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Estradizione fra garanzia giurisdizionale e poteri ministeriali (Cons. Stato, 3099/20)

20 maggio 2020, Consiglio di Stato

Il procedimento necessario per accordare l'estradizione ha una struttura bifasica. La fase giurisdizionale, dinanzi al giudice ordinario cui l'art. 13 Cost. riserva la tutela della libertà personale, è anteposta a quella amministrativa ed è conformata come condicio sine qua non dell'estradizione, nel senso che questa è preclusa se non vi è una autorizzazione dell'autorità giudiziaria, ma l'autorizzazione non rende obbligatoria l'estradizione (art. 701 co. 1 e 3 c.p.p.).

Proprio questa struttura del procedimento e l'anteposizione della prima fase alla seconda richiamano direttamente, oltre che i corrispondenti valori costituzionali tutelati (artt. 13, 27 e 111, Cost., per la prima fase; artt. 10, 11 e 26 Cost., per la seconda fase) la diversità della tutela che l'estradando riceve; diversa, a seconda che la libertà personale sia l'unico ed esclusivo oggetto del potere di valutazione conferito al giudice ordinario (art. 705), o sia invece oggetto indiretto, in collegamento con la sfera dell'indirizzo politico-internazionale, che costituisce l'oggetto primario della valutazione da parte del Ministro.

In quest'ultimo caso, infatti, il potere di valutazione si esprime mediante un atto di alta amministrazione, latamente discrezionale, che alla luce di interessi superiori dello Stato, provvede su un oggetto specifico e circoscritto, finendo così con il disporre di interessi individuali (art. 698, co.1).

Su questa struttura, in funzione dei diversi valori costituzionali tutelati, si basa l'assetto costituzionale del riparto di giurisdizione: così, la prima fase è di esclusiva spettanza del giudice ordinario e la seconda fase è di esclusiva spettanza del giudice amministrativo, quale giudice dei soli interessi legittimi nei confronti di atti di alta amministrazione, non essendo prevista dalla legge alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva in materia.

 

Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

(ud. 07/05/2020) 15-05-2020, n. 3099

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9311 del 2019, integrato da motivi aggiunti, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati EP, FP, GT con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato ** nonché rappresentato e difeso dall'avvocato AC, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

Ministero dell'interno, non costituito;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente estradizione verso gli USA;

Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 84 del D.L. n. 18 del 2020;

Relatore, nell'udienza del giorno 7 maggio 2020, il Cons. Giuseppa Carluccio.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. La presente controversia ha per oggetto l'appello proposto da un cittadino italiano avverso la sentenza del T.a.r. per il Lazio, n. -OMISSIS-, che ha rigettato il proprio ricorso con il quale ha impugnato il decreto del Ministro della giustizia del 7 agosto 2019, che ha accordato al Governo degli Stati Uniti d'America la sua estradizione.

2. L'estradizione è stata richiesta dagli USA per il rinvio a giudizio del ricorrente, con richiesta di arresto, da parte della Corte Federale per il distretto orientale del -OMISSIS- - quale coimputato, anche con un altro cittadino italiano oltre che con altri cittadini americani - per una serie di gravi reati, pure di tipo associativo, punibili anche con l'ergastolo e, comunque, con pene molto alte nella previsione del relativo massimo edittale.

2.1. L'estradizione è stata concessa dal Ministro limitatamente alle condotte descritte nell'atto di accusa del Gran Giurì della Corte Federale, per le quali nell'ordinamento americano non è prevista l'irrogazione della pena dell'ergastolo; nonché, con l'espressa salvaguardia della regola della specialità di cui all'art. XVI del Trattato bilaterale fra l'Italia e gli Stati Uniti d'America.

3. Il Ministro, con il decreto di estradizione, ha dato atto che:

a) la Corte di appello di Roma, con la sentenza in data 18 febbraio 2019, in sede di rinvio - a seguito di annullamento da parte della Corte di Cassazione della precedente sentenza in data 7 giugno 2018 - ha dichiarato l'esistenza delle condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione per tutti i reati di cui agli otto capi di imputazione, con la precisazione, per i reati di cui ai capi 1, 2 e 6 (corrispondenti ai capi I, II e XII dell'atto di accusa), che il giudizio positivo è limitato alle condotte ivi descritte per le quali non è prevista l'irrogazione della pena dell'ergastolo, giudicata sproporzionata rispetto alla gravità dei fatti contestati;

a1) che la Corte di Cassazione, con sentenza in data 2/25 luglio 2019, ha rigettato tutti i ricorsi proposti contro la suddetta sentenza del febbraio 2019 della Corte d'appello di Roma, con conseguente passaggio in giudicato della stessa.

