Il vizio del gioco di azzardo può risolversi in una ludopatia e costituire un disturbo della personalità, come confermato, nel caso in esame, dalle valutazioni dei periti e reso palese dal carattere eclatante delle condotte dell'imputato.
Tuttavia, per essere riconosciuto quale vizio totale o parziale di mente, rilevante ex artt. 85,88 e 89 cod. pen., un disturbo della personalità deve presentarsi con consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale la condotta risulti causalmente determinata dal disturbo mentale. Pertanto, nessun rilievo, ai fini dell'imputabilità, può essere attribuito a anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di «infermità».
Corte di cassazione
sez. VI penale, ud. 12 marzo 2024 - deposito 29 maggio 2024, n. 21065
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 2 maggio 2023 la Corte d'appello di Palermo ha confermato la condanna inflitta ex artt. 81, comma secondo, e 314 cod. pen., dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Agrigento a C.S., direttore dell'Ufficio postale di Agrigento-Centro, perché — avendo, per ragioni del suo ufficio, la disponibilità di somme depositate sul libretto di deposito giudiziario-Registro Fondo Unico Giustizia e accedendo al sistema informatico dell'ufficio postale mediante il proprio identificativo e con codici fiscali di ignoti presentatori della richiesta di pagamento delle somme ivi depositate — si era appropriato di oltre 368.217,80 euro dal gennaio 2013 al febbraio 2015.
2. Nel ricorso presentato dal difensore di ** si chiede l'annullamento della sentenza.
2.1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione della legge e vizio della motivazione, per avere escluso il vizio di mente, meramente recependo la sentenza di primo grado (in cui si riconosce che le condotte dell'imputato erano effetto della sua, seppur lieve, ludopatia), senza vagliare i motivi di appello relativi alla gravità del disturbo che lo affligge e all'esistenza del nesso di causalità che lo lega al reato, come riconosciuto dal perito nominato nel procedimento di appello, e trascurando che delle somme delle quali l'imputato si è appropriato soltanto una minor parte (8.556,23 euro) fu impiegata per fini personali (pagamento delle tasse), mentre la restante gran parte è stata destinata al gioco.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deducono vizio della motivazione e travisamento della prova, perché la sentenza impugnata si limita a recepire l'opinione dei periti, senza valutare che la ludopatia è una incapacità di resistere all'impulso di giocare d'azzardo e di fare scommesse che non mira al guadagno ma all'eccitazione e all'appagamento che derivano dal gioco. Si osserva che la ludopatia, riconosciuta come patologia nel DSM V (Manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali), è inserita dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, nella classificazione internazionale delle malattie (ICD-11), fra i disturbi del controllo degli impulsi che possono incidere sulla capacità di intendere e di volere del soggetto. Si contesta che il disturbo che affligge ** possa definirsi lieve e si osserva che già al momento del fatto egli ne era affetto in una misura così grave da potersi considerare causa del reato e espressione di una patologia psichiatrica maggiore. Si evidenzia che la Corte d'appello ha trascurato che il perito nominato nel secondo grado di giudizio ha definito l'imputato come soggetto che «a partire dal 2011 ha presentato l'esordio del disturbo e negli anni successivi ha agito con i comportamenti contestati al fine di procurarsi il denaro per continuare a giocare».
Per dimostrare che ** non agì per appropriarsi del denaro ma per utilizzarlo come mezzo per soddisfare le esigenze connesse alla sua ludopatia, nel ricorso si rimarca che egli destinò al gioco non soltanto circa 360.000 euro delle somme di cui si era appropriato ma anche (come documentato) le vincite conseguite (159.466 euro) e altre somme (100.00 euro) derivanti da prestiti personali per oltre 630.000 euro, senza acquistare (neanche per interposta persona) beni immobili o mobili registrati e senza neanche estinguere il mutuo (ancora pendente) di 80.000 euro relativo all'acquisto della sua casa di abitazione.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce inosservanza degli artt. 88 e 89 cod. pen., per avere escluso che il disturbo di ** possa rientrare nel concetto di infermità e per aver affermato che la capacità di intendere non può scindersi da quella di volere, sicché non può riconoscersi un vizio di mente se resta integra la prima.
