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Irreperibiltà richiede ricerche cumulative (Cass. 13308/25)

7 aprile 2025, Cassazione penale

Le ricerche necessarie ai fini dell'emissione del decreto di irreperibilità devono essere eseguite cumulativamente, e non alternativamente, in tutti i luoghi indicati dall'art. 159 cod. proc. pen., a pena di nullità assoluta, in quanto l'emissione del decreto costituisce extrema ratio, giacché equipara la conoscenza legale a quella sostanziale da parte dell'imputato del contenuto dell'atto, il che implica che siano stati esperiti tutti i necessari tentativi per la notifica.

 

Corte di cassazione

sez. V, ud. 4 marzo 2025 (dep. 7 aprile 2025), n. 13308

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Torino, con la sentenza emessa il 1 luglio 2024, confermava quella del Tribunale di Vercelli, che aveva accertato la responsabilità penale di V. G. per bancarotta documentale semplice e per fatti di bancarotta semplice concorrenti all'aggravamento del dissesto.

2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di V. G. consta di tre motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

3. Il primo motivo deduce violazione di legge processuale in quanto il decreto di citazione a giudizio per il grado di appello è stato notificato all'imputato, a seguito della dichiarazione di irreperibilità, ex art. 159 cod. proc. pen. presso il difensore.

Il ricorrente lamenta che per l'emissione del decreto di irreperibilità occorre si proceda a ricerche contestuali e complete e, difettando tali requisiti, il decreto di irreperibilità risulta nullo nel caso in esame. Le ricerche, infatti, sarebbero state incomplete, non essendo stato svolto alcun accertamento nel luogo di nascita né ove esercitava l'attività lavorativa l'imputato.

Né tali verifiche sono surrogabili con le due telefonate che la polizia municipale delegata alla notifica effettuò all'imputato, non essendo certo che effettivamente, come risulta dalla dichiarazione dell'interlocutore, l'imputato si trovasse all'estero.

4. Il secondo motivo deduce vizio di motivazione, censurando la sentenza impugnata per non aver offerto adeguata risposta al motivo di appello, con il quale si denunciava l'assenza di prova in ordine alla qualità di amministratore di fatto dell'imputato. La Corte di appello ha solo elencato gli indizi, ma non ha proposto una lettura complessiva e critica a riguardo.

5. Il terzo motivo lamenta vizio di motivazione in ordine alla condotta di bancarotta semplice per aggravamento del dissesto per tardiva richiesta del fallimento.

Lamenta il ricorrente che la Corte di appello non abbia valutato la censura con la quale si allegava l'insufficienza delle dichiarazioni del teste C., che aveva riferito di aver avvisato l'imputato dello stato di decozione: ma non risultava quando ciò fosse avvenuto — il che incideva sul nesso di causalità — e anche sulla prova del coefficiente soggettivo.

La Corte di appello, inoltre, avrebbe travisato la dichiarazione di C., che non aveva mai riferito che V. G. assumesse le decisioni strategiche per la fallita.

6. Il ricorso è stato trattato senza l'intervento delle parti, ai sensi del rinnovato art. 611 cod. proc. pen., come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni.

7. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. Tomaso Epidendio, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

8. Il difensore del ricorrente, avvocato MS, con memoria depositata in replica alla Procura generale, rappresentando quanto al primo motivo che la stessa parte pubblica non si è confrontata con la circostanza che la Polizia Municipale non aveva certezza di chi fosse l'interlocutore telefonico, risultando la notifica nulla.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato in relazione al primo motivo.

2. Con riferimento a tale motivo, il Collegio osserva preliminarmente che quando è dedotto, mediante ricorso, un error in procedendo ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c) cod.proc.pen., la Corte di Cassazione è "giudice anche del fatto" e per risolvere la relativa questione può - e talora deve necessariamente - accedere all'esame dei relativi atti processuali, esame che è, invece, preciso soltanto se risulti denunziata la mancanza o la manifesta illogicità dalla motivazione (Sez. U. 31 ottobre 2001, Policastro, Rv. 220092).

