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Incidente in stato di ebbrezza e prelievo ematico per finalità di polizia (Cass.51151/19)

19 dicembre 2019, Cassazione penale

Ai fini della configurazione del reato di guida in stato di ebbrezza, detto stato può essere desunto anche solo da elementi sintomatici, poichè l'esame strumentale non costituisce una prova legale.

La violazione dell'obbligo di dare avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia al conducente da sottoporre prelievo ematico presso una struttura sanitaria, finalizzato all'accertamento del tasso alcolemico esclusivamente su richiesta dalla polizia giudiziaria, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio che può essere tempestivamente dedotta, fino al momento della deliberazione della sentenza di primo grado ma che deve ritenersi sanata, ai sensi dell'art. 183 c.p.p., qualora l'imputato formuli una richiesta di rito abbreviato.

Il conducente di un veicolo è tenuto, in base alle regole della comune diligenza e prudenza, ad esigere che il passeggero indossi la cintura di sicurezza e, in caso di sua renitenza, anche a rifiutarne il trasporto o ad omettere l'intrapresa della marcia. Ciò a prescindere dall'obbligo e dalla sanzione a carico di chi deve fare uso della detta cintura.

 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Sent., (ud. 27/11/2019) 19-12-2019, n. 51151

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MENICHETTI Carla - Presidente -

Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere -

Dott. PEZZELLA Vincenzo - Consigliere -

Dott. TANGA Antonio L. - rel. Consigliere -

Dott. PAVICH Giuseppe - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.C.C., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 5925/18 del giorno 20/12/2018, della Corte di Appello di Bologna;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Antonio Leonardo Tanga;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. Pedicini Ettore, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

udite le richieste del difensore della parte civile H.S., avv. RC, del Foro di Torino, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso o in subordine il rigetto, depositando conclusioni scritte e nota spese;

udite le richieste del difensore dell'imputato, avv. RP, del Foro di Cesena, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del giorno 28/11/2017, il GUP del Tribunale di Ravenna, all'esito del giudizio abbreviato, condannava M.C.C. alla pena di anni 7 di reclusione, in relazione al reato di omicidio stradale plurimo pluriaggravato, in questo assorbita la contravvenzione di guida in stato di ebbrezza.

1.1. Con la sentenza n. 5925/18 del giorno 20/12/2018, la Corte di Appello di Bologna, adita dall'imputato, confermava la sentenza di primo grado.

2. Avverso tale sentenza d'appello propone ricorso per cassazione M.C.C., a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi giusta il disposto di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1):

1) violazione di legge e vizi motivazionali con riferimento all'art. 114 disp. att. c.p.p. e artt. 354 e 191 c.p.p. laddove si è ritenuto che i prelievi ematici vennero assunti in maniera legittima. Deduce che il prelievo ematico è stato solo uno ed effettuato alle ore 23,15 come risulta in atti dalle dichiarazioni della Dott.ssa F.E. e sollecitate dalla P.G.; non corrisponde, quindi, a realtà che tali prelievi vennero effettuati all'ingresso del paziente e nell'ambito del protocollo medico ospedaliero bensì risulta che furono sollecitati dalla P.G. al fine dell'accertamento di un reato. Sostiene che, pertanto, al caso in esame, doveva applicarsi l'art. 354 c.p.p. con conseguente obbligo di avviso all'indagato delle sue facoltà, dell'acquisizione del consenso, nonchè di renderlo edotto delle finalità del prelievo al fine di attestarne lo stato di ebbrezza. Afferma che la procedura adottata dalla polizia giudiziaria avrebbe imposto l'avviso all'imputato di farsi assistere da un difensore a norma dell'art. 114 disp. att. c.p.p.; in mancanza i prelievi, come prove dello stato di ebbrezza alcolica, risultano passibili di sanzione di inutilizzabilità ex art. 191 c.p.p. in assenza di altri elementi indiziari al fine di ritenere sussistente il reato di guida in stato di ebbrezza.

2) violazione di legge e vizi motivazionali con riferimento all'art. 192 c.p.p., comma 1 e art. 589-bis c.p., comma 7. Deduce che la Corte Territoriale si è limitata a considerare il solo fatto dell'obbligo del conducente di accertarsi che i trasportati (moglie e figlio minore) avessero indossato i dispositivi di sicurezza ma tale dato non è sufficiente al fine di considerare tale omissione come "esclusiva conseguenza" poichè non sono stati considerati ed indicati in motivazione altri elementi fondamentali: la moglie H.P. era la proprietaria del veicolo condotto dal M. ed era anche intestataria del contratto di assicurazione; in qualità di proprietaria del mezzo era responsabile dello stesso quantomeno in maniera solidale al conducente posto che l'art. 2054 c.c., comma 3, prevede espressamente che: "Il proprietario del veicolo...è responsabile in solido con il conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà".