2.4. Con il quarto motivo del ricorso, si deduce vizio della motivazione nel rigettare il motivo di appello relativo alla eccessività della pena (della quale non è stata esplicitata la misura di base), assai superiore alla media edittale, limitandosi a rilevarne la congruità in relazione alla entità del danno.
Considerato in diritto
1. I primi tre motivi di ricorso possono essere trattati unitariamente e sono infondati.
La Corte d'appello ha considerato che il perito psichiatra nominato nel secondo grado di giudizio ha concluso che «non vi è alcun dubbio che la genesi del comportamento delittuoso risultava direttamente riconducibile al disturbo da gioco d'azzardo». Tuttavia, al contempo, ha valutato anche quanto dallo stesso perito osservato: «** ha sempre dimostrato di essere consapevole che il proprio comportamento durante il gioco d'azzardo era disadattivo ma malgrado la piena consapevolezza ha continuato a giocare procurandosi il denaro necessario con agiti congrui, accedendo al sistema informatico dell'ufficio, con un comportamento organizzato, articolato, lucido e soprattutto finalizzato al raggiungimento di un vantaggio secondario di natura economica, utile a finanziare il gioco (...) ha continuato a ricoprire adeguatamente il ruolo lavorativo e gli impegni familiari dimostrando un valido funzionamento mentale e cognitivo (...) la sottrazione delle somme di denaro dei depositi giudiziari è stata sempre contraddistinta da un agito preciso ed organizzato, finalizzato e mai disorganizzato».
Su questa base, ha recepito il giudizio del perito nominato nel secondo grado di giudizio — che risulta in linea con quello del perito nominato nel primo grado di giudizio — riconoscendo che le azioni dell'imputato furono mosse dalla sua ludopatia, ma che comunque, egli agì con piena consapevolezza e sempre con la capacità di decidere se commettere il reato o meno.
Su queste stesse basi, ha disatteso le prospettazioni del consulente della difesa circa la gravità della ludopatia, ritenendo di escluderla per la lucidità mantenuta da ** durante tutto il periodo della sua condotta illecita (risulta, peraltro, che l'imputato utilizzò una parte delle somme di cui si appropriò non per il gioco ma per pagare imposte da lui dovute).
Va ribadito che l'accertamento della capacità di intendere e di volere dell'imputato costituisce questione di fatto la cui valutazione compete al giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità se esaurientemente motivata, anche con il solo richiamo alle valutazioni delle perizie, se immune da vizi logici e conforme ai criteri scientifici di tipo clinico e valutativo (Sez. 1, n. 11897 del 18/05/2018, dep. 2019, P., Rv. 276170).
2. Il vizio del gioco di azzardo può risolversi in una ludopatia e costituire un disturbo della personalità (Sez. 6, n. 33463 del 10/05/2018, Cirri, Rv. 273793; Sez. 1, n. 52951 del 25/06/2014, Guidi, Rv. 261339; Sez. 2, n. 24535 del 22/05/2012, Bonadio, Rv. 253079), come confermato, nel caso in esame, dalle valutazioni dei periti e reso palese dal carattere eclatante delle condotte dell'imputato.
Tuttavia, per essere riconosciuto quale vizio totale o parziale di mente, rilevante ex artt. 85,88 e 89 cod. pen., un disturbo della personalità deve presentarsi con consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale la condotta risulti causalmente determinata dal disturbo mentale. Pertanto, nessun rilievo, ai fini dell'imputabilità, può essere attribuito a anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di «infermità» (Sez. U, n. 9163 del 25/01/2005, Raso, Rv. 230317).
