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Inutilizzabilità mai a danno dell'imputato (Cass. 19496/16)

11 maggio 2016, Cassazione penale

L'inutilizzabilità patologica opera solo "in malam partem" e non può risolversi a danno dell'imputato.

L'istituto della inutilizzabilità di cui all'art. 191 c.p.p. è posto a garanzia delle posizioni difensive e colpisce le prove illegittimamente acquisite contro divieti di legge, quindi in danno del giudicabile vale a dire come prove a carico. Tale istituto, pertanto, in tutte le sue articolazioni (una delle quali è rappresentata dall'ipotesi prevista dall'art. 195 c.p.p., comma 1) non può essere applicato per ignorare un elemento di giudizio favorevole alla difesa che, invece, deve essere considerato e discusso secondo i canoni logico razionali propri alla funzione giurisdizionale.

 

Corte di Cassazione

Sezione III penale

Sent., (ud. 24/09/2015) 11-05-2016, n. 19496

 

 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 Dott. MANNINO Saverio F. - Presidente -

 Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere -

 Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere -

 Dott. ACETO Aldo - rel. Consigliere -

 Dott. ANDRONIO Alessandro - Consigliere -

 ha pronunciato la seguente:

 SENTENZA

 sul ricorso proposto da:

 

1. C.S., nato a (OMISSIS);

 

2. Co.Gi., nato a (OMISSIS);

 

3. Cu.Gi., nato a (OMISSIS);

 

4. D.S.M., nato a (OMISSIS);

 

5. G.N., nato a (OMISSIS);

 

6. L.R., nato a (OMISSIS);

 

7. M.A., nato a (OMISSIS);

 

8. Mu.Ga.Si., nato a (OMISSIS);

 

9. Mu.Sa., nato a (OMISSIS);

 

10. Mu.Vi., nato a (OMISSIS);

 

11. P.C., nato a (OMISSIS);

 

12. Pr.Do., nato a (OMISSIS);

 

13. S.A., nato a (OMISSIS);

 

14. T.F., nata a (OMISSIS);

 

15. T.G., nato a (OMISSIS);

 

avverso la sentenza del 28/02/2014 della Corte di appello di Catania;

 

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

 

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Aldo Aceto;

 

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Canevelli Paolo, che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi di Cu., D.S., Mu.Vi., P., Pr., S., T.G. e per annullamento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio per C., Co., G., L., M., Mu.Ga., Mu.Sa., T.F., con rigetto nel resto;

 

uditi, per gli imputati, gli avvocati M.DSLM, difensore di fiducia di Cu.Gi., Z.D., difensore di fiducia di C.S., B.M., in proprio quale difensore di fiducia di G.N., e, quale sostituto processuale dell'avv. Ragazzo Giuseppe, difensore di fiducia di Co.Gi., P.S., difensore di fiducia di T.F. e Pr.Do., P. Salvatore, difensore di fiducia di L.R., Mu.

 

S., D.S.M., S.A., P.C., T.G., che hanno chiesto l'accoglimento dei rispettivi ricorsi.

Svolgimento del processo

 

1. Con sentenza del 04/07/2012 il Giudice per le indagini del Tribunale di Catania, all'esito di giudizio abbreviato, dichiarò (per quanto qui rileva) i sigg.ri C.S., Co.

 

G., Cu.Gi., D.S.M., G. N., L.R., M.A., Mu.Ga.

 

S., Mu.Sa., P.C., Pr.

 

D., S.A., T.F. e T.G. (cl. 1989) colpevoli del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1, 2, 3 e 4, per aver preso parte (il Co., il L. e il M. fino all'ottobre (OMISSIS)) all'associazione per delinquere capeggiata dal defunto T.C., operante in (OMISSIS), finalizzata alla commissione di più delitti di importazione, acquisto, trasporto, commercio e detenzione illecita di sostanza stupefacente del tipo cocaina, aggravata dal numero dei componenti e dall'essere armata, con l'ulteriore aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7,, convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, dell'aver agito al fine di agevolare l'attività dell'associazione mafiosa denominata " C." (circostanza aggravante esclusa nei confronti del C., del Cu., del D.S., del G., del Mu.Ga.Si., del M. S., del P., del Pr., del S., del T.F. e del T.G.); con le ulteriori aggravanti della recidiva semplice contestata al Mu.

 

S. e al P., della recidiva specifica contestata alla T.F., della recidiva reiterata ed infraquinquennale contestata al Co., al G. ed al M., della recidiva specifica e infraquinquennale contestata al S., della recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale contestata al C., al L. e al Mu.Ga.Si..

 

Dichiarò altresì gli stessi imputati (ad eccezione del Cu.) colpevoli del reato-fine (rubricato al capo B) di cui agli artt. 110 e 81 cpv. c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 6, aggravato dal numero dei concorrenti e dal fine di agevolare l'attività dell'associazione mafiosa denominata " C." (fine escluso per il C., il Cu., il D.S., il G., il Mu.Ga.Si., il Mu.Sa., il P., il Pr., il S., di T.F. e T.G.), consumato nel medesimo periodo di operatività del sodalizio di cui al capo A; reato ulteriormente aggravato dalle contestate recidive.

 

Dichiarò altresì il C. ed il T. colpevoli del reato di cui all'art. 110 c.p., L. 2 ottobre 1967, n. 895, artt. 2 e 7, L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 23, per aver detenuto, in concorso fra loro e con altre persone, armi comuni da sparo, armi clandestine, armi alterate e parti di armi comuni da sparo; reato aggravato, ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7, dal fine di agevolare l'attività dell'associazione mafiosa denominata " C.";

 

ulteriormente aggravato, per il solo C., dall'aver commesso il fatto durante il periodo in cui era soggetto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno e nel triennio successivo alla sua scadenza, con l'ulteriore aggravante della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale.

 

Dichiarò inoltre Mu.Vi. colpevole del delitto di evasione dagli arresti domiciliari di cui all'art. 385 c.p. commesso in (OMISSIS), con la recidiva, reiterata e infraquinquennale.

 

Ritenuta per tutti (ad esclusione del Mu.) la sussistenza di un unico disegno criminoso tra i reati contestati e più grave quello di cui al capo A della rubrica, riconosciute ed applicate (anche ai fini del bilanciamento con le circostanze attenuanti generiche) tutte le contestate recidive, condannò gli imputati alle seguenti pene già ridotte per il rito:

 

1. C.S.: 18 anni e 20 giorni di reclusione;

 

2. Co.Gi.: 15 anni, 4 mesi e 20 giorni di reclusione;

 

3. Cu.Gi.: 8 anni e 20 giorni di reclusione;

 

4. D.S.M.: 7 anni e 4 mesi di reclusione;

 

5. G.N.: 10 anni, 5 mesi e 3 giorni di reclusione;

 

6. L.R.: 15 anni, 4 mesi e 20 giorni di reclusione;

 

7. M.A.: 11 anni di reclusione;

 

8. Mu.Ga.Si.: 12 anni di reclusione;

 

9. Mu.Sa.: 7 anni e 4 mesi di reclusione;

 

10. Mu.Vi.: 1 anno, 3 mesi e 10 giorni di reclusione;

 

11. P.C.: 8 anni e 8 mesi di reclusione;

 

12. Pr.Do.: 8 anni, 8 mesi e 20 giorni di reclusione;

 

13. S.A.: 8 anni e 8 mesi di reclusione;

 

14. T.F.: 8 anni, 1 mese e 20 giorni di reclusione;

 

15. T.G.: 9 anni, 4 mesi e 20 giorni di reclusione.

 

Con la stessa sentenza, il G.u.p. fu ordinata la confisca dei vari beni mobili registrati ed immobili già sequestrati ai sensi del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 1992, n. 356.

 

2.A seguito di impugnazione degli imputati, la Corte di appello di Catania, con sentenza del 28/02/2014, ha, per quanto di interesse:

 

1. Assolto Co.Gi., L.R. e M. A. dal reato di associazione per delinquere di cui al capo A della rubrica per non aver commesso il fatto, rideterminando la pena per il residuo reato di cui al capo B nella misura di 10 anni, 5 mesi e 5 giorni di reclusione e 45.333,00 Euro di multa, per i primi due, e di 8 anni e 6 mesi di reclusione e 36.000,00 Euro di multa per il M.;

 

2. diminuito la pena inflitta al C., al G. ed al Mu., rideterminandola nella misura rispettivamente di 15 anni, 7 mesi e 16 giorni di reclusione il C., 9 anni, 1 mese e 10 giorni di reclusione il G., 8 mesi di reclusione il Mu.Vi.;

 

3. riconosciuto prevalenti sulle contestate aggravanti le già concesse circostanze attenuanti generiche nei confronti di D. S.M., P.C. e S.A., rideterminando la pena nella misura di 5 anni, 1 mese e 20 giorni di reclusione per i primi due e 6 anni, 5 mesi e 10 giorni di reclusione per il S.;

 

4. concesso al T.G. le circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle contestate aggravanti, rideterminando la pena nella misura di 8 anni di reclusione;

 

5. confermato nel resto la sentenza di primo grado.

 

3. Per l'annullamento della sentenza propongono ricorso gli odierni imputati.

 

4. C.S. articola, per il tramite del difensore di fiducia, un unico motivo con il quale eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione a tutti i capi di imputazione e alla confisca.

 

Deduce, al riguardo, che la condanna si fonda su indizi inesistenti e, in ogni caso, su prove che sono state del tutto travisate, parcellizzate, riassunte ed intercalate da giudizi personali della Corte territoriale. Si riferisce, in particolare, alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (che non lo indicano mai quando si tratta della organizzazione del grande traffico, della gestione dei rapporti con le altre consorterie malavitose locali e nazionali, della gestione degli affiliati, del denaro ricavato, attribuendogli il ruolo marginale di "socio", di "coordinatore di 15/20 ragazzi"), nonchè ad asseriti colloqui in carcere che sarebbero intercorsi tra T.G. e Z.F. e tra lui e il T. C. (colloqui che non esistono), alla sopravvalutazione del contenuto di un colloquio intercorso il 06/10/2008 tra il D. S. e i suoi familiari (a fronte dei molti altri nei quali si fa riferimento al solo T.C.) e in genere ai colloqui che il T.C. stesso aveva tenuto in carcere dai quali emerge un atteggiamento ambivalente nei confronti del ricorrente, definito anche come persona inaffidabile, da tenere lontano dagli affari di famiglia.

 

Quanto all'omessa valutazione di fatti potenzialmente forieri quantomeno del ragionevole dubbio, deduce che: a) il periodo in contestazione va dal 2007 al maggio 2009, laddove egli, detenuto per tutto il 2007, era stato scarcerato il 19/05/2008 ed era stato nuovamente arrestato il 13/10/2008 per il presunto possesso di circa 20 kg. di cocaina; b) in questo ristretto arco di tempo le videoriprese lo avevano visto presente solo sotto la propria abitazione senza che avesse mai intrattenuto rapporti con alcuno dei presunti sodali; c) a seguito dell'arresto egli fu però assolto sulla base delle stesse conversazioni intercettate sulle quali oggi la Corte di appello fonda la sua condanna.

 

Sotto altro profilo eccepisce che la confisca è stata ingiustamente disposta benchè dalle prove testimoniali e documentali prodotte in sede di merito (che allega al ricorso per pronta consultazione) risultasse la legittima provenienza della provvista utilizzata per acquistare l'immobile confiscato.

 

4.1.Con motivi aggiunti tempestivamente depositati eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), la violazione dell'art. 99 c.p.p., comma 5, e deduce, al riguardo, che la sopravvenuta pronuncia del Giudice delle L. n. 185 del 2015 ha reso illegittimo l'aumento obbligatorio della pena in caso di recidiva di cui all'art. 99 c.p., comma 5. Lamenta che nel caso in esame tale aumento è stato applicato dai Giudici di merito senza alcuna valutazione in ordine alla effettiva attitudine dei fatti per i quali si procede a esprimere la propria pericolosità.

 

5. Co.Gi. articola, per il tramite del difensore di fiducia, un unico motivo di ricorso con il quale eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, e art. 649 c.p.p., per essere già stato giudicato per lo stesso reato nell'ambito di altro processo (cd. processo "Revenge").

 

Lamenta che la sentenza impugnata, pur apparentemente ricca di spiegazioni, di fatto è priva di una adeguata e valida motivazione in ordine alla sua specifica posizione processuale.

