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Modello Riace, quale gravità indiziaria? (Cass. 14418/19)

26 febbraio 2019, Cassazione penale

Il delitto di cui all'articolo 12 d.lgs. n. 286 del 1998, consistente nel compiere atti diretti a procurare l'ingresso illegale di una persona nello Stato, ha natura di reato di pericolo o a consumazione anticipata, risultando del tutto irrilevante il conseguimento dello scopo che l'agente abbia inteso perseguire.

Il delitto di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, previsto dall'art. 353-bis cod. pen., è un reato di pericolo, posto a tutela dell'interesse della pubblica amministrazione di poter contrarre con il miglior offerente, per il cui perfezionamento è necessario che sia posta concretamente in pericolo la correttezza della procedura di predisposizione del bando di gara, ma non anche che il contenuto di detto provvedimento venga effettivamente modificato in modo tale da condizionare la scelta del contraente.

In tema di misure cautelari personali, secondo cui il pericolo di reiterazione del reato ex art. 274, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. deve essere non solo concreto - fondato cioè su elementi reali e non ipotetici - ma anche attuale, nel senso che possa formularsi una prognosi in ordine alla continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, fondata sia sulla personalità dell'accusato, desumibile anche dalle modalità del fatto per cui si procede, sia sull'esame delle sue concrete condizioni di vita.

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE PENALE

Sent. n. 14418/19

sez. 405/2019 CC - 26/02/2019

R.G.N. 1150/2019

Presidente GIACOMO PAOLONI relatore GAETANO DE AMICIS

ha pronunciato la seguente

sul ricorso proposto da:

SENTENZA

LUCANO DOMENICO nato a ***

avverso l'ordinanza del 16/10/2018 del TRIB. LIBERTA di REGGIO CALABRIA

Udita la relazione svolta dal Consigliere GAETANO DE AMICIS;

sentite le conclusioni del PG CIRO ANGELILLIS che chiede il rigetto del ricorso.

Uditi i difensori, avvocato MA e avvocato DAG  in difesa di LUCANO DOMENICO, che si riportano ai motivi di ricorso e ne chiedono l'accoglimento. 

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 16 ottobre 2018 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria ha riformato l'impugnata ordinanza del 26 settembre 2018, con la quale il G.i.p. presso il Tribunale di Locri aveva applicato la misura degli arresti domiciliari a Domenico Lucano per i reati di cui agli artt. 353-bis cod. pen. (capo sub T) e 110 cod. pen., 12, comma 1, d.lgs. n. 286/1998 (capo sub Y), sostituendola con la misura cautelare del divieto di dimora nel Comune di Riace, unitamente alla prescrizione di non accedervi senza autorizzazione del Giudice procedente, ed altresì disponendo l'immediata rimessione in libertà del predetto indagato, se non detenuto per altra causa.

1.1. Si contesta all'indagato - sulla base dell'imputazione provvisoriamente formulata in sede cautelare nel capo T) - il reato di cui all'art. 353-bis cod. pen. (così riqualificato dal G.i.p. nella relativa ordinanza) per avere, nella sua qualità di Sindaco e di responsabile dell'area amministrativa del Comune di Riace, impedito l'effettuazione delle necessarie procedure di gara per l'assegnazione del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani, mediante il fraudolento affidamento diretto a due cooperative sociali ("Ecoriace" e "L'Aquilone") prive del requisito dell'iscrizione presso l'albo regionale delle cooperative sociali, in quanto necessario per procedere, in deroga alla disciplina dell'evidenza pubblica, alla stipula di convenzioni per la fornitura di beni e servizi.

1.2. Gli si contesta, altresì, con l'imputazione provvisoriamente enucleata nel caposub Y), di aver commesso il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 12, comma 1, d.lgs. n. 286/1998, per avere, in concorso con L. T., compiuto atti idonei a procurare l'illegale ingresso nel territorio italiano del cittadino etiope W. G. B., segnatamente attraverso:

a) il rilascio, nella sua qualità di responsabile dell'anagrafe e dell'ufficio dello stato civile del Comune di Riace, di un certificato ove falsamente si attestava lo stato civile di nubile, anziché di coniugata, della L. T.;

b) viaggi effettuati in Etiopia, unitamente alla predetta coindagata, ove si sarebbe recato al fine di aiutarla per ottenere la documentazione necessaria a farla apparire quale promessa sposa nell'organizzazione del falso matrimonio con colui che (il W. G. B.) ne era in realtà il fratello, senza tuttavia riuscirvi per cause indipendenti dalla loro volontà, ed in particolare per il successivo arresto in Etiopia del W., trovato in possesso di falsa documentazione ottenuta anche mediante l'aiuto offertogli dai predetti coindagati.

Avverso la su indicata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del Lucano, che ha dedotto tre motivi il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato.

