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Innocente ma connivente? Niente risarcimento per carcere ingiusto (Cass. 30796/17)

20 giugno 2017, Cassazione penale

Può essere ostativa al riconoscimento della invocata riparazione la condotta di chi, essendo consapevole dell’attività criminale altrui, abbia tenuto comportamenti idonei ad essere percepiti all’esterno come una sua complicità o contiguità o connivenza.

In ordine alla colpa ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, essa, può essere di due tipi: colpa extraprocessuale (ad esempio, frequentazioni ambigue, connivenza non punibile, comportamenti idonei ad essere percepiti all’esterno come contiguità criminale) ovvero colpa processuale (come, ad esempio, auto-incolpazione o silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi).

Corte di Cassazione

sez. IV Penale, sentenza 6 ottobre 2016 – 20 giugno 2017, n. 30796
Presidente Romis – Relatore Cenci

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Catanzaro il 20 febbraio 2015 - 14 settembre 2015 ha rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione che era stata avanzata da M.G. , sottoposto alla custodia in carcere per 416 giorni in relazione alle accuse di partecipazione ad associazione finalizzata al narcotraffico (capo n. 1: art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) ed illecita detenzione e trasporto di stupefacente (capi nn. 15 e 43: art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990), da cui era stato assolto con sentenza - irrevocabile - della Corte di appello di Catanzaro dell’11 marzo 2013, in esito al giudizio di appello proposto dal P.M. avverso la sentenza del 13 dicembre 2011 del G.u.p. del Tribunale di Catanzaro, con la formula per non avere commesso il fatto, quanto all’ipotesi associativa, e perché il fatto non sussiste, quanto agli altri due capi di accusa.
2. Ricorre tempestivamente per la cassazione dell’ordinanza l’interessato, tramite difensore, che denunzia promiscuamente violazione di legge e difetto motivazionale.
In particolare censura la motivazione nella parte in cui i giudici di merito pongono a fondamento del rigetto la ritenuta connivenza dell’interessato con altri soggetti, connivenza idonea a rafforzare l’altrui proposito criminoso, assumendo che, atteso il tipo di contestazione in concreto mossa a M. , cioè avere effettuato viaggi per l’approvvigionamento della droga, il rafforzamento dell’altrui volontà avrebbe necessariamente comportato la correità dell’imputato, che, invece, è stata irrevocabilmente esclusa dai giudici della cognizione penale.
Denunzia la illogicità della motivazione per avere ritenuto la condotta dell’imputato, cui erano addebitate pochissime condotte delittuose, idonea a rafforzare la volontà delittuosa di soggetti condannati per essere capi e promotori di un’associazione volta al narcotraffico, tanto che lo stesso Giudice dell’udienza preliminare aveva affermato (alla p. 23 della sentenza di primo grado) che non risulta che la disponibilità asseritamente dimostrata da M. abbia, al di là delle intenzioni, generato un contributo effettivo al rafforzamento dell’associazione criminale; lo stesso G.u.p. (alla p. 24 della sentenza del 13 dicembre 2011) aveva anche espressamente sottolineato che le confidenza di M. a tale P. non sono indicative di alcunché, potendosi trattare di mere vanterie: aspetti questi del tutto trascurati dai giudici della riparazione.
Peraltro, il precedente di legittimità richiamato dalla Corte territoriale nell’ordinanza reiettiva farebbe riferimento a un caso concreto non sovrapponibile a quello in esame.
Si segnala anche la ritenuta disparità di trattamento rispetto alla posizione di V.S. che, coinvolto nella medesima vicenda e del pari arrestato ed infine assolto, benché - si assume - maggiormente gravato di M.G. ed impegnato in conversazioni definite dal G.u.p. ambigue e sospette (p. 123 della sentenza di primo grado), è stato comunque ritenuto meritevole della riparazione per ingiusta detenzione.
Si denunzia, infine, erroneità ed illegittimità della decisione anche nella parte in cui valorizza il silenzio serbato dall’imputato nell’interrogatorio di garanzia, evidenziando che non si comprende come lo stesso, appena arrestato ed al cospetto di una mole notevolissima di elementi investigativi, avrebbe potuto seriamente - come ritiene invece la Corte di appello - fornire utili elementi a discolpa, non senza evidenziare che, una volta presa cognizione degli elementi a suo carico, M. ha protestato la sua innocenza, ottenendo già innanzi al Tribunale per il riesame un parziale accoglimento della linea difensiva.

