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Giudice civile deve attenersi ai fatti accertati nel penale ma può decidere concorso di colpa (Cass. 15392/18)

20 giugno 2018, Cassazione civile

In presenza di un giudicato penale maturato sui fatti, è precluso al giudice civile procedere ad un nuovo accertamento con una diversa ricostruzione dell'episodio.

Il giudicato penale non ha effetti preclusivi dell'accertamento in sede civile di un concorso di colpa del danneggiato, dato che l'eventuale apporto causale colposo del danneggiato non necessariamente costituisce lo stesso fatto accertato dal giudice penale per gli effetti di cui all'art. 651 cod. proc. civ. e può essere dunque invocato a proprio favore dal danneggiante convenuto in giudizio per il risarcimento.

La ricostruzione storico-dinamica dell'accaduto effettuata in sede penale è preclusiva di un nuovo accertamento da parte del giudice civile, che non può procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell'episodio; il giudice civile può invece indagare su altre modalità del fatto non considerate dal giudice penale ai fini del giudizio a lui demandato, come il comportamento della parte lesa, negli aspetti in nessun modo esaminati dal giudice penale ed incidenti sull'apporto causale nella produzione dell'evento.

Per "fatto" accertato dal giudice penale deve intendersi il nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica costituita dall'accadimento oggettivo, accertato dal giudice penale, configurato dalla condotta, evento e nesso di causalità materiale tra l'una e l'altro (fatto principale) e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso. Ne consegue che, mentre nessuna efficacia vincolante esplica nel giudizio civile il giudizio penale - e cioè l'apprezzamento e la valutazione di tali elementi - la ricostruzione storico-dinamica di essi è invece preclusiva di un nuovo accertamento da parte del giudice civile, che non può procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell'episodio. Altresì rimesso all'accertamento ed alla valutazione del giudice civile è l'elemento soggettivo del fatto, escluso dalla nozione obbiettiva di esso, e non comprensibile nella nozione di "illiceità penale" di cui all'art. 651 cod. proc. pen..

il codice di procedura penale del 1988 ha fatto venir meno il principio dell'unitarietà della funzione giurisdizionale, introducendo il diverso principio della autonomia, parità ed originarietà degli ordini giurisdizionali, salvo Questa scelta di fondo è attenuata dal riconoscimento al giudicato penale di valore preclusivo sugli altri giudizi in specifiche limitate ipotesi, disciplinate dall'art. 651 con riferimento al giudicato di condanna e dall'art. 652 con riferimento al giudicato di assoluzione nei giudizi civile ed amministrativo di danno, dall'art. 653 con riferimento al giudizio disciplinare, dall'art. 654 con riferimento al giudicato assolutorio o di condanna negli "altri" (diversi da quelli precedenti) giudizi civili ed amministrativi.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

sentenza 13 marzo - 13 giugno 2018, n. 15392


Dott. OLIVIERI Stefano - Presidente -

Dott. IANNELLO Emilio - rel. Consigliere -

Dott. D’ARRIGO Cosimo - Consigliere -

Dott. PELLECCHIA Antonella - Consigliere -

Dott. SAIJA Salvatore - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA


sul ricorso iscritto al n. 27827/2015 R.G. proposto da:

R.R.L., R.G. e R.R., rappresentati e difesi dall'Avv. PR, con domicilio eletto in Roma, Piazza della Libertà, n. 20, presso lo studio del Prof. Avv. SS;

- ricorrenti -

contro

UnipolSai Assicurazioni S.p.A., rappresentata e difesa dall'Avv. LF, con domicilio eletto in Roma, via di Monte Verde, n. 163, presso lo studio dell'Avv. GM;

- controricorrente -

e nei confronti di:

T.M.;

- intimato -

avverso la sentenza della Corte d'appello di Napoli, n. 4242/2014, depositata il 24 ottobre 2014;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 marzo 2018 dal Consigliere Emilio Iannello;

udito l'Avvocato PR;

udito l'Avvocato GM;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Cardino Alberto, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso in subordine il rigetto.

