Se è corretto sostenere che l'allontanamento della persona offesa straniera dal territorio nazionale non era comunque immediatamente prevedibile va peraltro precisato che "deve escludersi che l'impossibilità (...di procedere all'esame del teste in contraddittorio...) possa comunque dipendere esclusivamente dalla volontaria sottrazione del testimone al dibattimento" (Corte di cassazione Sez. Unite penali, 14 luglio 2011, n.27918, come ribadito da Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 dicembre 2013 - 30 gennaio 2014, n. 4342.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 dicembre 2013 - 30 gennaio 2014, n. 4342
Presidente Squassoni ? Relatore Gentili
Ritenuto in fatto
La Corte di appello di Lecce, con sentenza depositata il 24 gennaio 2013, ha integralmente confermato la decisione resa dal locale Tribunale con la quale, dichiarata la penale responsabilità di F.R. per i reati previsti e puniti dagli art. 81 cpv e 609 bis cod. pen., con le aggravanti di cui all'art. 61, n. 5 e n. 11 cod. pen. lo condannava alla pena di giustizia.
Riteneva la Corte di appello pienamente provata la condotta criminosa ascritta al prevenuto e consistente nell'avere costretto, in molteplici occasioni fra l'(omissis) , con percosse e gesti violenti, quali lo spegnimento di sigarette sul suo corpo, la cittadina polacca K.I. ad avere rapporti sessuali completi con lui, approfittando altresì della condizione di immigrata di costei, sua dipendente presso il ristorante (omissis) , nonché dell'esistente rapporto di coabitazione, alloggiando la K. pressa la abitazione del prevenuto.
Avverso detta decisione proponeva ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore di fiducia, il F. , deducendo tre motivi.
Secondo il primo la sentenza sarebbe viziata in quanto la Corte territoriale avrebbe utilizzato ai fine della decisione assunta le dichiarazioni rese dalla parte offesa nel corso delle indagini preliminari nonché il verbale di individuazione fotografica effettuata dalla medesima in violazione di quanto prescritto dall'art. 512 cod. proc. pen., non avendo la detta Corte eseguito i doverosi controlli ai fini della corretta dichiarazione di irreperibilità del teste per l'utilizzazione dibattimentale delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini.
La difesa dell'imputato ha altresì contestato la sentenza di appello perché il giudice del gravame non ha accolto la richiesta di rinnovazione della istruttoria dibattimentale che si sarebbe dovuta realizzare attraverso la escussione di taluni testi non ascoltati in sede di giudizio di primo grado. Il rigetto della predetta richiesta istruttoria sarebbe privo di valida motivazione e, se l'attività si fosse svolta, avrebbe consentito di delineare con maggiore chiarezza la personalità della denunciante e la condotta di questa e del F. nel periodo in cui quella era ospite di quest'ultimo.
Infine la ricorrente difesa eccepisce in generale il difetto di motivazione della sentenza impugnata, tutta fondata sulle dichiarazioni rese nel corso della indagini dalla persona offesa, senza che ci si sia dato carico, ai fini della attendibilità di queste, di considerare:
la situazione di astio esistente fra la K. ed il F. , dovuta al fatto che questi non aveva corrisposto alla prima il compenso per l'attività lavorativa che costei aveva prestato in suo favore;
la mancanza di certificazioni attestanti le presunte lesioni patite dalla persona offesa, le quali, peraltro, potevano avere altra origine che non la condotta dell'imputato.
Sempre in tema di difetto di motivazione si contesta che la Corte territoriale non abbia chiarito il criterio in base al quale ricondurre a esiti di bruciature inferte dal F. con sigarette le preesistenti lesioni riscontrate sul corpo della persona offesa.
Considerato in diritto
Essendo il ricorso risultato fondato, esso è meritevole di accoglimento.
Osserva questa Corte che col primo motivo di impugnazione il F. si duole del fatto che, dapprima, il Tribunale e, poi, la Corte di appello siano pervenute ad una sentenza di condanna nei suoi confronti senza che le dichiarazioni accusatorie della parte offesa, unica sostanziale fonte di prova nei suoi confronti, siano state confermate in dibattimento e senza che le stesse siano state sottoposte al vaglio del contraddittorio.
