"Test non permesso”, “volume insufficiente”: dato che la legge prevede l’omologazione e le verifiche periodiche dell'etilometro, nel giudizio penale per guida in stato d’ebbrezza nell’ambito del quale assuma rilievo la misurazione del livello di alcool nel sangue mediante etilometro, all’attribuzione dell’onere della prova in capo all’accusa circa l’omologazione e l’esecuzione delle verifiche periodiche sull’apparecchio utilizzato per l‘alcoltest, deve fare riscontro un onere di allegazione da parte del soggetto accusato, avente ad oggetto la contestazione del buon funzionamento dell’apparecchio, essendo del tutto fisiologico che la verifica processuale del rispetto delle prescrizioni sia sollecitata dall’imputato, che ha all’uopo un onere di allegazione volto a contestare la validità dell’accertamento eseguito nei suoi confronti.
Verbale di accertamenti tecnici irripetibili non sottoscritto dall'indagato: nessuna nullità, né efficacia probatoria inficiata.
TRIBUNALE MONOCRATICO DI TRENTO
sent. 363/20 proc. pen. numero 573/20 RG Trib.
imputato CL
udienza del 23/10/2020 - dep. 9/12/2020
Il Tribunale, in composizione monocratica, presieduto dal Giudice dr.ssa Greta Mancini alla pubblica udienza del 23.10.20 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
Nel procedimento penale
CONTRO
C.L.
Imputato
contravvenzione p. e p. dall’art. 186 co 2 lett. C) comma 2 bis e comma 2 sexies D.L. vo 285/92, perché alla guida del veicolo ……. Di proprietà di terzi circolava in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche con tasse alcolemico riscontrato pari a 1,77 e 1,77 g./l. Provocando un incidente stradale. In Mezzolombardo, il 23/06/2019 ore 5,00.
Conclusioni: il PM dr. DO: chiede la condanna a mesi sei di arresto ed € 2.700,00 di multa con revoca della patente.
Il difensore dell’imputato Avv. Nicola Canestrini: chiede l’assoluzione perché il fatto non sussiste e per l’inutilizzabilità dei testi etilometri.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’imputato, difeso di fiducia, ha interposto rituale opposizione al decreto emesso dal GIP di Trento in data 13/01/2020, con il quale è stato condannato al pagamento di euro 8.100,00 a titolo di ammenda in relazione al reato a lui contestato.
È seguito il decreto di giudizio immediato, ritualmente notificato.
Alla fissata udienza del 23/10/20, aperto il dibattimento in assenza di questioni preliminari, si è proceduto, sull’accordo delle parti, all’acquisizione e alla dichiarazione di utilizzabilità di tutti gli atti contenuti nel fascicolo del P.M., che lo ha depositato, avendo comunque insistito il difensore nelle eccezioni di nullità già proposte con l’atto di opposizione. Il Giudice ha quindi invitato le parti a discutere; esse hanno concluso come in epigrafe ed il Giudice ha emesso il dispositivo, letto in pubblica udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il presente procedimento trae origine dalla c.n.r. di data 24/06/19, con allegata documentazione, con la quale è stata segnalata la violazione dell’art. 186, co. 2 lett. c), co. 2 bis e co. 2 sexies del Codice della Strada ad opera dell’odierno imputato.
Risulta dagli atti che in data 23/06/19 alle ore 05.23 i militari della sezione Radiomobile della Compagnia di Trento venivano inviati sulla SS 43 per un sinistro stradale senza feriti avvenuto nei pressi del campo sportivo di Mezzolombardo.
Essi giungevano sul posto pochi minuti dopo, a circa trenta minuti dall’incidente, avvenuto intorno alle ore 5.00 (cfr. relazione di incidente stradale). Sulla base dei rilievi effettuati si perveniva alla conclusione che l’odierno imputato, alla guida dell’autovettura Volkswagen Golf tg. **, percorrendo la SS 43 della Val di Non con direzione di marcia dalla località Rocchetta verso Mezzolombardo, perdeva il controllo del suddetto veicolo andando a collidere contro il guardrail posto sul lato destro della carreggiata (cfr. relazione di incidente citata).