Svolgimento del processo


1. In relazione a sinistro stradale avvenuto il 19 luglio 2000 nel quale aveva perso la vita R.M. (investito mentre, in bici lungo strada statale, era in procinto di svoltare a sinistra, dall'autovettura condotta da T.M. sopraggiungente da tergo), il Tribunale di Benevento, riconosciuto il concorso di colpa del R. nella misura del 33%, condannava T. e la Fondiaria Sai S.p.A. al risarcimento dei danni patiti dai figli della vittima ( R.R.L., R. e G.) quantificati - in proporzione alla percentuale di responsabilità ascritta al T., pari al residuo 67% - nell'importo di Euro 84.910,17 per ciascuno di essi.

Con la sentenza in epigrafe la Corte d'appello di Napoli ha rigettato il gravame interposto dagli attori, ritenendo in particolare insussistente - per quel che ancora in questa sede rileva - la dedotta efficacia vincolante del giudicato formatosi sulla sentenza penale di condanna del danneggiante per omicidio colposo in relazione al medesimo fatto.

2. Avverso tale decisione R.R.L., R. e G. propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui resiste UnipolSai Assicurazioni S.p.A., depositando controricorso.

T.M. non svolge difese nella presente sede. 

Motivi della decisione


1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione dell'art. 651 cod. proc. pen., ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè "nullità e/o vizio della sentenza per carenza e contraddittorietà di motivazione in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, in relazione ad un punto decisivo della controversia".

Rilevano che la sentenza resa in sede penale, passata in giudicato, aveva già inequivocabilmente escluso qualsiasi concorso della vittima nella causazione del sinistro, avendo esaminato in maniera compiuta ed esaustiva - proprio in ragione della strategia processuale adottata dalla difesa dell'imputato e delle difese svolte in punto di ricostruzione del fatto - la condotta tenuta dal danneggiato al momento del sinistro, escludendo espressamente alcun concorso di colpa dello stesso (come espressamente riconosciuto anche in separato giudizio civile, reso in relazione al medesimo sinistro, sulla domanda di risarcimento proposta dalla vedova, nel quale l'adito giudice ha affermato l'esclusiva responsabilità del T., richiamando sul punto la "inequivocabili affermazioni contenute" nella sentenza penale di condanna).

Sostengono quindi che in presenza di un giudicato penale maturato anche su tale profilo, era precluso al giudice civile procedere ad un nuovo accertamento con una diversa ricostruzione dell'episodio, essendo questo in linea teorica consentito solo ove le modalità del fatto storico non siano prese in considerazione dal giudice penale ai fini del giudizio allo stesso demandato.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1227, 2043 e 2056 cod. civ. e art. 651 cod. proc. pen.; nonchè, ancora, "nullità e/o vizio della sentenza per carenza e contraddittorietà di motivazione in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, in relazione ad un punto decisivo della controversia" per avere la Corte d'appello affermato un concorso di responsabilità del danneggiato nella causazione del sinistro, nella misura del 33%, omettendo qualsiasi motivazione sul punto e mancando in particolare, nonostante specifica contestazione degli appellanti, di indicare in base a quali parametri tale concorso è stato stimato nella percentuale predetta.

3. Con il terzo motivo essi denunciano infine - con riferimento alla medesima doglianza relativa alla commisurazione del concorso di colpa nella percentuale del 33% - nullità della sentenza per assoluta mancanza di motivazione, in relazione all'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4); omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile laddove denuncia vizio di motivazione apparente e di omesso esame di un fatto decisivo, mancando la censura di alcuna illustrazione al riguardo: quelle svolte sono infatti univocamente ed esclusivamente rivolte a sostanziare la censura contestualmente proposta di error in iudicando ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inosservanza dell'effetto vincolante del giudicato penale di condanna nel giudizio civile di danno.

Anche tale censura è peraltro inammissibile, per le ragioni qui di seguito spiegate.

4.1. Giova in premessa rammentare che - come ormai da tempo evidenziato nella giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. Sez. U. 26/01/2011, n. 1768, e, prima ancora, Cass. 02/08/2004, n. 14770) - il codice di procedura penale del 1988 ha fatto venir meno il principio dell'unitarietà della funzione giurisdizionale, introducendo il diverso principio della autonomia, parità ed originarietà degli ordini giurisdizionali; ciò in conformità ai criteri in tale direzione dettati dalla Legge Delega 16 febbraio 1987, n. 81 (art. 2, nn. 22-25 e art. 53) ed anche in conseguenza dei reiterati interventi della Corte Costituzionale sugli artt. 25, 27 e 28 cod. proc. pen. 1930.

