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Etilometro, spetta all'imputato provare mancanza di taratura e revisione (Cass. 3201/20)

27 gennaio 2020, Cassazione penale

Anche nel caso del giudizio penale per guida in stato di ebbrezza ex art. 186, comma 2, c.d.s. nell’ambito del quale assuma rilievo la misurazione del livello di alcool nel sangue mediante etilometro, all’attribuzione dell’onere della prova in capo all’accusa circa l’omologazione e l’esecuzione delle verifiche periodiche sull’apparecchio utilizzato per l’alcoltest, debba fare riscontro un onere di allegazione da parte del soggetto accusato, avente ad oggetto la contestazione del buon funzionamento dell’apparecchio.

 

Corte di Cassazione

sez. IV Penale, sentenza 12 dicembre 2019 – 27 gennaio 2020, n. 3201
Presidente Fumu – Relatore Pavich

Ritenuto in fatto

1. La Corte d’appello di Firenze ha confermato, in data 8 febbraio 2019, la sentenza con la quale il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Livorno, il 22 giugno 2016, aveva condannato S.A. alla pena ritenuta di giustizia in relazione al reato di guida in stato d’ebbrezza ex art. 186 C.d.S., comma 2, lett. B, aggravato dall’orario notturno (comma 2-sexies), contestato come commesso in (omissis) .
2. Avverso la prefata sentenza ricorre il S. , con atto articolato in tre motivi di doglianza.
2.1. Con il primo motivo si denuncia violazione di legge in riferimento alla prova dell’elemento oggettivo del reato: richiamando recente giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di legittimità, il deducente aderisce all’indirizzo - disatteso nella sentenza impugnata - secondo il quale, poiché per avere certezza del corretto funzionamento dell’etilometro occorre che esso venga omologato e tarato secondo la normativa vigente (art. 379 Reg. C.d.S.), l’onere della prova in ordine all’osservanza di tali adempimenti non può essere fatto gravare sulla difesa, ma spetta alla pubblica accusa: la quale però, osserva l’esponente, non ha messo disposizione nè il libretto metrologico di accompagnamento dell’etilometro, nè i certificati di omologazione e taratura dell’apparecchio.
2.2. Con il secondo motivo il deducente lamenta violazione di legge in relazione all’applicazione della diminuente per il rito abbreviato nella misura di un terzo, anziché della metà, pur essendo contestato un reato contravvenzionale per il quale la diminuente è prevista in ragione della metà, ai sensi dell’art. 442 c.p.p. come modificato dalla L. n. 103 del 2017.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla durata della sospensione della patente di guida, quantificata nella misura massima sebbene la pena sia stata determinata in misura prossima al minimo edittale, sulla base di un percorso argomentativo del tutto carente.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
1.1. È noto che, in base all’orientamento a lungo consolidato di questa Corte, in tema di contestazioni sulla regolarità dell’etilometro in riferimento a reati di guida in stato di ebbrezza, allorquando l’alcoltest risulti positivo costituisce onere della difesa dell’imputato fornire una prova contraria a detto accertamento quale, ad esempio, la sussistenza di vizi dello strumento utilizzato, oppure l’utilizzo di una errata metodologia nell’esecuzione dell’aspirazione, non potendosi essa limitare a richiedere il deposito della documentazione attestante la regolarità dell’etilometro e non essendo sufficiente la mera allegazione di difettosità o assenza di omologazione dell’apparecchio (Sez. 4, n. 12265 del 09/01/2015, Travagli, non massimata; Sez. 4, n. 42084 del 04/10/2011, Salamone, Rv. 251117; Sez. 4, n. 17463 del 24/03/2011, Neri, Rv.250324; Sez. 4, n. 8591 del 16/01/2008, Letteriello, non massimata; Sez. 4, n. 45070 del 30/03/2004, Gervasoni, Rv. 230489).
Coerentemente con detto orientamento, si è affermato che il D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 379, commi 6, 7 e 8 (reg. esec. e att. C.d.S.) si limita ad indicare le verifiche alle quali gli etilometri devono essere sottoposti per poter essere omologati ed adoperati, ma non prevede nessun divieto la cui violazione determini espressamente l’inutilizzabilità delle prove acquisite (Sez. 4, n. 12403 del 28/02/2019, Ben Hassen Adel, non massimata; Sez. 4, n. 17463 del 24/03/2011, Rv. 250324; Sez. 4, n. 44833 del 21/09/2010, Di Mauro, non massimata; Sez. 4, n. 23526 del 14/05/2008, Bennardo, Rv. 240846).