Condotto il C presso la Stazione dei Carabinieri di Trento per i conseguenti accertamenti, gli agenti invitavano l’imputato a sottoporsi ad accertamento tecnico volto a determinare il valore del tasso alcolemico mediante etilometro e il prevenuto, ritualmente avvisato della facoltà di farsi assistere da un legale, si sottoponeva all’accertamento in questione, accertamento che forniva gli esiti descritti in imputazione (evidenziando alla prima prova eseguita alle ore 06.22 un tasso alcolemico di 1.77 g/l ed alla seconda prova eseguita alle ore 06.33 sempre un tasso alcolemico di 1.77 g/l). Seguiva la contestazione del reato di cui all’art. 186 comma 2 lett. c), comma 2 bis, atteso l’incidente, e comma 2 sexies del C.d.S., considerata l’ora notturna.
La difesa ha chiesto l’assoluzione dell’imputato, deducendo – come da atto di opposizione a decreto penale - anzitutto la nullità dell’esame etilometrico per mancato avviso del diritto di farsi assistere da un difensore, e la conseguente sua non utilizzabilità, ed in secondo luogo l’inidoneità della prova etilometrica effettuata a dimostrare lo stato di ebbrezza dell’imputato.
Ritiene il Tribunale che la prima eccezione di nullità non sia fondata e che, per contro, debba trovare accoglimento il secondo profilo di censura evidenziato dal difensore.
Più specificamente, con l’atto di opposizione al decreto penale di condanna ex art. 461 c.p.p., il difensore del prevenuto ha eccepito (reiterando l’eccezione in udienza al momento della prestazione del consenso all’utilizzo degli atti di indagine e poi in sede di discussione) in primo luogo la nullità (correttamente qualificata come “a regime intermedio”, ovviamente laddove sussistente) dell’esame etilometrico, in quanto a suo dire compiuto in violazione degli obblighi previsti dagli artt. 114 disp. att., 354 e 356 c.p.p. e 178 c.p.p.
La difesa ha osservato che gli accertamenti concernenti la verifica delle condizioni psico-fisiche di conducenti di autoveicoli costituiscono sempre accertamento urgente sullo stato delle persone; pertanto, risulta ad essi applicabile l’art. 354 c.p.p., disposizione che attribuisce al difensore facoltà di assistervi in forza del richiamo ad essa operato dal successivo art. 356 c.p.p., con la conseguenza che - ha soggiunto la difesa -, trattandosi di accertamento invasivo, al C non solo avrebbe dovuto essere preventivamente dato l’avviso di cui all’art. 114 disp. att. ma avrebbe dovuto altresì emergere dagli atti una sua determinazione in ordine alla volontà di avvalersi o meno della facoltà in questione; un tanto non sarebbe avvenuto nel caso di specie e non potrebbe comunque trarsi dal verbale agli atti, il quale costituirebbe un modulo predisposto non compilato con le specifiche del caso concreto e non sottoscritto dall’indagato e dunque non sarebbe in grado di attestare alcunché; inoltre, poiché il legale d’ufficio risulta essere stato nominato dopo l’inizio degli accertamenti urgenti, questi ultimi dovrebbero ritenersi nulli anche per tale motivo.
Di qui la richiesta di assoluzione, non potendosi desumere aliunde uno stato di ebbrezza.
Occorre esaminare, dunque, tale eccezione nelle sue diverse articolazioni, la cui fondatezza porrebbe nel nulla l’unica essenziale prova del reato contestato.
Per quanto attiene alla dedotta nullità in relazione all’avviso ex art. 114 disp. att., si osserva in primo luogo che il verbale in oggetto, pur rappresentato da un modulo predisposto, diversamente da ciò che assume il difensore, risulta compilato con tutti i dati riferiti al caso concreto, sicché nessun profilo di invalidità può derivare sotto questo aspetto; si rileva in secondo luogo che tale verbale dà esplicitamente atto dell’adempimento dell’obbligo previsto dall’art. 114 disp. att., norma la quale impone unicamente di avvisare l’interessato della facoltà di farsi assistere da un legale di fiducia (e non anche d’ufficio) e che non pregiudica certo la possibilità di procedere comunque all’accertamento qualora l’indagato non si avvalga di tale facoltà o non vi sia una espressa manifestazione di volontà in proposito. La circostanza che il predetto verbale non sia sottoscritto dal C non ne comporta la nullità, né ne inficia l’efficacia probatoria.