Questa scelta di fondo è attenuata dal riconoscimento al giudicato penale di valore preclusivo sugli altri giudizi in specifiche limitate ipotesi, disciplinate dall'art. 651 con riferimento al giudicato di condanna e dall'art. 652 con riferimento al giudicato di assoluzione nei giudizi civile ed amministrativo di danno, dall'art. 653 con riferimento al giudizio disciplinare, dall'art. 654 con riferimento al giudicato assolutorio o di condanna negli "altri" (diversi da quelli precedenti) giudizi civili ed amministrativi.

Queste disposizioni sottostanno al limite costituzionale, ripetutamente affermato dalla Corte Costituzionale e fatto proprio dalla legge delega, del rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio e, costituendo un'eccezione al principio dell'autonomia e della separazione dei giudizi, ad una interpretazione restrittiva (Cass. n. 14770 del 2004).

4.2. Con riferimento alla prima ipotesi, che qui viene in rilievo, dell'efficacia del giudicato penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno, l'art. 651 c.p.c., comma 1, dispone testualmente: "la sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale".

Secondo costante insegnamento, per "fatto" accertato dal giudice penale deve intendersi il nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica costituita dall'accadimento oggettivo, accertato dal giudice penale, configurato dalla condotta, evento e nesso di causalità materiale tra l'una e l'altro (fatto principale) e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso. Ne consegue che, mentre nessuna efficacia vincolante esplica nel giudizio civile il giudizio penale - e cioè l'apprezzamento e la valutazione di tali elementi - la ricostruzione storico-dinamica di essi è invece preclusiva di un nuovo accertamento da parte del giudice civile, che non può procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell'episodio. Altresì rimesso all'accertamento ed alla valutazione del giudice civile è l'elemento soggettivo del fatto, escluso dalla nozione obbiettiva di esso, e non comprensibile nella nozione di "illiceità penale" di cui all'art. 651 cod. proc. pen..

Questa Corte ha in particolare precisato, con riguardo alla questione qui in esame relativa alla possibilità di desumere dal giudicato penale effetti preclusivi dell'accertamento in sede civile di un concorso di colpa del danneggiato, che - poichè una concausa può bensì ridurre la responsabilità civile del danneggiante ai sensi dell'art. 1227 c.c., comma 1, ma non esclude di regola la responsabilità penale, per il principio di equivalenza causale ex art. 41 cod. pen. - l'eventuale apporto causale colposo del danneggiato non necessariamente costituisce lo stesso fatto accertato dal giudice penale per gli effetti di cui all'art. 651 cod. proc. civ. e può essere dunque invocato a proprio favore dal danneggiante convenuto in giudizio per il risarcimento.

Se, infatti, come detto, la ricostruzione storico-dinamica dell'accaduto è preclusiva di un nuovo accertamento da parte del giudice civile, che non può procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell'episodio, quest'ultimo può invece indagare su altre modalità del fatto non considerate dal giudice penale ai fini del giudizio a lui demandato, come nella specie il comportamento della parte lesa, negli aspetti in nessun modo esaminati dal giudice penale ed incidenti sull'apporto causale nella produzione dell'evento (v. Cass. 28/03/2001, n. 4504, che ha cassato la sentenza d'appello nella parte in cui aveva ritenuto che la richiesta in sede civile di verifica del concorso di colpa del danneggiato fosse preclusa dall'intervenuto accertamento della sua responsabilità in sede penale in ordine all'omicidio colposo; v. anche Cass. 28/05/2015, n. 11117, che, in base a tale principio, ha ritenuto corretta la decisione di merito che aveva escluso che al giudice civile fosse preclusa l'affermazione della concorrente responsabilità del danneggiato da sinistro stradale dal giudicato penale di condanna della controparte, anche in considerazione del fatto che il giudizio penale si era svolto "sulla base di imputazioni che rendevano del tutto compatibile l'accertamento della responsabilità colposa (dell'imputato, n.d.r.) con l'accertamento, in sede civile, della eventuale corresponsabilità di altri soggetti, compreso il danneggiato"; Cass. 01/03/2004, n. 4118, che, in base al richiamato principio, ha ritenuto corretta la decisione di merito che aveva affermato la responsabilità concorrente del danneggiato da sinistro stradale, per il mancato uso del casco protettivo, escludendo la dedotta efficacia preclusiva del giudicato penale sulla responsabilità dell'altro conducente; non difformemente Cass. 28/09/2004, n. 19387, proprio sulla base dell'esposto principio, ha accolto l'appello della danneggiata, cui il giudice di merito aveva attribuito un concorso di colpa nella causazione del danno, per violazione del giudicato penale di condanna del danneggiante, ravvisato in ragione del contrasto tra gli obiettivi elementi di fatto accertati dal giudice penale e quelli, incompatibili con taluni di essi, posti a base della sentenza civile).