1.2. Recentemente, tuttavia, alcune decisioni della Corte si sono discostate da tale orientamento.
Ciò a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 113 del 29 aprile 2015, che ha dichiarato la parziale illegittimità del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 45, comma 6, nella parte in cui non prevedeva che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità (c.d. autovelox) fossero sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura, così esonerando, secondo l’interpretazione datane dal diritto vivente, gli utilizzatori dall’obbligo di verifica periodica di funzionamento e taratura delle apparecchiature; e della ordinanza della Sez. 6 civile, n. 1921 del 24/01/2019, Rv. 652384, che ha applicato il medesimo principio al caso dell’etilometro.
La Corte di legittimità, con le sentenze n. 25132 del 21/02/2019, Picardi, n. 17494 del 29/03/2019, Scalera, e n. 38618 del 06/06/2019, Bertossi, tutte n. m., ha ritenuto di disattendere il tradizionale indirizzo fin qui seguito e di aderire a quello opposto, in base al quale spetta all’accusa l’onus probandi in ordine al buon funzionamento dell’apparecchio e ai controlli su di esso eseguiti.
Tale più recente orientamento è fondato, sotto il profilo processuale, sul principio di carattere generale secondo cui l’accusa deve provare i fatti costitutivi del fatto reato, mentre spetta all’imputato dimostrare quelli estintivi o modificativi di una determinata situazione, rilevanti per il diritto. La parte che allega un fatto (nella specie: superamento del tasso alcolemico), affermandolo come storicamente avvenuto, deve introdurre nel processo elementi di prova idonei a dimostrarne la veridicità. L’onere della prova dell’imputato di dimostrare il contrario può sorgere solo in conseguenza del reale ed effettivo accertamento da parte del pubblico ministero del regolare funzionamento e dell’espletamento delle dovute verifiche dell’etilometro. In conclusione, secondo quest’ultimo indirizzo, allorquando l’alcoltest risulti positivo, costituisce onere della pubblica accusa fornire la prova del regolare funzionamento dell’etilometro, della sua omologazione e della sua sottoposizione a revisione.
1.4. Così riassunti gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, è opportuno chiarire alcuni passaggi argomentativi, sia sotto il profilo generale, sia in relazione alle specificità del caso di specie.
Sul piano generale, si è visto che la Corte Costituzionale, con la già richiamata sentenza n. 113 del 29 aprile 2015, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 45, comma 6, (Nuovo C.d.S.), "nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura".
Nella stessa pronunzia, che perviene alla cennata declaratoria di incostituzionalità dell’art. 45, comma 6 C.d.S. per lesione del principio di ragionevolezza, si afferma fra l’altro (§ 6.2.): "È vero infatti che la tutela di questi ultimi viene in qualche modo compressa per effetto della parziale inversione dell’onere della prova, dal momento che è il ricorrente contro l’applicazione della sanzione a dover eventualmente dimostrare - onere di difficile assolvimento a causa della irripetibilità dell’accertamento - il cattivo funzionamento dell’apparecchiatura. Tuttavia, detta limitazione trova una ragionevole spiegazione nel carattere di affidabilità che l’omologazione e la taratura dell’autovelox conferiscono alle prestazioni di quest’ultimo".
Nel prosieguo, la sentenza della Consulta precisa che "il bilanciamento realizzato dall’art. 142 C.d.S. ha per oggetto, da un lato, interessi pubblici e privati estremamente rilevanti quali la sicurezza della circolazione, la garanzia dell’ordine pubblico, la preservazione dell’integrità fisica degli individui, la conservazione dei beni e, dall’altro, valori altrettanto importanti quali la certezza dei rapporti giuridici ed il diritto di difesa del sanzionato. Detto bilanciamento si concreta attraverso una sorta di presunzione, fondata sull’affidabilità dell’omologazione e della taratura dell’autovelox, che consente di non ritenere pregiudicata oltre un limite ragionevole la certezza della rilevazione e dei sottesi rapporti giuridici. Proprio la custodia e la conservazione di tale affidabilità costituisce il punto di estrema tensione entro il quale la certezza dei rapporti giuridici e il diritto di difesa del sanzionato non perdono la loro ineliminabile ragion d’essere".