Il Ministro ha, quindi, ritenuto che, "alla luce delle dettagliate e condivisibili argomentazioni svolte nelle sopracitate sentenze della Corte d'appello e della Corte di Cassazione, ... si possa e debba escludere che l'estradando corra il rischio di essere sottoposto a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, o comunque ad atti che diano luogo a una violazione dei diritti fondamentali della persona".

3.1. Inoltre, nel decreto si dà atto che nei confronti dell'estradando non risultano condanne, né procedimenti penali pendenti in relazione ai fatti per i quali l'estradizione è stata domandata; ed ancora, si rileva che: - i reati attribuiti all'estradando non hanno carattere politico né militare; - non sono ravvisabili motivi per ritenere che la domanda di estradizione sia stata avanzata allo scopo di perseguire o punire la persona per ragioni di razza, religione, genere o per le sue opinioni politiche; - i reati non sono puniti con la pena capitale nello Stato richiedente; nel decreto, si ritiene, ancora, che si possa escludere che la domanda di estradizione possa compromettere la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato.

3.2. Infine, nel decreto si afferma che, per tutte le ragioni esposte, non possano trovare accoglimento le argomentazioni dell'estradando contenute nell'istanza difensiva del 30 luglio 2019.

3.3. In conclusione, si afferma l'applicazione dell'obbligo di estradare stabilito dall'art. 1 del Trattato, non ravvisandosi l'esistenza di alcuna delle condizioni ostative all'estradizione previste dagli artt. 697 comma 1-bis e 698 comma 1 c.p.p.

3.4 Con la sentenza in epigrafe indicata l'adito T.A.R. del Lazio ha respinto il ricorso proposto dall'interessato avverso il citato Decreto.

4. L'estradando ha proposto appello, affidandolo a tre motivi e ad un successivo quarto motivo, autoqualificato come motivo aggiunto.

4.1. Il Ministero della Giustizia si è costituito chiedendo il rigetto.

4.2. Questo Consiglio, con il decreto presidenziale cautelare n. -OMISSIS-e poi, con l'ordinanza cautelare n. -OMISSIS-, ha sospeso l'esecutività della sentenza impugnata e conseguentemente dell'atto impugnato.

4.3. In esito alla discussione della causa nell'udienza pubblica del 20 febbraio 2020, prima della quale l'appellante aveva depositato il motivo aggiunto e articolate memorie, con l'ordinanza collegiale n. -OMISSIS-, questo Consiglio, "riservata ogni decisione sul merito, anche in relazione alla dedotta questione di legittimità costituzionale", ha ritenuto opportuno acquisire in via istruttoria dal Signor Ministro della Giustizia chiarimenti documentati "in ordine: a) alla pena complessiva che, in ipotesi di cumulo di pene, potrebbe essere irrogata dall'Autorità giurisdizionale straniera procedente (Corte Federale per il distretto orientale del -OMISSIS- - U.S.A.); b) alla previsione e alle condizioni per l'applicazione di eventuali misure di liberazione anticipata o benefici equivalenti, secondo la legislazione processuale applicabile nello Stato nel quale si procede, in relazione ai reati contestati."

La suddetta ordinanza ha fissato l'udienza del 21 maggio 2020, per la ulteriore trattazione dell'appello.

4.3.1. Il Ministero della giustizia ha depositato, in data 3 e 6 aprile 2020, due note provenienti dal "U.S. Department of Justice Criminal Division - Office of International Affairs - United States Embassy - Rome, Italy." L'appellante ha depositato ulteriore documentazione.

4.4. Il decreto presidenziale n. -OMISSIS-, accogliendo la motivata istanza di abbreviazione dei termini processuali avanzata dall'Avvocatura generale dello Stato, ha ridotto alla metà i termini previsti per la fissazione dell'udienza, anticipando l'udienza per la prosecuzione del giudizio alla data del 7 maggio 2020, e, conseguentemente, ha ridotto proporzionalmente i termini per le difese.

4.4.1. Entrambe le parti hanno depositato ulteriori memorie: l'appellante, in data 20 e 24 aprile 2020 (quest'ultima di replica); l'Amministrazione in data 21 aprile 2020.

4.5. La causa è stata trattenuta dal Collegio in decisione all'udienza pubblica del 7 maggio 2020, ai sensi dell'art. 84 del D.L. n. 18 del 2020.