4.3. Nel caso di specie la Corte d'appello si è pienamente conformata a tale principio, espressamente richiamato.

Gli stessi ricorrenti, del resto, muovono da esso per sostenerne la non corretta applicazione nel caso di specie, ma in virtù di argomenti che mostrano di non coglierne l'esatta portata.

Alla stregua infatti del richiamato principio (e in coerenza con una doverosa lettura restrittiva dell'art. 651 cod. proc. pen.) solo gli elementi di fatto, nella loro oggettività, se e in quanto accertati nella sentenza penale passata in giudicato in funzione dell'accertamento demandato in quella sede, non possono essere stravolti o diversamente ricostruiti dal giudice civile adito con l'azione risarcitoria, il cui accertamento invece non è precluso rispetto ad altre modalità o aspetti del fatto non specificamente presi in considerazione in sede penale, nè tanto meno lo è da mere valutazioni dei fatti accertati, per le quali rimane integra la piena autonomia e separatezza dei due ambiti di giurisdizione.

Nel caso di specie, i ricorrenti non allegano l'esistenza di specifici accertamenti fattuali, posti a fondamento della decisione impugnata, che si pongano in insanabile contrasto con quelli posti a fondamento della sentenza penale.

Essi infatti si limitano a trascrivere per esteso:

a) da un lato (pagg. 6 - 11 del ricorso) un ampio stralcio di quest'ultima (nel quale, in sintesi, si esclude che vi sia evidenza di un improvviso scarto del ciclista e si afferma che questo "si era portato verso il centro della strada per poter svoltare a sinistra", mentre "il T. uscendo da una curva a visuale parzialmente ostruita dalla vegetazione sul lato destro ha tentato comunque il sorpasso del velocipede ma, anzichè eseguirlo sulla destra come prescrive il codice avendo il ciclista già segnalato l'intenzione di svoltare a sinistra, lo ha eseguito a sinistra seguendo la stessa traiettoria di marcia della bici, ha urtato la bici nella parte posteriore provocando la caduta del R.");

b) dall'altro (pagg. 18-19), la parte della sentenza impugnata nella quale si dà conto delle ragioni del ravvisato concorso di colpa della vittima (tentativo di svolta a sinistra effettuato imprudentemente in un tratto di strada curvilineo, all'uscita di una curva a visuale libera, attraversando obliquamente la strada medesima; azione condotta senza prima assicurarsi di poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada, tenendo conto della posizione, distanza e direzione di essi; non aver continuato a segnalare la manovra posta in essere, per tutta la sua durata).

Manca però, in ricorso, una specifica illustrazione delle ragioni per cui i due accertamenti abbiano a considerarsi in contrasto, la cui affermazione è posta in tesi come autoevidente, laddove invece tale non è apparendo al contrario evidente che quelle considerate dal giudice civile sono modalità del fatto (e segnatamente della condotta della vittima) ulteriori e diverse rispetto a quelle espressamente accertate nella sentenza penale ma non con esse incompatibili.

Nessuna delle circostanze valorizzate dal giudice civile può infatti considerarsi esclusa nel giudizio penale, neppure la mancata continua segnalazione della svolta, non negandosi nella sentenza impugnata che una iniziale segnalazione vi sia stata (circostanza accertata in sede penale), ma solo ascrivendosi a imprudenza del ciclista il fatto che tale segnalazione non sia continuata durante l'esecuzione della manovra.

Anche le dichiarazioni testimoniali reputate dal giudice penale inidonee, per intrinseca inattendibilità, a suffragare la tesi dell'improvvisa manovra del ciclista, sono bensì positivamente richiamate invece nella sentenza qui impugnata, ma solo alla stregua di argomento ulteriore che non toglie legittimità, sotto il profilo considerato, alle altre circostanze fattuali, di per sè in grado comunque di sorreggere il convincimento espresso.

