Non è consentito il sequestro probatorio a fini meramente esplorativi, volto ad acquisire la notitia criminis: è però legittimo il sequestro fondato su fatti che lo giustificano sul piano razionale e rispetto ai quali è configurabile una notitia criminis, la cui effettiva sussistenza e consistenza può essere, tuttavia, definitivamente accertata solo attraverso atti invasivi.
E' legittimo il sequestro probatorio, emesso sulla base di una notitia criminis precedentemente acquisita, per accertare gli esatti termini della condotta denunciata o ipotizzata, al fine non solo di valutarne l'antigiuridicità ma anche la sua esatta qualificazione giuridica.
Non è consentito il sequestro di carte o documenti relativi all'oggetto della difesa, salvo che costituiscano "corpo del reato": non bsata quindi la mera utilità probatoria dell'oggetto del sequestro, perchè la legge per i sequestri presso i difensori esige un quid pluris che giustifichi l'interferenza nel rapporto professionale cliente/difensore, e cioè che l'atto o documento appreso costituisca, esso stesso, "corpo del reato".
Il provvedimento di perquisizione e sequestro non deve trasformarsi da strumento di ricerca della prova in strumento di ricerca della notitia criminis; di conseguenza in esso debbono essere individuati, almeno nelle linee essenziali, gli oggetti da sequestrare con riferimento a specifiche attività illecite, di modo che la perquisizione e il conseguente sequestro vengano eseguiti non già sulla base di semplici congetture, ma trovino giustificazione in concrete ipotesi di reato rinvenibili nei fatti addebitati e permettendo la verifica del nesso di pertinenzialità.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
(ud. 24/05/2018) 21-06-2018, n. 28721
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZAZA Carlo - Presidente -
Dott. SCOTTI Umberto L. - rel. Consigliere -
Dott. MORELLI Francesca - Consigliere -
Dott. BORRELLI Paola - Consigliere -
Dott. RICCARDI Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
V.C. nato a (OMISSIS);
avverso l'ordinanza del 20/03/2018 del TRIBUNALE LIBERTA' di TRENTO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI;
sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale Dr. FERDINANDO LIGNOLA che conclude per il rigetto;
udito il difensore, avv. MS del Foro di Trento, che espone alla Corte i motivi di gravame e insiste per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Il Tribunale di Trento, Sezione Riesame, con ordinanza ex art. 324 c.p.p. del 20-23/3/2018 ha rigettato il ricorso proposto dall'avv. V.C., indagata, tra gli altri con il rag. Vi.Ri., per il reato di cui all'art. 110 c.p. e L. Fall., art. 216 a seguito del fallimento della (OMISSIS) s.r.l., avverso il decreto di perquisizione locale informatica e sequestro del 5/3/2018 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trento.
2. Ha proposto ricorso l'avv. MS, difensore di fiducia dell'indagata, svolgendo tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell'art. 103 c.p.p., comma 2, per l'indebita esecuzione della perquisizione e del sequestro di atti e documenti relativi all'attività professionale e non costituenti corpo di reato (in particolare: una cartellina costituente fascicolo di studio relativo al processo penale 1124/17 r.g.n.r., l'agenda con l'annotazione degli impegni processuali; computer e cellulari).
Il ricorrente assume che, contrariamente a quanto osservato dal Tribunale, computer e cellulari non erano stati dissequestrati ma erano stati restituiti previa copiatura e nessun altro documento era stato restituito.
Solo in data 30/3/2018 - e quindi successivamente all'udienza camerale era stato restituito all'avv. V., come materiale non più necessario alle indagini, il notebook, l'agenda e il faldone del procedimento 1124/17 e quindi solo una parte dei documenti sequestrati risultanti dal verbale del 7/3/2018.
Era stato quindi violato l'art. 103 c.p.p., comma 2 poichè il sequestro aveva colpito una serie di atti e documenti inerenti l'attività professionale, non configurabili neppure astrattamente come corpo di reato, che attenevano a procedimenti giudiziari ancora pendenti per i quali l'avv. V. era titolare di mandato difensivo fiduciario.
L'avv. V. era infatti titolare di nomina di fiducia nel proc. r.g.n.r. 1124/2017 relativo agli stessi fatti di cui al procedimento r.g.n.r. 534/2018, di nomina quale difensore nel procedimento prefallimentare pendente avanti la Corte di appello di Trento relativo alla dichiarazione di fallimento della (OMISSIS) s.r.l..
Erano state sequestrate altresì corrispondenza professionale con terzi e pratiche di recupero crediti per conto della società fallita.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione dell'art. 103 c.p.p. per inosservanza delle garanzie difensive nei confronti dell'avvocato essendo stato sequestrato il fascicolo di studio relativo al procedimento nel quale l'avv. V. difendeva il sig. G., peraltro in relazione agli stessi fatti contestati anche all'indagata nel proc.534/2018.