2.1. Con il primo motivo si censurano violazioni di legge e vizi della motivazione in punto di accertamento della gravità indiziaria con riferimento al reato di cui al capo T) dell'imputazione provvisoria, avendo l'ordinanza impugnata omesso di esaminare gli argomenti al riguardo sviluppati dalla difesa in una memoria corredata da consulenze tecniche di parte e presentata, con la relativa documentazione, in sede di udienza di riesame, ove si era prospettata, in particolare, la convenienza economica, per il Comune di Riace, delle scelte effettuate con le varie determinazioni assunte in tema di espletamento del servizio di gestione e trasporto dei rifiuti, anche sotto il profilo dell'efficienza e dell'ottimale livello dei suoi risultati.

Si deduceva, altresì, con tale memoria, il fatto che il ricorrente non aveva mai agito quale organo monocratico, ma come semplice componente di organi collegiali (Consiglio comunale e Giunta municipale) e che le relative delibere avevano ricevuto sempre pareri favorevoli per la regolarità tecnica e contabile, mentre costituiva un dato notorio il fatto che, quanto meno sino al 7 marzo 2016 e comunque all'epoca dei fatti contestati, l'albo regionale delle cooperative sociali (cui fa riferimento il capo d'imputazione sub T) non era ancora operativo, sicchè con delibere del febbraio e del giugno 2012 si era prevista l'istituzione di un albo comunale delle cooperative sociali (di tipo "B") cui era possibile affidare la fornitura di beni e servizi o l'esecuzione di lavori, ed al quale risultavano iscritte le due cooperative "Ecoriace" e "l'Aquilone".

Non risultano chiaramente spiegate dal Tribunale le ragioni che giustificherebbero la ipotizzata legittimità dell'attività amministrativa posta in essere da tutti coloro che hanno preso parte all'adozione delle richiamate delibere, a fronte della ritenuta illegittimità della condotta di uno solo dei partecipanti, ossia del ricorrente, al quale, peraltro, neanche risulta riferibile l'adozione della delibera di Giunta che ha provveduto alla istituzione dell'albo comunale delle su citate cooperative sociali. Il possesso dei requisiti necessari da parte di tali cooperative, del resto, era attestato dalla loro iscrizione alla Camera di commercio nella su indicata categoria di tipo "B".

Si contesta, inoltre, la ritenuta violazione della normativa in materia, e in particolare dell'art. 5 della legge n. 381/1991, anche alla luce delle peculiari modalità di svolgimento del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti e dei segnalati profili di infungibilità del servizio - che, già di per sé, ne giustificavano l'affidamento diretto - oltre che della diffusa prassi amministrativa concernente la istituzione e l'utilizzazione di albi comunali in tutta Italia: prassi cui anche il Comune di Riace aveva inteso adeguarsi.

2.2. Con il secondo motivo di doglianza si deduce la presenza di violazioni di legge e vizi della motivazione in punto di accertamento della gravità indiziaria con riferimento al reato di cui al capo Y), per non avere l'ordinanza impugnata valutato gli argomenti sviluppati nella memoria difensiva depositata, con allegata documentazione, all'udienza di riesame, ove era stata devoluta all'attenzione del Tribunale la circostanza, risultante da un apposito certificato del Ministero dell'Interno, che L. T. non era coniugata alla data dell'Il luglio 2017, prospettandosi, al riguardo, l'ulteriore dato relativo all'assenza di alcun atto dimostrativo del fatto che il W. G. B. fosse suo fratello.

Non emerge alcun accertamento dagli atti, né risulta alcun atto originale, da cui possa evincersi che L. T. fosse coniugata con altri alla data sopra indicata ovvero che il ricorrente ne fosse a conoscenza nella sua qualità di Sindaco. L'ordinanza impugnata, inoltre, non spiega il collegamento fra le risultanze degli atti investigativi e l'imputazione provvisoria del concorso nel reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina sotto il profilo del contributo causalmente rilevante che l'indagato avrebbe offerto alla sua realizzazione, né trova alcun riscontro la circostanza che il Lucano abbia fatto da testimone al matrimonio fra L. ed il B., ovvero che altro matrimonio (quello fra NB e SA) sia stato simulato e non effettivo.

2.3. Con il terzo motivo, infine, si censurano violazioni di legge e vizi della motivazione in ordine alla configurabilità delle esigenze cautelari, la cui sussistenza è stata ricavata non da elementi relativi ai fatti contestati sub T) ed Y), ma da altri capi d'imputazione provvisoria in ordine ai quali il G.i.p. aveva ritenuto l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, e per i quali, dunque, non era possibile instaurare il contraddittorio in sede di riesame. Gli elementi al riguardo richiamati, peraltro, non trovano alcuna conferma agli atti, sia sotto il profilo fattuale, che propriamente normativo, facendosi menzione, all'interno dell'ordinanza impugnata, di conversazioni oggetto di intercettazioni attinenti a profili gestionali del tutto diversi rispetto ai temi affrontati in sede di riesame. Del tutto mancante di motivazione si ritiene, infine, il profilo della concretezza ed attualità del pericolo di recidiva.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è parzialmente fondato e deve pertanto accogliersi entro i limiti e per gli effetti qui di seguito esposti e precisati.