5. La questione centrale - che ha attraversato, sia la fase giurisdizionale davanti all'autorità giudiziaria ordinaria, antecedente al decreto di estradizione, che la fase successiva davanti alla giurisdizione amministrativa - attiene alla possibile irrogabilità, per i reati contestati all'estradando, di un numero tale di anni di detenzione, calcolati con il sistema cumulativo o consecutivo e non simultaneo o concomitante, da costituire sostanzialmente un ergastolo, anche considerando l'età dell'estradando (poco più di 50 anni all'attualità); per di più, un ergastolo cd "ostativo", per via della sostanziale assenza nell'ordinamento statunitense di misure alternative alla detenzione o che ne consentano la liberazione anticipata, in attuazione della funzione rieducativa della pena.

6. Questa questione è stata oggetto del giudizio dell'Autorità giudiziaria ordinaria, ed in particolare: - della prima sentenza (del 9 novembre/21 dicembre 2018) della Corte di cassazione, di annullamento con rinvio alla Corte di appello; - della successiva sentenza della Corte di appello, emanata all'esito dell'istruttoria disposta proprio in ordine a tale profilo; - della successiva sentenza della Corte di cassazione del 2019, che ha rigettato gli appelli avverso la seconda sentenza pronunciata dalla Corte di appello.

6.1. Sulla base della complessiva prospettazione dell'estradando, la sentenza passata in giudicato ha escluso solo l'ergastolo, perché non previsto dall'ordinamento italiano per quella tipologia di reati, in ragione della positiva valutazione della proporzionalità della pena da infliggersi rispetto ad alcuni capi di imputazione, nel rapporto tra i due ordinamenti statuali.

6.2. Il profilo più specifico, attinente all'esistenza di un rischio serio che l'estradando, se condannato, sarebbe stato sottoposto al cd "ergastolo ostativo", era stato fatto valere dall'estradando attraverso la richiesta di remissione alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE). Erano stati dedotti la violazione di legge e vizi di motivazione, con riguardo alla mancata affermazione della violazione dell'art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), che vieta torture, pene e trattamenti inumani o degradanti - rilevante ai sensi degli artt. 698 e 705, comma 2, lett. b), c.p.p. - e dell'art. 49, 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea (CDFUE), sotto il profilo della sproporzione, potendo la condanna assumere il carattere perpetuo di una condanna alla reclusione a vita.

6.2.1. La pronuncia della Corte di cassazione che, nel 2018, ha rinviato alla Corte di appello, ha ritenuto strettamente correlato il fondamentale principio di proporzionalità e di divieto di pene inumane e degradanti, invocato dall'estradando, alla previsione dell'art. 19, 2 (CDFUE), concernente l'estradizione, il quale stabilisce che "Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti"; quindi, la Corte di cassazione ha assunto tali disposizioni come direttamente applicabili al caso in esame, ai sensi dell'art. 51, 1, della CDFUE, avendo l'Accordo di estradizione UE-USA del 25 giugno 2003 modificato il precedente Trattato di estradizione bilaterale Italia-USA del 13 ottobre 1983, così come stabilito dall'art. 3(2) dell'Accordo su menzionato, in quanto ratificato e posto in esecuzione nel nostro ordinamento con la L. 16 marzo 2009, n. 25.

Conseguentemente, la Corte di cassazione ha chiesto alla Corte distrettuale di verificare se da parte dei ricorrenti vi fosse stata la rappresentazione di un rischio "concreto", e non meramente ipotetico, di sottoposizione ad un trattamento contrario all'art. 3 CEDU, secondo le regole desumibili dal quadro dei principi tratteggiato dalla stessa Corte EDU con la propria giurisprudenza.

6.2.2. La sentenza della Corte di appello del 2019 e la successiva pronuncia della Corte di cassazione dello stesso anno, che, peraltro per questa tipologia di giudizi è anche giudice del merito, sulla base della istruttoria svolta, hanno escluso l'esistenza di un rischio reale che l'irrogazione della pena si potesse sostanziare in un ergastolo di fatto, per di più ostativo, e, di conseguenza hanno escluso la rilevanza della richiesta remissione alla CGCE.

7. La questione centrale in argomento (cfr. 5) è stata riproposta nell'impugnazione del decreto di estradizione dinanzi al T.a.r., con i motivi secondo e terzo dell'originario ricorso, implementati con le argomentazioni del quinto e sesto dei motivi aggiunti.