Il sequestro era stato autorizzato solo con riferimento agli studi mentre era stato eseguito anche in luoghi diversi.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta mancanza assoluta o apparenza della motivazione, con riferimento alla rilevanza probatoria della documentazione sequestrata.
Il provvedimento autorizzativo del G.i.p. si riferiva all'accusa di aver fatto apparire l'esistenza di una trattativa con le banche in realtà insussistente: mancava del tutto l'indicazione dei fini perseguiti.
Il Tribunale non poteva limitarsi a prender atto della tesi accusatoria ma doveva espletare il controllo di legalità, verificando le difese addotte dall'indagato, mentre aveva integrato la motivazione inesistente con ulteriore profilo non risultante, neppure indirettamente, dal decreto di sequestro circa la ricerca di atti e documenti inerenti la fase precontrattuale, contrattuale ed esecutiva di pattuizioni simulate o fraudolente e falsificate nella data.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di censura per violazione di legge, il ricorrente si duole della violazione dell'art. 103 c.p.p. assumendo che il sequestro avesse colpito una serie di oggetti e documenti, non costituenti corpi di reato, attinenti all'attività professionale dell'avv. V..
1.1. L'art. 103 c.p.p., rubricato "Garanzie di libertà del difensore", nel suo comma 1, consente le ispezioni e le perquisizioni negli uffici dei difensori
a) quando essi o altre persone che svolgono stabilmente attività nello stesso ufficio sono imputati, limitatamente ai fini dell'accertamento del reato loro attribuito;
b) per rilevare tracce o altri effetti materiali del reato o per ricercare cose o persone specificamente predeterminate.
Il comma 2 dello stesso articolo vieta il sequestro di carte o documenti relativi all'oggetto della difesa presso i difensori, salvo che costituiscano corpo del reato.
Il comma 6 vieta parimenti il sequestro e ogni forma di controllo della corrispondenza tra l'imputato e il proprio difensore in quanto riconoscibile dalle prescritte indicazioni, salvo che l'autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato.
I risultati delle ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, eseguiti in violazione delle predette disposizioni, non possono essere utilizzati.
1.2. Il Tribunale ha affermato nel provvedimento impugnato, all'esito di udienza camerale del 20/3/2018 e depositato il 23/3/2018, che i computer e i cellulari erano stati dissequestrati prima dell'udienza e che il restante materiale, previa copiatura, sarebbe stato restituito entro due giorni.
Il ricorrente ha contestato tale affermazione, producendo decreto di restituzione di materiale sequestrato della Procura della Repubblica di Trento del 28/3/2018, notificato ed eseguito il successivo 30/3/2018, relativo a 2 notebook, a una agenda color sabbia e a un faldone colore arancione inerente il procedimento penale 1124/2017.
L'affermazione del Tribunale relativa ai computer era pertanto erronea.
Risulta tuttavia che successivamente alla pronuncia impugnata tali materiali sono stati restituiti.
1.3. Le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza "Tchmil" del 2008 avevano affermato che una volta restituita la cosa sequestrata, la richiesta di riesame del sequestro, o l'eventuale ricorso per cassazione contro la decisione del tribunale del riesame era da considerarsi inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, e che tale interesse non era configurabile neppure quando l'autorità giudiziaria avesse disposto, all'atto della restituzione, l'estrazione di copia degli atti o documenti sequestrati, dal momento che il relativo provvedimento era autonomo rispetto al decreto di sequestro, nè era soggetto ad alcuna forma di gravame, stante il principio di tassatività delle impugnazioni. (Sez. U, n. 18253 del 24/04/2008, Tchmil, Rv. 239397).
Più recentemente le Sezioni Unite hanno riesaminato specificamente il problema, alla luce della Convenzione di Budapest, ratificata con la L. n. 48 del 2008, e hanno ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del tribunale del riesame di conferma del sequestro probatorio di un computer o di un supporto informatico, nel caso in cui ne risulti la restituzione previa estrazione di copia dei dati ivi contenuti, sempre che sia dedotto l'interesse, concreto e attuale, alla esclusiva disponibilità dei dati (Sez. U, n. 40963 del 20/07/2017, Andreucci, Rv. 270497); è stato tuttavia precisato che deve trattarsi di un interesse concreto ed attuale, specifico ed oggettivamente valutabile sulla base di elementi univocamente indicativi della lesione di interessi primari conseguenti alla indisponibilità delle informazioni contenute nel documento, la cui sussistenza andrà dimostrata, non potendosi ritenere sufficienti allo scopo generiche allegazioni.