Deve in limine rilevarsi come il perimetro del giudizio in sede cautelare sia oggettivamente delimitato, come dagli stessi Giudici di merito riconosciuto nell'impugnata ordinanza, alla disamina dei presupposti e degli elementi giustificativi delle due sole imputazioni provvisorie rispettivamente enucleate nei capi T) ed Y), poiché per le altre ipotesi di reato individuate nella relativa richiesta il G.i.p. presso il Tribunale di Locri aveva già escluso la presenza del requisito della gravità indiziaria con l'ordinanza emessa in data 26 settembre 2018.

Infondate devono ritenersi le questioni oggetto del secondo motivo di doglianza, avendo i Giudici di merito congruamente vagliato e disatteso le correlate obiezioni difensive nei passaggi argomentativi ove hanno posto in rilievo, con argomentazioni immuni da vizi logico-giuridici in questa Sede rilevabili, la gravità del panorama indiziarlo evocato a sostegno della su indicata misura coercitiva con riferimento all'ipotesi di reato contestata sub Y).

Sotto tale profilo, in particolare, deve rilevarsi come la base motivazionale su cui poggia l'impugnato provvedimento abbia correttamente proceduto ad una valutazione analitica e globale degli elementi indiziari emersi a carico del ricorrente, dando conto, in maniera logica e adeguata, delle ragioni che giustificano le sequenze argomentative attraverso le quali si è formato il relativo percorso decisorio.

Al riguardo, invero, l'elaborazione giurisprudenziale di questa Suprema Corte è orientata a ritenere che, in tema di disciplina dell'immigrazione, il delitto di cui all'articolo 12 d.lgs. n. 286 del 1998, consistente nel compiere atti diretti a procurare l'ingresso illegale di una persona nello Stato, ha natura di reato di pericolo o a consumazione anticipata, risultando del tutto irrilevante il conseguimento dello scopo che l'agente abbia inteso perseguire (ex multis v. Sez. 1, n. 40624 del 25/03/2014, Scarano, Rv. 259922; Sez. 1, n. 27106 del 16/06/2011, Giurato, Rv. 250803; Sez. 1, n. 16120 del 29/03/2012, Cosenza, Rv. 253209; Sez. 1, n. 1082 del 04/12/2008, dep. 2009, Malik, Rv. 242487; Sez. 1, n. 38159 del 23/09/2008, P.G. in proc. Dimcea, Rv. 241130).

Tale natura di reato di pericolo, pertanto, comporta, quale logico corollario, che ai fini del perfezionamento del delitto de quo non è necessario che l'agente realizzi la condizione sufficiente a procurare l'ingresso illegale nel territorio dello Stato di uno straniero, dovendosi ritenere sufficiente, di contro, che il soggetto attivo ponga in essere, con la propria condotta, una condizione (necessaria o no) teleologicamente connessa al potenziale ingresso illegale dello straniero, perché sia integrata la situazione di pericolo che rappresenta l'oggetto giuridico della norma incriminatrice.

Entro tale prospettiva deve rilevarsi come l'impugnata ordinanza abbia fatto buon governo del quadro dei principii che regolano la materia in esame, replicando con puntuali argomentazioni alle obiezioni difensive in questa Sede reiterate e ponendo linearmente in evidenza - sulla base delle numerose emergenze investigative ivi compiutamente rappresentate, e in particolare degli esiti delle attività di intercettazione e dei relativi elementi di riscontro, sia di fonte orale che documentale - le note modali del rilevante contributo concorsuale dall'indagato offerto ai fini della realizzazione della condotta delittuosa provvisoriamente ipotizzata a suo carico nel capo Y), attraverso:

a) l'intervento da lui direttamente effettuato sulla funzionaria addetta all'ufficio dell'anagrafe e dello stato civile del Comune di Riace, Carmelina Carlina, che ha dichiarato di aver avuto dal Sindaco disposizioni volte a modificare gli atti amministrativi interni dai quali risultava che la L. T. era in realtà coniugata (per essersi sposata in Libia il 13 settembre 2000 con tale T.A. secondo quanto emergeva dai dati estratti dalle schede individuali relative ai documenti di identità rilasciati nel 2007 e nel 2011), in modo da confezionare un certificato dal quale risultasse falsamente attestato il suo stato civile di nubile;

b) l'organizzazione di viaggi in Etiopia e l'aiuto - anche economico - prestato per farle ottenere (figurando proprio il ricorrente quale testimone di nozze) la predisposizione della falsa documentazione amministrativa necessaria per attestare la celebrazione di un matrimonio con il W. e consentire a questi, fratello di L. T., cittadina italiana, di sposarsi con lei nel loro Paese d'origine, per poi sfruttare lo status di coniugio ed ottenere l'ingresso in Italia ai sensi della normativa sul ricongiungimento familiare.