A tal riguardo, in fattispecie come quella in esame, la Suprema Corte ritiene, infatti, sufficiente che l’avviso risulti dal verbale, senza che sia necessaria la sottoscrizione dello stesso da parte dell’interessato. Quest’ultima è dalla Suprema Corte reputata necessaria solo qualora l’indagato abbia reso dichiarazioni, quale quella di nomina del difensore di fiducia: cfr. Cass. 4/12/2018 n. 5011, secondo cui “in tema di guida in stato di ebbrezza, ai fini dell'adempimento dell'obbligo di previo avviso al conducente coinvolto in un incidente stradale di farsi assistere da un difensore di fiducia, è sufficiente che ciò risulti nel verbale, senza che sia necessaria la sottoscrizione dello stesso da parte dell'interessato, poiché l'avviso è atto degli operanti che redigono il verbale, mentre la sottoscrizione della parte è necessaria solo qualora essa abbia reso una dichiarazione, tra cui quella di nomina di difensore di fiducia”.
La menzionata sentenza, nello statuire che la sottoscrizione del verbale ad opera della parte è necessaria solo ove questa abbia reso una dichiarazione, lascia peraltro inequivocabilmente comprendere che, una volta che l’avviso sia stato somministrato, - diversamente da quanto assume il difensore-, non è neppure indispensabile per la validità dell’accertamento che il conducente esprima una sua determinazione al riguardo (né potrebbe essere diversamente, tenuto conto che il conducente potrebbe anche trovarsi in condizioni psico-fisiche incompatibili con la manifestazione di una determinazione e ciò non inficerebbe minimamente la prova, come si desume da Cass. 11/12/2019 n. 61 “in tema di guida in stato di ebbrezza alcolica, non è configurabile, a carico della polizia giudiziaria operante, l'obbligo di attendere che l'interessato sia in stato psicofisico tale da poter comprendere l'avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia nel compimento dell'alcoltest, trattandosi di atto di polizia giudiziaria urgente ed indifferibile, il cui esito, essendo legato al decorso del tempo, può essere compromesso definitivamente dall'attesa suddetta”); dunque ben può accadere che, a fronte dell’avviso, non vi sia dichiarazione alcuna da parte dell’interessato e che, per logica conseguenza, il verbale nulla attesti al riguardo, il che evidentemente è quanto avvenuto nel caso di specie, come si deduce dalla circostanza che, nella parte relativa all’eventuale determinazione circa l’assistenza del difensore di fiducia, il verbale, diversamente che nelle altre sue parti, non è compilato.
In altri termini, dal verbale emerge che, prima di procedere agli accertamenti, l’avviso è stato somministrato e, considerato che dal suddetto verbale non consta alcuna dichiarazione del C (e ciò giustifica il fatto che in parte qua non sia stato compilato), la mancata sottoscrizione dell’interessato non ne pregiudica la validità. Inoltre, la Suprema Corte specifica che le dichiarazioni dell’indagato costituiscono un contenuto solo eventuale del verbale; nel caso in esame, il fatto che nessuna dichiarazione sia riportata a verbale non può che ritenersi dipendere dalla circostanza che l’interessato non abbia manifestato la volontà di farsi assistere dal difensore (o altra volontà) e coerentemente a ciò gli agenti hanno ugualmente proceduto con l’accertamento, provvedendo solo in esito allo stesso – considerato il risultato ottenuto, già positivo alla prima prova - alla nomina del difensore d’ufficio.
Tale eccezione deve, dunque, essere rigettata.
Per converso, il Tribunale ritiene condivisibile l’ulteriore argomento difensivo con cui, sotto diversi concorrenti profili, si deduce l’inidoneità per inaffidabilità del risultato dell’accertamento mediante etilometro.
La difesa fonda tale eccezione sul decorso temporale significativo tra il momento dell’incidente e quello dell’accertamento, combinato con l’ulteriore dato della peculiarità dell’identità di risultato (1.77 g/l) nelle due prove ed altresì sulla mancata allegazione al verbale di accertamenti urgenti dei certificati di omologazione e taratura dell’etilometro, la cui assenza, secondo l’orientamento maturato nella più recente giurisprudenza, rende nullo il verbale di accertamento.