7.1. In estrema sintesi, l'estradando ha sostenuto l'illegittimità del decreto, per violazione degli artt. 698 e 705 c.p.p., alla luce dell'art. 3 CEDU, degli artt. 27 e 97 Cost., per difetto di istruttoria e difetto del presupposto per la sua emanazione, essendo il decreto concessivo fondato su un errore di fatto, integrante un travisamento, per aver condiviso le valutazioni compiute dall'autorità giudiziaria ordinaria circa l'esclusione del rischio concreto di un ergastolo di fatto, per di più ostativo, senza esercitare le valutazioni di ordine politico, sue proprie, che la stessa sentenza della Corte di cassazione del 2019 aveva fatto salve.

7.2. In particolare, l'estradando - pur dichiarandosi consapevole dei limiti del sindacato da parte del giudice amministrativo e dichiarando di non voler chiedere una revisione del giudizio svoltosi dinanzi al giudice ordinario - ha sostenuto che dinanzi al giudice amministrativo, quale giudice della legittimità del decreto, sia pure di "alta amministrazione", possono essere fatti valere quei profili di illegittimità che mettono in discussione la correttezza o meno del presupposto assunto a base dello stesso decreto.

7.2.1. Il Ministro, quindi, secondo l'assunto dell'estradando, avrebbe dovuto rivalutare l'esistenza o meno del rischio, se astratto - come ritenuto dall'autorità giudiziaria ordinaria - o concreto, come sostenuto dall'interessato, sulla base della smentita delle conclusioni cui erano pervenute Corte di appello e Corte di cassazione, da parte degli "affidavit", già prodotti dall'interessato ma non valutati dal giudice ordinario, il quale si era limitato ad attribuire assoluto rilievo alla nota proveniente da parte del Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti, tra l'altro parte direttamente coinvolta in causa. In definitiva, secondo l'estradando, i vizi delle sentenze del giudice ordinario si riversano sulla legittimità del decreto perché emesso sulla base dello stesso presupposto, per essersi il Ministro limitato a condividerlo e non averlo autonomamente rivalutato. Inoltre, sempre secondo l'assunto dell'estradando, il Ministro avrebbe errato anche nel far proprie le conclusioni del giudice ordinario perché laddove questi non aveva ravvisato un rischio concreto, ma non escluso quello astratto, il Ministro, affermando che "si possa e debba escludere che l'estradando corra il rischio" di una pena contraria ai diritti fondamentali, ha finito per escludere anche il rischio astratto.

7.3. Per completezza, deve aggiungersi che, nella prospettazione delle censure, non mancano ampi richiami critici alle sentenze del giudice ordinario, con l'obiettivo di illustrare l'erroneità del giudizio in ordine all'assenza di un rischio concreto.

8. Il primo giudice ha ritenuto inammissibili le suddette censure, così essenzialmente argomentando, sulla base dei principi affermati nella giurisprudenza:

a) il procedimento di estradizione "passiva" si articola in due fasi, l'una con natura giurisdizionale, l'altra amministrativa;

b) la delibazione di legittimità del giudice amministrativo riguarda unicamente il contenuto del decreto del Ministro, come impugnato;

c) la fase giurisdizionale, dinanzi al giudice ordinario che ha la riserva di giurisdizione ai sensi dell'art. 13 Cost. sui diritti soggettivi di libertà dell'estradando, è condicio sine qua non dell'estradizione stessa, nel senso che questa è preclusa se non vi è una autorizzazione da parte dell'autorità giudiziaria, secondo quanto stabilito dall'art. 701 c.p.p., ai sensi del quale "l'estradizione di un imputato o di un condannato all'estero non può essere concessa senza la decisione favorevole della Corte d'Appello";

d) ottenuta l'autorizzazione, il Ministro della giustizia esercita i suoi poteri discrezionali, decidendo se accogliere o meno la richiesta avanzata dalle Autorità straniere con l'adozione di un provvedimento di alta amministrazione, caratterizzato, come tale, da ampia discrezionalità;

d1) solo con riferimento a quest'ultimo momento può essere invocato l'intervento del giudice amministrativo, atteso che la posizione giuridica che l'interessato vanta in questa fase non ha più consistenza di diritto soggettivo, bensì di interesse legittimo, e l'ambito del sindacato del giudice è limitato ai profili estrinseci di abnormità, illogicità o erroneità dei presupposti;