Nell'ordinanza impugnata si dà altresì conto, al riguardo:

1) del successivo arresto del W. in Etiopia, ove era stato sorpreso in possesso di falsi documenti relativi al matrimonio fittiziamente celebrato con la sorella;

2) delle condotte corruttive da quest'ultima poste in essere per agevolarne la liberazione in Etiopia;

3) dell'interessamento, da parte del ricorrente, per risolvere il problema dell'arresto del fratello della L., coinvolgendo nella vicenda funzionari dell'Ambasciata italiana in Argentina;

4) della successiva liberazione del fratello;

5) del sequestro e dell'acquisizione agli atti di un certificato di matrimonio fra quest'ultimo e la L. T. (munito di firme, timbri, testimoni ecc.), che sarebbe stato celebrato in Sudan, in una chiesa della città di Khartoum, ubicata però ad una distanza di oltre settecento chilometri dalla località ove il Lucano e la L. si trovavano, in Etiopia, il 23 agosto del 2017; 6) dell'utilizzo di tale documento per il conseguente avvio, da parte della L., delle procedure amministrative necessarie al fine di consentire l'ingresso in Italia del fratello;

7) della ritenuta ininfluenza sul piano indiziario - in quanto motivatamente considerate in contrasto con la totalità delle emergenze investigative e fondate sulle sole, inattendibili, dichiarazioni rese dalla predetta coindagata - delle risultanze offerte dagli elementi documentali dalla difesa allegati a discarico del ricorrente (in particolare, di una certificazione della Commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato e di un'istanza presentata al Giudice tutelare del Tribunale di Locri per ottenere l'autorizzazione al rilascio di un documento valido per l'espatrio della figlia di L. T.).

In definitiva, a fronte di un congruo ed esaustivo apprezzamento delle emergenze procedimentali, esposto attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e prive di vizi logici, il ricorrente non ha individuato passaggi o punti della decisione tali da inficiare la complessiva tenuta del discorso argomentativo delineato dal Tribunale, ma vi ha sostanzialmente contrapposto una lettura alternativa delle risultanze investigative, facendo leva sul diverso apprezzamento di profili di merito già puntualmente vagliati in sede di riesame cautelare, e la cui rivisitazione, evidentemente, non è sottoponibile al giudizio di questa Suprema Corte.

Il controllo di legittimità, invero, non può involgere la ricostruzione dei fatti né l'apprezzamento dal giudice di merito espresso circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati indiziari, non essendo in questa Sede consentite le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già adeguatamente esaminate dal giudice di merito; ne consegue che, ove sia denunciato il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, è demandata al giudice di merito la valutazione del peso indiziario degli stessi, laddove alla Corte di legittimità spetta solo il compito di verificare se in sede di riesame cautelare si sia data, come avvenuto nel caso in esame, coerente giustificazione delle ragioni che, in parte de qua, hanno indotto il giudice di merito ad affermare, allo stato, la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione sulla valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica ed ai principii di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie (cfr. Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 02/03/2017, Di Iasi, Rv. 269884; Sez. 3, n. 20575 del 08/03/2016, Berlingeri, Rv. 266939; Sez. F, n. 47748 dell11/08/2014, Rv. Contarini, Rv. 261400; Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178).

In relazione al su esposto profilo di doglianza, dunque, il ricorso deve essere rigettato.

A diverse conclusioni deve giungersi, di contro, per quel che attiene alla disamina della giustificazione della base indiziaria dai Giudici di merito delineata con riferimento al reato di cui all'art. 353-bis cod. pen. (capo sub T), dove il requisito del mezzo fraudolento e lo stesso fine di condizionamento del procedimento amministrativo finalizzato alla scelta del soggetto affidatario del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti urbani non emergono con la necessaria chiarezza e coerenza argomentativa, sia in ragione del carattere collegiale delle delibere e di tutti gli atti amministrativi al riguardo preventivamente adottati (dalla Giunta o dal Consiglio comunale di Riace) sulla stregua di pareri di regolarità tecnica e contabile sempre sottoscritti anche dal segretario comunale e dagli altri funzionari tecnici coinvolti nelle relative sequenze procedimentali (che non hanno mancato, poi, di firmare anche le convenzioni con le predette cooperative sociali), sia in ragione della evidente notorietà dell'iniziativa (pubblicizzata anche attraverso l'istituzione di un albo comunale) e della oggettiva connotazione di peculiarità - espressamente riconosciuta anche nei provvedimenti amministrativi via via susseguitisi nel tempo - del servizio pubblico loro affidato, e a suo tempo fatto oggetto di una specifica valutazione di fattibilità espressa con la delibera comunale che stabiliva il ricorso alla modalità "dell'asinello porta a porta" per la raccolta dei rifiuti urbani.

Non si sofferma, l'ordinanza impugnata, sulla valutazione di un profilo rilevante ai fini dell'apprezzamento del requisito della gravità indiziarla, esaminando quali altre imprese in quel territorio - oltre le cooperative sociali affidatarie per anni del servizio - avrebbero potuto in quel momento svolgerlo, tenuto conto della conformazione del centro storico del Comune interessato e delle specifiche caratteristiche dell'attività che di quel servizio costituiva l'oggetto, secondo criteri di economicità nella gestione e produttività ed efficacia dei relativi risultati, sì come evidenziato nella memoria difensiva presentata in sede di gravame cautelare.  

