41110 del 2011 Rv. 251507 01, N. 11197 del 2012 Rv. 252153 - 01, N. 2548 del 2015 Rv. 262280 - 01, N. 48320 del 2009 Rv. 245879 - 01, N. 16715 del 2018 Rv. 273097 - 01).

In tal senso, la sentenza impugnata chiarisce come non vi fossero elementi concreti tratti dalle emergenze processuali che potessero sostenere una concreta ipotesi alternativa quanto al nesso di causalità.

Neanche la circostanza che A. non sia stato contagiato da sifilide e epatite costituiva, per il consulente nominato dal pubblico ministero, un indice decisivo della assenza di connessione causale fra la condotta di B. e l'infezione contratta da A. (sul punto fol. 5 della sentenza di appello)

Per altro, la fonte di prova primaria è la persona offesa, che ha escluso di avere avuto rapporti con altri partner, senza avere avuto una concreta smentita. D'altro canto, va ricordato, che le regole dettate dall'art. 192, comma 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012 - dep. 24/10/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214; in motivazione la Corte ha altresì precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi). E oltre al riscontro logico tratto dall'esito della consulenza tecnica medico legale, che afferma la compatibilità della condotta decennale con l'infezione, lo stesso imputato non contesta la versione di A., ma anzi la conferma, ammettendo di non aver mai rivelato a A. di essere affetto da HIV (fol. 2 della sentenza di primo grado).

Pertanto, quanto al nesso di causalità, il ricorso è manifestamente infondato.

2.4 Quanto all'elemento soggettivo, la Corte di appello evidenzia come sia comprovato il dolo eventuale del delitto di lesioni personali gravissime e non la colpa cosciente.

Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale non avrebbe parametrato la decisione a Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261104 - 01.

A ben vedere, invece, pur senza citare esplicitamente i criteri fissati dalle Sezioni Unite, con motivazione logica e appropriata, la Corte territoriale agli stessi si rifà, argomentando sulla prova sufficiente del dolo eventuale tratta dalla durata della relazione in assenza di alcun avviso da parte del B. a A. riguardo al rischio di contagio e allo stato di immunodeficienza da HIV del primo, senza adottare sempre le prescritte precauzioni, anzi consentendo l'uso di oggetti personali, come il rasoio, o di pratiche sessuali non suscettibili di facile protezione.

Il ricorrente richiama i principi di diritto formulati da Sez. U, Espenhahn, per le quali il dolo eventuale ricorre quando l'agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell'evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l'eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l'evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi; ricorre invece la colpa cosciente quando la volontà dell'agente non è diretta verso l'evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l'evento illecito, si astiene dall'agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo.

Per distinguere fra colpa cosciente e dolo eventuale Sez. U. Espenhahn chiariscono anche quali siano gli indicatori, chiedendo che l'indagine giudiziaria, volta a ricostruire riter" e l'esito del processo decisionale, li verifichi in relazione al caso concreto.

La condotta di B. , come emergente dalle sentenze di merito, pur senza una esplicita (nè necessaria) citazione, viene a tali parametri ricondotta, a cominciare dall'indicatore della lontananza della condotta tenuta da quella doverosa: la Corte territoriale rileva come l'imputato avesse avuto rapporti sessuali non protetti, e altri non suscettibili di protezione, consentendo anche all'uso del rasoio da parte della persona offesa, senza mai informare A. della patologia della quale era affetto: quindi così teneva una condotta lontana da quella doverosa.

Quanto alla personalità e alle pregresse esperienze dell'agente, nonché alla consapevolezza della probabilità di verificazione dell'evento come conseguenza della condotta, la Corte di appello rileva come B. fosse affetto da HIV fin dal 1994 e assumeva farmaci, pertanto, aveva l'esperienza e consapevolezza della malattia fin da otto anni prima dell'inizio della relazione con A., nonché, conseguentemente, delle cautele a prendersi.

Quanto alla durata e alla ripetizione dell'azione: la Corte territoriale rileva come la relazione sentimentale e i rapporti sessuali si protrassero dal 2002 al 2012 e, nel periodo della convivenza di tre-quattro mesi all'anno dal 2002 al 2008, i rapporti erano "un giorno si e un giorno no", proseguendo anche successivamente, per complessivi dieci anni: osservano Sez. U. Espenhahn, come solo "Un comportamento repentino, impulsivo, accredita l'ipotesi di un'insufficiente ponderazione di certe conseguenze illecite. In generale la bravata e l'atto compiuto d'impulso in uno stato emotivo alterato indiziano un atteggiamento di grave imprudenza piuttosto che la volontaria accettazione della possibilità che si verifichino eventi sinistri. Per contro, una condotta lungamente protratta, studiata, ponderata, basata su una completa ed esatta conoscenza e comprensione dei fatti, apre realisticamente alla concreta ipotesi che vi sia stata previsione ed accettazione delle conseguenze lesive".