 

Deduce, al riguardo, che le fonti di prova utilizzate nei due diversi procedimenti sono identiche, così come identico è il contesto in cui si collocano i fatti. La genericità del capo B della rubrica ben si presta a creare confusione tanto più che la stessa sentenza impugnata riconosce che la droga che viene contestata come acquistata nel presente processo risulta essere oggetto di suo successivo smercio nel processo "(OMISSIS)".

 

Si tratta, conclude, di una vera e propria duplicazione dei medesimi fatti sui quali la Corte di appello ha omesso di motivare.

 

6. Cu.Gi. articola, per il tramite del difensore di fiducia, i seguenti motivi.

 

6.1. Con il primo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), vizio di motivazione in ordine alla ribadita affermazione della sua responsabilità fondata - afferma - sul solo rilievo che nel corso delle conversazioni intercettate i suoi presunti sodali fanno esclusivo riferimento a un certo "(OMISSIS)", nome molto diffuso in Sicilia, senza alcuna certezza che si tratti proprio di lui e senza ulteriori riscontri individualizzanti.

 

6.2.Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), la violazione dell'art. 379 c.p. la cui sussistenza la Corte territoriale ha escluso privilegiando l'ipotesi associativa contestata al capo A per il sol fatto che fosse custode della cassa.

 

6.3.Gli argomenti difensivi vengono ripresi ed ulteriormente illustrati nei motivi aggiunti.

 

7. D.S.M. eccepisce, per il tramite del difensore di fiducia e con unico motivo, l'erronea interpretazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, nonchè difetto di motivazione in ordine alla affermata sua partecipazione alla associazione per delinquere di cui al capo A della rubrica.

 

Lamenta, al riguardo, la totale assenza di prove in ordine alla "affectio societatis" necessaria per sostenere che egli abbia consapevolmente preso parte al sodalizio criminale di cui al capo A della rubrica in modo stabile e continuativo. Il fatto che fosse coinvolto nella cessione a terzi di sostanza stupefacente dietro corrispettivo di volta in volta ed occasionalmente pattuita e corrisposta dal T.C. non è circostanza dalla quale può trarsi la prova della sua affiliazione, tanto più se si considera che da quando fu arrestato, il 28/08/2008, non ricevette alcuna forma di assistenza, nè legale, nè economica.

 

Quanto alla sussistenza della circostanza aggravante del carattere armato dell'associazione, lamenta che le armi non sono mai state a sua disposizione.

 

8. G.N. articola, per il tramite del difensore, i seguenti motivi di ricorso.

 

8.1.Con il primo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), mancanza di motivazione in ordine alla propria capacità di stare in giudizio e alla capacità di intendere e di volere al momento dei fatti.

 

Deduce, in particolare, di essere affetto da grave patologia (la sindrome M.C.I. - Mild Cognitive Impairment) certificata dalla perizia svolta in sede di riesame nel gennaio 2012. Si tratta di una patologia che prelude alla demenza ed è causata dalla cronica intossicazione da sostanze stupefacenti.

 

Il perito officiato dalla Corte territoriale aveva successivamente diagnosticato un modesto deterioramento cognitivo e aveva concluso per la sua piena capacità di stare in giudizio, ma gli esiti peritali (depositati il 13/09/2013) contraddicono la diagnosi dello psicologo dirigente della ASL di Catania che il 23/09/2013 aveva invece riscontrato un grave disturbo depressivo in soggetto con pregresso abuso di cocaina con deterioramento cognitivo patologico di grado medio e significativa compromissione delle autonomie quotidiane complesse. Tale diagnosi è ben più coerente con il quadro già rilevato nel gennaio 2012, trattandosi di patologia soggetta a evoluzioni peggiorative e non certo migliorative. Inoltre, prosegue, risulta dalla CT della difesa che il G. presentava difetti dell'attenzione e della memoria, un'ideazione rallentata e irrigidita, una ridotta capacità di pensare o di concentrarsi ed indecisione.

 

Anche le conclusioni peritali in ordine alla capacità di intendere e di volere (ritenuta sussistente dal perito in base ad una depressione di tipo nevrotico e/o esistenziale nella fase di esordio) contrastano con quanto sostenuto dal CT di parte secondo il quale, invece, il G. era affetto da una grave forma di depressione da intossicazione da cocaina che lo costringeva in una condizione di assoluta incapacità a determinarsi, essendo succube dell'ossessiva ricerca di sostanza da assumere.

 

8.2.Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), carenza di motivazione in ordine alla affermazione della sua responsabilità.

 

Deduce, al riguardo, che la condanna si fonda esclusivamente sulle video-riprese effettuate in un arco temporale ristrettissimo (dal 23 maggio 2008 al 3 giugno 2008) durante il quale era stato visto tenere comportamenti niente affatto univoci. Del tutto insufficienti sono inoltre le argomentazioni svolte dalla Corte territoriale per associarlo alla persona soprannominata "(OMISSIS)" coinvolta nei traffici illeciti e nelle conversazioni intercettate.

 

Egli peraltro viveva in una via prossima ai luoghi dello spaccio, sicchè la sua presenza non ha un valore indiziante univoco, tanto più che, come certificato dalla psicologa della ASL, egli era affetto da sonnambulismo notturno.

 

8.3.Con il terzo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), violazione degli artt. 81 e 99 c.p., e lamenta, al riguardo, che la Corte di appello ha erroneamente applicato l'aumento di un terzo ai sensi dell'art. 81 c.p., u.c., benchè la recidiva sia stata ritenuta equivalente alle circostanze attenuanti generiche.

 

9. L.R. articola, per il tramite del difensore di fiducia, i seguenti motivi.

 

9.1.Con il primo, sviluppando le analoghe argomentazioni già svolte dal Co. e deducendo di essere già stato pesantemente condannato nell'ambito del processo "(OMISSIS)", eccepisce l'improcedibilità dell'azione penale per divieto del "bis in idem" sostanziale.

 

9.2.Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), la violazione della L. n. 203 del 1991, art. 7, mancando i requisiti richiesti per la sua applicazione, come interpretati dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte.

 

9.3.Con il terzo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), mancanza di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche giustificato con mere clausole di stile del tutto prive di riferimenti individualizzanti.

 

9.4.Con motivi aggiunti eccepisce la mancanza di motivazione in ordine alla recidiva di cui all'art. 99 c.p., comma 5, applicata con automatismo non più ammissibile alla luce della dichiarata illegittimità costituzionale della norma.

 

10. M.A. articola, per il tramite del difensore di fiducia, unico motivo con il quale eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b), c) ed e), mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, violazione di legge ed "error in procedendo" in relazione al divieto di "bis in idem" di cui all'art. 649 c.p.p..

 

Riprendendo anch'egli i temi già sviluppati, sul punto, dal Co. e dal L., deduce che la condotta oggetto del processo "(OMISSIS)" (tenuta dal (OMISSIS)) è pressochè temporalmente e soggettivamente sovrapponibile a quella contestata con il capo B della rubrica dell'odierno processo (che va dal 2007 al maggio 2009) e che dal 9 ottobre 2006 al febbraio 2008 era stato ristretto in carcere (stesse condotte, stessi coimputati, corrispondenza storico-naturalistica dei fatti). Inoltre - aggiunge - la propria condotta si colloca in un arco temporale ristretto durante il quale era stato notato solo due volte (il 26 ed il 28 maggio 2008) compiere atti privi di alcuna rilevanza penale o di riscontro probatorio. Alcun pregio accusatorio hanno le intercettazioni dei colloqui intrattenuti in carcere dal T.C. con i suoi familiari, o le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.

 

11. Mu.Ga. articola, per il tramite del difensore, i seguenti due motivi di ricorso.

 

11.1.Con il primo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), vizio di insufficiente e/o illogica motivazione e violazione del cit. D.P.R., art. 74 e art. 192 c.p.p..

 

Lamenta, al riguardo, che la Corte di appello ha valorizzato l'unica conversazione intercorsa tra il T.C. ed i suoi familiari senza alcun vaglio critico (comunque necessario secondo gli insegnamenti di questa Corte) e benchè dalla stessa non possa evincersi in alcun modo la prova della propria adesione al patto costitutivo del sodalizio capeggiato dal primo, nè che egli si identifichi con il " Ga." di cui si parla. Nè elementi utili possono trarsi dalla conversazione intercorsa tra il C. ed i suoi familiari il 23/10/2008. L'intera motivazione - afferma - è apodittica e frutto di meri automatismi probatori. Manca la prova dell'inserimento stabile nell'associazione, dei suoi rapporti con i sodali, del suo apporto individuale non episodico; nè possono essere utilizzate le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Fiorentino che al più provano la sua attività di spaccio e nulla più. Manca persino la prova dell'esistenza di tale sodalizio.

 

11.2.Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), vizio di insufficiente e/o illogica motivazione e violazione di legge in ordine al trattamento sanzionatorio.

 

Deduce che ingiustamente sono state negate le circostanze attenuanti generiche in virtù di un ruolo associativo che deve essere escluso.

 

12. Mu.Sa. articola, per il tramite del difensore di fiducia, due motivi di ricorso.

 

12.1.Sulla falsariga degli argomenti già utilizzati dal Mu.

 

G. e dal D.S., avuto riguardo al proprio stato di tossicodipendenza e al fatto che era stato di detenzione ininterrottamente dal 26/05/2008, eccepisce, con il primo motivo, la mancanza di elementi sintomatici di un proprio stabile e permanente inserimento nell'associazione per delinquere di cui al capo A della rubrica, non desumibile dalla pur ammessa condotta di cessione di stupefacente posta in essere dietro corrispettivo erogato dal T.C., che si configura come il frutto di un'occasionale incontro di volontà destinato a ripetersi e ad esaurirsi ogni volta.

 

Eccepisce, altresì, che la circostanza aggravante dell'essere l'associazione armata è stata applicata in maniera ingiustificata, acritica e avulsa dalla realtà, poichè le armi erano nella esclusiva disponibilità del T., il che non consente di estenderla anche a carico degli altri sodali che tale disponibilità non avevano.

 

12.2.Con il secondo motivo eccepisce la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ha ritenuto di non concedere le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata recidiva.

 

12.3. Il tema è ripreso con i motivi aggiunti di ricorso con i quali l'imputato, richiamando la sentenza n. 185 dell'8 luglio 2015 della Corte Costituzionale, contesta l'automatica applicazione della recidiva di cui all'art. 99 c.p., comma 5.

 

13. Mu.Vi. eccepisce, per il tramite del difensore di fiducia, vizio di carente o comunque insufficiente motivazione in ordine alla affermazione della propria responsabilità e al trattamento sanzionatorio.

 

14. P.C. articola, per il tramite del difensore di fiducia, unico motivo di ricorso con il quale eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), erronea applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, e difetto di motivazione in ordine alla sussistenza della fattispecie associativa.

 

Richiamata la giurisprudenza di questa Suprema Corte circa gli elementi costitutivi del reato associativo per il quale si procede, deduce che il proprio coinvolgimento nell'indagine è limitato ad un arco temporale breve che va dal novembre 2008 al 17 febbraio 2009 allorquando si adoperò, per conto e nell'interesse del T. C., di recuperare dai debitori il pagamento delle pregresse forniture di sostanza stupefacente, attività che cessò nel momento in cui fu rimesso in libertà T.G. (classe (OMISSIS)) per poi dedicarsi esclusivamente al proprio lavoro. Sicchè, al più, si potrebbe ipotizzare nei suoi confronti il solo delitto di favoreggiamento reale di cui all'art. 379 c.p..

 

Al pari del Mu.Sa. eccepisce che la circostanza aggravante dell'essere l'associazione armata è stata applicata in maniera ingiustificata, acritica e avulsa dalla realtà, poichè le armi erano nella esclusiva disponibilità del T. e non erano a sua disposizione. La semplice conoscenza della loro presenza non può di per sè giustificarne l'applicazione anche a lui.

 

15. Pr.Do. articola, per il tramite del difensore, i seguenti tre motivi di ricorso.

 

15.1.Con i primi due eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), violazione dell'art. 191 c.p.p., nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla richiesta (ed esclusa) utilizzabilità "in bonam partem" della corrispondenza del detenuto T.C. e alla conseguente affermazione della sua responsabilità per il reato associativo.