 Nella memoria difensiva presentata in sede di gravame cautelare si poneva altresì in evidenza, con il supporto delle correlative allegazioni documentali, l'ulteriore, parimenti rilevante, profilo, anch'esso non vagliato dall'impugnata ordinanza, che investiva le implicazioni logicamente sottese all'accertamento della prospettata non operatività dell'albo regionale delle cooperative sociali, quanto meno sino alla data del 7 marzo 2016.

L'art. 5 della legge 8 novembre 1991, n. 381, stabilisce, infatti, al primo comma, che "Gli enti pubblici possono, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, stipulare convenzioni con le cooperative che svolgono le attività di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, purchè finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate di cui all'articolo 4, comma 1", precisando, nel secondo comma, che per la stipula di tale convenzioni le cooperative debbono risultare iscritte all'albo regionale di cui all'articolo 9, comma 1.
In tal senso, un aspetto non adeguatamente affrontato della memoria difensiva al riguardo presentata in sede di riesame investiva proprio la dedotta circostanza inerente alla non effettiva operatività dell'albo regionale in Calabria quale precisa condizione per l'affidamento diretto in deroga alle regole sulle pubbliche gare, atteso che i fatti in contestazione sono temporalmente collocabili nel periodo ricompreso fra il 2011 ed il 2015, mentre l'albo regionale, pur formalmente introdottovi con la legge n. 28/2009, sembra essere divenuto effettivamente operativo in quella Regione, secondo quanto sostenuto dal ricorrente, solo nel corso dell'anno 2016.

4.1. Al riguardo, invero, questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 1 del 02/12/2014, dep. 2015, Pedrotti, Rv. 262917; Sez. 6, n. 29267 del 05/04/2018, Baccari, Rv. 273449) ha stabilito il principio secondo cui il delitto di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, previsto dall'art. 353-bis cod. pen., è un reato di pericolo, posto a tutela dell'interesse della pubblica amministrazione di poter contrarre con il miglior offerente, per il cui perfezionamento è necessario che sia posta concretamente in pericolo la correttezza della procedura di predisposizione del bando di gara, ma non anche che il contenuto di detto provvedimento venga effettivamente modificato in modo tale da condizionare la scelta del contraente.

Con l'obiettivo di estendere la tutela penale alla fase dei pubblici incanti anteriore alla pubblicazione del bando, la norma penale punisce chiunque, con atti tassativamente specificati (violenza, minaccia, doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti), "turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione".

L'azione delittuosa, pertanto, consiste nel turbare mediante atti tipicamente predeterminati il procedimento amministrativo di formazione del bando, allo scopo di condizionare la scelta del contraente. Poiché il condizionamento del contenuto del bando è il fine dell'azione, è evidente che il reato si consuma indipendentemente dalla realizzazione del fine medesimo.

È sufficiente, dunque, che si verifichi un turbamento del processo amministrativo, ossia che la correttezza della procedura di predisposizione del bando sia messa concretamente in pericolo (Sez. 6, n. 44896 del 22/10/2013, Franceschi, Rv. 257270), attraverso l'alterazione o lo sviamento del suo regolare svolgimento, e con la presenza di un dolo specifico qualificato dal fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della P.A.

Entro tale prospettiva giova richiamare l'insegnamento di questa Suprema Corte, secondo cui nel delitto di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente la condotta di collusione consiste nell'accordo clandestino diretto ad influire sul normale svolgimento delle offerte, concretamente idoneo a conseguire l'evento del reato, che si configura non soltanto in un danno immediato ed effettivo, ma anche in un danno mediato e potenziale, attesa la natura di reato di pericolo della fattispecie (Sez. 6, n. 24477 del 04/05/2016, Sanzogni, Rv. 267092).

Il "mezzo fraudolento", a sua volta, consiste in qualsiasi artificio, inganno o menzogna concretamente idoneo a conseguire l'evento del reato, ossia a manomettere il genuino andamento della gara, rimanendo pertanto escluse dal perimetro della fattispecie incriminatrice tutte quelle situazioni in cui possa riscontrarsi, nei confronti degli interessati, un'adeguata informazione e pubblicità del contenuto degli atti e comportamenti posti in essere dall'organo amministrativo che procede (in motivazione v. Sez. 6, n. 32237 del 13/03/2014, Novi, Rv. 260426).

4.2. Ciò posto, deve rilevarsi come dall'impugnata ordinanza non emerga una base argomentativa congruamente volta a delineare, sia pure a fronte dei limiti inevitabilmente riconnessi alla fluidità valutativa propria della semiplena cognitio richiesta nel giudizio cautelare, il quadro degli elementi di gravità indiziaria sottesi alla necessaria individuazione della presenza di uno degli atti tassativamente delineati nello schema descrittivo della tipicità rilevante ai fini della configurabilità dell'ipotizzata fattispecie incriminatrice.

Nel caso di specie, anzi, come si è già avuto modo di osservare sulla base della stessa ricostruzione dei fatti operata dai Giudici di merito, emergeva con evidenza, già dalla iniziale pubblicizzazione delle iniziative assunte dagli organi municipali, il dato della pubblica notorietà dell'intento negoziale al riguardo adottato.