Quanto al comportamento successivo al fatto, B. ha ammesso che mai nulla riferì ad A. in ordine alla patologia della quale era affetto, negando, per quanto affermato dalla persona offesa, anche quando A., ormai in cura, insospettito, gli chiese a riguardo (sentenza di primo grado, fol. 7).

Quanto agli ultimi indicatori indicati dalle Sezioni Unite nel fine della condotta e nella compatibilità con esso delle conseguenze collaterali, cioè la congruenza del "prezzo" connesso all'evento non direttamente voluto rispetto al progetto d'azione nonché nella possibilità di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l'agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell'evento (cosiddetta prima formula di Frank), va osservato come emerga dalla sentenza impugnata che B. avesse voluto avere rapporti a qualunque costo, anche in assenza di protezione e anche rapporti del tipo non suscettibile di protezione, come rileva la Corte di appello al fol. 5 richiamando le trascrizioni al fol. 35, circostanze queste neanche contestate dal ricorrente. Aveva pertanto non solo previsto l'evento ma anche voluto lo stesso nei termini indicati da Sez. U, Espenhahn: "Ciò che è di decisivo rilievo è che nella scelta d'azione sia ravvisabile una consapevole presa di posizione di adesione all'evento, che consenta di scorgervi un atteggiamento ragionevolmente assimilabile alla volontà, sebbene da essa distinto: una volontà indiretta o per analogia, si potrebbe dire. In questo risiede propriamente la rimproverabilità, la colpevolezza dell'atteggiamento interno che si denomina dolo eventuale".

D'altro canto, nella declinazione specifica relativa alle lesioni gravissime da contagio per HIV, la Corte di appello si muove in piena sintonia con l'orientamento di legittimità, maturato anche dopo le citate Sez. U. Espenhahn, che - cfr. Sez. 5, Sentenza n. 34139 del 21/05/2019, C., Rv. 277023 - 01- ritiene sufficiente a provare il dolo eventuale il fatto che l'agente, pienamente consapevole di essere portatore del virus, abbia ciononostante ripetutamente consumato rapporti sessuali non protetti, senza avvisare il partner del proprio stato. In tale fattispecie la Corte ha precisato come la risalente diagnosi di malattia con prescrizione di retrovirali escludesse, nel caso di specie, la possibilità di inquadrare l'imputato come "uomo della strada", inconsapevole del rischio di trasmissione sessuale del virus.

Anche nel caso in esame emerge come B. non fosse un "uomo della strada", ignaro della malattia e delle forme di trasmissione, in quanto affetto da HIV da otto anni prima dell'inizio della relazione sentimentale con la persona offesa.

In sostanza il Tribunale prima, la Corte di appello poi, logicamente ravvisano il dolo eventuale e non un malgoverno del rischio, consistito in negligenza, imperizia o trascuratezza, proprie della colpa cosciente, in ragione delle plurime descritte condotte, oltre che per la durata non breve della relazione.

E pertanto correttamente la Corte territoriale ha ritenuto il dolo eventuale sussistente, e non la colpa cosciente, perché l'agente non solo si è rappresentato il concreto rischio del verificarsi dell'evento ma lo ha anche accettato, nel senso che si è determinato ad agire anche a costo di cagionarlo (Sez. 5, n. 44712 del 17/09/2008, Dell'Olio, Rv. 242610 - 01, in applicazione di questo principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità, a titolo di dolo, per il reato di lesioni personali gravissime, di una donna che, consapevole di essere affetta da sindrome di HIV, aveva, ciò nonostante, intrattenuto per lunghi anni rapporti sessuali con il proprio partner, senza avvertirlo del pericolo e così finendo per trasmettergli il virus della suddetta malattia).

Ne consegue l'infondatezza anche del presente motivo.

3. Pertanto il ricorso va complessivamente rigettato, con condanna alle spese processuali del ricorrente.

4. D'ufficio va disposto l'oscuramento dei dati personali, attesa la necessità prevista dal D.Lgs. n. 196 del 2003 art. 52, comma 2, di predisporre tale misura a tutela dei diritti e della dignità degli interessati.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento andranno omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003 art. 52 in quanto imposto dalla legge.