In proposito, ricorda il Tribunale che la Suprema Corte – riprendendo l’indirizzo maturato nella giurisprudenza di legittimità civile all’indomani della sentenza della Corte Costituzionale n. 113 del 2015, in materia di autovelox, ed in tal modo progressivamente rivisitando il precedente consolidato orientamento giurisprudenziale di segno contrario - ha recentemente avuto modo di affermare che, in tema di violazione del C.d.S., ai fini della legittimità dell’accertamento mediante etilometro, il verbale di accertamento deve contenere l’attestazione della verifica che l’apparecchio da adoperare per l’esecuzione del c.d. “alcoltest” è stato preventivamente sottoposto alla prescritta ed aggiornata omologazione e alla indispensabile corretta calibratura (Cass. Pen. 19/09/2019 n. 38618).
Con la menzionata pronuncia, la Cassazione penale ha preso le mosse dal rilievo per cui i principi sanciti dalla Corte Costituzionale in tema di autovelox sono stati poi ripresi ed applicati anche in tema di accertamento etilometrico dalla giurisprudenza della Cassazione civile, la quale ha infatti in tal materia a più riprese affermato che, in tema di violazione al codice della strada, il verbale dell’accertamento effettuato mediante etilometro deve contenere, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata, l’attestazione della verifica che l’apparecchio da adoperare per l’esecuzione del cd. "alcooltest" è stato preventivamente sottoposto alla prescritta ed aggiornata omologazione ed alla indispensabile corretta calibratura ed ha altresì aggiunto che l’onere della prova del completo espletamento di tali attività strumentali grava, nel giudizio di opposizione, sulla P.A. poiché concerne il fatto costitutivo della pretesa sanzionatoria (ad es. Sez. 6 civ., Ord. n. 1921 del 24/01/2019, Rv. 652384). Ciò posto – dichiaratamente discostandosi dal tradizionale orientamento fino ad allora sposato (che - rimarca la Corte - ha comportato il gravoso onere per il privato, sia in sede civile sia penale, di dimostrare la sussistenza, nel caso concreto, di un difetto di funzionamento, la cui prova appare tanto più difficoltosa in considerazione della disponibilità dell’apparecchio in capo alla pubblica amministrazione), la S.C. ha affermato che i medesimi principi sanciti dalla giurisprudenza costituzionale in tema di autovelox ed estesi dalla giurisprudenza di legittimità civile in relazione all’etilometro non possano non essere riconosciuti (a maggior ragione) anche in sede penale, tanto più che, in caso contrario, “si creerebbe un’evidente ed irragionevole distonia - e in particolare tra i settori civile, amministrativo e penale - nella parte in cui l’onere della prova del funzionamento dell’etilometro spetterebbe alla pubblica amministrazione in sede civile e all’imputato in sede penale” e “addirittura ne deriverebbe la conseguenza irrazionale - incidente anche sul profilo sostanziale - secondo cui una medesima fattispecie potrebbe costituire solo illecito penale e non illecito amministrativo, in totale contrasto col principio di sussidiarietà del diritto penale e, cioè, dell’utilizzazione dello strumento penale solo quale extrema ratio, in caso di insufficienza degli strumenti sanzionatori previsti dagli altri rami dell’ordinamento”. Alla stregua di tali considerazioni, dunque, (anche) la Cassazione penale è pervenuta a stabilire che “in tema di guida in stato di ebbrezza, allorquando l’alcoltest risulti positivo, costituisce onere della pubblica accusa fornire la prova del regolare funzionamento dell’etilometro, della sua omologazione e della sua sottoposizione a revisione”, evidenziando come, sotto il profilo processuale, il principio sopra affermato sia conforme a quello di carattere generale secondo cui l’accusa deve provare i fatti costitutivi del fatto di reato, mentre spetta all’imputato dimostrare quelli estintivi o modificativi di una determinata situazione, rilevanti per il diritto, con la conseguenza che la parte che allega un fatto (nella specie: superamento del tasso alcolemico), affermandolo come storicamente avvenuto, deve introdurre nel processo elementi di prova idonei a dimostrarne la veridicità, mentre l’onere della prova dell’imputato di dimostrare il contrario può sorgere solo in conseguenza del reale ed effettivo accertamento da parte del pubblico ministero del regolare funzionamento e dell’espletamento delle dovute verifiche dell’etilometro.