3. Il P.G. della S.C. nel suo intervento scritto ex art. 611 cod. proc. pen. ha chiesto il rigetto del ricorso.

4. Con memoria pervenuta il 23 settembre 2016 l’Avvocatura dello Stato, nell’interesse del Ministero dell’economia, ha chiesto la reiezione del ricorso, chiedendo, con argomentazione generica e sostanzialmente incentrata su meri richiami giurisprudenziali, la reiezione del ricorso, con vittoria di spese.

Considerato in diritto

1. È preliminarmente opportuno richiamare i principi informatori della disciplina dell’istituto ex art. 314 cod. proc. pen. enucleati dalla Corte di cassazione: va precisato che, trattandosi di principi consolidati, appare superfluo il richiamo puntuale delle numerose pronunzie delle Sezioni semplici, essendo preferibile affidarsi - prevalentemente, anche se non esclusivamente a passaggi motivazionali della S.C. nella qualificata composizione a Sezioni Unite.

1.1. Ebbene, l’equa riparazione per l’ingiusta detenzione è esclusa, secondo l’espresso disposto dell’art. 314 cod. proc. pen., qualora l’istante "vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave", con condotte al riguardo apprezzabili poste in essere sia anteriormente che successivamente all’insorgere dello stato detentivo e, quindi, alla privazione della libertà (cfr. Cass., Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636).

1.2. L’indennizzo in questione si risolve "nell’attribuzione di una somma di denaro a riparazione di un pregiudizio lecitamente (perché secondo legge) arrecato, in contrapposizione al risarcimento del danno sempre riferibile ad un fattore causale illecito" (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636; Id., Sez. U, n. 1 del 13/01/1995, Castellani, Rv. 201035).

1.3. Quanto alle valenze definitorie delle espressioni "dolo" e "colpa grave", è stato chiarito (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636) che "dolosa deve giudicarsi non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali (indipendentemente dal fatto di confliggere o meno con una prescrizione di legge), difficile da ipotizzare in fattispecie del genere, ma anche la condotta consapevole e volontaria che, valutata con il parametro dell’id quod plerumque accidit, secondo le regole di esperienza comunemente accettate, sia tale da creare una situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo", sicché l’essenza del dolo sta, appunto, "nella volontarietà e consapevolezza della condotta con riferimento all’evento voluto, non nella valutazione dei relativi esiti, circa i quali non rileva il giudizio del singolo, ma quello del giudice del procedimento riparatorio".

Il concetto e la conseguente area applicativa della colpa, invece, vanno ricavati dall’art. 43 cod. pen., secondo cui, come noto, "è colposo il comportamento cosciente e volontario, al quale, senza volerne e senza rappresentarsene gli effetti (anche se adottando l’ordinaria diligenza essi si sarebbero potuti prevedere), consegue un effetto idoneo a trarre in errore l’organo giudiziario": in tal caso, la condotta del soggetto, connotata da profili di colpa volta per volta rinvenibili (negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti etc.) "pone in essere una situazione tale da dare una non voluta ma prevedibile (...) ragione di intervento dell’autorità giudiziaria con l’adozione del provvedimento cautelare, ovvero omessa revoca della privazione della libertà" (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636). E in tale ultimo caso la colpa deve essere "grave", come esige la norma, "connotata, cioè, da macroscopica, evidente negligenza, imprudenza, trascuratezza, ecc., tale da superare ogni canone di comune buon senso" (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636).

