In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, per la codanna è sufficiente l'idoneità della condotta ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone, non occorrendo l'effettivo disturbo alle stesse; l'effettiva idoneità delle emissioni sonore ad arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone costituisce un accertamento di fatto rimesso all'apprezzamento del giudice di merito, il quale non è tenuto a basarsi esclusivamente sull'espletamento di specifiche indagini tecniche, ben potendo fondare il proprio convincimento su altri elementi probatori (quali le dichiarazioni testimoniali di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti) in grado di dimostrare la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete.
Corte di Cassazione
sez. III Penale, sentenza 15 novembre 2018 – 5 marzo 2019, n. 9699
Presidente Aceto – Relatore Di Stasi
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 04/12/2017, la Corte di appello di Lecce, sez.dist.di Taranto, in riforma della sentenza emessa in data 22.3.2016 dal Tribunale di Taranto - con la quale Me. An. era stata dichiarata responsabile dei reati di cui agli artt. 650 cod.pen. e 659 cod.pen. e, ritenuto il vincolo della continuazione tra i reati, condannata alla pena di mesi due di arresto nonché al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile Sc. Gi. -assolveva l'imputata dal reato di cui all'art. 650 cod.pen. perché il fatto non è previsto dalla legge come reato e, eliminato l'aumento per la continuazione, rideterminava la pena per il residuo reato di cui all'art. 659 cod.pen (perché, non impedendo i latrati dei ventidue cani detenuti regolarmente nella propria abitazione arrecava disturbo ai vicini ed in particolare a Sc. Gi. e Pa. Ro.) in un mese di arresto, confermando nel resto.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Me. An., a mezzo del difensore di fiducia, chiedendone l'annullamento ed articolando un unico motivo con il quale lamenta vizio di motivazione in relazione alla affermazione di responsabilità per il reato di cui all'art. 659 cod.pen., contestando la valutazione delle risultanze istruttorie operata dalla Corte territoriale in relazione alle dichiarazioni rese dal teste Pa. e rimarcando che non risultava accertato che il latrare dei cani avesse superato il livello della tollerabilità, presupposto necessario per integrare la contravvenzione in questione.
Considerato in diritto
1. Il motivo di ricorso si sostanzia in una richiesta di rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
La doglianza infatti, ha ad oggetto censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, De Vita, rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, Bruzzese, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, Piras, rv. 235508).
Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il "travisamento del fatto", stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez.6,n.27429 del 04/07/2006, Rv.234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv.253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148). Né la novella codicistica introdotta con la L. n. 46/2006, ammettendo l'indagine extratestuale per la rilevazione dell'illogicità manifesta e della contraddittorietà della motivazione, ha modificato la natura del sindacato della Corte Suprema, il cui controllo rimane limitato alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento impugnato e non può comportare una diversa lettura del materiale probatorio, anche se astrattamente plausibile, sicché anche dopo la legge 46/2006 occorre invece che gli elementi probatori indicati in ricorso (ignorati, inesistenti o travisati, non solo diversamente valutati) siano per sé decisivi in quanto dotati di una intrinseca forza esplicativa tale da vanificare l'intero ragionamento del giudice del merito (Sez. 3, n. 37006 del 27/09/2006, Piras, Rv. 235508): decisività che deve essere oggetto di specifica e non assertiva deduzione della parte, in esito al confronto con tutta la motivazione della decisione impugnata, pena l'immediata 'contaminazione' del rilievo in termini di preclusa censura di merito.
La Corte di Cassazione, in definitiva, deve circoscrivere il suo sindacato di legittimità, sul discorso giustificativo della decisione impugnata, alla verifica dell'assenza, in quest'ultima, di argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro, oppure inconciliabili, infine, con "atti del processo", specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Sez. 4 08/04/2010 n. 15081; Sez. 6 n. 38698 del 26/09/2006, Rv. 234989; Sez.5, n.6754 del 07/10/2014, dep.16/02/2015, Rv.262722).
2. Esclusa l'ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, va, comunque, evidenziato che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità (tantomeno manifeste) e di contraddittorietà.
La Corte territoriale, infatti, confermando la valutazione del Tribunale (ed integrandosi le sentenze reciprocamente, cfr Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595) ha fondato l'affermazione di responsabilità sulle convergenti dichiarazioni rese dai testimoni escussi, i quali hanno riferito che l'abitazione dell'imputata era situata in un viale abitato, ove erano ubicate numerose ville, e che i latrati dei cani detenuti dalla stessa erano incessanti (a tutte le ore del giorno e della notte) e molesti per proprio perché continui.
La Corte territoriale ha, quindi, ritenuto con apprezzamento di fatto immune da censure, e dunque insindacabile in sede di legittimità, che i cani della ricorrente, abbaiando abitualmente ed all'unisono, generavano rumori molesti idonei ad arrecare oggettivo disturbo alla pubblica quiete, superando i limiti della normale tollerabilità.
3. Giova ricordare che è stato affermato, in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, che per l'integrazione del reato previsto dall'art. 659 cod. pen. è sufficiente l'idoneità della condotta ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone, non occorrendo l'effettivo disturbo alle stesse (Sez. 3, n. 8351 del 24/06/2014, dep. 25/02/2015, Rv. 262510; Sez.l,n.7748 del 24/01/2012,Rv. 252075) e che l'effettiva idoneità delle emissioni sonore ad arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone costituisce un accertamento di fatto rimesso all'apprezzamento del giudice di merito, il quale non è tenuto a basarsi esclusivamente sull'espletamento di specifiche indagini tecniche, ben potendo fondare il proprio convincimento su altri elementi probatori (quali le dichiarazioni testimoniali di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti) in grado di dimostrare la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete (Sez.3, n.11031 del 05/02/2015, Rv.263433; Sez.I, n.20954 del 18/01/2011, Rv.250417).
4. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
5. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, nella misura, ritenuta equa, di cui al dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.