e) da tale premessa consegue l'inammissibilità di tutte le argomentazioni con le quali si censurano le statuizioni contenute nelle pronunce del giudice penale, talvolta introducendo una critica diretta alla sentenza della Corte di cassazione su profili che il Ministro non era chiamato a valutare nella loro sostanza;

e1) diversamente opinando, si ammetterebbe un sindacato del giudice amministrativo sugli aspetti già valutati dal giudice penale; peraltro, su aspetti attinenti a diritti soggettivi per i quali non è prevista la giurisdizione esclusiva dello stesso, e si verrebbe inammissibilmente a riconoscere una sorta di improprio mezzo di revisione extra ordinem delle sentenze emesse da tale giudice penale nell'ambito delle sue esclusive competenze;

e2) le censure di parte ricorrente nella loro sostanziale articolazione, sono orientate, invece, a rimettere in discussione accertamenti già svolti dal giudice penale, ai sensi dell'art. 705 c.p.p., in ordine al rispetto, nel procedimento straniero, dei diritti e dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano;

f) in conclusione, legittimamente il Ministro, nel decreto impugnato, ha fatto riferimento al contenuto delle sentenze penali per concludere che "...si possa e si debba escludere che l'estradando corra il rischio di essere sottoposto a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, o comunque ad atti che diano luogo a una violazione dei diritti fondamentali della persona...", secondo i limiti di delibazione lasciati al Ministro in argomento e senza alcuna contraddittorietà o difetto di istruttoria come lamentati dal ricorrente.

9. L'appellante, con il secondo motivo di appello - ripercorrendo criticamente le argomentazioni della sentenza impugnata - ha riproposto le censure articolate nel primo grado di giudizio.

9.1. Poi, con un atto depositato prima della udienza fissata per la trattazione dell'istanza cautelare, ha ulteriormente esplicato tali censure proponendo, con un "quarto motivo di appello", un'interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 698, co. 1, c.p.p. e, in subordine, eccependo l'illegittimità costituzionale dello stesso articolo in rapporto al trattato Italia-USA, quale sistema nel suo complesso non idoneo a garantire la tutela del diritto fondamentale ad una pena che non si traduca in una pena a vita.

9.2. Preliminarmente, il Collegio rileva che - nonostante il suddetto atto sia stato qualificato dallo stesso appellante come "Motivo aggiunto" e nonostante sia stato dedotto come nuovo profilo di illegittimità della sentenza (quarto motivo) - si tratti, in realtà, di una ulteriore esplicazione delle censure prospettate con l'originario atto di appello, sino a proporre un'interpretazione costituzionalmente orientata ed una eccezione di illegittimità costituzionale. Va disattesa, pertanto, l'eccezione dell'Amministrazione secondo la quale sarebbe violato il divieto di nova in appello; peraltro, certamente neppure prospettabile rispetto all'eccezione di illegittimità costituzionale.

10. E' opportuno soffermarsi sulle tesi dell'appellante e dell'Amministrazione, come si sono definitivamente articolate in sede di appello.

11. Il presupposto della tesi sostenuta dall'appellante è che, ai sensi dell'art. 698, co. 1, e dell'art. 705, co. 2 lett. c) c.p.p., le valutazioni attinenti alla sussistenza o meno del rischio non astratto di una pena a vita, lesiva di diritti fondamentali, spettino, oltre che al giudice ordinario, anche al Ministro.

Da tale premessa l'appellante trae due conseguenze:

a) la prima è che dinanzi al giudice amministrativo, quale giudice della legittimità del decreto, sia pure di "alta amministrazione", possono essere fatti valere quei profili di illegittimità - quali il difetto di istruttoria e il difetto di motivazione - che hanno condotto il Ministro a fare proprie le valutazioni del giudice ordinario, così non cogliendo l'erroneità di quella valutazione e fondando il proprio decreto su un erroneo presupposto, costituito dalla esclusione di ogni rischio, laddove, peraltro, il giudice ordinario aveva escluso solo il rischio concreto; invece, secondo l'appellante, l'erroneità emergerebbe dagli affidavit e da altri documenti prodotti dinanzi al giudice ordinario e non valutati dallo stesso, i quali smentirebbero la nota del Dipartimento di giustizia americano acquisita in quella sede; erroneità che sarebbe stata confermata dinanzi a questo Consiglio dalle sentenze della stessa Corte americana relative alla concreta applicazione della pena in casi identici, depositate dagli appellanti a confutazione delle note del Dipartimento americano dello stesso tenore della precedente, acquisite tramite l'istruttoria;