1.4. Posto che il dolo o la colpa grave idonei ad escludere l’indennizzo per ingiusta detenzione devono sostanziarsi in comportamenti specifici che abbiano "dato causa" o abbiano "concorso a dar(e) causa" all’instaurazione dello stato privativo della libertà, sicché è ineludibile l’accertamento del rapporto causale tra tali condotte ed il provvedimento restrittivo della libertà, si rileva che ad escludere il diritto in questione è pur sempre necessario che il giudice della riparazione pervenga alla sua decisione in base a dati di fatto certi, cioè elementi "accertati o non negati" (Sez. U, n. 43 del 19/12/1995, dep. 1996, Sarnataro, Rv. 203636; in conformità, tra le Sezioni semplici, Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, Ministero Economia e Finanze, Rv. 247867), con esclusione, dunque, di dati meramente congetturali.

1.5. Si è anche precisato che la valutazione del giudice della riparazione si svolge su un piano diverso, ed autonomo, rispetto a quello del giudice della cognizione penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale: tale ultimo giudice deve valutare la sussistenza o meno di un’ipotesi di reato ed eventualmente la sua riconducibilità all’imputato; il primo, invece, deve valutare non già non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma "se esse si posero come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento detenzione (...) Il rapporto tra giudizio penale e giudizio della riparazione si risolve solo nel condizionamento del primo rispetto al presupposto dell’altro (...) spettando al giudice della riparazione una serie di accertamenti e valutazioni da condurre in piena autonomia e con l’ausilio dei criteri propri all’azione esercitata dalla parte" (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, Sarnataro e altri, Rv. 203638; cfr., tra le Sezioni semplici, Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, Ministero Economia e Finanze, Rv. 247867; Sez. 4, n. 1904 del 11/06/1999, Murina e altro, Rv. 214252; Sez. 4, n. 2083 del 24/06/1998, Nemala, Rv. 212114).

Il giudice della riparazione deve seguire un iter logico-motivazionale autonomo rispetto a quello del processo penale e costituiscono compito del giudice del merito la ricerca, la selezione e la valutazione delle circostanze di fatto idonee ad integrare o ad escludere la sussistenza delle condizioni preclusive al riconoscimento del diritto fatto valere, sotto il profilo, appunto, del dolo o della colpa grave.

In particolare, "In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice della riparazione, per decidere se l’imputato vi abbia dato causa per dolo o colpa grave, deve valutare il comportamento dell’interessato alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione" (Sez. 4, n. 41396 del 15/09/2016, Piccolo, Rv. 268238; in senso conforme, v. Sez. 4, n. 19180 del 18/02/2016, Buccini, Rv. 266808).

Della decisione sulla ingiusta detenzione il giudice del merito ha, naturalmente, l’obbligo di dare adeguata ed esaustiva motivazione, strutturata secondo le corrette regole della logica: infatti, il mancato assolvimento di tale obbligo in termini di adeguatezza, congruità e logicità è censurabile in cassazione.

1.6. In ordine alla colpa ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, essa, come noto, può essere di due tipi: colpa extraprocessuale (ad esempio, frequentazioni ambigue, connivenza non punibile, comportamenti idonei ad essere percepiti all’esterno come contiguità criminale) ovvero colpa processuale (come, ad esempio, auto-incolpazione o silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi: cfr. Sez. 4, n. 4372 del 21/10/2014, dep. 2015, Garcia De Medina, Rv. 263197; Sez. 4, n. 34656 del 03/06/2010, Davoli, Rv. 248074; Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001, dep. 2002, Pavone, Rv. 220984).

