Pur se il progresso tecnologico può far ritenere in certa misura inadeguata rispetto alla realtà fenomenica la nozione di inseguimento nel senso letterale del "correre dietro al fuggitivo", tuttavia permane, rispetto al chiaro disposto della legge, l’estraneità alla nozione di inseguimento la - qualitativamente diversa - ipotesi dell’attività di investigazione, pur se immediatamente messa in essere e continuata dalla polizia giudiziaria fino a identificare e poi rintracciare in modo celere e proficuo l’autore del reato, restando chiara la distinzione tra la previsione normativa dell’inseguimento e la categoria teorica e operativa dell’inseguimento definito investigativo: inseguimento investigativo che, quindi, si colloca al di fuori dell’interpretazione, conforme ai principi costituzionali, della disciplina dell’arresto in flagranza o quasi fragranza.
Per considerare integrata la flagranza non può accedersi ad un concetto di inseguimento che ricomprenda nella sua accezione anche l’attività di acquisizione delle informazioni fornite dai soggetti presenti sul luogo del reato che ne riferiscano alla polizia giudiziaria, successivamente intervenuta, per ragguagliarla sull’accaduto, sull’autore del reato, le sue connotazioni e la via di fuga dallo stesso intrapresa, a maggior ragione non può reputarsi la persistenza dello stato di flagranza quando, dopo il reato, la polizia giudiziaria prima di iniziare l’inseguimento in senso proprio svolga attività investigative aventi l’obiettivo della sua identificazione.
Corte di Cassazione
sez. I Penale, sentenza 22 gennaio – 12 giugno 2019, n. 26018
Presidente Mazzei – Relatore Siani
Ritenuto in fatto
1. Con l’ordinanza in epigrafe, emessa in data 25 ottobre 2018, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Patti, nel procedimento a carico di T.C. , arrestato e indagato per il delitto di tentato omicidio aggravato dai futili motivi in danno di G.C. , per averlo attinto al capo con una mazzetta da muratore così provocandogli una ferita alla testa e un trauma cranico, in (omissis) , nonché indagato altri reati (quello di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 4 e quello di cui all’art. 612 c.p., comma 2), ha convalidato l’arresto e ha contestualmente applicato a T. la misura della custodia cautelare in carcere.
Per quanto qui rileva, a ragione del provvedimento di convalida, il G.i.p. ha ritenuto che - valutando la sussistenza delle condizioni legittimanti l’operato della polizia, con il controllo di ragionevolezza dello stato di flagranza e dell’ipotizzabilità del reato ricompreso fra quelli individuati dagli artt. 380 e 381 c.p.p. - sia sussistito nel caso di specie il riscontro di tali condizioni: in particolare, si è riscontrata la flagranza di reato richiesta dell’art. 382 c.p.p.. Non si è, più in generale, rilevato nessun eccesso nell’uso dei poteri discrezionali da parte degli operanti essendo l’arresto avvenuto nell’osservanza dei termini fissati dagli artt. 386 e 390 c.p.p..
2. Avverso l’ordinanza, per quanto avente ad oggetto la convalida dell’arresto, ha proposto ricorso per cassazione il difensore di T. chiedendone l’annullamento senza rinvio e sostenendo l’impugnazione con la formulazione di un unico motivo con cui lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 380, 382 e 391 c.p.p..
L’assunto posto a fondamento del provvedimento impugnato circa la sussistenza della flagranza del reato oggetto di contestazione non è condiviso dal ricorrente, il quale ha evidenziato l’esigenza di tener presente la situazione effettivamente determinatasi, come riportata dal verbale di arresto (allegato al ricorso), da cui viene desunto, in particolare, che: quando i verbalizzanti, chiamati alle ore 10:50 del (OMISSIS) per intervenire sul luogo del fatto per essere in corso un’aggressione, avevano trovato G. a cui si stava tamponando la ferita e le altre persone presenti, soggetti esclusivamente dai quali avevano appreso le modalità dell’aggressore, l’identità di quest’ultimo e l’indicazione degli strumenti da lui utilizzati; dopo di che essi avevano iniziato le ricerche, escutendo alle ore 11:20 Tr.An. che aveva confermato e precisato le modalità dell’aggressione, avevano ricevuto alle ore 12:20 T. , spontaneamente presentatosi con il difensore, avevano preso atto, alle ore 13:56, dell’avvenuta dimissione della persona offesa con la prognosi di giorni sette per la guarigione dal diagnosticato trauma minore; poi, alle ore 14:00, avevano arrestato l’indagato.
In questo quadro, segnala la difesa, il verbale di arresto non documentava nessuna percezione diretta da parte della polizia giudiziaria idonea a collegare il fatto a T. e, in mancanza di tale percezione diretta, non poteva per questa via configurarsi la flagranza, giacché l’inseguimento intrapreso non in continenti, ma sulla base delle informazioni acquisite dai testimoni non risponde alla previsione dell’art. 382 c.p.p..
Quanto all’altra ipotesi della quasi flagranza costituita dalla sorpresa dell’indiziato con cose o tracce dalle quali apparisse che egli aveva commesso il reato immediatamente prima, si osserva che, se è vero che per essa non occorre che la polizia giudiziaria abbia avuto diretta percezione della commissione del reato, sarebbe stato comunque necessario che essa avesse l’immediata percezione delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato: e nemmeno per tale verso il verbale di arresto faceva emergere che T. fosse stato sorpreso con cose o tracce che inequivocabilmente lo collegassero all’aggressione, dal momento che la chiave inglese e la mazzetta erano state repertate sul luogo del fatto e collegate all’indagato dalle dichiarazioni dei presenti, mentre T. si era, successivamente, presentato presso la Caserma dei Carabinieri.
La difesa sottolinea, infine che T. non si era ripresentato sul posto per continuare l’azione aggressiva, sicché la mancanza della sua desistenza rispetto al tentato omicidio era stata fondata dagli inquirenti, ancora una volta, sulle dichiarazioni dei presenti.
3. Il Procuratore generale ha chiesto l’accoglimento dell’impugnazione e l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, osservando che, pure per quanto concerne le tracce del reato, il loro rilievo non basta se non si riscontra il collegamento inequivocabile con l’indiziato, mentre, nel caso in esame, nemmeno la percezione delle tracce del reato si era posta in diretta connessione con la persona dell’indagato.
Considerato in diritto
1. La Corte ritiene che il ricorso sia fondato nei sensi che seguono e vada accolto, sempre con riguardo alla verifica delle condizioni legittimanti l’arresto, impregiudicato il restante contenuto del provvedimento, avente ad oggetto l’applicazione della misura cautelare, che non viene in rilievo in questa sede.
2. Va premesso che, in sede di ricorso per cassazione contro il provvedimento di convalida dell’arresto, possono dedursi esclusivamente vizi di illegittimità, con riferimento, in particolare, al titolo del reato, all’esistenza o meno della flagranza e all’osservanza dei termini, rimanendo escluse le questioni relative ai vizi di motivazione che attengono, in punto di fatto, al giudizio di merito inerente l’affermazione della responsabilità penale (Sez. 6, n. 21771 del 18/05/2016; Saluci, Rv. 267071).
Ribadito così il perimetro entro cui l’impugnazione dell’atto di convalida è ritenuta ammissibile, rileva verificare la sfera di legittima esecuzione dell’arresto in flagranza.
Per determinare l’ambito delle attività che, sulla base del disposto dell’art. 382 c.p., la polizia giudiziaria può compiere onde pervenire in modo legittimo all’arresto in flagranza di reato disciplinato dagli artt. 379 c.p.p. e ss., occorre muovere dal principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità nel suo consesso più autorevole, secondo cui "è illegittimo l’arresto in flagranza operato dalla polizia giudiziaria sulla base delle informazioni fornite dalla vittima o da terzi nell’immediatezza del fatto, poiché, in tale ipotesi, non sussiste la condizione di quasi flagranza, la quale presuppone la immediata ed autonoma percezione, da parte di chi proceda all’arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato" (Sez. U, n. 39131 del 24/11/2015, dep. 2016, Ventrice, Rv. 267591; v. poi, fra le altre, Sez. 1, n. 57952 del 03/07/2018, Malin, n. m.; Sez. 4, n. 23162 del 13/04/2017, Visonà, Rv. 270104).
2.1. Va brevemente evidenziato che il percorso logico-giuridico per arrivare a tale severo, ma ineludibile, approdo muove dalla riflessione che, se l’inseguimento ha inizio subito dopo il reato, necessariamente l’inseguitore deve percepire personalmente, in tutto o in parte, il comportamento criminale dell’agente nell’attualità della sua concreta estrinsecazione, essendo questa conoscenza che si pone in derivazione causale con l’inseguimento messo in essere per conseguire la cattura del fuggitivo, autore del reato.