"Il ragionevole affidamento che deriva dalla custodia e dalla permanenza della funzionalità delle apparecchiature, garantita quest’ultima da verifiche periodiche conformi alle relative specifiche tecniche, degrada tuttavia in assoluta incertezza quando queste ultime non vengono effettuate".
A ben vedere, dunque, ad essere considerato distonico rispetto al principio di ragionevolezza non è il criterio dell’inversione dell’onus probandi, ma il principio dell’affidamento del cittadino nel regolare funzionamento degli strumenti di controllo e nelle operazioni di manutenzione che ne assicurano il funzionamento: ciò che giustifica, secondo il Giudice delle leggi, la ridetta inversione dell’onere della prova.
Quanto invece all’ordinanza di questa Corte in sede civile (Sez. 6 civ., n. 1921 del 24/01/2019), essa ha invero affermato il principio in base al quale il verbale dell’accertamento effettuato mediante etilometro deve contenere, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata, l’attestazione della verifica che l’apparecchio da adoperare per l’esecuzione del cd. "alcooltest" è stato preventivamente sottoposto alla prescritta ed aggiornata omologazione ed alla indispensabile corretta calibratura; l’onere della prova del completo espletamento di tali attività strumentali grava, nel giudizio di opposizione, sulla P.A. poiché concerne il fatto costitutivo della pretesa sanzionatoria (Rv. 652384).
Nondimeno, l’affermazione di tale principio va, da un lato, calata nella specificità del giudizio di opposizione a sanzione amministrativa; e, dall’altro, verificata alla stregua dei relativi corollari.
Ed invero, il richiamato provvedimento afferma nella parte motiva che "il giudizio di opposizione a sanzione amministrativa si configura come un giudizio rivolto all’accertamento del fondamento della pretesa sanzionatoria ed il suo oggetto è delimitato, quanto alla posizione dell’opponente, dalla causa petendi fatta valere con l’opposizione e, quanto alla posizione della P.A., dal divieto di dedurre, a sostegno della propria pretesa, motivi diversi da quelli enunciati nell’ordinanza-ingiunzione"; di tal che, sulla scorta di questa impostazione, "si rileva che all’Amministrazione, che viene a rivestire - dal punto di vista sostanziale la posizione di attrice (ricoprendo, invece, sotto quello formale, il ruolo di convenuta-opposta), incombe l’obbligo di fornire la prova adeguata della fondatezza della sua pretesa. All’opponente, al contrario, qualora abbia dedotto fatti specifici incidenti o sulla legittimità formale del procedimento amministrativo sanzionatorio espletato o sull’esclusione della sua responsabilità relativamente alla commissione dell’illecito, spetta provare le circostanze negative contrapposte a quelle allegate dall’Amministrazione (v., ad es., Cass. n. 3837/2001, n. 3837; Cass. n. 2363/2005; Cass. n. 5277/2007; Cass. n. 12231/2007; Cass. n. 27596/3008; Cass. S.U. n. 20930/2009; Cass. n. 5122/2011 e, da ultimo, Cass. n. 4898/2015)".
Se ne ricava che, "mentre l’onere dell’allegazione è a carico dell’opponente (il quale deve indicare quali sono gli elementi della fattispecie carenti in fatto e/o in diritto), per quanto concerne l’onere della prova si applica la regola ordinaria sancita dall’art. 2697 c.c.. Tuttavia, a questo riguardo, assume rilevanza la riferita precisazione in base alla quale di fronte al giudice, una volta formulata l’opposizione, non si discute propriamente dell’atto ma della fattispecie produttiva dell’effetto, perché - nei limiti in cui la parte opponente abbia sollevato le relative contestazioni - spetta alla P.A. dimostrare i fatti costitutivi ed all’opponente comprovare i fatti impeditivi, modificativi e/o estintivi dell’effetto giuridico del provvedimento sanzionatorio oggetto del giudizio. Perciò alla modificazione delle regole normali dell’allegazione non corrisponde una modificazione delle regole ordinarie in tema di onere probatorio: se l’opponente ha sollevato contestazioni sull’esistenza dei fatti costitutivi del suo obbligo, tali contestazioni non onerano l’opponente anche alla prova dell’inesistenza dei fatti costitutivi del suo obbligo; al contrario, la prova dell’esistenza dei fatti costitutivi dell’obbligo si pone a carico della P.A.".