Nella fattispecie la ricorrente deduce siffatto interesse, in modo sufficientemente concreto e specifico, con puntuale riferimento al rapporto professionale che la lega al cliente in relazione ai documenti inerenti al mandato difensivo del quale era stata officiata.
In ogni caso l'interesse permaneva con riferimento agli oggetti diversi da quelli indicati nel decreto del 28/3/2018, poichè il Tribunale si era limitato a "preconizzarne" la restituzione e non vi era prova della sua effettiva esecuzione.
1.4. Il Tribunale ha ricordato il principio, giurisprudenzialmente acquisito e puntualmente richiamato dal Procuratore generale, secondo il quale le garanzie previste dall'art. 103 c.p.p. non sono volte a tutelare chiunque eserciti la professione legale, ma solo colui che rivesta la qualità di difensore in forza di uno specifico mandato conferitogli nelle forme di legge, poichè sono essenzialmente apprestate in funzione di garanzia del diritto di difesa dell'imputato, e quindi esse non possono trovare applicazione qualora gli atti di cui all'art. 103 c.p.p. debbano essere compiuti nei confronti di esercente la professione legale sottoposto a indagine (Sez. 5, n. 12155 del 05/12/2011, Ranieri, Rv. 252147; Sez. 2, n. 32909 del 16/05/2012, Marsala, Rv. 253263; Sez. 3, n.28069 del 19/1/2017, Longo; Sez.1, n.25848 del 29/4/2015, Cantagalli).
Indubbiamente il sequestro era stato disposto nei confronti dell'avv. V., sul presupposto della sua qualità di indagata con riferimento all'ipotizzato reato di concorso in bancarotta fraudolenta e le garanzie formali di cui all'art. 103 erano state predisposte cautelativamente per il caso di interferenze con l'attività professionale di altri avvocati esercitanti nello stesso studio, nel rispetto delle indicazioni rivenienti dalla giurisprudenza di legittimità.
E' stato infatti ritenuto (Sez. 2, n. 39837 del 27/06/2012, Cerciello, Rv. 253441) che l'autorità giudiziaria che si accinga ad eseguire un'ispezione, una perquisizione o un sequestro nell'ufficio di un difensore in cui operino altri avvocati in veste di meri collaboratori dell'unico titolare, ma non uniti a quest'ultimo nella forma della contitolarità o dell'associazione professionale, non ha l'obbligo di darne avviso al consiglio dell'ordine forense del luogo.
1.5. Tuttavia il Tribunale non si è confrontato con l'intero contenuto della doglianza articolata dal ricorrente e riproposta in questa sede sotto il profilo della violazione dell'art. 103 c.p.p., comma 2, che non consente il sequestro di carte o documenti relativi all'oggetto della difesa, salvo che costituiscano "corpo del reato".
Non è quindi sufficiente a superare il divieto, assistito dalla sanzione di inutilizzabilità di cui al comma 7 dello stesso articolo, la mera utilità probatoria dell'oggetto del sequestro, perchè la legge esige un quid pluris che giustifichi l'interferenza nel rapporto professionale cliente/difensore, e cioè che l'atto o documento appreso costituisca, esso stesso, "corpo del reato".
Il Tribunale ha del tutto omesso di considerare tale profilo e ha affrontato la censura della difesa, limitandosi a rimarcare che "al di là delle etichette apposte sulle cartelline" gli atti e le comunicazioni sequestrate riguardavano i rapporti soci amministratori di (OMISSIS) e della società collegata (OMISSIS) e i creditori, così apoditticamente escludendo che sussistessero violazioni per il solo fatto che i documenti sequestrati riguardassero l'inchiesta in corso.
Sono stati così sequestrati la cartellina di studio relativa al procedimento penale r.g.n.r. 1124/2017 in cui l'avv. V. svolgeva il ruolo di difensore di G.A., il fascicolo di studio relativo all'impugnazione della sentenza dichiarativa del fallimento della (OMISSIS) s.r.l., pratiche per il recupero di crediti della (OMISSIS) presso terzi debitori, corrispondenza con il curatore e con altri professionisti, l'agenda con l'annotazione di tutti gli impegni professionali.
Non risulta tuttavia allegato e dimostrato che tali atti e documenti configurino corpo del reato, nella nozione delineata dall'art. 253 c.p.p., comma 2, che si riferisce alle cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso, nonchè alle cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.
1.6. Il Tribunale è così incorso nel vizio di violazione di legge con riferimento all'art. 103 c.p.p., comma 2, e, conseguentemente nel difetto assoluto di motivazione circa la sussistenza del presupposto contenuto nella norma disapplicata.
