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Inqulino non paga l'affitto, proprtietario condannato (Cass. 39809/22)

20 ottobre 2022, Cassaizone penale

Sussiste violazione di domicilio quando il proprietario entra in casa degli inquilini morosi senza loro consenso: l'occupazione non coperta da valido titolo non esclude in capo all'occupante l'esercizio dello "ius excludendi".

Corte di Cassazione

sez. V penale, ud. 23 settembre 2022 (dep. 20 ottobre 2022), n. 39809
Presidente Palla -  Relatore Tudino

Ritenuto in fatto

1.Con la sentenza impugnata del 1 marzo 2022, la Corte d'appello di Genova ha confermato la decisione del Tribunale di Savona del 20 novembre 2019, con la quale è stata affermata la responsabilità penale di S.E. e F.C. per il delitto di violazione di domicilio aggravata, oltre statuizioni accessorie.

2. Avverso la sentenza indicata hanno proposto ricorso gli imputati, con unico atto a firma del comune difensore, Avv. MS, affidando le proprie censure a quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p..

2.1. Con il primo motivo, si deduce vizio della motivazione in riferimento all'affermazione di responsabilità per essere le persone offese occupanti abusive dell'alloggio e, come tali, prive dello ius excludendi nei confronti dell'imputata, proprietaria dell'immobile, venendo meno, in tal caso, il bene giuridico tutelato dell'inviolabilità del domicilio.

2.2. Con il secondo motivo, si deduce violazione della legge penale e correlato vizio della motivazione in riferimento all'affermazione di responsabilità del F. , in assenza di un contributo concorsale al medesimo ascrivibile per essersi limitato ad accompagnare la moglie, proprietaria dell'immobile, senza porre in essere condotte di partecipazione, anche morale.

2.3 n terzo ed il quarto motivo contestano il diniego della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., avendo sul punto la Corte territoriale trascurato l'assenza di dolo ed il timore della presenza di intrusi che avevano determinato l'accesso degli imputati, nonché reso una motivazione illogica e contraddittoria, nella misura in cui ha, da un lato, escluso la tenuità del fatto e, dall'altro, ritenuto congrua la liquidazione del danno nella misura di Euro cento.

3. Con requisitoria scritta ex art. 23 D.L. n. 137, tempestivamente trasmessa, il Procuratore generale ha concluso per la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.

Considerato in diritto

I ricorsi sono inammissibili.

1.II primo motivo è manifestamente infondato.

1.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ai fini della configurabilità del reato di violazione di domicilio, l'occupazione non coperta da valido titolo non esclude in capo all'occupante l'esercizio dello "ius excludendi", quando le particolari modalità con cui si è svolto il rapporto con il titolare del diritto sull'immobile consentono di ritenere quel luogo come l'effettivo domicilio dell'occupante medesimo (Sez. 5, n. 30742 del 12/04/2019, Guglione, Rv. 276907 in fattispecie nella quale l'occupante non aveva liberato l'immobile su richiesta del proprietario il quale, dopo avere acconsentito per un certo periodo all'uso del medesimo quale abitazione dell'occupante, vi si era introdotto, gettando in strada i suoi oggetti e aveva chiuso con un lucchetto il cancello d'ingresso; n. 42806 del 2014 Rv. 260769).

In tal senso, viene in rilievo non già il titolo formale in virtù del quale il domicilio - nell'accezione, costituzionalmente tutelata, di luogo in cui si esplica la personalità dell'individuo nell'intimità - è costituito, bensì il rapporto di fatto instaurato con l'abitazione, tanto che non è configurabile il reato di violazione di domicilio nella condotta del locatario che, pur avendo subito un provvedimento di sfratto emesso dal giudice civile, si introduce nell'immobile prima che il locatore venga reimmesso effettivamente nel possesso, spontaneamente o in seguito ad un procedimento di esecuzione forzata per rilascio (Sez. 5, n. 52749 del 11/10/2017, Kostan, Rv. 271466).

1.2. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione degli enunciati principi, senza trascurare le implicazioni civilistiche rilevanti, atteso che le persone offese occupavano l'immobile di proprietà della S. in virtù di un contratto di locazione non registrato e senza che, a fronte della sospensione del pagamento del canone, la locataria avesse intrapreso azione giudiziaria alcuna, precisando, altresì, come le modalità dell'introduzione, del successivo trattenimento e della violenza impiegata in danno degli occupanti dimostrassero pienamente la coscienza e volontà della violazione.

2. Il secondo motivo è genericamente formulato.

Il contributo causale del F. all'azione antigiuridica è stato ancorato alla personale intromissione dello stesso nell'alloggio, di cui gli era nota l'occupazione, ed al successivo trattenimento; il che integra la condotta tipica prevista dalla norma incriminatrice e rende, ad un tempo, persino ultroneo il riferimento ad un contributo morale prestato in favore della coimputata, come rilevato dalla Corte di merito.

3. I motivi rassegnati sul punto del diniego della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. sono proposti fuori dei casi previsti dalla legge.

Il terzo motivo è formulato in modo quantomeno perplesso, nella misura in cui utilizza argomenti tesi all'esclusione della stessa tipicità del fatto rispetto ad un istituto che la consumazione del reato presuppone; nel resto, la Corte territoriale ha svolto un apprezzamento che, valorizzando le circostanze dell'azione, la durata dell'intrusione e l'azione violenta nel contesto posta in essere dall'imputata S. , si rivela insindacabile nella presente sede di legittimità (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590).

Non introduce, infine, alcun profilo di irragionevolezza nel discoro giustificativo il quantum liquidato, a titolo di provvisionale per il danno non patrimoniale, alle parti civili, costituendo il pregiudizio patrimoniale uno solo degli indicatori che concorrono nella "valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, comma 1, c.p., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo", e dunque del danno criminale nella sua globalità.

I ricorsi sono, pertanto, inammissibili.

3. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.