 

Lamenta, con il primo motivo, che ingiustamente i Giudici di merito hanno escluso l'utilizzabilità, a suo favore, della corrispondenza di T.C. intercettata in violazione del divieto di cui all'art. 18, legge ord. pen. e ciò a prescindere dal fatto che il PM non ha appellato, sul punto, la sentenza di primo grado.

 

Aggiunge, con il secondo, che l'utilizzazione della corrispondenza era di ausilio decisivo per interpretare correttamente il suo inesistente ruolo quale emerge dalle conversazioni intercorse in carcere tra il T.C. ed i suoi familiari durante le quali il primo mostrava il proprio disprezzo nei confronti di lui (ricorrente) e la sua dichiarata inutilità a fini associativi; tali lettere avrebbero aiutato a comprendere il vero significato dei modesti aiuti economici da lui (ricorrente) fatti a favore dei componenti della propria famiglia che nulla hanno a che vedere con i ben più cospicui aiuti economici erogati agli affiliati del sodalizio.

 

15.2.Con il terzo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti, diniego genericamente fondato sul solo fatto che è gravato da precedente condanna.

 

16. S.A. articola, per il tramite del difensore, motivi del tutto analoghi a quelli già proposti con i ricorsi principali da Mu.Ga., Mu.Sa. e D.S.M., ai quali si rimanda.

 

17. T.F. articola, per il tramite del difensore di fiducia, quattro motivi di ricorso.

 

18.Con il primo, il secondo ed il quarto ripropone, adattate alla sua persona, le stesse censure e le medesime argomentazioni svolte dal Pr.. Con riferimento, in particolare, alla corrispondenza del T. lamenta che dalla stessa si evince la propria estraneità agli affari del fratello che mai la menziona ed è anzi aizzato dai propri famigliari contro di lei, così che anche il contenuto delle conversazioni intercettate ne risulta falsato.

 

19.Con il terzo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. e), mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla confisca, confermata dalla Corte di appello a fronte di precise e puntuali allegazioni difensive totalmente ignorate.

 

20. T.G. (cl. (OMISSIS)) propone, per il tramite dell'avv. Francesco A., unico articolato motivo di ricorso con il quale, richiamati gli argomenti difensivi devoluti alla Corte di appello, ne eccepisce il mancato esame, non giustificabile dalla loro affermata (ma inesistente) genericità. Gli elementi di prova a disposizione dei giudici di merito, afferma, non sono univocamente dimostrativi della "affectio societatis", perchè possono essere interpretati anche come puro e semplice aiuto al padre e non alla consorteria. Per ovviare a tale carenza, la sentenza impugnata attinge a elementi estranei al giudizio stesso e alla rubrica. Inoltre, a fronte della predicata mole imponente di prove circa l'attività di spaccio di stupefacenti di cui al capo B della rubrica, in realtà la Corte di appello non risponde alle specifiche censure sollevate sul punto. E' immotivata, prosegue, l'applicazione, nei suoi confronti, della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, sul solo rilievo che fosse a conoscenza della esistenza delle armi.

 

Censura, infine: a) l'immotivato ed ingiustificato rifiuto di concedergli le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti; b) l'errata attribuzione alla sua persona del T.G. (detto (OMISSIS)) di cui parla il collaboratore di giustizia Pe.; c) l'inutilizzzabilità della intercettazioni telefoniche.

 

20.1. Con motivi aggiunti proposti dall'avv. Salvatore P., il ricorrente riprende il tema relativo alla sua partecipazione all'associazione per delinquere di cui al capo A della rubrica. Dopo aver illustrato gli elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi, del delitto in questione, già oggetto dei ricorsi D.S., L., Mu.Sa., P. e S., lamenta che la prova è stata tratta dalla sua sola presenza in c.da (OMISSIS) il 13/10/2008 e dalla errata lettura dell'intercettazione del 30/09/2008 dalla quale non può trarsi la prova della sua investitura come reggente ad opera del padre detenuto.

 

Sotto altro profilo eccepisce che la prova del suo coinvolgimento nei traffici di cui al capo B non può essere tratta esclusivamente dalla sua presenza nei luoghi dello spaccio, ove lui viveva, in assenza di ulteriori elementi di riscontro.

 

Conclude lamentando l'applicazione della circostanza aggravante dell'associazione armata fondata sulla mera conoscenza del nascondiglio delle armi di cui non aveva disponibilità alcuna.

Motivi della decisione

 

17.Tutti i ricorsi sono inammissibili, ma la sentenza deve essere annullata, nei confronti di C.S., Co.

 

G., G.N., L.R., M.A., Mu. Ga., Mu.Sa. e T.F., limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania.

 

18. Il primo motivo del ricorso originario del C. è inammissibile perchè generico e proposto per motivi non consentiti dalla legge.

 

18.1.Premesso che l'imputato non contesta l'esistenza del sodalizio capeggiato dal (defunto) T.C., i Giudici di merito lo hanno ritenuto colpevole dei reati a lui ascritti in base alle seguenti prove: a) le convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia St.Eu., Pe.Vi. e F. V. che avevano qualificato (questi ultimi) il ricorrente come "socio" (o "socio in affari") del T., descrivendone - in modo più dettagliato il F. - ruoli e competenza nell'approvvigionamento di notevoli quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina e nella co-gestione della piazza di spaccio sita in (OMISSIS) e zone limitrofe); b) l'interrogatorio del D.S.M. che aveva riferito di aver preteso dal C. il pagamento dello "stipendio" assicurato agli affiliati e loro familiari in caso di detenzione; c) le video-riprese dei luoghi dello spaccio, che avevano consentito di documentare le condotte attivamente tenute dal C. nel periodo monitorato (dal (OMISSIS) fino all'arresto del (OMISSIS)); d) le dichiarazioni testimoniali rese dagli acquirenti della sostanza; e) i sequestri e gli arresti effettuati dalla polizia giudiziaria a riscontro del contenuto materiale delle condotte video-riprese; f) le conversazioni intercorse in carcere tra il T.C. ed i propri famigliari e tra il ricorrente stesso e la propria moglie ed il figlio; g) le conversazioni intercorse il 13/10/2008 tra il C., Z. S.F., Z.A. e T.G. (figlio di T.C.) allorquando si trovavano nella caserma dei Carabinieri prima che si procedesse al loro arresto in flagranza per il concorso nel trasporto e detenzione di 20 kg. di cocaina (dialoghi nel corso dei quali i protagonisti, preoccupati del possibile rinvenimento di ulteriore droga e delle armi di cui al capo D della rubrica l'arsenale dell'associazione - sepolte nei pressi della villa dello Z. convenivano che quest'ultimo se ne attribuisse la detenzione); g) le conversazioni intercorse in carcere tra il C. e lo Z. nel corso delle quali quest'ultimo preannunciava che si sarebbe attribuito la sola detenzione delle armi, con esclusione della droga, ricevendo la garanzia del ricorrente che lui e la sua famiglia avrebbero ricevuto il sostegno finanziario necessario se si fosse accollato l'intera responsabilità.

 

18.2.L'odierno ricorso (che in buona parte ricalca il canovaccio dell'atto di appello dalle cui incrostazioni fattuali non si libera del tutto) tradisce l'impegno, formalmente assunto, di non proporre una lettura alternativa del medesimo compendio probatorio, perchè la denunzia di una "utilizzazione distorta e parziale" delle prove e l'illustrazione dei relativi contenuti (con allegazione di alcuni verbali di interrogatorio) di fatto conduce al medesimo (ed inammissibile) risultato, in assenza, peraltro, di qualsiasi eccezione circa il loro effettivo travisamento.

 

18.3.In realtà (ed è questione decisiva secondo il Collegio), il C. non affronta il vero punto centrale della questione che attiene non tanto al numero di battute che lo riguardano direttamente (come se il peso specifico di una chiamata in reità si misurasse in base al numero delle parole spese), quanto al metodo utilizzato nella ricostruzione delle vicende associative (e al ruolo in esse svolto dall'imputato) e dunque alla logica del ragionamento seguito e, in ultima analisi, all'ossequio alla regola di giudizio imposta dall'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4. Appare chiaro che tutte le prove raccolte nel corso delle indagini (delle quali il C. propone una lettura, essa sì, parziale, atomistica ed episodica) sono state utilizzate in sede processuale quale riscontro alle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia (in particolare il Pe. e il F.) che avevano descritto il ricorrente come socio in affari del T.C. con cui gestiva la "importantissima piazza di spaccio" di (OMISSIS) e zone limitrofe, negli stessi luoghi nei quali la polizia giudiziaria avrebbe sin da subito registrato la frenetica attività di spaccio di cocaina supervisionata dall'odierno ricorrente (che, si legge nella sentenza di primo grado, l'aveva rivendicata come anche la sua, non solo del T.), trovando nelle video-riprese, nelle attività di PG che avevano consentito i numerosi sequestri e arresti, nelle dichiarazioni testimoniali e nei dialoghi intercettati (che il ricorrente denunzia esser stati sintetizzati in modo da fornire una rappresentazione alterata e parziale della realtà processuale) fonte di convincimento della bontà dell'assunto accusatorio. Non ha perciò rilevanza alcuna, a fronte di una contestazione associativa che copre un arco di tempo che va dal 2007 al maggio 2009, la circostanza che le video-riprese dei luoghi dello spaccio si siano protratte per un periodo di tempo limitato (dal (OMISSIS), essendo stato il C. scarcerato il precedente 19, al 13 ottobre 2008, giorno del suo nuovo arresto), nè che il ricorrente sia stato assolto, in separato giudizio (nel quale il materiale probatorio era decisamente meno ampio di quello a disposizione nel presente processo), dal reato relativo alla detenzione dell'ingente quantitativo di cocaina per il cui trasporto fu arrestato il (OMISSIS) insieme con altri (non rilevando, a fini associativi, il fatto dell'assoluzione in sè, quanto la discussione su chi, tra i sodali, dovesse accollarsene la responsabilità, tanto più che tali fatti sono stati espressamente esclusi dall'odierna regiudicanda).

 

Nè ha fondamento l'eccezione secondo la quale la Corte di appello, intercalando i riassunti dei dialoghi e delle prove dichiarative con le proprie considerazioni, avrebbe tradito il dovere di riportare in modo integrale le fonti originarie fornendo una visione distorta e parziale delle prove, sia perchè l'art. 546 c.p.p., lett. e), non impone la trascrizione integrale delle prove dichiarative e dei dialoghi intercettati (essendo necessario e sufficiente che il giudice indichi in modo conciso le parti ritenute rilevanti ai fini della decisione), sia perchè ove la sintesi dissimuli il travisamento della prova ovvero l'omesso esame di suoi aspetti decisivi ai fini di una diversa ricostruzione del fatto più favorevole all'accoglimento delle tesi difensive, è onere dell'imputato non solo allegare il relativo verbale (o comunque indicarne la collocazione nel fascicolo) ma anche specificare se ed in che modo tali parti dichiarative (o comunque altre prove dichiarative di segno contrario) siano state oggetto di specifica censura in sede di appello e non siano state esaminate affatto. Non è perciò processualmente corretto allegare al ricorso i verbali integrali delle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori, non per denunziarne il decisivo travisamento o l'omesso esame integrale, ma per sollecitarne un esame diretto in sede di legittimità onde ricavarne puramente e semplicemente conclusioni diverse da (e dunque alternative a) quelle adottate in sede territoriale. Tanto più se, come nel caso di specie, non ne venga esplicitamente eccepito il mancato esame (mai) sollecitato in sede di appello. Per il resto, come detto, il ricorso punta ad una inammissibile rilettura del compendio probatorio resa oltretutto debole dalla mancata presa di posizione sul reato di cui al capo D della rubrica relativo alla co- detenzione delle armi costituenti l'arsenale dell'associazione.

 

18.4.Non ha alcun fondamento l'eccezione relativa all'annessa motivazione in ordine al reato-fine (spaccio di sostanze stupefacenti) di cui al capo B della rubrica, argomento che invece la sentenza impugnata affronta espressamente a pag. 56, richiamando a sua volta anche le pagine da 62 a 63 della sentenza di primo grado.