Né il generico riferimento alla presenza di interferenze od opacità nel rapporto intercorrente fra l'indagato e il legale rappresentante di una delle cooperative sociali affidatarie del servizio può ritenersi, in assenza di concreti e specifici elementi sintomatici di un oggettivo collegamento all'iter del procedimento amministrativo di scelta del contraente, assimilabile ai tratti caratteristici di una condotta collusiva penalmente rilevante nel quadro della fattispecie oggetto del tema d'accusa cautelare.

Come dianzi osservato, si assume, nell'imputazione provvisoriamente formulata, che l'indagato avrebbe "impedito" l'effettuazione delle necessarie procedure di gara per l'assegnazione del servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti, soggiungendo, in altri passaggi della motivazione, che egli aveva deciso "a tutti i costi" di affidarlo alle due cooperative sociali su menzionate e, "piegando il volere di tutti", di aggirare l'ostacolo derivante dal divieto di affidamento diretto attraverso la istituzione dell'albo comunale delle cooperative.

Non emergono con la necessaria chiarezza di analisi, tuttavia, gli atti o i comportamenti che l'indagato avrebbe materialmente posto in essere per realizzare in concreto una serie di condotte che, allo stato, paiono solo assertivamente ipotizzate, e le cui note modali, peraltro, non vengono sotto alcun profilo tratteggiate, rimanendo addirittura contraddette dalla connotazione di collegialità propria di tutti gli atti di affidamento e dalla dedotta circostanza di fatto - non adeguatamente valorizzata dall'ordinanza impugnata nonostante la puntuale allegazione in tal senso offerta dalla difesa in sede di gravame cautelare - relativa alla pacifica presenza, in ciascuna delle pertinenti delibere amministrative adottate nel corso della procedura seguita dai competenti organi municipali, dei prescritti pareri di regolarità tecnica e contabile da parte dei rispettivi responsabili del servizio interessato.

Pareri, quelli or ora menzionati, la cui funzione ordinamentale (ex artt. 49 e 147-bis del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, come sostituiti dall'art. 3 della legge n. 213 del 2012) è proprio quella di assicurare, all'interno della sequenza procedimentale attivata su impulso dell'organo municipale, la effettività del controllo di regolarità amministrativa e contabile nella fase preventiva della formazione degli atti di Giunta e Consiglio: nell'un caso, per garantire la tutela degli equilibri di bilancio dell'ente, nell'altro, per attestare la regolarità e la correttezza dell'azione amministrativa, cioè sia la sua conformità alla normativa, che la correttezza sostanziale delle soluzioni adottate.

4.3. Grave profilo di contraddittorietà nel succedersi dei passaggi motivazionali dell'ordinanza impugnata emerge, altresì, là dove si assume la presenza, in capo al ricorrente, della consapevolezza di aver aggirato le procedure di gara previste dal d.lgs. n. 50 del 2016, affermando, al contempo, senza però illustrarne i correlati presupposti di giustificazione sul piano della coerenza logico-argomentativa, che la Giunta municipale di Riace, dunque un intero organo collegiale, avrebbe proceduto "fraudolentemente" all'artificioso riconoscimento in capo alle predette cooperative di uno dei presupposti necessari per la disapplicazione delle regole in materia di selezione dei soggetti aggiudicatari dei servizi, approntando, in maniera solo apparentemente conforme al dettato normativo, le condizioni per incaricarle della attività di raccolta e trasporto dei rifiuti lungo l'arco temporale ricompreso fra l'ottobre del 2012 e l'aprile del 2016.

Assunto, questo, illogicamente formulato anche a fronte della successiva considerazione secondo cui il ricorrente, pur avvisato dal responsabile dell'area tecnica (che, tuttavia, aveva sempre favorevolmente espresso i pareri di sua competenza in ordine all'adozione delle relative delibere) della irritualità della procedura, si sarebbe "fraudolentemente" determinato "ad ammantare di legalità l'assegnazione diretta dei servizi alle cooperative", prima "facendo approvare (sebbene in sua assenza)" alla Giunta da lui presieduta l'albo comunale, quindi "suggerendo con successo" al Consiglio comunale di procedere all'assegnazione diretta ed infine, proponendo più volte, ancora alla Giunta comunale, la proroga - effettivamente concessa - dell'affidamento.

Nell'ordinanza impugnata non si spiega, tuttavia, da quali atti sia stata desunta la presenza, solo apoditticamente evocata, del requisito normativo inerente all'asserita connotazione di fraudolenza dell'agire, la cui non dimostrata configurabilità, da un lato, è stata riferita al comportamento del solo ricorrente, dall'altro, e senza chiarirne le ragioni, a quello dell'intera Giunta, cui il ricorrente, peraltro, avrebbe fatto approvare, sia pure in sua assenza e a fronte di pareri tecnici e contabili sempre favorevoli, l'istituzione dell'albo comunale e l'assegnazione diretta del servizio, in tal guisa assertivamente ritenendo condizionate le modalità di scelta del contraente.