Per tale ragione è stata esclusa la possibilità di avallare la tesi finalizzata a far rientrare nello stato di flagranza il caso in cui, dopo che si è perpetrato il reato ed è iniziata la fuga, la polizia giudiziaria, intervenuta sul luogo del fatto, si ponga sulle tracce del fuggitivo per effetto delle informazioni acquisite dai testi presenti sull’identità dell’autore e sulla direzione della fuga da lui intrapresa. Si è, in tal senso, evidenziato che la previsione normativa afferisce all’inseguimento in continenti - e non alla fuga - per avvincere il reo allo stato di flagranza, poiché essa così assicura il pregnante collegamento tra il reato e il suo autore.
Se si ritiene - come il Collegio ritiene - che per considerare integrata la flagranza non possa accedersi a un concetto di inseguimento che ricomprenda nella sua accezione anche l’attività di acquisizione delle informazioni fornite dai soggetti presenti sul luogo del reato che ne riferiscano alla polizia giudiziaria, successivamente intervenuta, per ragguagliarla sull’accaduto, sull’autore del reato, le sue connotazioni e la via di fuga dallo stesso intrapresa, a maggior ragione non può reputarsi la persistenza dello stato di flagranza quando, dopo il reato, la polizia giudiziaria prima di iniziare l’inseguimento in senso proprio svolga attività investigative aventi l’obiettivo della sua identificazione.
Va, su questo argomento, riaffermato il concetto in base a cui, pur se il progresso tecnologico possa far ritenere in certa misura inadeguata rispetto alla realtà fenomenica la nozione di inseguimento nel senso letterale del correre dietro al fuggitivo, tuttavia permane, rispetto al chiaro disposto dell’art. 382 c.p., l’estraneità alla nozione di inseguimento la - qualitativamente diversa ipotesi dell’attività di investigazione, pur se immediatamente messa in essere e continuata dalla polizia giudiziaria fino a identificare e poi rintracciare in modo celere e proficuo l’autore del reato, restando chiara la distinzione tra la previsione normativa dell’inseguimento e la categoria teorica e operativa dell’inseguimento definito investigativo: inseguimento investigativo che, quindi, si colloca al di fuori dell’interpretazione, conforme ai principi costituzionali, della disciplina dell’arresto fissata dall’art. 382 cit..
2.2. Nel caso di specie, il giudice della convalida ha ritenuto sussistenti le condizioni legittimanti l’arresto, in quanto ha considerato che (diversamente dalle ipotesi citate dalla difesa a comparazione) si era avuto l’inseguimento dell’indagato sulla scorta, non soltanto delle indicazioni fornite dalla persona offesa e dagli altri testi oculari, ma anche e soprattutto sulla base della percezione diretta degli operanti delle conseguenze del delitto commesso poco prima dall’indagato e dell’acquisizione degli oggetti utilizzati per compiere il reato, ancora sui luoghi: in tal senso, il G.i.p. ha valorizzato il fatto che, all’arrivo degli operanti, la vittima, G.C. , grondava ancora sangue dalla ferita riportata ed erano sul luogo sia la chiave inglese, sia la mazzetta da muratore utilizzate per l’aggressione, oggetti che erano stati sequestrati dalla polizia giudiziaria e che avevano costituito l’ancoraggio all’evidenza probatoria dell’inseguimento.
Per altro verso, secondo il giudice della convalida, avendo T. tentato due volte di aggredire e colpire G. , in quella fase era da temere un nuovo e imminente tentativo di aggressione da parte del suddetto soggetto sempre in danno della stessa vittima, per cui anche per questa via il G.i.p. ha rinvenuto la flagranza del reato.
2.3. E, però, la ricostruzione fattuale, già per come esposta dal G.i.p. e come più specificamente descritta dal verbale di arresto, assegna un ruolo determinante all’individuazione di T. da parte della polizia giudiziaria non certo in virtù della diretta percezione post factum, bensì - attraverso le susseguenti indagini e, in particolare, in virtù delle informazioni che gli operanti, ossia i Carabinieri della Stazione di Brolo, hanno ricevuto dalle persone presenti sul posto in cui erano giunti quando erano stati chiamati da un testimone dell’aggressione. Acquisite queste informazioni, che avevano riguardato anche il fatto che i mezzi usati dall’aggressore, individuato sempre e soltanto dagli informatori in T.C. , erano la chiave inglese e la mazzetta da muratore presenti nel luogo. Corrisponde, del pari, al vero che la polizia giudiziaria aveva iniziato le indagini escutendo, in particolare, l’informatore Tr.An. e che ancora successivamente si era presentato in Caserma T. , accompagnato dal suo difensore.