Tanto premesso, l'accesso agli atti consente a questa Corte di rilevare che il decreto di irreperibilità fu emesso dopo che la polizia municipale di Alessandria, delegata alla notifica dell'atto di citazione in appello, si recò presso la residenza dell'imputato, acquisendo informazioni in ordine alla circostanza che non fosse conosciuto ai condomini e all'amministratore di condominio, come anche privo di domicilio.

La polizia municipale effettuò, poi, due telefonate all'imputato, che comunicò prima di essere in Svizzera e il giorno seguente in viaggio per la Romania per trovarvi lavoro, senza mai ricevere indicazioni sui luoghi ove si trovava o era diretto. Per altro, dal verbale di vane ricerche non emerge che la polizia municipale abbia informato l'imputato dell'atto di citazione o abbia chiesto come poterlo notificare.

A seguito di tali accertamenti fu emesso il decreto di irreperibilità, cosicché seguiva la notifica al difensore di fiducia.

3. A ben vedere correttamente la polizia municipale ha provveduto al contatto telefonico, in quanto è illegittimo il decreto di irreperibilità, ed ogni atto processuale ad esso connesso, preceduto da ricerche svolte senza utilizzare il numero di utenza mobile del destinatario della notifica, ove in possesso dell'autorità competente, in quanto, così operando, questa incorre in una negligente omissione, che si traduce nella incompletezza dell'attività di ricerca come ritenuto in modo condivisibile da Sez. 2, n. 37781 del 05/10/2021, Belo, Rv. 282197 - 01 (conf.: N. 34993 del 2020 Rv. 279984 - 01, N. 5476 del 2010 Rv. 245914 - 01, N. 47746 del 2015 Rv. 265327 - 01; contra N. 32331 del 2011 Rv. 250764 - 01, N. 2886 del 2015 Rv. 262287 - 01).

D'altro canto, però, l'intervenuto contatto telefonico, con affidamento quanto alla dichiarazione resa in ordine alla presenza all'estero dell'imputato senza alcun riscontro, così come deduce il ricorrente, non esclude la necessità della ricerca per la notifica anche presso il luogo di lavoro e presso il luogo di nascita. Tale carenza determina l'illegittimità del decreto di irreperibilità, in quanto ai fini dell'emissione dello stesso, le ricerche vanno eseguite cumulativamente, e non alternativamente o parzialmente, in tutti i luoghi indicati dall'art. 159 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 11341 del 27/11/2020 dep. 24/03/2021, Pavlovic, Rv. 280976 - 01; conf. N. 9244 del 2010 Rv. 246234 - 01, N. 15674 del 2016 Rv. 266442 - 01, N. 40041 del 2009 Rv. 245230 - 01).

La necessità di ricerche cumulative e complete consegue, come osservato anche in dottrina, alla circostanza che la norma equipara la conoscenza legale a quella sostanziale: si assiste a una 'indifferenza normativa' circa la conoscenza, da parte dell'imputato, del contenuto dell'atto, cosicché il decreto di irreperibilità costituisce extrema ratio nel caso, e solo nel caso, in cui siano stati esperiti tutti i necessari tentativi.

