In tema di procedimento di riparazione per l’ingiusta detenzione vanno considerate le corcostanze cncrete per determinare l'entità dell'indennizzo.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
(data ud. 19/05/2021) 25/08/2021, n. 32069
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Patrizia - Presidente -
Dott. NARDIN Maura - rel. Consigliere -
Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere -
Dott. BELLINI Ugo - Consigliere -
Dott. DAWAN Daniela - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
G.E.N., nato a (OMISSIS);
avverso l'ordinanza del 03/02/2020 della CORTE APPELLO di FIRENZE;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. NARDIN MAURA;
lette/sentite le conclusioni del PG.
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 3 febbraio 2020 la Corte di Appello di Firenze, a seguito di annullamento con rinvio
dell'ordinanza del 23 febbraio 2018, ha condannato il Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona
del Ministro, al pagamento in favore di G.E.N. della somma di Euro 17.804,41 a titolo di equa riparazione,
per essere il medesimo stato privato della libertà personale, in forza di provvedimento applicativo della
misura cautelare in carcere, dal 12 ottobre 2005 al 31 ottobre 2005, sostituito con gli arresti domiciliari sino
al 21 febbraio 2006, in quanto gravemente indiziato dei reati di concussione ed abuso di ufficio, dai quali
veniva assolto con sentenza, divenuta irrevocabile, del Tribunale di Livorno, con la formula "perchè il fatto
non sussiste".
2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso per cassazione G.E.N., a mezzo del suo difensore.
3. Con la doglianza, esposta con due motivi fra loro strettamente connessi, lamenta la falsa applicazione
degli artt. 314 e 315 c.p.p., nonchè il vizio di motivazione. Censura il provvedimento nella parte in cui si
limita a riconoscere l'indennizzo relativo ai giorni di custodia cautelare patiti, con il metodo aritmetico,
omettendo di valutare gli ulteriori danni patrimoniali e non patrimoniali. Osserva che la Corte territoriale,
pur avendo posto correttamente le premesse del ragionamento, facendo riferimento alla giurisprudenza di
legittimità -che impone di discostarsi dai meri calcoli aritmetici laddove la vittima dell'ingiusta detenzione
abbia patito danni inerenti alla sfera patrimoniale e non patrimoniale, concernenti la propria vita
professionale, familiare e lo stato di salute- se ne discosta riducendo l'indennizzo alla mera moltiplicazione
dei giorni di privazione della libertà patiti per l'indennizzo previsto dall'art. 315 c.p.p., comma 2 omettendo
di tenere conto delle gravi conseguenze pregiudizievoli derivate all'interessato dalla detenzione subita.
Assume che erroneamente e senza alcuna spiegazione la Corte territoriale riconduce i danni alla salute
documentati dal ricorrente alle ingiuste accuse elevate a suo carico, anzichè, come dimostrato dal
medesimo attraverso l'allegazione di documentazione medica, alla privazione della libertà subita, in forza
dell'applicazione della misura cautelare. Rileva che immotivatamente il giudice della riparazione scinde
l'infondatezza dell'accusa dall'ingiusta detenzione subita, al fine del riconoscimento del danno patito, sia a
livello psicofisico, che in termini di ricaduta sulla vita lavorativa e sulle relazioni personali e familiari,
essendo i due aspetti intrinsecamente legati. Lamenta la fallacia del ragionamento sotteso alla decisione,
secondo il quale le conseguenze negative sono state in parte ristorate dalla sentenza di assoluzione. E ciò,
senza tenere in considerazione che la lesione derivata dalla vicenda e dall'ingiusta detenzione subita, non
solo ha colpito la carriera professionale di G., medico convenzionato comportando la diminuzione del
numero degli assistiti, anche una volta riconquistata la libertà e ripristinata la verità con la sentenza di
assoluzione, nonchè l'impossibilità di far fronte ai doveri economici nei confronti della famiglia ed alle
scadenze dei mutui assunti- ma ha posto fine alla sua carriera politica, essendo l'interessato stato
allontanato dal partito di appartenenza ed essendosi dovuto dimettere dalla carica di Vicesindaco del
Comune di (OMISSIS). Sottolinea la compromissione della vita familiare, ignorata dal giudice della
riparazione, derivata dalla modalità esecutiva degli arresti domiciliari, accompagnati da "vigilanza con
telecamera" all'entrata dell'abitazione di famiglia, e da continui controlli e perquisizioni, generante un clima
di grave tensione, sfociata nella separazione dalla compagna. Si duole dell'assoluta pretermissione della
circostanza che i fatti si sono svolti in una realtà di piccole dimensioni, il che comporta, di per sè,
l'amplificazione del discredito personale. Tutti elementi questi ritenuti dall'ordinanza impugnata già
ricompresi nella liquidazione standard, dovendo l'afflittività della detenzione considerarsi uguale per tutti,
benchè la giurisprudenza di legittimità abbia chiarito la non onnicomprensività di detto importo laddove
particolari circostanze dell'ipotesi concreta impongano un adeguamento equitativo dell'indennizzo.
Conclude per l'annullamento dell'ordinanza impugnata.
4. Con requisitoria scritta il Procuratore generale presso la Corte di chiesto il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere accolto.