 

18.5.E' altresì inammissibile l'eccezione che ha ad oggetto la confisca dell'immobile acquistato il 16 novembre 2006 al prezzo di Euro 32.000,00 ed intestato anche alla moglie del ricorrente, A.V.; confisca disposta ai sensi del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12-sexies, convertito dalla L. 7 agosto 1992, n. 352. Sia il G.u.p. che la Corte di appello hanno ampiamente spiegato le ragioni per le quali tale acquisto evidenziava una capacità economica del tutto sproporzionata ai redditi dichiarati ed alle attività svolte dai due coniugi in quel periodo di tempo, sì da rendere legittima la presunzione della provenienza della provvista dalle attività illecite del C., presunzione non vinta dalle allegazioni difensive ritenute, con motivazione non manifestamente illogica, infondate e inattendibili. Occorre peraltro aggiungere che oggetto di confisca sono stati anche altri beni mobili registrati (quattro motocicli e un'autovettura), acquistati tra il 2005 ed il 2009, per un valore complessivo di circa 30.000,00 Euro, in ordine ai quali non è mai stata mossa alcuna censura.

 

Tra l'altro, l'utilizzo di provviste illecite per l'acquisto dell'immobile risulta provato, secondo quanto riportano i Giudici di merito, dai colloqui intercorsi il 7 ottobre 2008 tra il T. C. ed i suoi familiari nel corso dei quali il primo lamentava che il C. aveva prelevato dalla cassa 30.000 Euro per comprarsi una casa e altri soldi per comprarsi un'autovettura.

 

Il ricorso, prescindendo pressochè totalmente da quest'ultimo argomento (la cui portata dirimente è evidente), predilige argomenti fattuali volti a scardinare, attraverso la inammissibile produzione diretta delle fonti di prova e la sollecitazione del loro esame, il ragionamento utilizzato dai Giudici di merito per sconfessare la tesi difensiva del prestito concesso ai coniugi dai loro familiari (a loro volta ritenuti incapienti dai Giudici di merito), dimenticando che il vizio di motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato e non dal confronto diretto con le prove assunte.

 

18.6. Hanno invece fondamento i motivi aggiunti di ricorso che, fondandosi sulla sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità di una norma utilizzata nel presente processo a fini sanzionatori e che rende illegale la pena applicata, devono essere esaminati d'ufficio, nonostante l'inammissibilità dei motivi originari.

 

Con sentenza n. 185 del 08-23/07/2015, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 99 c.p., comma 5, come sostituito dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 4 (Modifiche al codice penale e alla L. 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), limitatamente alle parole "è obbligatorio e,".

 

Come affermato dal Giudice delle leggi "l'art. 99 c.p., comma 5, nel prevedere che nei casi di cui all'art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), la recidiva è obbligatoria, contrasta con il principio di ragionevolezza e parifica nel trattamento obbligatorio situazioni personali e ipotesi di recidiva tra loro diverse, in violazione dell'art. 3 Cost..

 

9.3.- La previsione di un obbligatorio aumento di pena legato solamente al dato formale del titolo di reato, senza alcun "accertamento della concreta significatività del nuovo episodio delittuoso - in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti e avuto riguardo ai parametri indicati dall'art. 133 c.p. - "sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo" (sentenza n. 192 del 2007)" (sentenza n. 183 del 2011), viola anche l'art. 27 Cost., comma 3, che implica "un costante "principio di proporzione" tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra" (sentenza n. 341 del 1994)" (sentenza n. 251 del 2012). La preclusione dell'accertamento della sussistenza nel caso concreto delle condizioni che dovrebbero legittimare l'applicazione della recidiva può rendere la pena palesemente sproporzionata, e dunque avvertita come ingiusta dal condannato, vanificandone la finalità rieducativa prevista appunto dall'art. 27 Cost., comma 3". Di qui la dichiarazione della illegittimità costituzionale l'illegittimità costituzionale dell'art. 99 c.p., comma 5, come sostituito dalla L. n. 251 del 2005, art. 4, limitatamente alle parole "è obbligatorio e".

 

La decisione della Consulta restituisce al giudice il compito di verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all'eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247838).

 

Nel caso di specie, il consistente aumento di pena per la contestata (ed applicata) recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale è stato effettuato in modo automatico, sul solo rilievo della sua obbligatorietà avuto riguardo al reato (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74) per il quale il C. è stato condannato. Il che rende necessario l'annullamento della sentenza limitatamente al trattamento sanzionatorio affinchè il Giudice del rinvio, adeguandosi al "dictum" della Corte Costituzionale e conformandosi ai principi espressi in materia da questa Corte di cassazione (Sez. U, Calibè, cit.), spieghi se sussistono, in concreto, le ragioni dell'aumento di pena inflitto automaticamente a titolo di recidiva obbligatoria.

 

19. Il ricorso del Co. è inammissibile perchè generico e manifestamente infondato.

 

19.1.L'imputato, come visto, eccepisce la violazione dell'art. 649, c.p.p. perchè - deduce - è già stato irrevocabilmente condannato nell'ambito di altro processo (cd. processo "(OMISSIS)") alla pena di venti anni di reclusione per i reati di cui al cit. D.P.R., artt. 73 e 74, consumati in un arco di tempo (dal mese di novembre (OMISSIS) al mese di (OMISSIS)) che comprende e supera le condotte oggetto di odierna contestazione. Nell'odierno processo, in particolare, si contesta al ricorrente di aver acquistato dal T. e dai suoi sodali sostanza stupefacente successivamente smerciata nell'ambito dell'associazione per delinquere oggetto del cd. processo "(OMISSIS)". Di qui l'eccezione di esser stato condannato due volte per lo stesso fatto: l'acquisto, presso il sodalizio di cui al capo A della presente rubrica, della sostanza smerciata nell'ambito del diverso contesto associativo di cui al citato diverso processo.

 

19.2.L'eccezione è generica e totalmente infondata, sia in fatto che in diritto.

 

19.3.Sotto il primo profilo, i Giudici di merito hanno dato ampiamente conto del fatto che l'associazione del T. Carmelo era solo uno dei canali di rifornimento di quella (il cd. clan C.) di appartenenza del Co. (circostanza quest'ultima del tutto trascurata nel ricorso che, peraltro, non fornisce le coordinate idonee a valutare, anche solo astrattamente, la perfetta sovrapponibilità delle condotte). Ciò impedisce di poter affermare che la sostanza oggetto dei traffici gestiti dal clan " C." fosse sempre e comunque quella acquistata presso l'associazione per delinquere di cui al capo A della rubrica.

 

19.4.Non solo. Essendo stato eccepito anche il vizio di motivazione di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e), il Co. ha omesso del tutto di indicare quali specifici indicatori della identità delle sostanze oggetto delle condotte scrutinate nei due diversi processi siano stati sottoposti alla valutazione della Corte di appello. In realtà, dalla lettura dell'atto di appello pare che l'eccezione della violazione del divieto del "bis in idem" riguardasse piuttosto la contemporanea partecipazione dell'imputato ai due sodalizi, fatto per il quale egli è stato assolto dalla Corte di appello nell'ambito dell'odierno processo.

 

19.5.In ogni caso, in diritto, deve essere esclusa l'identità (e l'unicità) delle condotte di acquisto e successiva cessione della medesima sostanza stupefacente quando esse non siano poste in essere senza soluzione di continuità, dovendo in tal caso affermarsi il loro concorso materiale. Il reato di vendita/cessione di sostanza stupefacente concorre con quello di acquisto/ detenzione della medesima sostanza effettuato in precedenza al fine proprio di procurarsi una scorta per le future cessioni. Si tratta di ipotesi ben diversa da quella dell'acquisto seguito da immediata cessione della stessa sostanza, senza apprezzabile soluzione di continuità.

 

19.6.Questa Suprema Corte ha costantemente affermato il principio di diritto (che deve essere qui ribadito) secondo il quale il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 ha natura giuridica di norma a più fattispecie, con la conseguenza che, da un lato, il reato è configurabile allorchè il soggetto abbia posto in essere anche una sola delle condotte ivi previste, dall'altro, deve escludersi il concorso formale di reati quando un unico fatto concreto integri contestualmente più azioni tipiche alternative previste dalla norma, poste in essere senza apprezzabile soluzione di continuità dallo stesso soggetto ed aventi come oggetto materiale la medesima sostanza stupefacente (Sez. 3, n. 7404 del 15/01/2015, Righetti, Rv. 262421;

 

Sez. 6, n. 9477 del 11/12/2009, Pintori, Rv. 246404; Sez. 4, n. 22588 del 07/04/2005, Volpi, Rv. 232094).

 

19.7.Non ha dunque rilievo decisivo il fatto, valorizzato dall'imputato a fondamento della propria eccezione, che oggetto delle cessioni contestate nel cd. processo "(OMISSIS)" fosse (anche) la sostanza acquistata dal sodalizio del T. nel medesimo periodo temporale, non essendo mai stato nemmeno dedotto in sede di merito che tale sostanza fosse la stessa identica sostanza acquistata e subito immessa nel mercato gestito dal clan " C.".

 

19.8. Il ricorso è dunque inammissibile.

 

19.9.Tuttavia la sentenza impugnata deve essere annullata d'ufficio limitatamente al trattamento sanzionatorio per gli stessi motivi già ampiamente illustrati in sede di esame del ricorso del C. posto che anche nei confronti del Co., con automatismo derivante dalla circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, è stato applicato l'aumento di due terzi della pena per la contestata recidiva reiterata infraquinquennale di cui all'art. 99 c.p., comma 5.

 

20. Il ricorso di Cu.Gi. è inammissibile perchè generico e totalmente infondato.

 

20.1.L'imputato è stato ritenuto il cassiere dell'associazione, il custode delle ingenti ricchezze accumulate dal cognato, T. C.. Tali conclusioni si basano sull'analisi del contenuto delle conversazioni intercorse tra l'imputato e gli altri sodali nonchè tra il T. stesso, la moglie e altri sodali e sui riferimenti alla sua persona come lo "zio (OMISSIS)" collegato alla "zia (OMISSIS)", sorella quest'ultima del T.. La sentenza, peraltro, opera una lettura contestualizzata e organica delle conversazioni in questione collegandole a specifici episodi associativi dai quali trae ulteriore conferma da un lato del ruolo associativo dell'imputato (cui risulta affidata anche la gestione del pagamento degli "stipendi" per le famiglie degli associati arrestati), dall'altro della esclusiva e certa riferibilità alla sua persona del "(OMISSIS)" che interviene nelle conversazioni o a cui si fa in esse riferimento.

 

20.2. Prescindendo completamente dalla motivazione della sentenza impugnata, l'imputato si limita ad opporre l'assenza di elementi univoci dai quali poter trarre conferma della sua identificazione con il "(OMISSIS)". Tra l'altro, essendo stato eccepito il vizio di motivazione, il Cu. non indica quali specifici argomenti difensivi siano stati devoluti sul punto e negletti in sede di appello.

 

20.3.E' manifestamente infondata l'eccezione di insussistenza del reato di partecipazione all'associazione per delinquere, genericamente supportata dalla alternativa prospettazione della sussistenza del reato di favoreggiamento reale di cui all'art. 379 c.p..

 

20.4.In realtà, appare chiaro dalla lettura della sentenza impugnata (ma anche di quella di primo grado) che la custodia delle ingenti fortune del T. non fosse limitata a favorire esclusivamente quest'ultimo ma costituisse condotta tipica di partecipazione del sodalizio a servizio (e finanziamento) del quale tali somme erano state poste a disposizione e delle quali l'imputato disponeva su ordini del cognato, capo del sodalizio.

 

20.5. Secondo un primo indirizzo di questa Suprema Corte si ritiene ammissibile la configurabilità della ipotesi di favoreggiamento reale con riguardo ad un reato presupposto di carattere permanente, quale è la partecipazione ad una associazione a delinquere, produttiva di beni e proventi illeciti rispetto ai quali l'agente - che non partecipi all'associazione o concorra esternamente con essa - con la sua condotta può aiutare il partecipe ad assicurare il prodotto o il profitto (così, da ultimo, Sez. 6, n. 30873 del 18/06/2014, Lugara, Rv. 260050). In senso contrario si è invece sostenuto che tanto il favoreggiamento personale quanto quello reale, presuppongono l'avvenuta consumazione del reato ascritto al soggetto favorito e, pertanto, qualora trattisi di reato associativo occorre che si sia già verificata la sua cessazione, costituita dallo scioglimento del sodalizio, dandosi luogo altrimenti alla configurabilità, non del favoreggiamento, ma della partecipazione o del concorso esterno, a seconda che risulti o meno dimostrato lo stabile inserimento del soggetto nella struttura associativa (Sez. F, n. 38236 del 03/09/2004, 'ovino, Rv. 229648; Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012, Biondi, Rv. 253151). Tuttavia, anche secondo il primo indirizzo interpretativo si è precisato che la condotta di ausilio non deve in alcun modo tradursi in un sostegno o incoraggiamento alla prosecuzione dell'attività delittuosa da parte del beneficiario, che darebbe luogo invece a responsabilità per il reato associativo (Sez. 6, n. 27720 del 05/03/2013, Frattaruolo, Rv. 255622).