4.4. Non necessariamente, del resto, l'eventuale presenza di irregolarità o anomalie riscontrabili nel corso dell'iter procedimentale si traduce nella realizzazione della fattispecie incriminatrice oggetto del su indicato tema d'accusa cautelare: nell'ordinanza impugnata, che richiama in senso adesivo un analogo passaggio dell'ordinanza genetica, si fa riferimento ad una decisione del giudice amministrativo (T.A.R. Emilia Romagna, n. 637 del 6 luglio 2015) secondo cui la menzionata disposizione normativa dettata nell'art. 5, comma 1, della legge n. 381/1991 non può trovare applicazione per l'affidamento del servizio pubblico di raccolta dei rifiuti.

Affermazione, questa, che risulta sganciata dal necessario apprezzamento di merito involgente il quadro di tutte le possibili implicazioni logicamente sottese al vaglio delle contrastanti affermazioni contenute in altre pronunzie al riguardo emesse in sede amministrativa (T.A.R. Toscana, n. 1371 del 10 novembre 2017; T.A.R. Lazio, n. 8325 del 30 luglio 2014, ecc.) e dalla difesa del ricorrente allegate quale elemento sintomatico, quanto meno, di una non condivisa applicazione del quadro normativo in materia vigente, ove si consideri che, secondo tale diverso orientamento - basato, peraltro, su una esegesi maggiormente rispettosa dell'ampia formulazione letterale della su richiamata disposizione e delle sue tipiche finalità di garanzia delle opportunità di inserimento lavorativo di persone svantaggiate - i servizi di spazzamento e pulizia rientrerebbero fra quelli oggetto della possibilità di deroga prevista dal legislatore attraverso l'affidamento diretto in favore delle cooperative sociali di cui all'art. 1, comma 1, lett. b), legge cit., non strettamente circoscrivendo tali disposizioni la riserva di partecipazione ai soli servizi strumentali della pubblica amministrazione - dunque a quelli erogati a quest'ultima e riferibili ad esigenze interne, strumentali alla stessa amministrazione locale - ma consentendola anche in relazione ad attività di svolgimento dei servizi pubblici locali, destinati in quanto tali al diretto soddisfacimento di interessi propri di una determinata comunità territoriale, come può, giustappunto, verificarsi nell'ipotesi del servizio di spazzamento e pulizia delle strade pubbliche.

Secondo tale diverso indirizzo, infatti, non potrebbe in alcun modo ritenersi desumibile dalla formulazione letterale della richiamata previsione normativa una limitazione afferente alla strumentalità o meno dei beni e servizi rispetto alle esigenze dell'amministrazione.

Pur nel necessario rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione ed efficienza - sì come espressamente richiamati nel secondo inciso del primo comma dell'art. 5 legge cit., la cui prima parte, anche in deroga alla disciplina dettata per la scelta del contraente in materia di contratti della pubblica amministrazione di cui al d.lgs. 18 aprile 2016 n. 50 (c.d. codice dei contratti pubblici), predispone un "regime agevolato" per l'affidamento delle convenzioni riservate alle su indicate cooperative sociali di tipo "B" (ossia quelle che perseguono l'interesse generale della promozione umana e dell'integrazione sociale dei cittadini individuati dall'art. 4 comma 1, legge cit.) -  potrebbe ritenersi dunque consentito l'affidamento diretto di appalti per la fornitura di beni e servizi in favore delle cooperative sociali che svolgono attività - agricole, industriali, commerciali o di servizi - finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate, a condizione che l'oggetto dell'affidamento non riguardi servizi socio-sanitari ed educativi, che l'importo del servizio al netto dell'IVA sia inferiore alla soglia comunitaria e che la convenzione, attraverso cui sono concretamente regolati tali affidamenti, sia finalizzata a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate di cui all'art. 4, comma 1, della stessa legge n. 381/1991.

Ne discende che, nel rispetto delle indicate condizioni di legittimità delle procedure per l'affidamento di servizi attraverso le predette convenzioni e del, parimenti necessario, contemperamento derivante dall'esigenza di evitare affidamenti diretti eccessivamente discrezionali, la ratio sottesa al complesso di tali disposizioni normative deve propriamente individuarsi nella riconosciuta esigenza di tutelare ed agevolare l'inserimento nel mondo del lavoro di "persone svantaggiate" ex art. 4, comma 1, I. n. 381 cit. e perseguire dunque, anche in sede locale, la "promozione umana e l'integrazione sociale dei cittadini".

Con le precipue finalità, anche di ordine costituzionale, che devono connotare la messa in atto di ogni sforzo volto al perseguimento e alla realizzazione, sul piano amministrativo, delle possibilità offerte da tale quadro normativo, e, per altro verso, con le conseguenze inevitabilmente riconnesse alle divergenti interpretazioni che ne sono state offerte in giurisprudenza, avrebbe dovuto specificamente confrontarsi l'ordinanza impugnata, esplorandone le potenziali implicazioni anche sul piano della necessaria configurabilità dei presupposti giustificativi della ricorrenza dell'elemento soggettivo dell'ipotizzata condotta delittuosa.

Fondato, conclusivamente, deve ritenersi il primo motivo di ricorso.