III) violazione di legge con riferimento all'art. 62-bis c.p..

Deduce che la Corte di Appello non ha considerato minimamente il comportamento positivo di ravvedimento tenuto dal M. in udienza preliminare laddove, alla presenza delle parti civili, si è mostrato molto addolorato per quanto accaduto e, per quanto possibile, ha chiesto scusa ai presenti.

Motivi della decisione


3. Il ricorso è infondato e, perciò, va rigettato.

4. Va premesso che, nel caso di sostanziale "doppia conforme", le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.

4.1. Occorre, inoltre, evidenziare che il ricorrente ignora le analitiche ragioni esplicitate dal giudice del merito.

4.2. La Corte territoriale ha, in vero, fornito puntuale spiegazione del ragionamento posto a base della propria sentenza procedendo alla coerente e corretta disamina di ogni questione di fatto e di diritto ed è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute, anche implicitamente, infondate dal giudice dell'appello, dovendosi gli stessi considerare non specifici (cfr. Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997, dep.1998, Ahmetovic, Rv. 210157; Sez. 4, n. 44139 del 27/10/2015).

4.3. Sul punto va, poi, ricordato che il contrdllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016).

4.4. Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocull, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè - come nel caso in esame- siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cfr. Sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).

4.5. Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo adi legittimità sulla motivazione non attiene nè alla ricostruzione dei fatti nè all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (cfr. Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).

4.6. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c'è, in altri termini, come richiesto nel ricorso in scrutinio, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.

4.7. In realtà il ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell'asseritamente connessa violazione nella valutazione del materiale probatorio, tenta di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito.

In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. Sez. 2, n. 38393 del 20/07/2016; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).

5. Ciò posto, in replica alla doglianza sub I), mette subito conto riaffermare che, in ipotesi di sentenza pronunciata all'esito del giudizio abbreviato, sono rilevabili e deducibili in appello solo le nullità di carattere assoluto e le inutilizzabilità patologiche (Sezioni Unite, 21 giugno 2000, Tammaro), mentre ogni altra eventuale irritualità è neutralizzata dalla scelta negoziale delle parti di tipo abdicativo, che fa assurgere a dignità di prova gli atti di indagine compiuti anche senza il rispetto delle forme di rito (v. anche Sez. 6, n. 53734 del 25/11/2014). In altri termini, la richiesta di giudizio abbreviato proposta nella udienza preliminare determina la sanatoria delle nullità, sempre che non siano assolute, e, quindi, le nullità di ordine generale a regime intermedio non possono essere dedotte a seguito della scelta del giudizio abbreviato, in quanto la richiesta del rito speciale opera un effetto sanante della nullità ai sensi dell'art. 183 c.p.p. (Sez. Un., n. 39298 del 26/09/2006 - dep. 28/11/2006 - Cieslinsky e altri, Rv. 23483501). Più recentemente, questa stessa Sezione ha avuto modo di affermare che la violazione dell'obbligo di dare avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia al conducente da sottoporre prelievo ematico presso una struttura sanitaria, finalizzato all'accertamento del tasso alcolemico esclusivamente su richiesta dalla polizia giudiziaria, determina una nullità di ordine generale a regime intermedio che può essere tempestivamente dedotta, a norma del combinato disposto dell'art. 180 c.p.p. e art. 182 c.p.p., comma 2, fino al momento della deliberazione della sentenza di primo grado ma che deve ritenersi sanata, ai sensi dell'art. 183 c.p.p., qualora l'imputato formuli una richiesta di rito abbreviato (cfr. Sez. 4, n. 24087 del 28/02/2018 Ud. -dep. 29/05/2018- Rv. 272959).

5.1. Per quanto occorra, nel caso di specie, appare quindi indubbio che la violazione dell'art. 114 disp. att. c.p.p. integri una nullità di ordine generale a regime intermedio (cfr. Sez. Un., n. 5396 del 29/01/2015 Ud. -dep. 05/02/2015). E ciò potrebbe bastare per ritenere sovrabbondanti anche le repliche del GUP e della Corte di Appello in ordine alla obiezione difensiva relativa all'inutilizzabilità degli esami alcolemici.