 

20.6.Nel caso di specie, come detto, la Corte di appello afferma in modo netto che i tesori accumulati dal T.C. erano "necessari al funzionamento della macchina organizzativa", corroborando tale affermazione con richiami a specifici atti di indagine che rendono non incoerenti le conclusioni che ne sono state tratte, dando così corpo fattuale alla corretta qualificazione giuridica della condotta dell'imputato.

 

20.7.L'inammissibilità del ricorso originario impedisce di prendere in esame i motivi aggiunti (art. 585 c.p.p., comma 4).

 

21. Il ricorso del D.S.M. è inammissibile perchè generico e manifestamente infondato.

 

21.1.L'imputato si limita a reiterare, alla lettera, le censure già contenute nell'atto di appello trascurando del tutto i solidi e convincenti argomenti utilizzati dalla Corte territoriale per ribadire il suo pieno e consapevole inserimento nel sodalizio di cui al capo A della rubrica e la sua convinta adesione ai meccanismi associativi che presiedevano al suo funzionamento. Tra questi, in particolare, la percezione di un vero e proprio stipendio settimanale, sintomatico, alla luce di altri elementi di prova del tutto trascurati nel ricorso, di un ruolo stabile (il "pusher") svolto nella piazza di spaccio per conto dell'associazione. La tesi difensiva, secondo cui la corresponsione di tale somma sarebbe da attribuire ad accordi occasionalmente conclusi dall'imputato per fronteggiare, di volta in volta, le necessità economiche derivanti dal proprio stato di tossicodipendenza, si infrange, dunque, contro un quadro probatorio ben più ampio ed articolato che arricchisce la ricostruzione del fatto indirizzandolo verso approdi non solo non manifestamente illogici, ma del tutto coerenti con le premesse di fatto da cui muovono. Ci si riferisce, in particolare, alla pretesa dell'imputato di mantenere lo stipendio anche in carcere e di essere sollevato dal pagamento delle spese dell'avvocato ("servizio" indiscutibilmente fornito dall'associazione ai suoi sodali e loro familiari), ai colloqui tenuti, a tal fine, con i capi del sodalizio, alla sua assidua frequenza dei luoghi dello spaccio (circostanza, quest'ultima, nemmeno contestata). In un tale contesto, degradare la percezione di una retribuzione settimanale a fatto insignificante del consapevole e stabile apporto agli scopi del sodalizio è operazione ermeneutica che contrasta, essa sì, con la logica, e che propone veri e propri atti di fede a favore della tesi difensiva.

 

21.2.La condotta di partecipazione ad un sodalizio criminale che, per sua natura, non ha norme di funzionamento nè forme riconosciute dall'ordinamento, ma si muove ed opera nell'esperienza fenomenica in base a regole il più delle volte non scritte che si fondano, a loro volta, su delicati equilibri e rapporti di forza, non può naturalmente che risentire della natura "fattuale" del sodalizio nel quale si innesta ed essere valutata quale espressione, nei fatti, della consapevole adesione al generico programma criminoso che con la propria condotta si intende concorrere ad attuare. Nel caso di specie, l'attività continuata (e retribuita) di cessione di sostanze stupefacenti nella piazza di spaccio gestita dall'associazione per delinquere attua, sul piano oggettivo, lo scopo del sodalizio; le modalità con cui tale condotta è stata tenuta, i comportamenti coevi e successivi, provano la piena consapevolezza del suo autore di concorrere ad attuarlo.

 

21.3.Del tutto generica e manifestamente infondata è l'eccezione relativa alla inapplicabilità nei confronti del D.S. della circostanza aggravante del carattere armato dell'associazione di cui al cit. D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 4. Tale eccezione si fonda sul fatto che di tali armi egli non aveva mai avuto la concreta disponibilità. Come affermato dalla Corte di appello, tali armi (l'arsenale, come viene testualmente definito) erano in piena disponibilità del sodalizio e tale conclusione (che si basa, a sua volta, su elementi di prova richiamati nella motivazione) non è contestata dall'imputato.

 

21.4.Del resto è noto l'indirizzo di questa Suprema Corte secondo il quale la circostanza aggravante dell'associazione armata, prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 4, - diversamente da quella analoga, ipotizzata dall'art. 416 bis c.p., comma 5, con riguardo all'associazione per delinquere di stampo mafioso - richiede unicamente la disponibilità di armi, non esigendo anche la correlazione tra queste ultime e gli scopi perseguiti dall'associazione criminosa (Sez. 5, n. 11101 del 04/02/2015, Platania, Rv. 262714; Sez. 5, n. 4750 del 13/03/1996, Rizzo, Rv.

 

204844; Sez. 2, n. 13682 del 08/01/2009, Aveta, Rv. 243948; Sez. 1, n. 21040 del 12/05/2010, De Vivo, Rv. 247557). Non si è mancato di precisare che l'uso delle armi non deve però essere esclusivamente personale del soggetto che le detiene (Sez. 5, n. 18756 del 08/10/2014, Buondonno, Rv. 263694), ma la circostanza è esclusa dalla Corte di appello con una precisa presa di posizione non contestata sul punto.

 

21.5.Non rileva, dunque, la effettiva disponibilità delle armi da parte di ogni singolo associato, essendo sufficiente, perchè la circostanza aggravante si applichi ad esso, che egli sia consapevole, o sussista quantomeno un coefficiente di prevedibilità concreta, della disponibilità delle armi da parte del sodalizio (Sez. 2, n. 44667 del 08/07/2013, Aversano, Rv. 257611); circostanza fattuale nemmeno contestata dal ricorrente.

 

22.1 primi due motivi del ricorso del G.N. sono inammissibili perchè generici (il secondo) e totalmente infondati e proposti per motivi non consentiti dalla legge (il primo).

 

22.1.La Corte di appello, per fornire risposta allo specifico quesito della capacità dell'imputato di intendere e di volere al momento del fatto e di partecipare coscientemente al processo, ha rinnovato l'istruttoria dibattimentale procedendo ad accertamento peritale i cui esiti (in senso contrario alla fondatezza dell'eccezione difensiva) ha condiviso alla luce anche degli spunti critici contenuti nella consulenza tecnica di parte. A tal fine, i Giudici distrettuali hanno evidenziato che: a) la valutazione di decadimento cognitivo di grado medio dell'imputato si fondava solo su accertamenti di natura psicologica, mentre quelli peritali (che tale valutazione non condividono) si avvalevano anche di esami specialistici ed accertamenti strumentali (la TAC) che smentivano il fondamento scientifico delle conclusioni di parte; b) l'accertamento svolto nella diversa sede previdenziale aveva ambiti e finalità propri, del tutto diversi da quello svolto nel processo penale che si estende anche all'epoca del fatto.

 

22.2. Il ricorrente muove una serrata critica alle conclusioni peritali avvalendosi di (e richiamando) documentazione sanitaria già allegata alla consulenza di parte, proveniente anche da dirigenti medici di strutture sanitarie pubbliche, che pertanto - afferma - è assistita da una presunzione di terzietà oltre che di maggior plausibilità e coerenza con il quadro clinico generale (e con la diagnosticata depressione che lo portava ad assumere cocaina smodatamente).

 

22.3.Sennonchè, così facendo, l'imputato, oltre a sottoporre al giudizio diretto di questa Corte elementi di giudizio già scrutinati in sede peritale (trasformando così il controllo sulla motivazione della sentenza in un controllo sul 22 fatto), trascura completamente gli argomenti espressamente utilizzati dalla Corte di appello per preferire le conclusioni del perito a quelle del CT della difesa.

 

22.4.In tema di prova scientifica, la Cassazione non deve stabilire la maggiore o minore attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito e, quindi, se la tesi accolta sia esatta ma solo se la spiegazione fornita sia razionale e logica;

 

essa, infatti, non è giudice del sapere scientifico ed è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell'approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine all'affidabilità delle informazioni utilizzate ai fini della spiegazione del fatto. Ne deriva che il giudice di legittimità non può operare una differente valutazione degli esiti di una consulenza, trattandosi di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, se - come nel caso di specie - congruamente motivato (Sez. 5, n. 6754 del 07/10/2014, Rv. 262722).

 

22.5.Del resto, costituisce indirizzo consolidato, coerente alla peculiare natura del giudizio di legittimità, quello per il quale costituisce giudizio di fatto, incensurabile in questa sede, la scelta operata dal giudice, tra le diverse tesi prospettate dal perito e dai consulenti delle parti, di quella che ritiene maggiormente condivisibile, purchè la sentenza dia conto, con motivazione accurata ed approfondita, delle ragioni di tale scelta, del contenuto dell'opinione disattesa e delle deduzioni contrarie delle parti (Sez. 4, n. 11235 del 05/06/1997, Marinato, Rv. 209675;

Sez. 1, n. 8076 del 24/05/2000, Stevanin, Rv. 216613; Sez. 4, n. 45216 del 06/11/2008, Ghisellini, Rv. 241907), essendo evidente che, allorchè le conclusioni degli esperti siano insanabilmente divergenti, il controllo di legittimità sulla motivazione del provvedimento concernente la capacità di intendere e di volere deve necessariamente riguardare i criteri che hanno determinato la scelta tra le opposte tesi scientifiche (così Sez. 1, n. 8076, cit.).

 

22.6. Il secondo motivo di ricorso è generico perchè, nel sottolineare la non idoneità delle riprese video a provare da sole la sua partecipazione al sodalizio (potendo semmai dimostrare la sua attività di cessione di stupefacenti, descritta al capo B della rubrica e non contestata), prescinde da tutti gli altri più ampi argomenti di prova (intercettazioni ambientali e rapporti di frequentazione con gli altri imputati) utilizzati dai giudici di merito per ritenere fondata l'ipotesi accusatoria (rispetto alla quale la accertata e continua attività di spaccio nella piazza gestita dall'associazione per delinquere costituiva valido riscontro) e attribuire proprio alla sua persona il nomignolo "(OMISSIS)" con cui il T. e gli altri sodali e familiari in carcere parlavano di lui.

 

22.7.E' invece fondato, per quanto di ragione, l'ultimo motivo di ricorso.

 

22.8.L'imputato è stato condannato alla pena di nove anni, un mese e dieci giorni di reclusione, così determinata: ricondotti i reati ad un unico disegno 23 criminoso e ritenuto più grave quello di cui al capo A della rubrica (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74), applicate le circostanze generiche ritenute equivalenti alle contestate circostanze aggravanti e alla recidiva reiterata ed infraquinquennale, è stata applicata la pena base di dieci anni di reclusione sulla quale la Corte di appello ha applicato l'aumento, non inferiore a un terzo ai sensi dell'art. 81 c.p., u.c., in considerazione della contestata recidiva, di tre anni e otto mesi di reclusione, riducendo poi la pena così ottenuta di un terzo in considerazione del rito abbreviato scelto dall'imputato.

 

22.9.La Corte ha ritenuto di applicare l'aumento minimo della pena previsto dall'art. 81 c.p., u.c., anche se le circostanze attenuanti generiche sono state ritenute equivalenti alla contestata recidiva, decisione che l'imputato contesta sin dal primo grado di giudizio.

 

22.10.Sul punto si registrano in sede di legittimità due orientamenti opposti: secondo il primo, il limite minimo per l'aumento previsto dall'art. 81 c.p., comma 4, nei confronti dei soggetti per i quali sia stata ritenuta la contestata recidiva reiterata non opera se il giudice ritiene la stessa equivalente alle circostanze attenuanti (Sez. 5, n. 43040 del 26/06/2015, Guardiano, Rv. 264824; Sez. 5, n. 22980 del 27/01/2015, Parada, Rv. 263985; Sez. 5, n. 9636/2011, Ortoleva, Rv. 249513); secondo l'opposto (e maggioritario) orientamento, invece, il limite minimo per l'aumento previsto dall'art. 81 c.p., comma 4, nei confronti dei soggetti per i quali sia stata ritenuta la contestata recidiva reiterata opera anche quando il giudice abbia considerato la stessa equivalente alle riconosciute attenuanti (Sez. 4, n. 36247 del 28/05/2015, Zerbino, Rv. 264402; Sez. F, n. 53573 del 11/09/2014, Rv. 261887; Sez. 5, n. 48768 del 07/06/2013, Rv. 258669; Sez. 6, n. 49766 del 21/11/2012, Rv. 254032; Sez. 3, n. 431 del 28/09/2011, Rv. 251883; Sez. 6, n. 25082 del 13/06/2011, Rv. 250434).

 

22.11. Il Collegio ritiene di aderire all'indirizzo maggioritario, sul rilievo, fatto proprio anche da Sez. 3, n. 431 del 2011, e più coerente con la lettera e la ratio della norma, secondo cui la mancata applicazione della recidiva specifica reiterata non è equiparabile all'ipotesi in cui tale aggravante sia ritenuta sussistente, anche se equivalente alle riconosciute attenuanti (cfr.

 

Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Rv. 247839, secondo cui una volta contestata la recidiva nel reato, anche reiterata, qualora essa sia stata esclusa dal giudice, non solo non ha luogo l'aggravamento della pena, ma non operano neanche gli ulteriori effetti commisurativi della sanzione costituiti dal divieto del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti, di cui all'art. 69 c.p., comma 4, dal limite minimo di aumento della pena per il cumulo formale di cui all'art. 81 c.p., comma 4, dall'inibizione all'accesso al cosiddetto "patteggiamento allargato" e alla relativa riduzione premiale di cui all'art. 444 c.p.p., comma 1-bis; effetti che si determinano integralmente qualora, invece, la recidiva stessa non sia stata esclusa, per essere stata ritenuta sintomo di maggiore colpevolezza e pericolosità).

 

22.12.Si aggiunga, tra l'altro, che secondo la giurisprudenza di questa Corte, il limite di aumento minimo per la continuazione, pari ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave, previsto dall'art. 81 c.p., comma 4, si applica nei soli casi in cui l'imputato sia stato ritenuto recidivo reiterato con una sentenza definitiva emessa precedentemente al momento della commissione dei reati per i quali si procede e non anche quando egli sia ritenuto recidivo reiterato in relazione agli stessi reati uniti dal vincolo della continuazione del cui trattamento sanzionatorio si discute (Sez. 1, n. 18773 del 26/03/2913, Rv. 256011; Sez. 1, n. 32625 del 02/07/2009, Rv. 244843; Sez. 1, n. 17928 del 22/04/2010, Rv. 247048;

 

Sez. 1, n. 31735 del 01/07/2010, Rv. 248095; si veda anche Corte cost., sentenza n. 241/2015).

 

22.13.Dunque l'aumento minimo di un terzo della pena per il reato satellite deve essere effettuato anche quando la recidiva sia stata ritenuta equivalente alle circostanze attenuanti generiche.

 

22.14.La questione è piuttosto un'altra e riguarda la automatica applicazione della recidiva nella quantificazione della pena base del reato più grave. Nel caso di specie, infatti, poichè il reato più grave è compreso nell'elenco dei delitti indicati dall'art. 407 c.p.p., lett. a), l'effetto aggravante della recidiva è stato ritenuto in modo automatico, senza verificare se la reiterazione dell'illecito fosse sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all'eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là, dunque, del mero e indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali effettuato, nel caso in esame, dai giudici di merito (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Rv. 247838). L'automatismo con cui sono state applicate le conseguenze della recidiva si pone ormai in contrasto con quanto stabilito dal giudice delle leggi con la già citata sentenza n. 185 del 08-23/07/2015 che riflette le sue conseguenze anche nell'applicazione dell'art. 81 c.p., comma 4.

 

22.15. Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Catania che, al di là di ogni automatismo, dovrà accertare se la recidiva contestata nel presente processo possa essere ritenuta (ed applicata) nel caso concreto e solo in caso di esito positivo potrà applicare l'aumento minimo del terzo anche ai reati satellite, non potendosi tollerare che tale aumento venga applicato ad essi in modo automatico se la recidiva non è applicata al reato più grave.

 

23. Il ricorso del L. è inammissibile perchè generico, manifestamente infondato e proposto per motivi non consentiti dalla legge. Non lo sono i motivi aggiunti.

 

23.1. Il primo motivo propone le stesse questioni già affrontate in sede di esame del ricorso del Co.. L'imputato, infatti, risponde, in concorso con quest'ultimo e con M. Antonio, del reato di cui al capo B della rubrica. E' sufficiente, pertanto, rimandare agli argomenti già spesi in quella sede per confutare, anche qui, l'eccezione difensiva della violazione del divieto del "bis in idem". Rileva peraltro il Collegio che il ricorso ripropone, alla lettera, il primo motivo di appello, con inserimenti, del tutto eterogenei e parziali rispetto al vizio espressamente denunciato, di elementi "spuri" (di natura peraltro fattuale) riguardanti in modo generico la responsabilità stessa dell'imputato.

 

23.2. Il secondo motivo, oltre ad essere contraddistinto da evidente genericità, introduce un argomento (la sussistenza della circostanza aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7) non devoluto in appello e non limitato, nella sua dimensione applicativa, alle sole questioni di diritto. Sicchè il suo esame è precluso in questa sede ai sensi dell'art. 609 c.p.p., comma 2. Va peraltro evidenziato che, benchè in premessa il ricorrente annunci di eccepire, con il secondo motivo, anche l'errata interpretazione e applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e art. 192 c.p.p., in realtà, nel corpo del suo scritto alcun argomento viene sviluppato in proposito, essendo stato il secondo motivo dedicato al cti. D.L., art. 7.

 

23.3.L'ultimo motivo di ricorso del L. è totalmente infondato. Diversamente da quanto afferma l'imputato, la Corte territoriale ha espressamente preso in considerazione la sua richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche e l'ha disattesa in base a fatti (i plurimi e gravi precedenti penali per reati come associazione per delinquere di stampo mafioso e detenzione illegale di armi) ritenuti insuscettibili di attenuare ulteriormente il trattamento sanzionatorio. Questa Corte non può, ovviamente, sindacare le scelte del Giudice dell'appello, nè sovrapporre il proprio giudizio a quello del giudice di merito, come di fatto pretende l'imputato allorquando lamenta la sottovalutazione dei propri argomenti difensivi che inammissibilmente ripropone in questa sede quale metro di valutazione della correttezza della scelta operata in sede distrettuale.

 

23.4.Sono fondati i motivi aggiunti di ricorso relativi alla recidiva di cui all'art. 99 c.p.p., comma 5, effettivamente applicata nei suoi confronti con automatismo non più consentito dopo il già citato intervento del Giudice delle leggi (si richiamo sul punto le argomentazioni già esposte in sede di esame della posizione del C.).

 

24.A non diversi rilievi di genericità e manifesta infondatezza si espone il ricorso del M. che, come visto, eccepisce (con la stessa genericità che caratterizzava l'appello) la violazione dell'art. 649 c.p.p..

 

24.1.La sentenza impugnata deve però essere annullata d'ufficio limitatamente al trattamento sanzionatorio in considerazione dell'automatica applicazione, anche nei suoi confronti, della recidiva di cui all'art. 99 c.p., comma 5.

 

25. Il ricorso del Mu.Ga.Si. è inammissibile perchè generico e manifestamente infondato.

 

25.1.L'imputato prescinde pressochè completamente dalle ampie ed articolate argomentazioni, in fatto ed in diritto, svolte dai Giudici di merito per illustrare le ragioni tanto della provata sussistenza del sodalizio capeggiato dal T., quanto della partecipazione ad essa del Mu.. Il ricorrente Ossa, letteralmente, sull'imponente materiale probatorio (dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, video riprese dei luoghi dello spaccio, sequestri di sostanze stupefacenti, arresti, perquisizioni, intercettazioni delle conversazioni intercorse in carcere tra i sodali) utilizzato dai Giudici di merito preferendo rifugiarsi in astratte considerazioni circa i criteri da utilizzare per interpretare le conversazioni captate in carcere, minimizzando, contestualmente, la portata direttamente accusatoria delle dichiarazioni di uno dei collaboratori di giustizia, F.V., che lo aveva espressamente indicato (attribuendogli l'incontestato soprannome di "epatite") come collaboratore del T., insieme con il C.S., il Pr.Do. ed il figlio del T. stesso. Sicchè, proponendo una valutazione atomistica degli elementi di prova raccolti in sede di indagini preliminari, consegna a questa Suprema Corte una immagine minimalista di se stesso, quale persona dedita solo allo spaccio di sostanze stupefacenti al fine di alimentare le sue personali esigenze di tossicodipendente, presente in quei luoghi sol perchè ivi residente e casualmente sempre in compagnia degli altri affiliati. Una tesi difensiva che si vuole che questa Corte accolga sostanzialmente senza tener conto dei solidi approdi probatori che nella sentenza impugnata (ed in quella di primo grado) affermano l'esatto contrario. Appare evidente l'inammissibile operazione di inversione logica proposta dall'imputato nella interpretazione delle prove, operazione che, come detto, lo porta ad allontanarsi dal sentiero tracciato in sede di merito; piuttosto che considerare i risultati delle attività di indagine (video riprese della piazza di spaccio, sequestri e perquisizioni mirati, le dichiarazioni degli acquirenti, le intercettazioni ambientali) quali positivi riscontri della credibilità dei collaboratori di giustizia (tema, quest'ultimo, nemmeno lontanamente accennato), limita le sue diffuse critiche sostanzialmente alle sole conversazioni intercorse in carcere tra i sodali delle quali propone un'inammissibile rilettura che non tiene ovviamente conto del ben più ampio contesto nel quale i Giudici di merito le collocano al fine di individuare in esse ulteriori riscontri della sua partecipazione all'associazione di cui al capo A (l'arresto di alcuni associati, il conseguente tentativo dell'imputato di impadronirsi della piazza, le reazioni del T. che ipotizzava di non corrispondergli più lo "stipendio" garantito agli associati, oltre a ritorsioni decisamente più gravi).

 

L'ipotesi alternativa del (solo) concorso di persone nel reato di cessione continuata di sostanze stupefacenti, con esclusione del contesto associativo, non si fonda dunque su presunti errori dei Giudici di merito nel valutare le prove a suo carico ma su una parziale lettura di quelle medesime prove, come illustrate nelle sentenze di merito. Del resto, non diversamente da quanto aveva fatto in sede di appello avverso la sentenza di primo grado, anche le censure in materia di sussistenza del sodalizio di cui al capo A sono generiche ed astratte poichè i principi di diritto e le massime giurisprudenziali di questa Suprema Corte, cui il ricorrente attinge a piene mani, non si misurano con i fatti concreti che la sentenza impugnata illustra (così come aveva fatto il G.i.p.) per avallare l'esistenza di un gruppo di persone, capeggiate dal T., stabilmente (ed indeterminatamente) dedite allo spaccio di sostanze stupefacenti all'ingrosso (anche a favore di altre organizzazioni criminali di stampo camorristico-mafioso) e al dettaglio (nei confronti dei numerosissimi acquirenti filmati in soli tre giorni di riprese).

 

25.2.E' del tutto infondato, oltre che generico, anche il secondo motivo di ricorso.

 

La Corte di appello ha ritenuto di non attenuare il trattamento sanzionatorio inflitto in primo grado all'imputato in considerazione dei "plurimi, gravi ed anche specifici precedenti penali", prevalenti sugli argomenti difensivi della lontananza nel tempo dei fatti e dello svolgimento di un'attività lecita. Peraltro, come osservato dalla Corte di appello, l'aumento della pena a titolo di continuazione interna nella misura di un anno di reclusione è più che contenuta, avuto riguardo alle numerosissime cessioni di cocaina effettuate dall'imputato durante le videoriprese.

 

Orbene, a fronte di tali insindacabili argomenti il Mu.

 

oppone deboli difese legate piuttosto alla pretesa esclusione del ruolo associativo che alla correttezza in sè dell'uso che la Corte di appello ha fatto della propria discrezionalità tecnica nella dosimetria della pena.