1.6.1. Quanto, in particolare, alla colpa extraprocessuale, essa è, per lo più, individuata nelle frequentazioni ambigue, tema piuttosto ricorrente nei procedimenti con oggetto riparazione per ingiusta detenzione: al riguardo, la Corte di legittimità ha, in più occasioni, precisato che la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta carcerazione, può essere integrata anche da comportamenti extraprocessuali gravemente colposi, quali, a mero titolo di esempio, frequentazioni ambigue con soggetti gravati da specifici precedenti penali o coinvolti in traffici illeciti (Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015, Dieni, Rv. 262436; Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014, Pistorio, Rv. 260397) o ingiustificate frequentazioni che si prestino oggettivamente ad essere interpretate come indizi di complicità (Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013, dep. 2014, Calò, Rv. 258610; Sez. 3, n. 363 del 30/11/2007, dep. 2008, Pandullo, Rv, 238782) ovvero anche comportamenti deontologicamente scorretti (Sez. 4, n. 4242 del 20/12/2016, dep. 2017, Farina, Rv. 269034; Sez. 4, n. 52871 del 15/11/2016, Tavelli, Rv. 268685), purchè il giudice della riparazione fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità ad essere interpretati come indizi di colpevolezza, così da essere, quanto meno, in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (cfr. Sez. 4, n. 4242 del 20/12/2016, dep. 2017, Farina, Rv. 269034, cit.; Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015, Dieni, Rv. 262436, cit.; Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014, Pistorio, Rv. 260397, cit.; Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, Maltese, Rv. 259082; Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013, dep. 2014, Calò, Rv. 258610, cit.; Sez. 4, n. 51722 del 16/10/2013, Fratepietro, Rv. 257878; Sez. 3, n. 363 del 30/11/2007, dep. 2008, Pandullo, Rv, 238782, cit.).
Un altro tra i possibili profili di colpa extraprocessuale rilevante e tale da escludere la corresponsione dell’indennizzo è stato individuato nella situazione della connivenza passiva, a proposito della quale si è precisato (dopo una progressiva elaborazione giurisprudenziale, le cui tappe essenziali possono, schematicamente, dirsi rappresentate dalle pronunzie rese, in ordine cronologico, da: Sez. 4, n. 42039 del 08/11/2006, Cambareri, Rv. 235397; Sez. 4, n. 2659 del 03/12/2008 dep. 2009, Vottari, Rv. 242538; Sez. 4, n. 17/11/2011, dep. 2012, Cantarella, Rv. 252725) che può costituire colpa grave, ostativa al riconoscimento dell’indennità, la connivenza, ove ricorra almeno uno dei seguenti indici: "a) nell’ipotesi in cui l’atteggiamento di connivenza sia indice del venire meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose; b) nel caso in cui si concreti non già in un mero comportamento passivo dell’agente riguardo alla consumazione di un reato, ma nel tollerare la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia; c) nell’ipotesi in cui la connivenza passiva risulti avere oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell’agente, sebbene il connivente non intenda perseguire questo effetto; in tal caso è necessaria la prova positiva che il connivente fosse a conoscenza dell’attività criminosa dell’agente (...nel) giudizio di riparazione (...) la condotta connivente idonea ad inibire la riparazione, per essere qualificata gravemente colposa, deve essere ancorata alla preventiva conoscenza delle attività criminose che si stanno per compiere in presenza del connivente (...) la valutazione del giudice di merito sull’esistenza delle caratteristiche che deve assumere la connivenza, per la rilevanza ai fini della riparazione, si sottrae al vaglio di legittimità ove sia stato dato congruo conto, in modo non illogico, delle ragioni poste a fondamento della descritta efficacia della condotta passiva" (così Sez. 4, n. 15745 del 19/02/2015, Di Spirito, Rv. 263139).

Profilo di colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, affine alla connivenza passiva, di cui si è detto, può essere costituito dalla condotta di chi, nei reati contestati in concorso, essendo consapevole dell’attività criminale altrui, abbia tenuto comportamenti idonei ad essere percepiti all’esterno come una sua contiguità (in termini, Sez. 4, n. 45418 del 25/11/2010, Carere, Rv. 249237; Sez. 4, n. 37528 del 24/06/2008, Grigoli, Rv. 241218; v. anche, più recentemente, Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015, Dieni, Rv. 262436, cit.; Sez. 4, n. 1921 del 20/12/2013, dep. 2014, Mannino, Rv. 258485; Sez. 4, n. 5628 del 13/11/2013, dep. 2014, Maviglia, Rv. 258425).

