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Liquidazione dell'onorario al difensori di ufficio (Cass. 3673/19)

7 febbraio 2019, Cassazione civile

Il difensore d’ufficio che abbia inutilmente esperito la procedura esecutiva, volta alla riscossione dell’onorario, ha diritto al rimborso dei compensi ad essa relativi in sede di liquidazione degli stessi da parte del giudice: non è necessaria però la prova della totale non abbienza o della completa impossidenza del patrocinato.

Il meccanismo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 116, non postula la non abbienza dell’imputato né presume la sua insolvibilità (e quindi il non recupero del credito), ma consiste in una anticipazione, da parte dello Stato, della somma liquidata dal giudice al difensore di ufficio, somma che lo Stato stesso è tenuto a recuperare nei confronti dell’assistito.

Corte di Cassazione

sez. VI Civile - 2, ordinanza 16 gennaio – 7 febbraio 2019, n. 3673
Presidente Lombardo – Relatore Orilia

Ritenuto in fatto

1 L’avvocato C.A. (già difensore di ufficio di imputata in procedimento penale) ricorre per cassazione contro l’ordinanza sfavorevole del Tribunale di Reggio Calabria (26.1.2018) sull’opposizione contro il decreto di rigetto della liquidazione del relativo compenso per l’attività professionale a suo tempo espletata dalla ricorrente.
Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese in questa sede.
Il relatore ha proposto l’accoglimento del ricorso per manifesta fondatezza.

Considerato in diritto

Con l’unico motivo di ricorso l’avvocato C. deduce la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 116 e 82, dolendosi del diniego del compenso per l’attività difensiva svolta quale difensore di ufficio. Rileva di avere dato prova, così come richiesto dal legislatore, di avere esperito un serio tentativo di recupero del credito nei confronti della propria assistita mettendo in esecuzione il decreto ingiuntivo ottenuto a conclusione dell’espletamento del mandato e critica la tesi del Tribunale secondo cui per ottenere la liquidazione del compenso da parte dello Stato il difensore di ufficio deve dare la prova della totale non abbienza o della completa impossidenza del patrocinato, in una sorta di probatio diabolica.

Il ricorso è manifestamente fondato.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, il difensore d’ufficio che abbia inutilmente esperito la procedura esecutiva, volta alla riscossione dell’onorario, ha diritto al rimborso dei compensi ad essa relativi in sede di liquidazione degli stessi da parte del giudice, ai sensi del combinato disposto dal D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 116, (tra le varie, v. 30484/2017; 15394/2012; 24104/2011; 27854/2011).

È stato altresì precisato che, poiché l’esperimento del procedimento monitorio costituisce un passaggio obbligato per poter chiedere la liquidazione dei compensi ai sensi del combinato disposto del cit. D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 116, i relativi costi, comprensivi di spese, diritti ed onorari, non debbono rimanere a carico del professionista, ma debbono rientrare nell’ambito di quelli che l’erario è tenuto a rimborsare a seguito del decreto di pagamento emesso dall’autorità giudiziaria; (b) proprio perché il decreto ingiuntivo non opposto rileva come mero fatto dimostrativo dell’infruttuoso esperimento delle procedure volte al recupero dei crediti professionali (laddove solo tra le parti esso può operare come statuizione avente forza di giudicato), i costi delle stesse devono essere autonomamente liquidati dall’autorità chiamata ad emettere il decreto di pagamento (così, Sez. 2, Sentenza n. 24104 del 2011 cit.; Cass. pen., Sez. 4, 14 gennaio 2008, n. 1630; Cass., pen., Sez. 4, 6 luglio 2009, n. 27473).
Nel caso di specie, lo stesso provvedimento impugnato dà atto che l’avvocato "ha....espletato inutilmente tutto l’iter procedimentale necessario per il recupero del credito professionale, mediante l’esperimento del procedimento monitorio esitato nell’emissione del decreto ingiuntivo non opposto e ha poi intimato atto di precetto...pur avendo proceduto in via esecutiva " e tanto basta per dare diritto al compenso da parte dello Stato, posto che - come già evidenziato nella proposta del relatore - nessuna norma di legge impone l’espletamento puntiglioso di tutte le attività pretese in successione dal Tribunale nella sua ordinanza ("non ha completato il pignoramento mobiliare attivato mediante l’accesso all’interno dell’immobile presso il quale l’imputato aveva eletto domicilio, per verificare la possibile esistenza di beni mobili utilmente pignorabili e non ha nemmeno allegato alcuna visura della conservatoria RRII..... ovvero del PRA.... di talché avrebbe potuto legittimamente inoltrare l’istanza di liquidazione....solo dopo che “esecuzione mobiliare si fosse rivelata infruttuosa, il soggetto fosse risultato privo di proprietà immobiliari....e non fossero note sue ragioni di credito, stipendio, contro corrente bancario, ecc. aggredibili nelle forme del pignoramento presso terzi”).
Infatti, il meccanismo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 116, non postula la non abbienza dell’imputato né presume la sua insolvibilità (e quindi il non recupero del credito), ma consiste in una anticipazione, da parte dello Stato, della somma liquidata dal giudice al difensore di ufficio, somma che lo Stato stesso è tenuto a recuperare nei confronti dell’assistito (v. Cass. pen. n. 46741/2007).
L’errore di diritto è palese, lesivo del diritto al compenso, e determina inevitabilmente la cassazione dell’ordinanza per nuovo esame alla stregua del citato principio.
Il giudice di rinvio, che si individua in altro magistrato del medesimo Tribunale, provvederà anche sulle spese del presente procedimento.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente procedimento al Tribunale di Reggio Calabria in persona di diverso magistrato.