Parimenti fondate, infine, devono ritenersi le doglianze dal ricorrente incentrate sull'erroneo apprezzamento delle esigenze cautelari di cui all'art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., ove si consideri:

a) che le stesse non sono state specificamente delineate nell'ordinanza, i cui scarni passaggi motivazionali non si dedicano ad illustrare, con puntuali argomentazioni, gli elementi ritenuti, oggettivamente e soggettivamente, sintomatici della concretezza e dell'attualità dell'enunciato pericolo di reiterazione di delitti "della stessa specie di quello per cui si procede", ma risultano basati, sotto tale profilo, su affermazioni del tutto apodittiche ed irrilevanti ai fini del richiesto vaglio delibativo, perché estranee ai contorni propri delle vicende storico- fattuali oggetto dei temi d'accusa [cristallizzati nei capi sub T) ed Y)] che, alla stregua della delimitazione già operata sul piano indiziario nella precedente ordinanza del G.i.p., avrebbero dovuto costituire oggetto del correlativo apprezzamento prognostico in sede cautelare;

b) che le considerazioni al riguardo espresse nell'ordinanza impugnata poggiano, allo stato, sul richiamo a circostanze di fatto asintomatiche, solo genericamente individuate ovvero irrilevanti ai fini di una valutazione prognostica saldamente ancorata al rispetto dei su indicati canoni normativi di concretezza ed attualità del periculum libertatis, poiché già ritenute, finanche nella prima ordinanza cautelare, prive del necessario fondamento giustificativo derivante da un positivo esito del preliminare vaglio di gravità indiziaria, o addirittura basate su non previste valutazioni di ordine morale;

c) che la effettiva consistenza ed intensità delle predette esigenze cautelari, pertanto, dovrà essere analiticamente e globalmente rivalutata, anche in relazione all'esito del giudizio di riesame la cui nuova celebrazione, sulla stregua di quanto dianzi osservato, s'impone in ordine alla effettività della base indiziaria dell'ipotesi di reato enucleata nel capo T);

d) che in ordine alla valutazione del quadro delle circostanze sintomatiche dell'eventuale ricorrenza del pericolo di recidiva nel reato di cui al capo Y) il Giudice di merito dovrà considerare anche il rilievo attribuibile alla condizione diincensuratezza dell'indagato ed il peso che, all'interno della vicenda ivi delineata, possa avere esercitato la circostanza di fatto, più volte evidenziata nella motivazione, inerente alla relazione affettiva intercorsa con la L. T., spiegando altresì quali siano i tratti di concretezza e specificità che dovrebbero, in tesi, connotare il nesso, allo stato solo vagamente prospettato, fra l'accenno alla "copiosa presenza, ancora per certi versi attuale, di stranieri sul territorio riacese" e la - solo assertivamente - evocata possibilità che siffatta circostanza, unitamente a quella attinente all'incarico istituzionale ricoperto dall'indagato, costituiscano "occasioni propizie per l'adozione di atti amministrativi volutamente viziati o per la proposizione a soggetti extracomunitari di facili ed illegali scappatoie per ottenere l'ingresso in Italia", tenuto conto del fatto che il richiamo, in più occasioni operato dall'ordinanza, a presunti matrimoni di comodo favoriti dall'indagato poggia sulle incerte basi di un quadro di riferimento fattuale non solo sfornito di significativi e precisi elementi di riscontro ma, addirittura, escluso da qualsiasi contestazione formalmente elevata in sede cautelare.

Giova richiamare, sotto tali profili, l'insegnamento dettato da questa Suprema Corte in tema di misure cautelari personali, secondo cui il pericolo di reiterazione del reato ex art. 274, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. deve essere non solo concreto - fondato cioè su elementi reali e non ipotetici - ma anche attuale, nel senso che possa formularsi una prognosi in ordine alla continuità del periculum libertatis nella sua dimensione temporale, fondata sia sulla personalità dell'accusato, desumibile anche dalle modalità del fatto per cui si procede, sia sull'esame delle sue concrete condizioni di vita (da ultimo v. Sez. 5, n. 33004 del 03/05/2017, Cimieri, Rv. 271216).

Tale valutazione prognostica, da un lato, poggia su dati oggettivi e non meramente congetturali, dall'altro non richiede la previsione di una "specifica occasione" per delinquere, che in quanto tale esula dalle facoltà del giudice, nè va equiparata all'imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma deve essere apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell'indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a neutralizzare (ex multis cfr., in motivazione, Sez. 6, n. 3043 del 27/11/2015, dep. 2016, Esposito, Rv. 265618).

S'impone, conseguentemente, l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata, per un nuovo esame dei punti critici sopra indicati (v. i parr. 4 e 5 del Considerato in diritto), che nella piena libertà del relativo apprezzamento di merito dovrà eliminare i su rilevati vizi e colmare le lacune della motivazione, uniformandosi al quadro dei principii in questa Sede stabiliti.

P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente al reato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente di cui al capo T) della rubrica e alle esigenze cautelari e rinvia per nuova deliberazione su tali punti al Tribunale di Reggio Calabria, Sezione del riesame. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso il 26 febbraio 2019

Il Consigliere estensore Gaetano De Amicis

Il Presidente Giacomo Paoloni