a1) in particolare, rispetto alla fattispecie, l'appellante deduce che se il Ministro avesse autonomamente istruito tale profilo, avrebbe potuto accertare la sussistenza di un rischio concreto di una pena a vita perché le conclusioni del giudice ordinario nel senso di un rischio meramente astratto - fondate sulla possibilità del giudice americano di applicare il criterio di comminazione della pena contemporaneamente/simultaneamente (con assorbimento dei reati in quello più grave) - sarebbero contraddette dal potere di quel giudice di applicare le pena cumulativamente/consecutivamente, pervenendo nella fattispecie concreta a irrogare 145 anni di detenzione; in un ordinamento con istituti che non consentono la riduzione dell'esecuzione in nome della funzione rieducativa della pena; tanto sarebbe stato già evincibile dagli affidavit e dagli altri documenti all'attenzione del giudice ordinario ed ora sarebbe dimostrato dalle sentenze americane prodotte nell'attuale giudizio di appello, dove il giudice applica il solo criterio cumulativo o, contemporaneamente per i diversi reati quello cumulativo e quello simultaneo, pervenendo comunque a pene altissime;

b) la seconda conseguenza, strettamente collegata, è che possono essere riproposte dinanzi al giudice amministrativo le stesse questioni, se erroneamente esaminate dall'autorità giudiziaria ordinaria e se il Ministro si sia limitato a richiamarle e a condividerle senza apprezzarle autonomamente ai fini dell'emanazione del proprio decreto, peraltro senza esercitare le valutazioni di ordine politico, sue proprie, che la stessa sentenza della Corte di cassazione del 2019 aveva fatto salve.

11.1. Sui suddetti presupposti l'appellante fonda sia la prospettazione di una interpretazione costituzionalmente orientata, sia la subordinata eccezione di illegittimità costituzionale.

11.2. Secondo l'appellante, il concreto pericolo della lesione di un diritto fondamentale (art. 3 CEDU, artt. 2 e 13 Cost.), che sarebbe integrato da una pena disumana quale il sostanziale ergastolo ostativo (art. 27, secondo comma Cost.), come riconosciuto da ultimo dalla CEDU e dalla Corte costituzionale, imporrebbe di interpretare gli artt. artt. 705, co. 2 lett. c) e 698, co. 1, c.p.p. - secondo i quali il giudice ordinario e il Ministro non possono concedere l'estradizione quando hanno ragione di ritenere che in danno dell'estradando sarebbe integrato presso lo Stato richiedente un sostanziale ergastolo ostativo, rispetto al quale devono valutare la sussistenza o meno di un concreto pericolo - nel senso che, qualora l'estradando abbia ottenuto una decisione sfavorevole dinanzi al giudice ordinario, possa prospettare la stessa questione dinanzi al giudice amministrativo, deducendo l'illegittimità del decreto concessivo dell'estradizione, che ha fatto proprie le conclusioni del primo giudice, per difetto di istruttoria sul punto dell'accertamento dell'esistenza o meno del pericolo della lesione di un diritto fondamentale.

11.3. In via subordinata, si dovrebbe sollevare la questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3 CEDU, 2, 27, secondo comma, e 3 Cost. - dell'art. 698, co. 1, c.p.p. e della L. 26 maggio 1984, n. 225, nella parte in cui recepisce l'art. IX del Trattato Italia - U.S.A., in quanto normativa che, nel complesso considerata, non contempla il divieto di estradizione per l'ipotesi di condanna all'"ergastolo", in via sostanziale o di fatto, ricomprensiva delle condanne che superano lungamente la durata media della vita umana, e rispetto alle quali al condannato sia sostanzialmente preclusa la possibilità di ottenere misure mitigatrici della pena irrogata, così consentendo l'estradizione a fronte di pene che si risolvono in trattamenti crudeli, disumani o degradanti; tanto anche per la disparità di trattamento cui vengono assoggettati i condannati alla pena capitale (tutelati) e quelli alla pena dell'ergastolo sostanzialmente o fattualmente ostativo (al contrario, non tutelati).

12. La opposta tesi dell'Amministrazione è incentrata sulle argomentazioni della sentenza gravata che hanno condotto a dichiarare la inammissibilità delle censure. Si aggiunge che, dopo la riforma del 2016 - che ha modificato l'art. 698, co. 2, attribuendo all'autorità giudiziaria ordinaria il potere di valutazione in ordine alla punibilità con la pena di morte di un reato secondo la legge dello Stato estero - anche per il comma 1 dell'art. 698, di interesse, la valutazione spetta solo al giudice ordinario, con la conseguenza che il decreto del Ministro non è sindacabile per questi profili, mediante riproposizione avanti al G.A. delle stesse doglianze già disattese dal giudice penale.