D'altro canto, la stessa Corte costituzionale, ritenendo non fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento agli artt. 3,10 e 24 Cost. - degli artt. 159 e 160 cod. proc. pen., i quali, prevedendo che in caso di irreperibilità dell'imputato le notificazioni siano eseguite mediante consegna di copia al difensore, consentirebbero l'instaurazione e la definizione di un processo penale nei confronti di un soggetto che non avrebbe avuto notizia del giudizio a suo carico, ha affermato che «[s]olo nelle ipotesi in cui gli accorgimenti predisposti non producano la conoscenza del processo alla quale tendono, la notifica deve avvenire secondo il rito della irreperibilità. Ma anche con riferimento ad esse la disciplina vigente è assai più rigorosa che in passato proprio in tema di ricerche prodromiche all'instaurazione del rito, in relazione alle quali si fa, se possibile, ancor più evidente il fatto che la scelta è stata quella di evitare con ogni mezzo che il procedimento penale abbia corso all'insaputa dell'interessato. L'imputato deve, infatti, essere ricercato, cumulativamente e non alternativamente, in una serie di luoghi nei quali è più verosimile che possano essere acquisite notizie circa la sua attuale dimora. Diversamente da quanto previsto dal vecchio codice, l'art. 159, comma 1, configura ora in termini di obbligatorietà le ricerche dell'imputato "particolarmente nel luogo di nascita, dell'ultima residenza anagrafica, dell'ultima dimora e in quello dove egli abitualmente esercita la sua attività lavorativa, nonché presso l'amministrazione carceraria centrale". E non è un mero accidente che, nella citata disposizione, compaia l'avverbio "particolarmente", poiché è proprio questo elemento lessicale a rendere chiaro che l'indicazione dei luoghi nei quali devono essere eseguite le ricerche non è esaustiva; pertanto, l'eventuale decreto di irreperibilità non può essere adottato nei casi in cui emergano elementi che impongano di estendere le ricerche in luoghi diversi da quelli menzionati.

Né è privo di rilievo, ai fini della identificazione del carattere della scelta legislativa e del suo essere protesa a realizzare una situazione di conoscenze del procedimento, il fatto che l'art. 160 cod. proc. pen. introduca limiti temporali alla efficacia del decreto di irreperibilità, stabilendo che ad ogni mutamento di fase le ricerche devono essere rinnovate e che solo nel caso di esito ancora negativo deve essere emesso un nuovo decreto» (così Corte cost., sentenza n. 399 del 1998, par. 2).

D'altro canto, nel caso in esame non si incorre nella condizione ostativa che fa venire meno l'obbligo di effettuare nuove ricerche nei luoghi indicati dall'art. 159, comma primo, cod. proc. pen., vale a dire all'oggettiva impraticabilità degli accertamenti in ragione della non conoscenza dei luoghi di nascita, dell'ultima residenza e dell'abituale esercizio dell'attività lavorativa dell'imputato, elementi tutti noti agli agenti notificatori (cfr. sulla oggettiva impossibilità, Sez. 3, n. 17458 del 19/04/2012, Dommolaku, Rv. 252626 - 01).

Pertanto, l'omesso accertamento in tali luoghi integra la nullità assoluta, che si estende agli atti successivamente compiuti, per incompleto svolgimento delle ricerche previste dall'art. 159 cod. proc. pen., atteso che questa disposizione impone di compiere tutti quegli accertamenti che, sulla base delle circostanze emergenti agli atti, si rivelino logicamente utili e oggettivamente praticabili (Sez. 5, n. 35103 del 17/07/2014, P., Rv. 260470 - 01; nello stesso senso, Sez. 5. n. 44374 del 20/06/2014, Iaccarino, Rv. 262112 - 01; conf.: N. 2965 del 1996 Rv. 206033 - 01, N. 5479 del 2006 Rv. 235098 - 01, N. 40041 del 2009 Rv. 245230 - 01, N. 9244 del 2010 Rv. 246234 - 01).

4. Va, pertanto, affermato il principio per il quale le ricerche necessarie ai fini dell'emissione del decreto di irreperibilità devono essere eseguite cumulativamente, e non alternativamente, in tutti i luoghi indicati dall'art. 159 cod. proc. pen., a pena di nullità assoluta, in quanto l'emissione del decreto dcostituisce extrema ratio, giacché equipara la conoscenza legale a quella sostanziale da parte dell'imputato del contenuto dell'atto, il che implica che siano stati esperiti tutti i necessari tentativi per la notifica.

5. Pertanto, nel caso in esame il decreto di irreperibilità è nullo e, conseguentemente, sono nulli gli atti successivi.

Gli altri motivi dedotti con il ricorso restano assorbiti e impregiudicati.

6. Ne consegue l'annullamento della sentenza impugnata, con trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Torino per nuovo giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino.