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Il ne bis in idem nazionale e europeo

26 marzo 2012, Nicola Canestrini

Come noto, il divieto di un secondo giudizio per lo stesso medesimo fatto è un principio fondamentale riconosciuto tanto dal nostro ordinamento interno nell'art. 649 c.p.p., quanto dall' acquis comunitario.

Infatti, dal dettato stesso dell'art. 54 della Convenzione applicativa dell'Accordo di Schengen (ratificato con l. 388/1993; in prosieguo, CAAS) discende che nessuno può essere sottoposto a procedimento penale in uno Stato membro per i medesimi fatti per i quali è stato già 'giudicato con sentenza definitiva' in un altro Stato membro.

L'estensione del principio è stata oggetto di interpretazioni contrastanti, sia in ambito nazionale che in quello europeo.

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1. Diritto nazionale

In ambito nazionale, l'applicazione del divieto del bis in idem è stata a lungo rigorosamente subordinata all'esistenza di decisioni giurisdizionali connotate dal requisito dell'irrevocabilità. Anche recentemente è stato ribadito che l'esistenza di una sentenza irrevocabile costituisce condizione tassativa ed inderogabile per l'applicazione dell'art. 649 (Cass., Sez. III, 23 febbraio 2005, P.M. in proc. Massa, rv. 230872).

La compattezza di tale indirizzo ha subito una prima incrinatura, quando è stato ritenuto che, se è vero che il testo dell'art. 649 c.p.p. collega il divieto di un secondo giudizio alla pronuncia di una sentenza o di un decreto penale divenuti irrevocabili, ciò non significa, tuttavia, che fino a quando non sia stata pronunciata una sentenza irrevocabile possano legittimamente svolgersi nei confronti della stessa persona e per lo stesso fatto più procedimenti penali, giacché l'art. 649, al pari delle norme sui conflitti positivi di competenza e dell'art. 669, esprime "un costante orientamento di sistema, dettato ad evitare duplicità di decisioni" e un "generale principio di ne bis in idem che tende innanzi tutto ad evitare che per lo stesso fatto reato si svolgano più procedimenti e si emettano più provvedimenti, l'uno indipendente dall'altro" (Cass. Sez. V, 10 luglio 1995, Pandolfo, in Cass. pen., 1996, 2611, rv. 202653).

La decisione appena ricordata ha dato l'avvio ad un consistente filone interpretativo uniformemente rivolto ad attribuire all'art. 649 una dimensione applicativa più ampia di quella che traspare dalla enunciazione letterale, essendo la disposizione strettamente correlata al principio generale dell'ordinamento processuale che vieta la duplicazione del processo contro la stessa persona per il medesimo fatto (Cass., Sez. VI, 11 febbraio 1999, Siragusa, rv. 212864; Sez. VI, 25 febbraio 2002, P.G. in proc. Sulsenti; Sez. I, 30 aprile 2003, Morteo, rv. 225004; Sez. VI, 18 novembre 2004, Fontana, rv. 230760; Sez. III, 5 aprile 2005, P.G. in proc. Chiarolini).

La stessa giurisprudenza costituzionale ha indicato una possibilità di ritenere sussistente una 'accezione più piena del principio del ne bis in idem', rilevando come l'operatività del principio di cui all'art. 529 c.p.p. possa essere estesa fino a 'comprendere tutte le ipotesi in cui per quel medesimo fatto l'azione penale non avrebbe potuto essere coltivata in un separato procedimento perché già iniziata in un altro'.

Tale filone interpretativo è stato recepito con l'innovativa sentenza delle S.U. penali che si sono espresse favorevolmente circa l'ammissibilità della pronuncia di non doversi procedere per impromovibilità dell'azione penale nelle ipotesi di litispendenza (Cassazione Penale, Sez. U, 28 giugno - 28 settembre 2005, n. 34655, anche per i rilievi che precedono), ritenendo ammissibile la pronuncia di una sentenza di non doversi procedere per impromovibilità dell'azione penale non attraverso la diretta applicazione della disposizione di cui all'art. 649 c.p.p., ma appunto in virtù di un principio più ampio - di cui tale norma è espressione - il quale, anche in assenza di un provvedimento irrevocabile, "rende la duplicazione dello stesso processo incompatibile con le strutture fondanti dell'ordinamento processuale e ne permette la rimozione con l'impiego dei rimedi enucleabili dal sistema".

Si noti che secondo un filone giurisprudenziale oramai consolidato, e ricordato nella citata sentenza a Sezioni Unite della Cassazione penale n. 34655/05, la preclusione del "ne bis in idem" giustifica la dichiarazione di impromovibilità dell'azione penale anche in presenza di provvedimenti decisori diversi da quelli indicati nell'art. 649 c.p.p., come il decreto di archiviazione seguito da riapertura delle indagini da parte dello stesso pubblico ministero senza l'autorizzazione del giudice prescritta dall'art. 414 (Corte cost., 19 gennaio 1995, n. 27, cit. in nota 12.; Cass., Sez. Un., 22 marzo 2000, Finocchiaro, rv. 216004) e la sentenza di non luogo a procedere in assenza del provvedimento di revoca ex art. 434 (Corte cost., 19 gennaio 1995, n. 27, cit., e 17 giugno 1997, n. 206.; Cass., Sez. Un., 23 febbraio 2000, Romeo, rv. 215411).

Insomma: "(-) l'art. 649 costituisce un singolo, specifico, punto di emersione del principio del ne bis in idem, che permea l'intero ordinamento dando linfa ad un preciso divieto di reiterazione dei procedimenti e delle decisioni sull'identica regiudicanda, in sintonia con le esigenze di razionalità e di funzionalità connaturate al sistema. A tale divieto va attribuito, pertanto, il ruolo di principio generale dell'ordinamento dal quale, a norma del secondo comma dell'art. 12 delle Preleggi, il giudice non può prescindere quale necessario referente dell'interpretazione logico-sistematica."

Migliore dottrina ha rilevato al proposito come esista nel nostro ordinamento processuale unprincipio garantistico generale volto a tutelare l'individuo dai rischi connessi alla possibilità di una duplicazione a suo carico di processi penale per il medesimo fatto, come riconosciuto anche dalla sentenza 34655/05 SS.UU. citata: tale principio troverebbe vari riconoscimenti positivi, diversificati a seconda della "intensità dell'effetto preclusivo", adducendo diversi esempi di manifestazione del principio suddetto al di fuori dalla nozione di giudicato, quali

- la sentenze di non doversi procedere in assenza di condizione di procedibilità fino alla sopravvenienza della medesima (a prescindere dalla impugnabilità di detta sentenza!)

- la sentenza di non luogo a procedere non revocata

-il decreto o ordinanza di archiviazione in difetto autorizzazione alla riapertura delle indagini

-il cd. ne bis in idem cautelare a seguito di ordinanze cautelari terminative dei giudizi impugnatori

-ordinanze della magistratura di sorveglianza / giudice dell'esecuzione

Se dunque è innegabile come il disposto di cui all'art. 649 c.p.p. codifichi una particolare forma del principio, il cd.\ ne bis in idem da giudicato, che esprime il massimo effetto preclusivo, ciò non esclude che possa esistere un ne bis in idem derivante da procedimenti diversi dalle sentenze "irrevocabili".

 

2. Diritto comunitario

Anche in ambito europeo la medesima linea interpretativa non apre affatto sconosciuta, seppur con una accezione diversa: la Corte di giustizia CE, in data 11 febbraio 2003, con sentenza n. 187 ha stabilito come "il principio del "ne bis in idem", sancito dall'art. 54 della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen 14 giugno 1985, tra i governi degli Stati dell'Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen il 19 giugno 1990, si applica anche nell'ambito di procedure di estinzione dell'azione penale, in forza delle quali il p.m. di uno Stato membro chiude, senza l'intervento di un giudice, un procedimento penale promosso in questo Stato dopo che l'imputato ha soddisfatto certi obblighi e, in particolare, ha versato una determinata somma di denaro, stabilita dal p.m." (Gozutok e altro, in Foro it. 2003, IV, 426).