Effettivamente, secondo quanto risulta dalla sentenza emessa dalla Corte territoriale salentina, la decisione da essa assunta si fonda, se non esclusivamente di certo essenzialmente, sulle dichiarazioni rese dalla parte offesa denunciante K.I. nel corso delle indagini preliminari e su di un riconoscimento fotografico del F. compiuto sempre dalla parte offesa ancora in sede di indagini preliminari.
Tutti questi atti sono stati ritenuti, dai giudici di merito, acquisibili al fascicolo del dibattimento ed utilizzabili ai fini della decisione, in applicazione dell'art. 512 cod. proc. pen., il quale prevede che il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti in sede predibattimentale quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione.
Nel giustificare tale decisione la Corte di appello ha dato atto della effettuazione di ricerche della persona offesa, cittadina polacca rientrata nella sua nazione di origine successivamente ai fatti per cui è processo, al fine di consentirne la citazione in giudizio in qualità di teste e di persona offesa.
Ha, in particolare, riferito la Corte salentina che le ricerche si sono svolte sia attraverso la banca dati del DAP, onde verificare se la predetta fosse ristretta in uno del penitenziari della Repubblica ovvero se, essendoci stata ristretta successivamente ai fatti di causa, avesse eletto o indicato, all'atto delle liberazione, un domicilio ove potesse essere reperita, sia attraverso indagini eseguite presso il domicilio indicato dalla K. all'atto della presentazione della sua denunzia per il reato di violenza sessuale alla polizia giudiziaria, sia attraverso indagini presso il recapito da lei indicato alla autorità di pubblica sicurezza al momento in cui, nell'anno XXXX, ha lasciato il territorio dello Stato, sia, infine, data la infruttuosità delle precedenti ricerche, attraverso richiesta di rogatoria internazionale allo Stato polacco (si precisa sin d'ora, rogatoria non del tipo cosiddetto "concelebrato"), rimasta, tuttavia, anch'essa senza risultato in quanto, dalle informazioni rese dalla Autorità polacca in risposta alla richiesta di rogatoria, emerge che la K. , unitamente alla sua famiglia, non risulta più abitare fin dal XXXX, nella città di XXXXXXX, dove ella, invece, risultava, in base ai dati in possesso di quella Autorità, essere residente; né la Autorità polacca ha indicato altri possibili itinerari di ricerca esperibili.
Sulla base di tali dati, la Corte - ritenuto che al momento in cui la persona offesa fu ascoltata in sede di indagini preliminari non era affetto prevedibile che la stessa si sarebbe resa successivamente irreperibile, sicché legittimamente non fu scandagliata l'ipotesi di sottoporre la stessa ad incidente probatorio - ha considerato pienamente utilizzabili, stante il disposto dell'art. 512 cod. proc. pen., le dichiarazioni accusatorie da quella rese al di fuori del contraddittorio.
L'assunto della Corte di appello è, però, erroneo, e, di conseguenza, sono viziati gli esiti cui esso conduce.
Al riguardo rileva questa Corte che non ha significativa importanza qualificare la presente fattispecie come sussumibile, per ciò che ora è in questione, sotto il dettato dell'art. 512 cod. proc. pen. ovvero del art. 512-bis del medesimo codice di rito, come apparirebbe preferibile.
Invero, posto che per l'applicazione delle due disposizioni, trattandosi di teste di nazionalità straniera, il criterio distintivo è dato dalla circostanza che questi abbia o meno la residenza, ancorché di fatto, in Italia, parrebbe più calzante la fattispecie di cui all'art. 512-bis, atteso che non ci sono elementi per potere affermare che la K. abbia, o abbia mai avuto, una stabile residenza in Italia.