5.2. Ciò detto, non può comunque pretermettersi che, ai fini della configurazione del reato di guida in stato di ebbrezza, detto stato può essere desunto anche solo da elementi sintomatici (cfr. ex multis Sez. 4, n. 25835 del 05/03/2019 Ud. -dep. 12/06/2019- Rv. 276368). Nell'occasione, questa Corte ha precisato che, nel reato di guida in stato di ebbrezza, poichè l'esame strumentale non costituisce una prova legale, l'accertamento della concentrazione alcolica può avvenire in base ad elementi sintomatici per tutte le ipotesi di reato previste dall'art. 186 C.d.S. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata che aveva desunto, in relazione al reato di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. b) e comma 2-bis, lo stato di ebbrezza dalla dinamica dell'incidente stradale occorso, dalla sintomatologia rilevata dagli operanti giunti sul posto, e dalla diagnosi di sospetto stato di intossicazione acuta da alcool effettuata dai medici del Pronto soccorso prima della sottoposizione del conducente ad esame ematico, i cui risultati erano stati dichiarati inutilizzabili).

5.3. Ebbene, nel caso che occupa, i giudici del merito hanno anche reso una cospicua (quanto logica) motivazione in ordine allo stato di ebbrezza alcolica -e ai significativi dati sintomatici - in cui versava il ricorrente, segnalando che "Il M. a propria volta riportava dal sinistro alcune lesioni gravissime; al momento del soccorso egli presentava alito vinoso e negava di avere condotto il veicolo. In costanza di ricovero, dai prelievi ematici eseguiti sull'imputato emergeva un tasso alcolemico elevato, sebbene l'alcoltest non fosse stato autorizzato dall'uomo in quanto incosciente (...) Relativamente all'inutilizzabilità delle risultanze dei prelievi occorre ricordare che il primo esame condotto sul M. veniva eseguito nel contesto di un protocollo sanitario ed è dunque pienamente utilizzabile anche in assenza di alcun consenso o avviso, come univocamente statuito dalla giurisprudenza di legittimità. Orbene, da detto esame emergevamo due valori uno dei quali riconducibile alla lett. c) ed un secondo alla lett. b) della norma incriminatrice; in particolare dal prelievo delle ore 22.44 del 18.3.2017 era emerso un tasso alcolemico di 1,57 g/lt, mentre il tasso emerso in esito al prelievo delle ore 00.07 era di 1,48 g/lt. (...) diversamente da quanto si afferma nel gravame, al momento dell'ultimo prelievo, eseguito alle ore 23.15, l'imputato non era in grado di prestare il consenso in quanto gli era stata somministrata morfina; l'annotazione richiamata nell'appello risale infatti alle ore 22, ovvero al momento dell'entrata dello stesso nell'ospedale e prima della predetta somministrazione. Già da tale esame, quindi, emergeva pacificamente una percentuale di alcool riconducibile all'ipotesi di cui all'art. 186 C.d.S., lett. b), con conseguente piena prova circa la sussistenza della contestata aggravante. Poichè però uno dei valori rientrava, invece, nella più grave ipotesi di cui alla lettera c), veniva disposto su richiesta della PG un nuovo esame che confermava il più lieve tra i due risultati sopra richiamati. E' dunque del tutto evidente che lo stato di ebbrezza nel quale l'appellante versava emergeva già con chiarezza dalla prima prova, pacificamente utilizzabile in quanto disposta nell'ambito di una procedura sanitaria. Ma, a ben vedere, deve giungersi alla medesima conclusione anche con riferimento alla seconda prova, peraltro disposta a garanzia del M., e segnatamente per verificare quale delle due ipotesi criminose ricorresse".

5.4. Deve solo aggiungersi che neppure sussiste la necessità degli avvisi difensivi se rivolti a soggetto in stato psicofisico di totale incoscienza giacchè in tal caso viene a mancare il presupposto stesso di qualunque manifestazione di volontà (v. anche Sez. 4, n. 18405 del 28/03/2018 -dep. 27/04/2018).

6. In ordine al motivo sub II), occorre evidenziare che il conducente di un veicolo è tenuto, in base alle regole della comune diligenza e prudenza, ad esigere che il passeggero indossi la cintura di sicurezza e, in caso di sua renitenza, anche a rifiutarne il trasporto o ad omettere l'intrapresa della marcia. Ciò a prescindere dall'obbligo e dalla sanzione a carico di chi deve fare uso della detta cintura (cfr. Sez. 4, n. 11429 del 09/02/2017; Sez. 4, n. 11429 del 09/02/2017 -dep. 09/03/2017; Sez. 4, n. 9311 del 29/01/2003, Sulejmani, Rv. 224320; Sez. 4, n. 9904 del 27/09/1996, Connensoli, Rv. 206266).

6.1. Invero, la diminuente evocata in ricorso (ex art. 589-bis c.p., comma 7) va applicata ai soli casi di concorso della vittima, la quale abbia violato con il proprio comportamento le norme del codice della strada. Nella specie, l'obbligo gravava esclusivamente sul ricorrente che, ora, non può affermare che le asserite concause non fossero prevedibili ed evitabili dal medesimo. Correttamente, quindi, la i giudici del merito hanno ritenuto che "era infatti obbligo specifico del M. - in quanto conducente del veicolo assicurarsi che i passeggeri utilizzassero i prescritti sistemi di assicurazione dei trasportati, ed in particolare, accertarsi che il figlio R. fosse posto sul seggiolino, adeguatamente collocato sul sedile posteriore e che la coniuge utilizzasse la cintura di sicurezza (...) L'evento lesivo è quindi riconducibile esclusivamente alla violazione, da parte del prevenuto, della regola cautelare richiamata, la quale come appena rilevato gli avrebbe prescritto di imporne il rispetto da parte dei passeggeri, ovvero di arrestarsi; non emergono dunque i presupposti per ravvisare l'ipotesi attenuata".

6.2. Giova, infine, riaffermare che la valutazione dei vari elementi rilevanti ai fini della dosimetria della pena rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio (se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all'art. 133 c.p., come nel caso di specie) è censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Ciò che qui deve senz'altro escludersi (cfr. Sez. 2, n. 45312 del 03/11/2015; Sez. 4 n. 44815 del 23/10/2015).

7. Quanto al motivo sub III), basterà ribadire che, Soprattutto dopo la specifica modifica dell'art. 62-bis c.p. operata con il D.L. 23 maggio 2008, n. 2002 convertito con modifiche dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dar conto, come nel caso in esame, di avere valutato e applicato i criteri di cui all'art. 133 c.p.. In tema di attenuanti generiche, infatti, posto che la ragion d'essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all'obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo l'affermata insussistenza. Al contrario, secondo una giurisprudenza consolidata di questa Corte Suprema, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l'esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (così, ex plurimis, Sez. 1, n. 11361 del 19/10/1992, Gennuso, Rv. 192381; Sez. 1 n. 12496 del 02/09/1999, Guglielmi ed altri, Rv. 214570; Sez. 6, n. 13048 del 20/106/2000, Occhipinti ed altri, Rv. 217882; Sez. 1, n. 29679 del 13/06/2011, Chiofalo ed altri, Rv. 219891). In altri termini, dunque, va ribadito che l'obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (cfr. Sez.2, n. 38383 del 10/07/2009, Squillace ed altro, Rv. 245241, e Sez.4, n. 43424 del 29/09/2015).

7.1. Tra l'altro, la Corte territoriale, in replica alla medesima doglianza già proposta con i motivi d'appello, ha - insindacabilmente in questa sede - ritenuto di non poter accogliere la richiesta della difesa di concedere le attenuanti generiche innanzitutto a causa della gravità del fatto che "appare gravissimo in quanto connotato da una pluralità di profili di cqlpa di grado molto elevato, i quali producevano conseguenze devastanti. A ciò deve aggiungersi che M. è gravato da molteplici precedenti e che la condotta processuale e cautelare dello stesso è stata davvero pessima: egli infatti, inizialmente negava di essere stato alla guida e successivamente rifiutava il ricovero nonostante le gravi condizioni e tentava di scappare, così apparendo più attento alla propria sorte, che non resipiscente per quanto accaduto.

Nella fase successiva egli veniva collocato agli arresti domiciliari dai quali evadeva commettendo altri reati ed ubriacandosi, contesto di segno marcatamente negativo a fronte del quale la tragica perdita degli affetti più cari è elemento, sia pure idoneo a suscitare umana pietà, tuttavia di valenza soccombente rispetto a quelli appena richiamati".

8. Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese in favore della parte civile H.S. che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2019