Ancora: "L'art. 54 della convenzione applicativa dell'Accordo di Schengen ha lo scopo di evitare che una persona, per il fatto di esercitare il suo diritto alla libera circolazione, sia sottoposta a procedimento penale per i medesimi fatti sul territorio di più Stati membri. L'art. 54 si applica anche nell'ambito di procedure di estinzione dell'azione penale (come a seguito di patteggiamento o comunque di accordo con la pubblica accusa) in forza delle quali il p.m. di uno Stato membro chiude, senza l'intervento di un giudice, un procedimento penale promosso in questo Stato dopo che l'imputato ha soddisfatto certi obblighi, in particolare ha versato una somma di denaro stabilita dal p.m." (Corte giustizia CE, 11 febbraio 2003, n. 187; Huseiyn e altro, in Cass. pen. 2003, 1688 nota di Selvaggi, e in Riv. dir. internaz. priv. e proc. 2003, 553).

I principi adottati in ambito nazionale sulla estensione del principio del ne bis in idem anche alla litispendenza, unitamente a quelli recepiti in sede europea sulla non necessarietà di una "sentenza definitiva", meriterebbero una rinnovata riflessione sulla portata pratica del principio.

Nell'ambito del comune spazio di libertà sicurezza e giustizia appare infatti inevitabile l'occorrenza di interpretare estensivamente quanto statuito dalla CAAS ampliando l'ambito di operatività del principio del ne bis in idem diretto ad evitare, da un lato, che venga processata in uno Stato dell'Unione una persona già giudicata per il medesimo fatto in altro Stato membro, dall'altro lato, il fenomeno della litispendenza, ossia il conflitto tra giurisdizioni procedenti contro la stessa persona per il medesimo fatto prima che si formi il giudicato.

La necessità di dilatare i confini del divieto del bis in idem trova infatti fondamento nel principio di reciproca fiducia tra gli stati membri dell'Unione e in quello di mutuo riconoscimento delle decisioni giurisdizionali, già affermato in numerosi e recenti atti dell'Unione (circolazione della prova; sanzioni non detentive; assistenza giudiziaria in materia penale ecc.). La ratio di una valutazione ermeneutica che, per certi versi, può essere ritenuta audace, in considerazione del fatto che interpreta estensivamente il dato letterale della norma, trova la propria fonte giustificativa nell'esigenza di evitare duplicità di decisioni epronunce tra loro contrastanti.

Orbene, occorre rilevare che, una procedura mediante la quale il pubblico ministero, legittimato ad amministrare la giustizia dall'ordinamento giuridico nazionale competente, decida di chiudere i procedimenti penali a carico dell'imputato per infondatezza della notizia di reato, debba essere considerata "definitiva", per esigenze logico sistematiche (non soltanto di economia processuale) che coinvolgono il sistema di amministrazione della giustizia penale a livello Europeo.

Pertanto, appare evidente che, una dimensione applicativa più ampia di quella che traspare dalla enunciazione letterale dell'art. 54 della CAAS risulti più in sintonia con l'instaurando sistema di collaborazione e assistenza giudiziaria tra stati dell'Unione, volto a fare in modo che, in un'ottica di necessaria realizzazione di un sistema di giustizia transfrontaliero, non si verifichino reiterazioni di procedimenti e/o decisioni sull'identica reigiudicanda.

Il principio del ne bis in idem che, come più volte sottolineato, ha lo scopo di evitare che una persona, per il fatto di esercitare il suo diritto alla libera circolazione, sia sottoposta a procedimento penale per i medesimi fatti nel territorio di più Stati membri, si deve, applicare anche alle pronunce di archiviazione, in funzione della sua stessa ratio. Infatti, gli effetti di siffatta procedura, in assenza di un'espressa indicazione contraria nell'art. 54, dovrebbero essere considerati sufficienti a consentire l'applicazione del principio del ne bis in idem previsto da questa disposizione, anche se la procedura stessa non comporta l'intervento di alcun giudice e la decisione adottata in esito alla medesima non ha la forma di una sentenza.
Peraltro, nessuna disposizione del titolo VI del Trattato sull'Unione europea, relativo alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, né dell'Accordo di Schengen o della Convenzione di applicazione di quest'ultimo, subordina l'applicazione dell'art. 54 all'armonizzazione o, quanto meno, al ravvicinamento delle legislazioni penali degli Stati membri nel settore delle procedure di esercizio/estinzione dell'azione penale.