 

25.3.La sentenza deve essere piuttosto annullata d'ufficio, limitatamente al trattamento sanzionatorio inflitto all'imputato, cui è stata applicata la recidiva di cui all'art. 99 c.p.p., comma 5, con automatismo non più consentito dopo il già citato intervento del Giudice delle leggi.

 

26. Il ricorso di Mu.Sa., reo confesso del reato di cui al capo B, è inammissibile perchè generico, totalmente infondato e proposto per motivi non consentiti dalla legge, quanto alla affermazione della propria responsabilità. E' invece fondato, in considerazione di quanto evidenziato nei motivi aggiunti e per quanto oltre si dirà, relativamente al trattamento sanzionatorio.

 

26.1.Con il primo motivo l'imputato ripropone, pressochè alla lettera, gli stessi temi difensivi già devoluti in appello circa la sua partecipazione all'associazione per delinquere di cui al capo A della rubrica ed il carattere armato della stessa. Gli argomenti svolti (lo spaccio occasionale per conto del T. dietro retribuzione di volta in volta concordata, il mancato utilizzo delle armi a lui inaccessibili) sono identici a quelli già esaminati in sede di scrutinio del ricorso per cassazione del D.S..

 

Valgano pertanto anche qui le considerazioni già svolte al riguardo.

 

Va qui soggiunto, a conferma della assoluta genericità del motivo, che l'imputato prescinde del tutto dagli argomenti di prova (dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, intercettazioni delle conversazioni intercorse in carcere tra gli altri sodali, le video riprese dei comportamenti tenuti dal T. dopo l'arresto del Mu., l'interessamento del "capo" per trovargli un difensore, la percezione di una retribuzione fissa) utilizzati dai Giudici di merito per ricondurre la sua attività di "pusher" alle dinamiche associative per cui è processo e nelle quali l'imputato era inserito con piena cognizione di causa.

 

26.2. Il secondo motivo è fondato.

 

Il Mu. lamenta che le circostanze attenuanti generiche sono state concesse con giudizio di equivalenza, piuttosto che di prevalenza, sulle contestate aggravanti.

 

La Corte di appello ha motivato il rigetto della richiesta sul rilievo che al suo accoglimento "osta il disposto dell'art. 99 c.p., u.c., tenuto conto delle risultanze del casellario giudiziale e della recidiva contestata". All'imputato, condannato per uno dei delitti di cui all'art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), è stata infatti contestata ed (automaticamente) applicata la recidiva di cui all'art. 99 c.p., commi 4 e 5.

 

Sennonchè, con sentenza n. 106 del 18 aprile 2014 (successiva alla sentenza impugnata), la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale "dell'art. 69 c.p., comma 4, come sostituito dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 3 (Modifiche al codice penale e alla L. 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all'art. 609-bis c.p., comma 3, sulla recidiva di cui all'art. 99 c.p., comma 4".

 

La decisione della Corte di appello si fonda, dunque, su una norma successivamente dichiarata incostituzionale. A ciò si aggiunga che all'imputato la recidiva è stata applicata in modo automatico, ai sensi dell'art. 99 c.p., comma 5, (si rimanda alle considerazioni svolte in sede di esame del ricorso del C.).

 

Sicchè, fermi gli inammissibili rilievi di natura fattuale circa le ragioni che, nell'ottica del ricorrente, giustificano il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti, le ragioni del diniego di tale prevalenza vanno in ogni caso riesaminate alle luce della decisione del Giudice delle leggi.

 

27. Il ricorso di Mu.Vi., che non contesta la sua responsabilità per il reato di evasione, è inammissibile perchè totalmente generico e manifestamente infondato. L'imputato, al quale la Corte di appello, riformando sul punto la sentenza di primo grado, ha applicato il minimo della pena, con gli aumenti per la contestata (e non eccepita) recidiva e la continuazione (nella misura di due mesi per la gravità della reiterazione), si limita ad una generica rassegna dei compiti cui si deve attenere il giudice in sede di quantificazione della pena lamentando l'immotivata quantificazione della condanna.

 

In realtà, come detto, la Corte di appello - che ha posto a base dei calcoli il minimo edittale della pena all'epoca vigente - ha illustrato, nei termini appena esposti - le ragioni per cui ha applicato la pena di otto mesi di reclusione.

 

Oltretutto, costituisce principio assolutamente pacifico (e francamente lapalissiano) che il giudice non deve spiegare all'imputato perchè gli applica il minimo della pena, essendo lo sforzo motivazionale da lui preteso direttamente proporzionale alla maggiore severità della condanna inflitta.

 

28. Il ricordo del P. è inammissibile perchè generico, totalmente infondato e proposto per motivi non consentiti dalla legge.

 

28.1. I Giudici di primo e di secondo grado hanno desunto la consapevole partecipazione del ricorrente al sodalizio diretto dal suocero da un insieme di prove (tra le quali le stesse, ancorchè parziali, ammissioni dell'imputato) dalle quali risulta che questi aveva concorso nell'attività di spaccio di sostanze stupefacenti di cui al capo B della rubrica, aveva svolto attività di recupero dei relativi crediti, si era occupato di veicolare all'esterno le direttive del suocero quando questi era in carcere, di assicurare la gestione (e l'occultamento) della cassa comune, il regolare pagamento degli stipendi, delle forniture di droga, e il controllo della piazza di spaccio, onde tenerla indenne anche da indesiderate intrusioni.

 

28.2.Si legge, nella sentenza impugnata (che riprende sul punto quanto già affermato in primo grado) che l'imputato (che non contesta il proprio coinvolgimento nei reati-fine di cui al capo B della rubrica) "ha confessato di essere perfettamente a conoscenza dell'attività di spaccio svolta in (OMISSIS) (...) e di essere stato coinvolto nella gestione degli interessi associativi, dei quali era pienamente consapevole, prestando il proprio contributo per il recupero dei crediti, ma di averlo fatto solo sino al mese di febbraio 2009, quando era stato scarcerato T.G., classe (OMISSIS)".

 

28.3.Sono perciò del tutto generiche ed astratte le eccezioni che hanno ad oggetto la partecipazione dell'imputato al sodalizio criminoso in questione, sia perchè prescindono completamente dal più che esaustivo quadro probatorio sopra indicato, sia perchè reiterano - senza sostanziali modificazioni - gli stessi temi difensivi già devoluti in appello, astraendo dalle articolate considerazioni sviluppate al riguardo nella sentenza impugnata che spiega le ragioni per cui il ruolo dell'imputato non può essere con(OMISSIS)to a quello di "mero" esattore dei crediti nel solo periodo in cui il suocero ed il cognato erano in carcere. L'eccezione secondo cui l'attività del P. non sì era spinta oltre il periodo di detenzione del figlio del T. (che una volta uscito avrebbe preso le redini del sodalizio) ha fragili basi fattuali perchè da un lato neglige completamente le prove indicate dai Giudici di merito per dimostrare che egli aveva continuato a lavorare per l'associazione anche dopo il febbraio 2009, dall'altro si nutre di inammissibili richiami a dati fattuali estranei al testo del provvedimento impugnato.

 

28.4.Non ha perciò fondamento fattuale, prima ancora che pregio giuridico, la tesi difensiva della qualificazione della condotta come favoreggiamento reale ai sensi dell'art. 379 c.p., reato che si configura, secondo il più favorevole degli indirizzi ermeneutici già illustrati, esclusivamente quando l'aiuto venga prestato al singolo in quanto tale, non - come nel caso di specie - al sodalizio cui appartiene.

 

28.5.Quanto alla sussistenza della circostanza aggravante del carattere armato della associazione si rimanda alle considerazioni già ampiamente svolte al riguardo.

 

28.6.L'applicazione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata recidiva (obbligatoria), con conseguente condanna ad una pena-base diminuita di un terzo rispetto al minimo edittale del reato più grave, rende inutile l'annullamento della sentenza, anche se solo limitatamente al trattamento sanzionatorio.

 

29. Per gli stessi motivi, il ricorso del S., in tutto e per tutto sovrapponibile a quelli del Mu.Ga., del M. S. e del D.S.M., ed il cui ruolo è peraltro identico al D.S. ("pusher", organicamente inserito nell'associazione di cui al capo A da cui era anche stipendiato), deve essere dichiarato inammissibile. Anche il S., infatti, ha goduto del medesimo trattamento sanzionatorio applicato al P..

 

30. Il ricorso del Pr. è inammissibile perchè generico.

 

30.1.L'imputato risponde di entrambi i reati di cui ai capi A e B della rubrica. Egli non ha mai contestato la affermazione della propria responsabilità per il reato di cui al capo B, per cui le sue censure si sono limitate esclusivamente al ruolo associativo che i Giudici di merito, con ragionamento non manifestamente illogico, gli hanno attribuito sulla scorta: a) delle dichiarazioni rese al PM dal collaboratore di giustizia F.V.; b) delle modalità con cui (e i luoghi nei quali) svolgeva l'attività di spaccio (nella già citata (OMISSIS), insieme con gli altri sodali, con frequenza e ritmi giornalieri, con atteggiamento anche di controllo e supervisione delle altrui condotte); c) delle conversazioni intercettate in carcere: tra D.S.M. e i propri familiari (nel corso delle quali il primo riferiva di aver inviato una lettera riservata a " D.", si lamentava quindi della mancata corresponsione integrale dello "stipendio", invitando la moglie a rivolgersi al " D." indicato dal T.C.); tra il T.C. (zio acquisito dell'imputato) ed i suoi familiari, nel corso delle quali il capo dell'organizzazione si informava sulle attività del " D." e sul suo immutato impegno nelle attività associative, lasciando comunque trasparire una certa insofferenza (se non un sentimento di astio vero e proprio, ancorchè temporaneo) nei confronti di questi da cui si sentiva abbandonato; tra il C. ed i suoi familiari (dai quali risulta che il Pr. era stato officiato del pagamento della paga settimanale anche ai detenuti e che stava gestendo la piazza di spaccio, anche se con l'ausilio di Mu.Ga., inviso al C.); tra il T.C. ed il C. (nel corso delle quali il primo commentava in modo negativo le iniziative assunte dal Pr. in sua assenza); tra il T.C. ed il genero, P.C. (dalle quali i Giudici hanno desunto che il primo utilizzasse il secondo per veicolare i suoi messaggi al Pr. per la gestione della piazza di spaccio in un momento nel quale i dissidi tra i due erano stati composti).

 

30.2. L'imputato lamenta, come visto, la mancata acquisizione (ed utilizzazione) della corrispondenza epistolare intrattenuta dallo zio, T.C., mentre era in carcere (decisione giustificata dai Giudici di merito con la sua inutilizzabilità patologica) ed eccepisce, a tal fine, la violazione dell'art. 191 c.p.p..

 

Tale corrispondenza avrebbe dimostrato che il T. Carmelo non lo aveva mai menzionato, circostanza anomala - deduce il ricorrente - se fosse vero che disimpegnava un ruolo associativo riconosciuto e frutto anche dell'investitura del capo, ma che tale non si rivela alla luce delle conversazioni intrattenute dal T. con i propri familiari dalle quali si evince l'esatto contrario.

 

30.3.L'oggettiva inutilizzabilità della corrispondenza epistolare intrattenuta dal detenuto perchè intercettata, a sua insaputa, ai sensi dell'art. 266 c.p.p. e segg., è stata definitivamente affermata da questa Suprema Corte con sentenza Sez. U, n. 28997 del 19/04/2012, Pasqua, che ha affermato il principio secondo il quale "la sottoposizione a controllo e la utilizzazione probatoria della corrispondenza epistolare non è soggetta alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, dovendosi invece seguire le forme del sequestro di corrispondenza di cui agli artt. 254 e 353 c.p.p. e, nel caso di corrispondenza di detenuti, anche le particolari formalità stabilite dall'art. 18 ter ord. pen." (Rv.252893).