Ora, pur nella specificità del rito, è evidente che secondo l’ordinanza richiamata, sebbene sia posto a carico dell’amministrazione l’onere di provare i fatti costitutivi dell’effetto giuridico del provvedimento sanzionatorio, nondimeno sull’opponente grava necessariamente un (prioritario) onere di allegazione volto a contestare la sussistenza di tali fatti costitutivi.
Sulla scorta delle precisazioni che precedono, e tornando all’oggetto del motivo di ricorso in esame, deve innanzitutto chiarirsi che, per quanto riguarda l‘etilometro, l’omologazione e le verifiche periodiche dello stesso sono espressamente previste dall’art. 379 reg. esec C.d.S., commi 6, 7 e 8, approvato con D.P.R. 16 novembre 1992, n. 495: ciò che differenzia in partenza la disciplina in tema di etilometro rispetto a quella avente ad oggetto l’autovelox colpita dalla declaratoria di incostituzionalità.
Tanto precisato, deve ritenersi che, anche nel caso del giudizio penale per guida in stato d’ebbrezza ex art. 186 C.d.S., comma 2, nell’ambito del quale assuma rilievo la misurazione del livello di alcool nel sangue mediante etilometro, all’attribuzione dell’onere della prova in capo all’accusa circa l’omologazione e l’esecuzione delle verifiche periodiche sull’apparecchio utilizzato per (‘alcoltest, debba fare riscontro un onere di allegazione da parte del soggetto accusato, avente ad oggetto la contestazione del buon funzionamento dell’apparecchio. Il fatto che siano prescritte, dall’art. 379 Reg. esec. C.d.S., l’omologazione e la periodica verifica dell’etilometro non significa che, a sostegno dell’imputazione, l’accusa debba immediatamente corredare i risultati della rilevazione etilometrica con i dati relativi all’esecuzione di tali operazioni: tali dati (in quanto riferiti ad attività necessariamente prodromiche al momento della misurazione del tasso alcolemico sull’imputato) non hanno di per sé rilievo probatorio ai fini dell’accertamento dello stato di ebbrezza dell’imputato.
Perciò è del tutto fisiologico che la verifica processuale del rispetto delle prescrizioni dell’art. 379 Reg.Esec. C.d.S. sia sollecitata dall’imputato, che ha all’uopo un onere di allegazione volto a contestare la validità dell’accertamento eseguito nei suoi confronti.
Venendo al caso di specie, tale onere di allegazione non può dirsi validamente assolto dall’odierno ricorrente.
Deve infatti considerarsi, in primo luogo, che il S. ha chiesto e ottenuto che si procedesse nelle forme del giudizio abbreviato non condizionato; e che, come risulta da verbale, a seguito dell’ammissione al rito speciale richiesto, alcuna eccezione è stata sul punto proposta dalla difesa. Ne deriva che, con la predetta richiesta, la parte ha acconsentito all’acquisizione e all’utilizzabilità (fra l’altro) degli scontrini dell’alcoltest in base ai quali è stato misurato il tasso alcolemico dell’odierno ricorrente, senza eccepire nulla in proposito e senza sollecitare (ad esempio quale condizione probatoria ex art. 438 c.p.p., comma 5) l’assunzione di alcuna prova contraria. Di tal che, non essendosi fatta questione nel caso di specie - di nullità assolute o di inutilizzabilità patologiche, la richiesta di giudizio abbreviato "secco" (cui ha fatto seguito l’ammissione dell’imputato al rito richiesto) ha comportato la formazione e il consolidarsi della res iudicanda sulla base del quadro probatorio già esistente.
Solo nel giudizio d’appello l’odierno ricorrente ha eccepito che gli scontrini dell’alcoltest contengono unicamente l’indicazione del numero di matricola, ma non riportano alcuna indicazione circa l’omologazione e la taratura dei medesimi. In risposta, la Corte di merito, nel respingere la lagnanza difensiva sul punto richiamando l’indirizzo giurisprudenziale precedentemente prevalente, ha precisato comunque che gli scontrini ritualmente acquisiti sono pienamente utilizzabili.