Infine, il principio del ne bis in idem implica necessariamente che esista una fiducia reciproca degli Stati membri nei confronti dei loro rispettivi sistemi di giustizia penale e che ciascuno di essi accetti l'applicazione del diritto penale vigente negli altri Stati membri, anche quando il ricorso al proprio diritto nazionale condurrebbe a soluzioni diverse. Se fosse altrimenti, non si ravviserebbe alcuna ragione giustificativa dell'istituzione di un sistema di amministrazione della giustizia penale a livello Europeo.


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AGGIORNAMENTI:

Con la sentenza C. eur. dir. uomo, Seconda Sezione, sent. 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia, ric. n. 18640, 18647, 18663, 18668 e 18698/2010 si è rafforzato il principio secondo il quale anche sanzioni amministrative possono essere considerate a tutti gli effetti come penali,  se "severe" (sia per l'importo che per le sanzioni accessorie) e per le loro ripercussioni sugli interessi del condannato (sul fine repressivo delle sanzioni finalizzate alla tutela di interessi tipicamente protetti dal diritto penale cfr. sentenza Menarini c. Italia del 27/9/11). In quanto sanzioni penali, devono dunque osservare le garanzie che l'art. 6 CEDU riserva ai processi penali e vi è il divieto di un ulteriore giudicato (articolo 4 del protocollo n. 7).

 Autorevole dottrina (A. Tripodi, Uno più uno (a Strasburgo) fa due. L'Italia condannata per violazione del ne bis in idem in tema di manipolazione del mercato, in Diritto penale contemporaneo, 9 marzo 2014) ha così commentato che "L'art. 649 c.p.p. afferma un principio di garanzia, è norma di portata generale e non certo eccezionale, e può quindi a buon diritto essere interpretato estensivamente, nel senso di far ricomprendere nel concetto «di sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili» anche  i provvedimenti di condanna definiti "penali" dalla Corte di Strasburgo. In definitiva si tratta qui di attribuire  all'elemento normativo «sentenza penale» di cui all'art. 649 c.p.p. il significato indicato dalla fonte convenzionale (analogamente, ma per tutt'altro contesto, v. Vallini, Ardita la rotta o incerta la geografia- La disapplicazione della legge 40/2004 in esecuzione di un giudicato della Corte EDU in tema di diagnosi preimpianto, in Diritto penale contemporaneo,16 dicembre 2013)."

Si veda peraltro la relazione del massimario della Cassazione penale dopo la sentenza grande Stevens vs. Italia (2014). 

Si segnala la sentenza C-398/12 della Corte di Giustizia del 5 giugno 2014 che statuisce che "l'articolo 54 della convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, tra i governi degli Stati dell'Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen (Lussemburgo) il 19 giugno 1990, deve essere interpretato nel senso che una decisione di non luogo a procedere che osta, nello Stato contraente in cui tale decisione è stata emessa, a un nuovo procedimento penale per i medesimi fatti contro la stessa persona che ha beneficiato di detta decisione, salvo sopravvenienza di nuovi elementi a carico di quest'ultima, deve essere considerata una decisione che reca una sentenza definitiva, ai sensi di tale articolo, e che preclude pertanto un nuovo procedimento contro la stessa persona per i medesimi fatti in un altro Stato contraente".

 Si segnala l'approfondimento sulla "Cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale", Fanciullo (cur.) Osservatorio della Università degli Studi di Salerno

La cooperazione giudiziaria in materia penale costituisce l'attuale Capo 4 del Titolo V del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (artt. 82-86). Essa "è fondata sul principio del reciproco riconoscimento delle sentenze e delle decisioni giudiziarie" ed "include il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri", nei settori indicati dal secondo paragrafo dell'art. 82 (ammissibilità reciproca delle prove tra gli Stati membri; diritti della persona nella procedura penale; diritti delle vittime della criminalità; altri elementi specifici della procedura penale, individuati dal Consiglio in via preliminare mediante una decisione) nonché dall'art. 83. (...) (continua)