Tanto meno in tale contesto può considerarsi sufficiente a corroborare la censura di violazione del giudicato penale il richiamo alla valutazione in conclusione espressa nella sentenza penale secondo cui "da tale ricostruzione emerge... che alcun concorso di colpa del ciclista sia ravvisabile", trattandosi non di accertamento fattuale ma di mera valutazione dei fatti in quella sede accertati, in sè e per sè, come detto, estranea al limitato oggetto degli effetti preclusivi dettati dall'art. 651 cod. proc. pen. e inidonea pertanto a precludere la diversa valutazione pur sempre consentita al giudice civile dei medesimi fatti, ai diversi fini della propria giurisdizione.

4.4. E' poi appena il caso di rilevare che la diversa valutazione dei medesimi fatti espressa nel richiamato separato giudizio civile promosso dalla vedova della vittima (con la esclusione di alcun concorso di colpa di quest'ultima, affermata anche in relazione al menzionato contenuto della sentenza penale) - a tacere della inammissibilità del rilievo per inosservanza del requisito di cui all'art. 366 c.p.c., n. 6 (non essendo specificato se e quando il documento sia stato prodotto in giudizio) - certamente non vale a dimostrare la sussistenza del vizio dedotto, nè può determinare alcuna pratica interferenza nel giudizio in esame.

La difformità di giudicati che può eventualmente insorgere (ma in realtà i ricorrenti nemmeno deducono, nè tanto meno dimostrano, che tale separata pronuncia sia passata in giudicato) resta infatti sul piano della mera contraddittorietà logica fra decisioni in ordine ad una parte della causa petendi, e cioè il fatto storico che ha cagionato il danno (mentre quanto al danno la causa petendi è diversa, stante la diversità sul piano soggettivo del giudicato quanto alla persona del danneggiato in comune dal punto di vista soggettivo vi è infatti solo la persona del danneggiante).

Tale contrasto, puramente logico, non determina un conflitto pratico di giudicati. Trattandosi infatti di pronunce relative a diversi beni della vita (il danno risarcibile di cui è portatore ciascun danneggiato), i giudicati sono materialmente eseguibili in modo simultaneo. La divergenza di accertamento in ordine alla percentuale di responsabilità (esclusiva o concorrente) non determina l'impossibilità di dare esecuzione alle pronunce in quanto ciascuna riguarda un bene della vita diverso e la contraddittorietà resta così sul piano puramente teorico (v. Cass. 31/01/2018, n. 2348).

5. Venendo ai restanti motivi (secondo e terzo) va anzitutto anche per essi rimarcato che, come per il primo motivo, al di là del pletorico riferimento in rubrica a ben tre diverse tipologie di vizio (violazione di legge, error in procedendo, omesso esame di un fatto decisivo e controverso), la successiva illustrazione consente di comprendere che le censure dedotte con entrambi, pienamente sovrapponibili, prospettano un vizio di carenza assoluta di motivazione in punto di determinazione della percentuale di colpa concorrente.

Tale (unica) doglianza è però inammissibile.

Va infatti rammentato che, secondo principio incontrastato nella giurisprudenza di questa Corte, cui si intende dare continuità, in tema di sinistri stradali, l'accertamento in termini percentuali del concorso di colpa della vittima nella causazione del danno costituisce il frutto di un procedimento logico e non matematico e, come tale, insuscettibile di giustificazione analitica. Ne consegue che colui il quale si dolga del relativo accertamento compiuto dal giudice di merito non può limitarsi ad invocare che la corresponsabilità della vittima fosse in realtà maggiore o minore di quella accertata, ma ha l'onere di dedurre il vizio di motivazione, sotto forma di contraddittorietà tra l'espressione percentuale del concorso di colpa e le osservazioni logiche che la sorreggono (Cass. 24/03/2011, n. 6752).

Nel caso di specie la censura di carenza motivazionale evidentemente non si muove su tale piano, ma piuttosto sulla giustificazione meramente matematica di tale espressione, in sè per le ragioni dette non suscettibile di sindacato in questa sede.

6. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra di essi, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l'applicazione del raddoppio del contributo unificato. 

P.Q.M.


dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.


Così deciso in Roma, il 13 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2018.