 

30.4. Il ricorrente obietta che l'inutilizzabilità patologica opera solo "in malam partem" e non può risolversi a danno dell'imputato e cita, a sostegno, giurisprudenza di questa Corte a suo dire favorevole alla propria tesi. In effetti, questa Corte, con le sentenze Sez. 1, n. 11027 del 26/11/1996, Rv. 207332, e Sez. 5, n. 32465 del 25/06/2001, Rv. 219705, citate dall'imputato, ha affermato che "l'istituto della inutilizzabilità di cui all'art. 191 c.p.p. è posto a garanzia delle posizioni difensive e colpisce le prove illegittimamente acquisite contro divieti di legge, quindi in danno del giudicabile vale a dire come prove a carico. Tale istituto, pertanto, in tutte le sue articolazioni (una delle quali è rappresentata dall'ipotesi prevista dall'art. 195 c.p.p., comma 1) non può essere applicato per ignorare un elemento di giudizio favorevole alla difesa che, invece, deve essere considerato e discusso secondo i canoni logico razionali propri alla funzione giurisdizionale" (per un'applicazione del principio ai casi di utilizzazione delle dichiarazioni rese da soggetto che si sia poi avvalso della facoltà di non rispondere, cfr. Sez. 5, n. 14991 del 12/01/2012, Rv. 252321).

 

30.5. Il Collegio ribadisce l'indirizzo appena esposto ma ritiene generica, perchè non decisiva, l'eccezione dell'imputato il quale, come visto, prescinde completamente dal complesso ed articolato quadro probatorio sul quale si fonda la affermazione della sua responsabilità, di per sè sufficiente a giustificare la condanna.

 

Il fatto che il T. non menzionasse mai il proprio congiunto nella corrispondenza epistolare costituisce un dato neutro, un "non fatto" che non contraddice, nè sul piano fattuale, nè su quello logico, le prove accusatorie illustrate nelle sentenze di primo e secondo grado. Peraltro, l'imputato non assolve al compito di indicare quale specifica frattura della linearità e coerenza logica tra i fatti accertati e il giudizio che ne ne è stato tratto possa derivare dal dato "negativo" della sua omessa menzione nelle lettere in questione, non potendo egli limitarsi puramente e semplicemente a trascrivere il contenuto dell'appello lasciando a questa Corte l'inammissibile compito di sostituirsi al giudice di secondo grado nel vagliare gli argomenti più acconci alla difesa e sovrapporre il proprio giudizio a quello dei Giudici distrettuali optando per una soluzione alternativa a lui più favorevole. Quand'anche la valutazione della prova non acquisita rendesse più plausibile la tesi difensiva, ciò nondimeno non sarebbe sufficiente a disarticolare il ragionamento dei giudici di merito che può dissolversi solo se manifestamente illogico, non se (solo) illogico.

 

30.6.E' inammissibile il terzo motivo di ricorso perchè la decisione della Corte di appello di negare le circostanze attenuanti generiche, motivata con la gravità dei reati e la mancanza di elementi di segno positivo, non solo non è sindacabile in questa sede ma si pone in linea con il consolidato insegnamento di questa Suprema Corte secondo cui l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all'assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola. Sicchè il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ben può essere legittimamente giustificato con l'assenza di tali elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica dell'art. 62 bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, n. 3529 del 22/09/1993, Stelitano, Rv. 195339; Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini, Rv. 260610).

 

30.7.Nè l'imputato può direttamente sottoporre in fase di legittimità gli elementi di fatto che, a suo giudizio, lo renderebbero meritevole dell'attenuazione del trattamento sanzionatorio, dovendo questa Suprema Corte limitare il proprio giudizio al provvedimento impugnato, non alla realtà fattuale che ad esso preesiste.

 

31. Il ricorso di T.F. è inammissibile perchè generico e manifestamente infondato.

 

31.1.L'imputata risponde di entrambi i reati di cui ai capi A e B della rubrica, ma non contesta la sussistenza del secondo (reato- fine), rispetto al quale resta irrevocabilmente accertata la sua responsabilità penale, nè l'esistenza del sodalizio (pur se contestata in appello).

 

31.2. I primi due motivi di ricorso, identici, per tenore e contenuto, a quelli del Pr., ripropongono la medesima questione della utilizzabilità, a favore della T., della corrispondenza intercorsa tra il fratello C. ed i suoi familiari e dei conseguenti vizi logici della sentenza che ha confermato l'affermazione della sua colpevolezza per il reato associativo con motivazione monca perchè priva di tale dato.

 

31.3.Sennonchè il ricorso si limita a trascrivere, alla lettera, il contenuto dell'atto di appello trascurando che la Corte territoriale ha, da un lato, svilito l'importanza del fatto che nessun collaboratore di giustizia avesse mai fatto il suo nome, spiegandolo con la ragionevole osservazione che, avendo l'associazione una base familiare, non tutti i collaboratori potessero essere a conoscenza degli "interna corporis"; dall'altro con il contenuto delle conversazioni intercettate in carcere dalle quali traspariva chiaramente il ruolo dell'imputata e il disappunto del T. C. per l'intraprendenza "associativa" della sorella che dopo il suo arresto aveva assunto atteggiamenti a lui non graditi perchè in contratto con le sue direttive.

 

31.4.Del resto, l'appello (i cui motivi, come detto, sono stati trasfusi tal quali nel ricorso) proponeva una tesi che, non escludendo la indiscutibile portata oggettiva dei dialoghi utilizzati dal primo giudice per condannare l'imputata, intendeva attribuire ad essi una valenza "artificiosa": erano dialoghi costruiti ad arte dai parenti dell'imputata, propugnava la difesa; se ne tenga conto prima di assurgerli a prova certa della sua partecipazione al sodalizio.

 

31.5.La Corte di appello (ma già il giudice di primo grado) ha avuto buon gioco a dimostrare l'insostenibilità fattuale di tale tesi difensiva che, oltre ad essere meramente ipotetica e tale da non rendere "ragionevole" il dubbio che con essa si voleva insinuare, sconta la sua irriducibilità logica con l'imponente attività di spaccio di sostanze stupefacenti, irrevocabilmente accertata e consumata dall'imputata in concorso con gli altri sodali nella medesima piazza di spaccio, la cui matrice associativa non viene mai messa in discussione.

 

31.6. E' manifestamente infondato il quarto motivo di ricorso.

 

31.7. Correttamente (ed esaustivamente) la Corte di appello ha negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche sul rilievo della mancanza di elementi positivi di valutazione al riguardo e in considerazione della gravità oggettiva dei fatti che, consumati da persona gravata da precedente specifico, non consente un'ulteriore attenuazione del trattamento sanzionatorio. Del resto la T. ha beneficiato di una pena base parametrata al minimo edittale del reato più grave, sul quale sono stati apportati gli aumenti a titolo di recidiva obbligatoria, applicata in modo automatico ai sensi dell'art. 99 c.p..

 

31.8.Ne consegue che, ferma restando l'esclusione delle circostanze attenuanti generiche, la sentenza va annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio per quanto riguarda l'automatica applicazione della recidiva obbligatoria.

 

31.9.Vanno invece confermate le statuizioni sulla confisca dei beni dell'imputata disposta ai sensi del D.L. n. 306 del 1992, art. 12- sexies, genericamente contestate - anche qui - con il richiamo ai motivi di appello. E' pur vero che la corte territoriale si è a sua volta limitata a richiamare le motivazioni della sentenza di primo grado, ma è altrettanto vero che ciò ha espressamente fatto sul rilievo che quelle motivazioni esaurivano tutte le questioni poste con l'impugnazione, sicchè nulla di diverso avrebbe potuto essere aggiunto al fatto che per finanziare gli acquisti dei beni confiscati l'imputata si era accollata un debito che comportava un'uscita mensile superiore alla somma delle due pensioni percepite, in assenza della prova di entrate lecite (o comunque disponibilità finanziarie) ulteriori e diverse.

 

32.Sono inammissibili, perchè generici e manifestamente infondati, i ricorsi di T.G. che risponde dei reati di cui ai capi A, B e D della rubrica.

 

32.1. La sua colpevolezza (anche e sopratutto per il reato associativo) è stata desunta, dai giudici di merito, dai seguenti elementi di prova: a) le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pe.Vi. (che aveva riferito del contributo fornito dal T.G. alle attività associative del padre e del ruolo da questi assunto dopo l'arresto del C.); b) le convergenti dichiarazioni del coimputato D.S. (che aveva riferito del ruolo assunto da G. dopo l'arresto del padre, del quale faceva le veci nella divisione delle somme di danaro); c) l'arresto in flagranza del T.G. colto, insieme con il Co., nella detenzione di kg. 20 di cocaina in occasione di una trattativa con soggetti napoletani (arresto fecondo di ulteriori spunti investigativi e argomenti di prova nel presente processo, per il quale l'imputato è stato separatamente processato e che avrebbe suscitato le ire del padre all'oscuro dell'iniziativa perchè non concordata); d) l'ulteriore rinvenimento di 550 grammi di cocaina nascosti nel motociclo a lui intestato, rinvenuto in un piazzale attiguo all'abitazione del coimputato Mu.; e) la assidua e continua presenza del T.G. nella piazza di spaccio insieme con gli altri sodali ed in atteggiamento di controllo dell'attività disimpegnata dal Mu. e dal S. e di fattiva collaborazione nella stessa attività; f) le conversazioni intercorse in carcere tra il T.C. ed il figlio, nel corso delle quali il primo aveva formalmente investito il secondo della gestione degli affari, dandogli precise direttive anche sul modo di rapportarsi con gli altri sodali (e tra questi in particolare proprio il C.), di gestire (e controllare) la cassa comune (materialmente detenuta dal Cu.) e di riscuotere i crediti, chiedendogli il resoconto delle attività in corso; g) le conversazioni intercorse tra l'imputato, C.S. e i fratelli Z. subito dopo il loro arresto e che avevano ad oggetto l'ulteriore cocaina detenuta dal gruppo (non immediatamente sequestrata) e l'arsenale a disposizione del sodalizio.

 

32.2. Entrambi i ricorsi prescindono completamente dal quadro probatorio fondando le proprie eccezioni su una visione analitica e non sintetica degli elementi di prova (ricorso a firma dell'avv. A.) ovvero parziale e generica (ricorso a firma dell'avv. P.).

 

32.3.In nessuno dei due ricorsi, per esempio, si fa il benchè minimo cenno alle dichiarazioni accusatorie del Pe. e del D. S. (ricorso avv. P.) o alle ragioni per le quali la Corte di appello aveva ritenuto che il primo si riferisse proprio al figlio del T.C. piuttosto che al nipote (ricorso avv. A.).

 

32.4.L'intero ricorso dell'avv. A., inoltre, è modellato su una serie di domande, dubbi e prese d'atto che si limitano a riproporre le questioni devolute alla Corte di appello, la cui intera sentenza (le cui motivazioni si saldano con quelle della sentenza di primo grado) risponde in modo più che esaustivo ai motivi proposti.

 

32.5. Il difensore infondatamente eccepisce che alle sue domande non è stata fornita risposta alcuna, quasi che non fosse possibile, sul piano logico, trarre dagli elementi sopra indicati la conclusione che l'imputato avesse effettivamente agito nell'interesse del gruppo e del padre che ne era il capo, che l'episodio del suo arresto fosse riconducibile agli scopi associativi, che avesse partecipato all'attività di spaccio dei sodali, che fosse custode dell'arsenale e della droga a disposizione del gruppo.

 

32.6.Sono inammissibili le censure relative alla mancata concessione delle circostanze aggravanti con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti (perchè fondate su prospettazioni di natura fattuale che non affrontano la motivazione del rifiuto), e quelle che hanno ad oggetto l'inutilizzabilità delle intercettazioni, genericamente liquidate in tre righe con cui si afferma, puramente e semplicemente, che la Corte di appello avrebbe dovuto accogliere tale eccezione (che invece si trascina, sin dal primo grado, il vizio della sua genericità).

 

32.7. Il ricorso dell'avv. P., come detto, prescinde totalmente dalle dichiarazioni accusatorie del Pe. e del D. S. e invece di affrontare la questione del ragionamento logico che sottende al governo delle prove (vero ed unico consentito "caso di ricorso" per vizio di motivazione) inammissibilmente propone a questa Corte una lettura diretta e "minimalista" degli elementi di prova utilizzati dai giudici di merito.

 

33.Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi del Cu., del D.S., del Mu.Vi., del P., del Pr., del S. e del T.G. - consegue, ex art. 616 c.p.p., non potendosi escludere che sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1000,00 ciascuno.

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di C.S., Co.Gi., G.N., L.R., M. A., Mu.Gaetano S., Mu.Sa. e T.F., limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania.

 

Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti imputati.

 

Dichiara inammissibili i ricorsi di Cu.Gi., D.S. M., Mu.Vi., P.C., Pr.Do., S.A. e T.G. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

 

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2015.

 

Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2016