1.6.2. In relazione alla colpa processuale, si è precisato che anche le concrete estrinsecazioni del diritto di difesa, possono acquisire, a certe condizioni, rilevanza ai fini in esame.

1.6.2.1. Va premesso che non vi è dubbio che la facoltà da parte dell’indagato di non rispondere in sede di interrogatorio costituisca concreto esercizio di un proprio diritto, riconosciuto dalla Costituzione prima ancora che dalla legge ordinaria, funzionale alla propria difesa (cfr., ex p/urimis, Sez. 3, n. 29967 del 02/04/2014, Bertuccini, Rv. 259941; Sez. 3, n. 44090 del 09/11/2011, Messina e altro, Rv. 251325; Sez. 4, n. 40902 del 23/09/2008, Locci e altro, Rv. 242756): essa è, perciò, circostanza, di norma, del tutto neutra al fine della sua riconducibilità all’area del dolo o della colpa grave rilevanti al fine in esame.

1.6.2.2. Stesso discorso vale, di regola, anche per la reticenza (cfr., ex multis, Sez. 4, n. 7296 del 17/11/2011, Berdicchia, Rv. 251928; Sez. 4, n. 4159 del 09/12/2008, dep. 2009, Lafranceschina, Rv. 242760; Sez. 4, n. 47041 del 12/11/2008, Calzetta e altro, Rv. 242757) e persino per la menzogna (cfr., tra le altre, Sez. 4, n. 46423 del 23/10/2015, Sperti, Rv. 265287; Sez, 4, n. 47756 del 16/10/2014, Randazzo, Rv. 261068; Sez. 4, n. 40291 del 10/06/2008, Maggi e altro, Rv. 242755), poiché anche la reticenza e la menzogna costituiscono modalità e contenuti dell’esercizio concreto del diritto di difesa.

1.6.2.3. Si è nondimeno precisato che il concreto esercizio del diritto di difendersi tacendo, non collaborando e persino mentendo può, eventualmente, rilevare sotto il profilo del dolo o della colpa grave ai fini che in questa sede rilevano nel caso in cui l’indagato sia in grado di rappresentare specifiche circostanze, non note all’organo inquirente, idonee a prospettare una logica spiegazione al fine di escludere e caducare il valore indiziante degli elementi acquisiti in sede investigativa che determinarono l’emissione del provvedimento cautelare, ed invece le taccia: in tal caso, infatti, pur nel rispetto del diritto di difesa e delle opzioni attuative dello stesso, v’è un onere di rappresentazione ed allegazione da parte dell’indagato, al fine di porre l’organo inquirente nelle condizioni di valutare quelle prospettazioni ed allegazioni, di comporle nell’unitario quadro investigativo ed indiziario, di rilevare, eventualmente, l’errore in cui si è incorsi nella instaurazione dello stato detentivo (v., tra le numerose pronunzie, Sez. 4, n. 46423 del 23/10/2015, Sperti, Rv. 265287; Sez. 4, n. 7296 del 17/11/2011, Berdicchia, Rv. 251928; Sez. 4, n. 40291 del 10/06/2008, Maggi e altro, Rv. 242755).
Si ritiene, in buona sostanza, che, poiché in quel momento soltanto l’indagato è in grado di rappresentare utili e giustificativi elementi di valutazione, la circostanza che, invece, li taccia o che reticentemente ovvero falsamente altri ne prospetti contribuisce, concausalmente, al mantenimento del suo stato detentivo.