2. Pur rammentata la natura indennitaria e non risarcitoria del ristoro per ingiusta detenzione, essendo il
medesimo diretto a compensare solo le ricadute sfavorevoli (patrimoniali e non) procurate dalla ingiusta ed
incolpevole privazione della libertà, attraverso un sistema commisurato alla sua durata ed intensità, deve
ricordarsi che sono consentiti aggiustamenti alla quantificazione aritmetica allorquando emergano profili di
ulteriori rispetto al "fisiologico" danno da privazione della libertà. (cfr. Sez. 4, n. 21077 del 01/04/2014 -
dep. 23/05/2014, Silletti, Rv. 25923701). Ed infatti, fermo restando il limite massimo previsto dall'art.
315 c.p.p., comma 2, pari ad in Euro 516.456,90, l'ammontare della riparazione può discostarsi dal mero
calcolo artimetico dell'ammontare giornaliero moltiplicato per il numero dei giorni di custodia cautelare
subita, allorquando la lesione si palesi divergente e più grave rispetto alle normali conseguenze
determinate di ingiusta ed incolpevole detenzione (cfr. ex multis Cass., Sez. 4, n. 10123 del 17/11/2011, Rv.
252026; n. 10690 del 25/2/2010, Rv. 246425; n. 23119 del 13/5/2008, Rv. 240302).
3. Ancora attuale appare la pur risalente decisione con cui le Sezioni Unite hanno chiarito la natura
dell'istituto e la possibilità di graduazione dell'indennità, affermando che "l'equa riparazione per ingiusta
detenzione non ha carattere risarcitorio, in quanto l'obbligo dello Stato non nasce ex illicito ma dalla
solidarietà verso la vittima di un'indebita custodia cautelare. Il suo contenuto, pertanto, non è la rifusione
dei danni materiali, intesi come diminuzione patrimoniale o lucro cessante, ma - nel limite predeterminato -
la corresponsione di una somma che, tenuto conto della durata della custodia cautelare, valga a
compensare l'interessato delle conseguenze personali di natura morale, patrimoniale, fisica e psichica, che
la custodia cautelare abbia prodotto. Ai fini della relativa valutazione equitativa debbono essere presi in
considerazione tutti gli elementi disponibili da valutarsi globalmente con prudente apprezzamento". Con
siffatta pronuncia è stato ulteriormente chiarito che il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione è
classificabile tra "i diritti civici, cui corrisponde l'obbligo di diritto pubblico dello Stato, avente ad oggetto
una prestazione consistente nel pagamento di una somma di denaro, e che la fattispecie genetica di tale
diritto deve individuarsi nella "custodia cautelare" indebitamente sofferta, mentre la sentenza o la
decisione del giudice previste dai primi due commi dell'art. 314 c.p.p. ne accertano ex post".
4. Con riferimento alle conseguenze personali, relative all'attività lavorativa ed al minore reddito derivato
dalla privazione della libertà ed alla compromissione professionale, va rilevato che un discostamento dal
parametro aritmetico si giustifica allorquando la situazione creatasi a seguito dell'ingiusta detenzione sia
tale da implicare il superamento del criterio della medietà, ciò verificandosi in presenza di un
impoverimento tale da modificare uno stile complessivo di vita o lo scioglimento irrecuperabile di rapporti
personali o ancora l'induzione di grave malattia, rientrando tutte le altre ipotesi nel concetto di fisiologia
dell'incolpevole privazione della libertà.
5. Ciò premesso, deve affermarsi che qualora la parte istante alleghi la sussistenza di danni derivanti da una
grave compromissione dell'attività professionale e familiare e da particolari situazioni di pubblica
esposizione, dovuti al clamore delle accuse e dell'applicazione della misura custodiale, la motivazione che si
limita a determinare il quantum sulla base del criterio meramente aritmetico non può risolversi in una
petizione di principio, peraltro basata sul richiamo e la condivisione della giurisprudenza di legittimità di
segno completamente diverso.
6. Il provvedimento impugnato incorre, dunque, in un insanabile vizio motivazionale nella parte in cui dopo
avere correttamente posto le premesse, ritiene, nondimeno, idonea a compensare tutti gli effetti derivanti
dall'ingiusta detenzione la somma aritmeticamente calcolata, secondo i parametri di cui all'art. 315 c.p.p.,
limitandosi a generiche considerazioni con cui abbraccia acriticamente la tesi propugnata dal Ministero
convenuto- secondo cui la lesione degli interessi economici e personali deriverebbero dalle accuse e non
dalla privazione della libertà, essendo, peraltro, la reputazione del ricorrente stata riqualificata
dall'assoluzione, senza precisare su quali elementi fonda una simile affermazione.
Si tratta di argomentazioni che non si pongono a confronto con la prospettazione delineata dalla domanda di riparazione, con la quale si fa valere un quadro complessivo divergente e più grave rispetto alle normali conseguenze determinate di ingiusta ed incolpevole detenzione, che comprende una serie di pregiudizi di
rilevante natura economica, professionale e familiare (consistente perdita del numero degli assistiti, impossibilità di attendere ad obblighi assunti verso terzi), nonchè la compromissione dell'avviata carriera politica, rispetto alla quale l'ordinanza afferma genericamente la ripresa, senza alcuna ulteriore specificazione delle modalità con cui essa si è manifestata. Nè l'ordinanza affronta, neanche per escluderne
il significato concreto, il tema della definitività o meno della compromissione della reputazione derivante dall'applicazione di una misura custodiale in una realtà di piccole dimensioni, come quella in cui si è verificata la vicenda che ha coinvolto tutti gli aspetti della vita personale dell'interessato.
10. Il provvedimento impugnato deve, dunque, essere annullato con rinvio alla Corte di appello di Firenze
per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Firenze per nuovo giudizio.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 19 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2021