Ebbene, facendo applicazione dei citati principi di diritto al caso di specie, non può che concludersi che la pubblica accusa non abbia fornito alcuna prova del corretto funzionamento dell’apparecchio impiegato nell’esecuzione dell’alcoltest al C, dal momento che il verbale di accertamenti urgenti contiene unicamente l’indicazione dell’apparecchio impiegato e non vi è, invece, alcuna indicazione né circa la sua omologazione né circa la sua sottoposizione a revisione né circa la corretta calibratura (né una siffatta attestazione è del resto contenuta in alcun altro atto, neppure dell’informativa di reato).
Il richiamato orientamento della S.C. conduce, pertanto, a ritenere invalida la prova dello stato di ebbrezza costituita dall’accertamento etilometrico e ad espungere, quindi, tale prova dal novero del materiale probatorio a carico.
Non ignora, tuttavia, il Tribunale che esiste, nella giurisprudenza della S.C., anche un orientamento maggiormente rigoroso, che differisce parzialmente da quello sopra illustrato in punto di modo di atteggiarsi del riparto degli oneri probatori.
Tale ultimo orientamento – che questo Tribunale, alla luce degli argomenti che lo fondano, giudica maggiormente condivisibile e del quale quindi ritiene di fare applicazione - afferma in sintesi che all’attribuzione dell’onere della prova in capo all’accusa circa l’omologazione e l’esecuzione delle verifiche periodiche sull’apparecchio utilizzato per l’alcoltest deve fare riscontro un onere di allegazione da parte del soggetto accusato, avente ad oggetto la contestazione del buon funzionamento dell’apparecchio (Cass. 12/12/2019 n. 3201).
Più nel dettaglio, nella pronuncia da ultimo citata, la Cassazione prende le mosse da un’approfondita disamina tanto delle motivazioni espresse dalla Corte Costituzionale nella menzionata sentenza n. 113 del 2015 quanto anche degli argomenti svolti dalla giurisprudenza civile che di essa ha fatto applicazione.
La Corte pone, dunque, in rilievo come la Corte Costituzionale abbia affermato fra l’altro (§ 6.2.): "È vero infatti che la tutela di questi ultimi viene in qualche modo compressa per effetto della parziale inversione dell’onere della prova, dal momento che è il ricorrente contro l’applicazione della sanzione a dover eventualmente dimostrare - onere di difficile assolvimento a causa della irripetibilità dell’accertamento - il cattivo funzionamento dell’apparecchiatura. Tuttavia, detta limitazione trova una ragionevole spiegazione nel carattere di affidabilità che l’omologazione e la taratura dell’autovelox conferiscono alle prestazioni di quest’ultimo"; nel prosieguo – sottolinea la Cassazione -, la sentenza della Consulta precisa che "il bilanciamento realizzato dall’art. 142 C.d.S. ha per oggetto, da un lato, interessi pubblici e privati estremamente rilevanti quali la sicurezza della circolazione, la garanzia dell’ordine pubblico, la preservazione dell’integrità fisica degli individui, la conservazione dei beni e, dall’altro, valori altrettanto importanti quali la certezza dei rapporti giuridici ed il diritto di difesa del sanzionato. Detto bilanciamento si concreta attraverso una sorta di presunzione, fondata sull’affidabilità dell’omologazione e della taratura dell’autovelox, che consente di non ritenere pregiudicata oltre un limite ragionevole la certezza della rilevazione e dei sottesi rapporti giuridici. Proprio la custodia e la conservazione di tale affidabilità costituisce il punto di estrema tensione entro il quale la certezza dei rapporti giuridici e il diritto di difesa del sanzionato non perdono la loro ineliminabile ragion d’essere". "Il ragionevole affidamento che deriva dalla custodia e dalla permanenza della funzionalità delle apparecchiature, garantita quest’ultima da verifiche periodiche conformi alle relative specifiche tecniche, degrada tuttavia in assoluta incertezza quando queste ultime non vengono effettuate". Rileva, quindi, sul punto la Corte che “a ben vedere, dunque, ad essere considerato distonico rispetto al principio di ragionevolezza non è il criterio dell’inversione dell’onus probandi, ma il principio dell’affidamento del cittadino nel regolare funzionamento degli strumenti di controllo e nelle operazioni di manutenzione che ne assicurano il funzionamento: ciò che giustifica, secondo il Giudice delle leggi, la ridetta inversione dell’onere della prova”.