Nel merito, si sostiene che il rischio dell'ergastolo ostativo non sarebbe concreto, come risulterebbe anche dalla nota del Dipartimento di giustizia americano, depositata in esisto all'istruttoria del giudizio di appello.

13. Ritiene il Collegio che le prospettazioni dell'appellante non possono essere condivise.

In estrema sintesi, può dirsi che dalla corretta premessa dell'attribuzione di una doppia valutazione, in capo al giudice ordinario e al Ministro, in ordine al rischio concreto della lesione di un diritto fondamentale, non possono trarsi le conseguenze prospettate dall'appellante perché nell'ordinamento costituzionale sono rinvenibili due ostacoli strettamente collegati.

13.1. Il primo ostacolo è la differente finalizzazione delle due valutazioni, che conforma il relativo potere, in ragione dei diversi valori costituzionali tutelati. Rispetto al potere riconosciuto all'autorità giudiziaria ordinaria, i valori costituzionali tutelati sono quelli - risultanti dagli artt. 13, primo comma, 27 secondo comma e 111, settimo comma Cost. - della inviolabilità della libertà personale e della relativa tutela giurisdizionale. Rispetto al potere riconosciuto al Ministro, i valori costituzionali tutelati sono invece quelli - risultanti dagli artt. 10, 11 e 26 Cost. - che discendono dall'inserimento dello Stato Italiano nell'ordinamento internazionale e che tutelano l'estradizione del cittadino in tale contesto.

13.2. Il secondo ostacolo discende direttamente dall'assetto costituzionale del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, secondo il quale: - ai sensi dell'art. 103, primo comma Cost.: "Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi."; - ai sensi dell'art. 113, primo comma Cost.: "Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa."

14. Come correttamente sostiene l'appellante, gli artt. 698, co.1 e 705, co. 2, lett. c) c.p.p. attribuiscono il potere di valutazione rispettivamente al Ministro e al giudice ordinario.

14.1. I suddetti articoli sono sovrapponibili per la parte di interesse; infatti, nella formulazione vigente ed applicabile ratione temporis:

- l'art. 698 co. 1 prevede che "non può essere concessa l'estradizione...quando vi è ragione di ritenere che l'imputato o il condannato verrà sottoposto...a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona";

- l'art. 705, co. 2, lett. c) prevede che "La corte di appello pronuncia...comunque sentenza contraria all'estradizione:...c) se vi è motivo di ritenere che la persona verrà sottoposta...a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona".

14.1.1. La formulazione vigente dell'art. 705 c.p.p. cit. è frutto della novella del 2017 (art. 4, comma 1, lett. f), del D.Lgs. 3 ottobre 2017, n. 149 - ai sensi della L. 21 luglio 2016, n. 149, contenente delega al Governo per la riforma dell'intero libro XI del codice di procedura penale). Ma, tale sovrapposizione sussisteva anche prima della riforma attraverso la tecnica del rinvio, posto che il testo precedentemente in vigore era il seguente: "c) se vi è motivo di ritenere che la persona verrà sottoposta agli atti, alle pene o ai trattamenti indicati nell'articolo 698 comma 1.".

14.2. Ritiene il Collegio che non si possa concordare con la tesi, sostenuta dall'Amministrazione, secondo la quale la valutazione spetterebbe solo al giudice ordinario anche rispetto alle ipotesi previste dal comma 1 dell'art. 698, per effetto della riforma del 2016, che ha modificato l'art. 698, co. 2, attribuendo al solo giudice ordinario il potere di valutazione in ordine alla punibilità con la pena di morte di un reato secondo la legge dello Stato estero.

14.2.1. Accedendo a tale tesi, infatti, si perverrebbe ad una interpretazione abrogatrice della disposizione in argomento, la quale, invece, non è stata oggetto della riforma a carattere generale del 2017.

14.2.2. D'altra parte, la sostituzione del comma 2 dell'art. 698 - ad opera dell'art. 5, comma 1, della L. 21 luglio 2016, n. 149 - trova spiegazione nell'esigenza di innovare l'assetto dei poteri tra giudice ordinario e Ministro dopo la sentenza di illegittimità della Corte costituzionale n. 223 del 1996.