Non può dunque dubitarsi del fatto che siano state le informazioni acquisite dagli esponenti della polizia giudiziaria a costituire l’elemento determinante per l’ulteriore prosieguo delle ricerche della persona di T. , senza alcun diretto contatto percettivo fra inquirenti e dedotto autore del reato in relazione ai quale l’arresto è scattato.
2.4. Anche le cose ricollegabili alla commissione del reato a cui ha fatto riferimento il provvedimento di convalida, ossia gli strumenti di aggressione indicati nella chiave inglese e nella mazzetta, sono state riferite alla persona dell’indagato, non in virtù della percezione diretta della polizia giudiziaria, ma esclusivamente in virtù delle informazioni fornite dai soggetti dichiaratisi presenti al fatto.
Invero, il requisito, previsto dall’art. 382 c.p.p., comma 1, della sorpresa dell’indiziato con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima, se non richiede che la polizia giudiziaria abbia diretta percezione dei fatti o che la sorpresa avvenga in modo non casuale, si correla pur sempre alla diretta e autonoma percezione da parte della polizia giudiziaria delle cose o tracce stesse e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato, quali elementi idonei a far ritenere sussistente, con altissima probabilità, la responsabilità del medesimo, nei limiti temporali determinati dalla commissione del reato immediatamente prima.
Di conseguenza, non può che ritenersi illegittimo l’arresto in flagranza operato dalla polizia giudiziaria sulla base degli elementi acquisiti anche su tale versante dalle informazioni fornite dalla vittima o da terzi nell’immediatezza del fatto, in quanto, come si è visto, la situazione tradizionalmente definita come quasi flagranza esige l’immediata e autonoma percezione, da parte di chi proceda all’arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento inequivocabile con l’indiziato: presupposto non ricorrente nella vicenda in esame.
2.5. In ordine, infine, alla mancata desistenza a cui in qualche misura allude l’ordinanza, pure su tale versante l’impugnazione si profila fondata: se il provvedimento ha inteso prospettare la persistente condotta criminosa tesa alla perpetrazione del reato di tentato omicidio, inerente all’aggressione della persona di G. da parte di T. , occorre constatare la scarsa aderenza ai dati emergenti dal verbale di arresto di siffatta prospettazione, dal momento che T. si era presentato in Caserma unitamente al proprio difensore prima di essere arrestato, senza che siano stati riferiti suoi comportamenti aggressivi in quella fase: quindi, l’indicato riferimento alla mancata desistenza pare risolversi in un escamotage dialettico, senza concreti agganci nelle risultanze richiamate.
3. Si deve, allora, concludere, che l’arresto è avvenuto in virtù di attività di investigazione scissa dall’immediata e autonoma percezione da parte degli inquirenti degli elementi che avrebbero consentito di procedere all’arresto ai sensi dell’art. 382 c.p.p..
Si aggiunge, nella già indicata prospettiva, come non possa trascurarsi che l’art. 13 Cost., comma 3, stabilisce che, in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.
Stante l’evidente eccezionalità delle ipotesi di privazione della libertà personale da parte della polizia giudiziaria, di iniziativa e senza provvedimento della autorità giudiziaria, non appare rettamente praticabile la via ermeneutica che suggerisce di procedere a un’interpretazione lata del concetto di inseguimento fissato dall’art. 382 cit., fino a includere in esso l’accezione - affatto diversa - che si orienta verso il perseguimento dell’autore del reato, sia pure per il tramite di una sollecita attività di investigazione e ricerca.
4. Con riferimento, quindi, alla sola convalida dell’arresto di T.C. , l’ordinanza impugnata si profila affetta dalla denunciata violazione di legge in quanto il G.i.p. ha convalidato l’arresto senza che ricorresse contezza adeguata della flagranza nel senso complessivamente configurato dall’art. 382 c.p.p. (comprensivo della situazione generalmente definita quasi flagranza).
Essa, di conseguenza, va annullata senza rinvio, relativamente all’oggetto qui scrutinato.
Risultando T. detenuto, deve disporsi che, a cura della cancelleria, copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata relativamente alla convalida dell’arresto, salvo il resto.
Dispone che, a cura della cancelleria, copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1ter.