Ciò posto, la Corte ricorda che, nell’ordinanza resa in sede civile (Sez. 6 civ., n. 1921 del 24/01/2019), la Cassazione ha invero affermato il principio in base al quale il verbale dell’accertamento effettuato mediante etilometro deve contenere, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata, l’attestazione della verifica che l’apparecchio da adoperare per l’esecuzione del cd. "alcooltest" è stato preventivamente sottoposto alla prescritta ed aggiornata omologazione ed alla indispensabile corretta calibratura; l’onere della prova del completo espletamento di tali attività strumentali grava, nel giudizio di opposizione, sulla P.A. poiché concerne il fatto costitutivo della pretesa sanzionatoria (Rv. 652384). “Nondimeno – evidenzia la Corte - l’affermazione di tale principio va, da un lato, calata nella specificità del giudizio di opposizione a sanzione amministrativa; e, dall’altro, verificata alla stregua dei relativi corollari.
Ed invero, il richiamato provvedimento afferma nella parte motiva che "il giudizio di opposizione a sanzione amministrativa si configura come un giudizio rivolto all’accertamento del fondamento della pretesa sanzionatoria ed il suo oggetto è delimitato, quanto alla posizione dell’opponente, dalla causa petendi fatta valere con l’opposizione e, quanto alla posizione della P.A., dal divieto di dedurre, a sostegno della propria pretesa, motivi diversi da quelli enunciati nell’ordinanza-ingiunzione"; di tal che, sulla scorta di questa impostazione, "si rileva che all’Amministrazione, che viene a rivestire - dal punto di vista sostanziale la posizione di attrice (ricoprendo, invece, sotto quello formale, il ruolo di convenuta-opposta), incombe l’obbligo di fornire la prova adeguata della fondatezza della sua pretesa. All’opponente, al contrario, qualora abbia dedotto fatti specifici incidenti o sulla legittimità formale del procedimento amministrativo sanzionatorio espletato o sull’esclusione della sua responsabilità relativamente alla commissione dell’illecito, spetta provare le circostanze negative contrapposte a quelle allegate dall’Amministrazione ".
Se ne ricava – prosegue la S.C. - che, "mentre l’onere dell’allegazione è a carico dell’opponente (il quale deve indicare quali sono gli elementi della fattispecie carenti in fatto e/o in diritto), per quanto concerne l’onere della prova si applica la regola ordinaria sancita dall’art. 2697 c.c.. Tuttavia, a questo riguardo, - osserva ancora la Corte - assume rilevanza la riferita precisazione in base alla quale di fronte al giudice, una volta formulata l’opposizione, non si discute propriamente dell’atto ma della fattispecie produttiva dell’effetto, perché - nei limiti in cui la parte opponente abbia sollevato le relative contestazioni - spetta alla P.A. dimostrare i fatti costitutivi ed all’opponente comprovare i fatti impeditivi, modificativi e/o estintivi dell’effetto giuridico del provvedimento sanzionatorio oggetto del giudizio. Perciò, alla modificazione delle regole normali dell’allegazione non corrisponde una modificazione delle regole ordinarie in tema di onere probatorio: se l’opponente ha sollevato contestazioni sull’esistenza dei fatti costitutivi del suo obbligo, tali contestazioni non onerano l’opponente anche alla prova dell’inesistenza dei fatti costitutivi del suo obbligo; al contrario, la prova dell’esistenza dei fatti costitutivi dell’obbligo si pone a carico della P.A.".
Ora – conclude sul punto la S.C. – “pur nella specificità del rito, è evidente che secondo l’ordinanza richiamata, sebbene sia posto a carico dell’amministrazione l’onere di provare i fatti costitutivi dell’effetto giuridico del provvedimento sanzionatorio, nondimeno sull’opponente grava necessariamente un (prioritario) onere di allegazione volto a contestare la sussistenza di tali fatti costitutivi”.
Ciò premesso, la Cassazione sottolinea ulteriormente che, per quanto riguarda l‘etilometro, l’omologazione e le verifiche periodiche dello stesso sono espressamente previste dall’art. 379 reg. esec C.d.S., commi 6, 7 e 8, approvato con D.P.R. 16 novembre 1992, n. 495, ciò che – fa rilevare la Corte - differenzia in partenza la disciplina in tema di etilometro rispetto a quella avente ad oggetto l’autovelox colpita dalla declaratoria di incostituzionalità. Afferma dunque la Cassazione che deve ritenersi che, anche nel caso del giudizio penale per guida in stato d’ebbrezza ex art. 186 C.d.S., comma 2, nell’ambito del quale assuma rilievo la misurazione del livello di alcool nel sangue mediante etilometro, all’attribuzione dell’onere della prova in capo all’accusa circa l’omologazione e l’esecuzione delle verifiche periodiche sull’apparecchio utilizzato per l‘alcoltest, debba fare riscontro un onere di allegazione da parte del soggetto accusato, avente ad oggetto la contestazione del buon funzionamento dell’apparecchio.
Conclude pertanto la Cassazione affermando: “Il fatto che siano prescritte, dall’art. 379 Reg. esec. C.d.S., l’omologazione e la periodica verifica dell’etilometro non significa che, a sostegno dell’imputazione, l’accusa debba immediatamente corredare i risultati della rilevazione etilometrica con i dati relativi all’esecuzione di tali operazioni: tali dati (in quanto riferiti ad attività necessariamente prodromiche al momento della misurazione del tasso alcolemico sull’imputato) non hanno di per sé rilievo probatorio ai fini dell’accertamento dello stato di ebbrezza dell’imputato. Perciò, è del tutto fisiologico che la verifica processuale del rispetto delle prescrizioni dell’art. 379 Reg.Esec. C.d.S. sia sollecitata dall’imputato, che ha all’uopo un onere di allegazione volto a contestare la validità dell’accertamento eseguito nei suoi confronti”.
Ebbene, calando tale ultimo orientamento – cui, come detto, questo Tribunale intende uniformarsi - al caso di specie, deve rilevarsi come il prevenuto abbia, sin con l’atto di opposizione, formulato specifica censura al riguardo, mettendo in discussione, attraverso la rilevazione di una serie di dati di fatto, la funzionalità dello strumento impiegato e la validità del risultato ottenuto, di fatto sollecitando la verifica processuale sopra indicata, e come, pur a fronte di dette allegazioni, la pubblica accusa non abbia assolto all’onere della prova da cui, a questo punto, veniva ad essere gravata.
Segnatamente va, in effetti, rilevato in primo luogo che gli “scontrini” dell’alcoltest agli atti (i quali – diversamente da quanto solitamente accade - nemmeno danno conto dell’omologazione dell’apparecchio) rivelano dati francamente distonici rispetto ad un giudizio di affidabilità della prova, dal momento che il primo scontrino reca – quale prima indicazione che compare scritta in alto - la dicitura “test non permesso” e il secondo scontrino reca - quale prima indicazione che compare scritta in alto – “volume insufficiente”.
In entrambi i casi poi il risultato restituito è pari a 1,77 g/l, il che notoriamente (dato il modo di atteggiarsi della “curva di assorbimento” dell’alcol) non è in astratto implausibile, ma nella concretezza della fattispecie getta invece un dubbio sulla regolarità / correttezza della prova, perché il fatto che venga restituito il medesimo risultato sia quando l’apparecchio segnala che il test non è permesso sia quando l’apparecchio segnala che il volume soffiato non è sufficiente, ben può ritenersi indicativo di una anomalia e/o di un malfunzionamento.
A ciò – che di per sé condurrebbe alla conclusione di cui al dispositivo - va aggiunto che la duplice prova in questione è stata compiuta, tra le ore 06.23 (ora indicata nel primo scontrino) e le ore 06.34 (ora indicata nel secondo scontrino), a distanza cioè di circa un’ora e venti – un’ora e mezza dall’incidente.
Va allora ricordato che, come noto in tossicocinetica, l’alcol, dopo una singola assunzione a stomaco vuoto, viene assorbito in pochi minuti da stomaco e intestino, ed entra subito dopo in circolo nel sangue, scatenando la sintomatologia psicoattiva. Dopo mezz’ora dall’assunzione a stomaco vuoto si ha la concentrazione massima di alcol nel sangue. Questo viene poi smaltito quasi totalmente dal fegato al ritmo costante di 7-8 g/l per ora, che portano a far diminuire il tasso alcolemico di circa 0,15 g/l ogni ora.
(omissis)
La figura mostra la curva di Widmark, che descrive lo smaltimento alcoolico.
Dopo l’assunzione a stomaco vuoto si ha in 30 min la concentrazione max di alcol (forte pendenza della retta), poi per circa mezz’ora l’assorbimento eguaglia lo smaltimento (linea retta¸- fase di plateau), dopodiché inizia lo smaltimento, che è costante e più lento dell’assorbimento (pendenza minore della retta), e quindi la diminuzione dell’alcolemia è di 0.15 gr/l ogni ora.
A stomaco pieno invece l’assorbimento e lo smaltimento avvengono molto più lentamente, il tempo è almeno raddoppiato: quindi la concentrazione massima avviene dopo almeno un’ora dall’assorbimento.
Ebbene, nel caso di specie – ove si volessero dare per attendibili i risultati del test - i rilievi sopra compiuti condurrebbero ad escludere che C fosse a stomaco vuoto (dal momento che, diversamente - trovandosi egli nella fase di plateau al momento delle prove, ed essendo questa fase, della durata di mezz’ora allorché si sia a stomaco vuoto, raggiunta dopo circa mezz’ora dall’assunzione, dovrebbe concludersi che lo stesso abbia assunto alcolici dopo l’arrivo della pattuglia o comunque dopo l’incidente, ipotesi quest’ultima – del tutto favorevole all’imputato – che però non è stata prospettata neppure dal prevenuto e che va dunque esclusa) ed a ritenere che egli fosse, invece, a stomaco pieno.
Ma anche in tal caso – alla luce dei rilievi compiuti – dovendosi ritenere che il C al momento delle misurazioni si trovasse nella fase di plateau, è agevole concludere, ri-percorrendo a ritroso il grafico che precede (quantomeno in maniera indicativa), che non vi è prova certa che al momento dell’incidente (avvenuto all’incirca un’ora e mezza prima e dunque verosimilmente nella fase ancora iniziale dell’assorbimento, tanto più che non può escludersi che C si fosse da poco messo alla guida dopo essere uscito di casa, che dista pochissima distanza dal luogo dell’incidente) egli avesse già superato la concentrazione nel sangue di 1.5 mg/ml o comunque una concentrazione tale da assumere rilievo penale.
Conclusivamente, le considerazioni tutte sopra esposte conducono, nel caso di specie, a concludere non tanto che l’accertamento sia radicalmente nullo, il che porterebbe ad assoluzione per insussistenza del fatto, quanto piuttosto che il risultato ottenuto non sia assistito dall’affidabilità necessaria per pervenire ad un statuizione di condanna per il reato ascritto, apparendo in definitiva prudente, oltre che maggiormente aderente al principio in dubio pro reo - in assenza di più tranquillizzanti certezze, ricondurre il fatto all’ipotesi, priva di rilevanza penale, di cui all’art. 186, co. 2 lett. a).
L’assoluzione con la formula “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” è conseguente.
P.Q.M.
Visto l’art. 530, co. 2 c.p.p.,
assolve l’imputato del reato allo stesso ascritto, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Motivazione gg. 60.
Trento, 23 ottobre 2020 Il Giudice
(Greta Mancini)
[Il presente provvedimento è stato redatto con la collaborazione della dott.ssa Giulia Raciti, tirocinante ai sensi dell’art. 73 D.L. 69/13 convertito nella legge 98/13]