Ciò posto, è necessario che il giudice della riparazione accerti, in primo luogo, quali siano gli elementi taciuti o falsamente rappresentati, non potendo questi ritenersi assiomaticamente (con inammissibile presunzione) o in via congetturale, e che valuti, poi, il sinergico nesso di relazione causale tra tale circostanza e l’addebito formulato, dando motivata contezza di come essa abbia influito, concausalmente, nel mantenimento dello stato detentivo (v., ex plurimis, Sez. 4, n. 16370 del 18/03/2003, Giugliano, Rv. 224774).

2. Ebbene, tanto premesso in linea generale, si osserva che nel caso di specie la motivazione adottata dalla Corte territoriale a corredo della decisione reiettiva appaia, nel complesso, congrua, logica e lineare e dia conto dell’attività di ricerca, di selezione e di adeguata valutazione delle circostanze di fatto idonee ad integrare la sussistenza delle condizioni preclusive al riconoscimento del diritto fatto valere, sotto il profilo, appunto, della colpa grave del ricorrente.

Se pure è vero, infatti, che dal mero riferimento al silenzio nell’interrogatorio (valorizzato alla p. 3 dell’ordinanza impugnata) non possono automaticamente trarsi conseguenze contrarie all’accoglimento della richiesta di riparazione, dovendosi, invece, accertare quali siano gli elementi favorevoli alla difesa taciuti o falsamente rappresentati (lo si è evidenziato al punto n. 1.6.2.3. del "considerato in diritto": v. al riguardo Sez. 4, n. 25252 del 20/05/2016, Min. Economia Finanze ed altro, Rv. 267393; Sez. 3, n. 29967 del 02/04/2014, Bertuccini, Rv. 259941; Sez. 3, n. 44090 del 09/11/2011, Messina e altro, Rv. 251325; Sez. 4, n. 4159 del 09/12/2008, dep. 2009, Lafranceschina, Rv. 242760; Sez. 4, n. 47047 del 18/11/2008, Marzola e altro, Rv. 242759; Sez. 4, n. 47041 del 12/11/2008, Calzetta e altro, Rv. 242757; Sez. 4, n. 40902 del 23/09/2008, Locci e altro, Rv. 242756; Sez. 4, n. 26686 del 13/05/2008, Marras e altro, Rv. 240940), non potendo questi ritenersi assiomaticamente o in via congetturale, e che tale accertamento in effetti manca nell’ordinanza gravata, ciononostante i giudici di merito hanno, correttamente, tratto elementi indicativi di colpa grave dalla condotta dell’imputato, in particolare dall’avere rafforzato l’altrui proposito criminoso manifestando piena disponibilità a coadiuvare i narcotrafficanti anche accompagnandoli a Napoli, a prescindere dall’effettiva realizzazione delle due trasferte a Napoli, di cui alle confidenze del ricorrente a P.M. , così, quantomeno, concausando l’arresto (pp. 1-2 dell’ordinanza impugnata).

Il ricorso, perciò, resiste alle, peraltro, generiche doglienze, tutte incentrate su difetto motivazionale che non risulta sussistente, oltre che su una pretesa ingiustizia per disparità di trattamento rispetto ad altro ricorrente, che non è evocabile in sede di legittimità, e deve in conseguenza essere rigettato.

L’ordinanza reiettiva, infatti, ha fatto corretta applicazione del principio (che si è richiamato al punto n. 1.6.1. del "considerato in diritto") secondo cui può essere ostativa al riconoscimento della invocata riparazione la condotta di chi, essendo consapevole dell’attività criminale altrui, abbia tenuto comportamenti idonei ad essere percepiti all’esterno come una sua complicità o contiguità o connivenza.

3. Discende da tutte le considerazioni svolte il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, per legge (art. 616 cod. proc. pen.), al pagamento delle spese processuali.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese tra le parti, tenuto conto del tenore della nnemor0i4 di cui si è detto (al punto n. 4 del "ritenuto in fatto").

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali; compensa le spese tra le parti.