In assenza di tale presupposto, il sequestro avrebbe determinato una indebita e non necessaria ingerenza nella attività difensiva svolta dall'indagato nell'interesse di terzi, attraverso la privazione della disponibilità di detti atti e documenti, e, quindi, avrebbe pregiudicato il libero svolgimento di tale attività, senza una reale necessità per l'accertamento dei reati per i quali si proceda; non sarebbero, infatti, state assoggettate a sequestro cose costituenti corpo di reato, come richiesto dall'art. 103 c.p.p., comma 2, con la conseguente illegittimità del sequestro di detti atti e documenti incidente sul celere, tempestivo, e ordinato svolgimento dell'attività difensiva affidata all'indagato da terzi, in violazione della disposizione citata (in termini Sez.3, 19/1/2017 n.28069, Longo).
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione dell'art. 103 c.p.p. per inosservanza delle garanzie difensive nei confronti dell'avvocato essendo stato sequestrato il fascicolo di studio relativo al procedimento nel quale l'avv. V. difendeva il sig. G., peraltro in relazione agli stessi fatti contestati anche all'indagata nel proc.534/2018.
La doglianza è già stata esaminata nell'ambito dell'esame del primo motivo.
3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta mancanza assoluta o apparenza della motivazione, con riferimento alla rilevanza probatoria della documentazione sequestrata.
Il provvedimento autorizzativo del G.i.p. si riferiva all'accusa di aver fatto apparire l'esistenza di una trattativa con le banche in realtà insussistente: mancava del tutto l'indicazione dei fini perseguiti.
Il Tribunale non poteva limitarsi a prender atto della tesi accusatoria ma doveva espletare il controllo di legalità, verificando le difese addotte dall'indagato, mentre aveva integrato la motivazione inesistente con ulteriore profilo non risultante, neppure indirettamente, dal decreto di sequestro circa la ricerca di atti e documenti inerenti la fase precontrattuale, contrattuale ed esecutiva di pattuizioni simulate o fraudolente e falsificate nella data.
3.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte il provvedimento di perquisizione e sequestro non deve trasformarsi da strumento di ricerca della prova in strumento di ricerca della notitia criminis; di conseguenza in esso debbono essere individuati, almeno nelle linee essenziali, gli oggetti da sequestrare con riferimento a specifiche attività illecite, di modo che la perquisizione e il conseguente sequestro vengano eseguiti non già sulla base di semplici congetture, ma trovino giustificazione in concrete ipotesi di reato rinvenibili nei fatti addebitati e permettendo la verifica del nesso di pertinenzialità. (Sez. 6, n. 2882 del 06/10/1998, Calcaterra, Rv. 21267801).
Infatti, mentre non è consentito il sequestro probatorio a fini meramente esplorativi, volto ad acquisire la notitia criminis, è legittimo il sequestro fondato su fatti che lo giustificano sul piano razionale e rispetto ai quali è configurabile una notitia criminis, la cui effettiva sussistenza e consistenza può essere, tuttavia, definitivamente accertata solo attraverso atti invasivi (Sez. 3, n. 44928 del 14/06/2016, Cerroni e altro, Rv. 268774); del pari, è legittimo il sequestro probatorio, emesso sulla base di una notitia criminis precedentemente acquisita, per accertare gli esatti termini della condotta denunciata o ipotizzata, al fine non solo di valutarne l'antigiuridicità ma anche la sua esatta qualificazione giuridica (Sez. 3, n. 24846 del 28/04/2016, P.G. D.D.A. in proc. Sisani e altro, Rv. 267195).
3.2. Nella specie l'ipotesi accusatoria contenuta nel decreto di perquisizione e sequestro del 5/3/2018 è più vasta di quella indicata dal ricorrente e attiene ai rapporti fra (OMISSIS) e (OMISSIS) s.r.l. e alla distrazione del patrimonio della prima società, mentre il provvedimento autorizzativo del G.i.p. del 2/3/2018, emesso, cautelativamente, ex art. 103 c.p.p., si riferisce in generale alla distrazione del compendio patrimoniale di (OMISSIS) s.r.l., sia pur indicando, più in particolare, a carico dell'avv. V. la simulazione di una trattativa inesistente con le banche per transigere le posizioni debitorie.
Non è quindi esatto che il Tribunale abbia indebitamente ampliato l'ipotesi accusatoria delineata nel decreto di perquisizione e sequestro.
4. In conclusione l'ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale di Trento, per quanto riguarda il sequestro di atti e documenti relativi alla attività professionale della ricorrente, in relazione alla motivazione totalmente omessa circa i presupposti legittimanti l'adozione di tale misura, e cioè la natura di corpo di reato ai sensi dell'art. 103 c.p.p., comma 2.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Trento.
Così deciso in Roma, il 24 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2018