Il dato, come però dianzi si accennava, risulta essere irrilevante nella fattispecie, laddove si consideri che, come plausibilmente sostenuto dalla Corte territoriale, nel caso l'allontanamento della persona offesa dal territorio nazionale non era comunque immediatamente prevedibile, essendo notorio che, pur in una situazione di precaria stabilità sul territorio, la permanenza degli stranieri immigrati sul suolo dello Stato può, in via di fatto, protrarsi per significativi periodi.
Più rilevante è, viceversa il dato, sul quale la Corte territoriale non si è affatto interrogata, in base al quale - come precisato or non è molto dalle Sezioni unite di questa Corte nella decisioni in cui si è più approfonditamente esaminato il tema della compatibilità della applicazione degli artt. 512 e 512-bis cod. proc. pen. con le garanzie apprestate dall'art. 6 della Convenzione EDU - "deve escludersi che l'impossibilità (...di procedere all'esame del teste in contraddittorio...) possa comunque dipendere esclusivamente dalla volontaria sottrazione del testimone al dibattimento" (Corte di cassazione Sez. Unite penali, 14 luglio 2011, n.27918).
Nulla osserva la Corte territoriale sulla possibile valenza in tal senso sintomatica del comportamento della K. che, poco dopo avere sporto la propria denunzia e fatto le dichiarazioni accusatorie in danno del F. , si è allontanata dal territorio dello Stato dando indicazioni fuorvianti sulla propria successiva reperibilità, infatti di lei nessuna notizia è stato possibile acquisire agli indirizzi dalla medesima forniti sia in sede di presentazione di denunzia sia dopo, in tal modo rendendosi di fatto irreperibile ed irraggiungibile alla successive chiamate in giudizio.
Al riguardo, infatti, la Corte territoriale si limita ad apoditticamente affermare che, proprio in ragione delle indicazioni - rivelatesi, però, alla prova dei fatti quantomeno inutili se non decettive - fornite dalla persona offesa in ordine alla sua rintracciabilità, la successiva "scomparsa" di quella doveva ritenersi imprevedibile.
È fin troppo ovvio che laddove fosse, invece, risultata siffatta volontà, il quadro normativo di riferimento da valutarsi da parte del giudicante si sarebbe dovuto arricchire dell'esame anche della previsione di cui all'art. 526, comma I bis, cod. proc. pen., norma adottata in diretta attuazione del precetto costituzionale di cui all'art. 111, quarto comma, Cost. del quale ne riproduce ad verbum parte del testo, il cui chiaro tenore prevede che: "la colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame da parte dell'imputato o del suo difensore"; ciò tanto più ove si consideri che, secondo l'insegnamento di questa Corte, ai fini della operatività della disposizione ultima citata non è necessaria la prova di una specifica volontà di sottrarsi al contraddittorio, ma è sufficiente la volontarietà della assenza determinata da una sua qualsiasi libera scelta (Corte di cassazione, Sezioni unite penale, n. 27918 del 2011, cit.).
Vi è, peraltro e conclusivamente da osservare, che, onde prestare il dovuto rispetto al fondamentale precetto di cui all'art. 6 della Convenzione EDU che, diversamente, ne resterebbe vulnerato, non è, comunque, possibile che le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorché legittimamente acquisite, costituiscano in modo esclusivo o significativo fondamento dell'affermazione della responsabilità penale dell'imputato (Corte di cassazione, Sezione unite penali, n. 27918 del 2011 cit.); né la validità di tale rigoroso principio, ha avuto successivamente modo di affermare questa Corte, viene meno o è derogabile nelle ipotesi in cui si sia pure fatta corretta applicazione dell'art. 512 cod. proc. pen. (Corte di cassazione, Sez. I, 18 aprile 2012, n. 14807).
Poiché nel caso che interessa le dichiarazioni resa dalla K. sono state, come detto, se non l'esclusiva certamente l'essenziale fonte di prova adoperata dalla Corte di Lecce per affermare la responsabilità penale del F. , la sentenza, che abbia in tal senso fatto cattivo governo dei principi in tema di utilizzabilità e rilevanza decisiva delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari da chi non sia stato successivamente sentito in contraddittorio fra le parti, deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce, cui è rimessa la corretta applicazione dei principi dianzi enunziati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce.