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Inadempimento contrattuale è reato? (Cass. 3790/20)

29 gennaio 2020, Cassazione penale

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In tema di truffa contrattuale il reato è configurabile non soltanto nella fase di conclusione del contratto, ma anche in quella della esecuzione allorché una delle parti, nel contesto di un rapporto lecito, induca in errore l’altra parte con artifizi e raggiri, conseguendo un ingiusto profitto con altrui danno.

L’elemento che imprime al fatto dell’inadempienza il carattere di reato è costituito dal dolo iniziale, che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei due contraenti - determinandolo alla stipulazione del contratto in virtù di artifici e raggiri e, quindi, falsandone il processo volitivo - rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria.

 

Corte di Cassazione

sez. II Penale, sentenza 11 settembre 2019 – 29 gennaio 2020, n. 3790
Presidente Cervadoro – Relatore Filippini

Considerato in fatto

1. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza in data 18/06/2018, parzialmente riformando la sentenza pronunciata dal Tribunale di Milano, in data 13/12/2017, nei confronti di P.L. , confermava la condanna in relazione al reato di cui all’art. 640 c.p.. Secondo la ricostruzione del fatto concordemente recepita dai giudici del merito, l’imputato si è fatto consegnare da C.G. e D.S. la somma di Euro 2.000 quale acconto per la locazione di una villa che però non ha consegnato alle persone offese nel termine pattuito nè ha restituito gli importi ricevuti.

2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, tramite difensore, deducendo i seguenti motivi:
- vizio della motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità, perché apparente e non centrata sul reale motivo di gravame proposto in appello, relativo alla insussistenza degli artifici e raggiri capaci di ingannare le persone offese nella fase della stipula del contratto nonché alla carenza del dolo iniziale di truffa in capo all’imputato; invece la Corte territoriale ha incentrato la propria decisione sul diverso profilo della ritenuta infondatezza delle ragioni addotte a giustificazione dell’inadempimento (mancato perfezionamento dell’acquisto di altro immobile dove il P. doveva trasferirsi), non ha colto la natura meramente civilistica dell’inadempimento, travisando il dato della effettiva sussistenza di un fattore esterno che ha impedito la consegna del bene ai querelanti e confondendo tra falsa effettuazione del bonifico restitutorio degli acconti percepiti e revoca del bonifico; per giunta, la Corte d’appello non ha considerato la consolidata giurisprudenza di legittimità che, in caso di contratti ad esecuzione istantanea, tra i quali dovrebbe iscriversi quello di specie, ai fini della integrazione del reato di truffa richiede la dimostrazione del dolo iniziale, incidente nella fase della stipula del contratto, restando invece un mero illecito civile il fatto dell’inadempimento contrattuale, quale deve considerarsi quello di specie.
- violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio, immotivatamente discostato dai minimi quanto alla multa, nonché in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche nonostante la dedotta tenuità, della portata criminale delle condotte di specie.
3. L’imputato personalmente ha fatto pervenire varie missive contenenti richieste di pronunce liberatorie e, da ultimo, copia del verbale di remissione di querela in data 26.8.2019 relativo a D.S..

Ritenuto in diritto

Il ricorso è infondato laddove non inammissibile.

1. Preliminarmente occorre evidenziare che, a fronte di due querele, rispettivamente sporte il 22.9.2013 e il 23.9.2013 da C.G. e D.S. , solo per quest’ultima è intervenuta la richiamata remissione di querela.

1.1. Ai sensi dell’art. 154 c.p., "Se la querela è stata proposta da più persone, il reato non si estingue se non interviene la remissione di tutti i querelanti". Conseguentemente, all’atto di remissione posto in essere dalla sola D. non può conseguire l’estinzione del reato.

2. Passando alla trattazione del merito del ricorso, in via ancora preliminare pare opportuno premettere che, contrariamente all’assunto difensivo, nella presente vicenda non si è in presenza di un contratto ad esecuzione immediata, posto che dalla ricostruzione del fatto descritta in atti emerge che i querelanti ebbero a consegnare l’importo loro richiesto dall’imputato (a titolo di acconto/caparra/deposito cauzionale) entro gli inizi dell’agosto 2013 mentre la consegna dell’immobile locato l’immissione in possesso delle persone offese sarebbe dovuta avvenire entro la metà del settembre successivo. Inconferenti risultano dunque gli argomenti difensivi relativi alla pretesa irrilevanza penalistica delle condotte attinenti alla fase esecutiva del contratto (che, nella vicenda di specie, doveva consistere nella consegna - mai avvenuta - del bene promesso in locazione).

2.1. Del resto, questa Corte ha già affermato che "in tema di truffa contrattuale il reato è configurabile non soltanto nella fase di conclusione del contratto, ma anche in quella della esecuzione allorché una delle parti, nel contesto di un rapporto lecito, induca in errore l’altra parte con artifizi e raggiri, conseguendo un ingiusto profitto con altrui danno" (Sez. 2, n. 9323 del 20.1.1988, rv 179203).
Nello stesso solco ermeneutico si è più volte ricordato (cfr. Sez. 2, n.. 41073 del 5.10.2004,. Rv. 230689; Sez. 6, n. 10136 del 17.2.2015, Rv. 262801) che, in tema di truffa contrattuale, il mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità di esecuzione del contratto, rispetto a quelle inizialmente concordate con l’altra parte, unito a condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto, integra l’elemento degli artifici e raggiri richiesti per la sussistenza del reato di cui all’art. 640 c.p..
Naturalmente, l’elemento che imprime al fatto dell’inadempienza il carattere di reato è costituito dal dolo iniziale, che, influendo sulla volontà negoziale di uno dei due contraenti - determinandolo alla stipulazione del contratto in virtù di artifici e raggiri e, quindi, falsandone il processo volitivo - rivela nel contratto la sua intima natura di finalità ingannatoria" (Sez. 2, n. 5801 del 08/11/2013, Rv. 258203).

2.2. I suddetti principi calzano perfettamente rispetto alla vicenda che i giudici del merito hanno logicamente ricostruito come avvenuta nel caso in esame, laddove l’imputato, nel luglio/agosto 2013, ha indotto i querelanti a sottoscrivere un contratto (definito dalle parti a volte come locazione e a volte come comodato), nonché al versamento di complessivi Euro 2.000, a fronte della promessa di consegnare loro un immobile a decorrere dalla metà del mese di settembre, senza poi provvedere ad adempiere.

E, quanto al sussistenza del dolo iniziale, i giudici del merito hanno adeguatamente motivato il positivo convincimento sul punto, valorizzando l’approfittamento delle relazioni amicali (cfr. sentenza di primo grado), i numerosi messaggi rassicuranti inviati tramite WatsApp, l’invio degli estremi di un bonifico poi revocato, il comportamento sfuggente, ecc..

Inoltre, la Corte territoriale, ad ulteriore suffragio della sussistenza del dolo di reato, ha adeguatamente confutato la tesi difensiva (compiutamente esposta in giudizio non direttamente dal P. ma dalle difese, in base alla quale sarebbe da escludere il dolo iniziale di reato in quanto il P. aveva locato la propria abitazione poiché aveva stipulato un preliminare di acquisto di altra casa ove trasferirsi, ma il mancato perfezionamento della compravendita, per problematiche sopravvenute, aveva determinato l’impossibilità di liberare la casa locata) considerando che, quand’anche sia esistita e sia stata prospettata alle persone offese la difficoltà per il P. di reperire un’abitazione sostitutiva, ciò non può che essere avvenuto successivamente alla stipula.del contratto di causa, posto che il preliminare di acquisto (poi rimasto inadempiuto e consensualmente risolto) è stato sottoscritto solo nell’ottobre 2013, epoca ampiamente successiva alla conclusione del contratto con le persone offese; aspetti cronologici che rendono dunque manifesto, secondo la logica deduzione del giudice di merito, come, all’atto della conclusione del contratto con i querelanti, il P. non poteva certo contare di trasferirsi in altra abitazione in via di acquisto per sé; e l’omettere di evidenziare tale dato ben si concilia, ovviamente, con la ritenuta sussistenza del dolo truffaldino.

2.3. In definitiva, adeguata e non certo illogica è la motivazione offerta nella doppia pronuncia di condanna dai giudici del merito; con la conseguenza che, in presenza di tale requisito, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/42/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944; tra le più recenti: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 - 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).

3. Manifestamente infondato è poi il motivo sulla pena, collocata dalla Corte territoriale ai minimi, con lieve scostamento solo per quella pecuniaria; invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 c.p., le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596), oppure ai precedenti penali, così come avvenuto nella fattispecie.
3.1. Del pari è a dirsi per la mancata concessione delle attenuanti generiche, che risultano negate (ben potendo rientrare nel concetto di "qualunque beneficio") con motivazione adeguata, incentrata sulla sussistenza di precedenti penali.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.