3. Invece, nel caso in esame, non irragionevolmente la Corte di appello ha evidenziato che le modalità delle condotte di ** palesano che egli agì con una piena capacità di intendere quel che egli andava compiendo e di progettare la commissione dei suoi atti.
Quel che specificamente si assume nel terzo motivo di ricorso è che, nella vicenda in esame, nell'imputato era gravemente compromessa la capacità di volere, nel senso di capacità di frenare le sollecitazioni endopsichiche che lo inducevano a appropriarsi di denaro per spenderlo nel gioco d'azzardo, così da disvolere il soddisfacimento del suo impulso mediante una condotta illecita.
Va, al riguardo, ribadito che l'esistenza di un impulso a commettere una certa azione non basta a dimostrare che la capacità di volere sia venuta meno o comunque sia «grandemente» ridotta (art. 89 cod. pen.) e costituisce onere dell'interessato fornire specifici elementi di valutazione che possano dimostrare l'effetto cogente dell'impulso che lo mosse. L'assenza della capacità di volere può assumere rilevanza autonoma e decisiva - anche in presenza di una accertata capacità di intendere (e di comprendere il disvalore sociale della azione delittuosa) - se sussistono due essenziali e concorrenti condizioni: a) gli impulsi all'azione che l'agente percepì e riconobbe come giuridicamente riprovevole (in quanto dotato di capacità di intendere) furono di tale ampiezza e consistenza da vanificare la capacità di apprezzarne le conseguenze; b) ricorre un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato da uno specifico disturbo mentale che alteri non l'intendere, ma il solo volere dell'autore della condotta illecita (Sez. 5, n. 22659 del 08/03/2023, C., Rv. 284750; Sez. 6, n. 18458 del 05/04/2012, Bondì, Rv. 252686; Sez. 5, n. 8282 del 09/02/2006, Scarpinato, Rv. 233228).
Né - a differenza di quel che si prospetta nel ricorso - la Corte di appello ha escluso la possibilità di scindere la valutazione della capacità di intendere dalla valutazione della capacità di volere, perché ha puntualmente richiamato (p. 9) le osservazioni del perito nominato rilevando che, per quel che specificamente riguarda la capacità di volere dell'imputato, non emerge che il suo comportamento sia stato «influenzato dalla presenza di anomalie psicopatologiche maggiori (assenza di organizzazione mentale o bizzarrie comportamentali tipiche dei reati determinati da spinte psicotiche)».
4. Il quarto motivo di ricorso è infondato.
Il Giudice dell'udienza preliminare ha così determinato la pena: pena-base 6 anni di reclusione, ridotta a 4 anni di reclusione ex art. 62-bis cod. pen., aumentata a anni cinque e mesi sei di reclusione per la continuazione interna ex art. 81, comma 2, cod. pen. e ridotta a tre anni e otto mesi di reclusione per la scelta del rito abbreviato. Pertanto, risulta che la pena-base è stata determinata in misura di poco inferiore alla media della pena edittale vigente all'epoca dei fatti (da tre a dieci anni di reclusione), mentre le circostanze attenuanti generiche sono state riconosciute nella massima estensione per la esemplare condotta di vita precedente e per la ludopatia. In questo quadro, risulta sufficientemente motivata la sentenza impugnata che, nel confermare quella di primo grado, ha ritenuto congrua la pena «in considerazione dell'ingente danno cagionato da ** (oltre 400.000 euro)».
5. Dal rigetto del ricorso deriva, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.
Ne deriva, inoltre, la condanna alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Poste italiane s.p.a. da liquidarsi in complessi euro 3.686,00 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l'imputato, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Poste Italiane s.p.a. che liquida in complessi euro 3.686,00 oltre accessori di legge.
Dispone ex art. 52 d.lg. 30 giugno 2023 n. 196, che sia apposta, a cura della cancelleria, sull'originale del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, nel caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma l'identificazione delle generalità e degli altri dati indicativi degli interessati riportati nella sentenza.