È di tutta evidenza che l’eccezione difensiva sviluppata nei termini dianzi riportati non può valere come assolvimento dell’onere di allegazione da parte dell’imputato: ciò in quanto lo stesso, nel chiedere il giudizio abbreviato, ha implicitamente accettato che il quadro probatorio fosse formato (anche) sulla base dei predetti scontrini, senza alcuna contraria allegazione da parte sua. Deve infatti ritenersi tuttora valido il principio in base al quale, poiché, nel giudizio abbreviato, la specialità del rito comporta la necessaria utilizzazione di tutte le prove in relazione alla consistenza e completezza delle quali il giudice abbia ritenuto di poter decidere allo stato degli atti, è onere dell’interessato eccepire preliminarmente - e cioè prima dell’introduzione del procedimento - l’eventuale loro illegittima acquisizione, onde impedirne la presa in considerazione da parte del giudice ai fini della valutazione sulla definibilità anticipata, così accettando il rischio che, per la rilevata invalidità o inutilizzabilità di alcune di esse, il processo non possa più essere considerato definibile allo stato degli atti e la richiesta di accesso al rito speciale venga di conseguenza rigettata; ma nel caso in cui nessuna contestazione sia stata sollevata o che questa sia stata ritenuta infondata, ovvero che il giudice non abbia effettuato rilievi d’ufficio, una volta introdotto il rito e quindi delimitato con certezza e con il concorso della volontà delle parti il quadro probatorio per la decisione, non è più consentita la formulazione di eccezioni concernenti la validità degli atti e l’utilizzabilità degli elementi probatori contenuti nel fascicolo del pubblico ministero (Sez. 2, Sentenza n. 8803 del 27/05/1999, Albanese e altri, Rv. 214250).
2. È, invece, fondato il secondo motivo di lagnanza, stante la sopravvenuta illegalità della pena. Poiché infatti la stessa era stata determinata in primo grado applicando la diminuente di un terzo per il rito abbreviato in relazione a reato contravvenzionale, deve constatarsi che, in subiecta materia, l’art. 442 c.p.p., comma 2, come novellato dalla L. 23 giugno 2017, n. 103 - nella parte in cui prevede che, in caso di condanna per una contravvenzione, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà, anziché di un terzo come previsto dalla previgente disciplina - si applica anche alle fattispecie anteriori, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile, ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 4, in quanto, pur essendo norma di carattere processuale, ha effetti sostanziali, comportando un trattamento sanzionatorio più favorevole seppure collegato alla scelta del rito (cfr. Sez. 4, Sentenza n. 5034 del 15/01/2019, Lazzara, Rv. 275218; Sez. 4, Sentenza n. 832 del 15/12/2017, dep. 2018, Rv. 271752).
A poco rileva che ciò non abbia formato oggetto di lagnanza in appello (quando già vigeva la nuova previsione in ordine alla misura della diminuente per il rito in caso di condanna per reati contravvenzionali), atteso che la determinazione della pena in misura non conforme alla previsione di legge determina una condizione di illegalità della pena, rilevabile anche d’ufficio in base al combinato disposto dell’art. 606 c.p.p., comma 2 e art. 609 c.p.p., comma 2.
3. È appena il caso di rilevare che anche il terzo motivo è fondato, laddove, mentre la pena principale è stata determinata in misura ampiamente inferiore al valore medio edittale (specie per quanto riguarda la pena detentiva), la durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida è stata determinata in ragione del massimo previsto per l’ipotesi di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. B, (un anno); al riguardo la motivazione della pronunzia impugnata fa riferimento "all’entità del danno apportato, alla gravità della violazione commessa, nonché al pericolo che l’ulteriore circolazione potrebbe cagionare", riproducendo testualmente la previsione astratta dell’art. 218 C.d.S., comma 2, ai fini della determinazione della durata della sanzione amministrativa accessoria, ma senza che a tali criteri corrispondano, nel corpo motivazionale della sentenza impugnata, elementi tali da giustificare adeguatamente nel caso specifico la determinazione della durata della sospensione della patente di guida nella misura massima prevista.
4. La sentenza impugnata va pertanto annullata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto. Nel resto il ricorso va rigettato. Va dichiarata irrevocabile, ai sensi dell’art. 624 c.p.p., comma 2, l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto. Rigetta nel resto il ricorso.
Dichiara irrevocabile l’affermazione di responsabilità.