Infatti, per l'effetto di tale sentenza sul secondo comma originario dell'art. 698, sia il Ministro che l'autorità giudiziaria dovevano verificare - non più l'esistenza di sufficienti assicurazioni fornite dallo Stato richiedente in ordine alla non comminazione della pena di morte o alla non esecuzione della tessa, con evidente attribuzione di un ruolo pieno anche al Ministro - ma dovevano verificare l'esistenza della garanzia assoluta che nei confronti dell'estradando non sarebbe stata irrogata o eseguita la pena di morte. Così che, dopo la pronuncia di incostituzionalità, il margine di accertamento del Ministro diveniva oggettivamente residuale a fronte di un accertamento pieno compiuto dal giudice ordinario rispetto a condizioni tecnico-giuridiche idonee ad assicurare la non irrogazione o la non applicazione della pena di morte (sulla duplice valutazione di sufficienza e sul restringimento del margine di accertamento da parte del Ministro cfr. Cons. Stato, Sez. IV n. 3826 del 2007).

14.2.3. Con la riforma del 2016, poi, il secondo comma dell'art. 698, ha tratto le conseguenze ultime dell'oggettivo ridimensionamento del potere di valutazione del Ministro e, in piena sintonia con la dichiarazione di illegittimità costituzionale della precedente previsione, ha condizionato l'estradizione al solo accertamento da parte dell'autorità giudiziaria "che è stata adottata una decisione irrevocabile che irroga una pena diversa dalla pena di morte o, se questa è stata inflitta, è stata commutata in una pena diversa".

A completamento, la riforma del 2017 ha previsto solo nell'art. 705, co. 2 lett. c), il riferimento alla pena di morte.

15. L'attribuzione della duplice valutazione al Ministro e all'autorità giudiziaria ordinaria va interpretata alla luce dei principi costituzionali prima richiamati, ai quali si conforma il sistema normativo del quale le due disposizioni fanno parte.

15.1. Come noto, il procedimento necessario per accordare l'estradizione ha una struttura bifasica. La fase giurisdizionale, dinanzi al giudice ordinario cui l'art. 13 Cost. riserva la tutela della libertà personale, è anteposta a quella amministrativa ed è conformata come condicio sine qua non dell'estradizione, nel senso che questa è preclusa se non vi è una autorizzazione dell'autorità giudiziaria, ma l'autorizzazione non rende obbligatoria l'estradizione (art. 701 co. 1 e 3 c.p.p.).

Proprio questa struttura del procedimento e l'anteposizione della prima fase alla seconda richiamano direttamente, oltre che i corrispondenti valori costituzionali tutelati (artt. 13, 27 e 111, Cost., per la prima fase; artt. 10, 11 e 26 Cost., per la seconda fase) la diversità della tutela che l'estradando riceve; diversa, a seconda che la libertà personale sia l'unico ed esclusivo oggetto del potere di valutazione conferito al giudice ordinario (art. 705), o sia invece oggetto indiretto, in collegamento con la sfera dell'indirizzo politico-internazionale, che costituisce l'oggetto primario della valutazione da parte del Ministro.

In quest'ultimo caso, infatti, il potere di valutazione si esprime mediante un atto di alta amministrazione, latamente discrezionale, che alla luce di interessi superiori dello Stato, provvede su un oggetto specifico e circoscritto, finendo così con il disporre di interessi individuali (art. 698, co.1).

15.1.1. Su questa struttura, in funzione dei diversi valori costituzionali tutelati, si basa l'assetto costituzionale del riparto di giurisdizione: così, la prima fase è di esclusiva spettanza del giudice ordinario e la seconda fase è di esclusiva spettanza del giudice amministrativo, quale giudice dei soli interessi legittimi nei confronti di atti di alta amministrazione, non essendo prevista dalla legge alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva in materia.

Senza che, ovviamente, si possa anche solo ipotizzare uno strumento extra ordinem, che consenta una seconda rivalutazione del diritto fondamentale tutelato in via diretta, sia pure attraverso la suggestiva prospettazione di una illegittimità dell'atto amministrativo di alta amministrazione per difetto di istruttoria ed erroneità del presupposto.

15.1.2. Queste considerazioni impongono di escludere che il legislatore, quando ha dettato due disposizioni sovrapponibili (698 co. 1 e 705 co. 2 lett. c) - per la parte di interesse - rispetto al Ministro e al giudice ordinario, abbia voluto attribuire una doppia tutela giurisdizionale a tutela dei diritti fondamentali dell'estradando, che è la tesi cui tende l'appellante.

15.1.3. Questi sono, del resto, i principi concordemente applicati dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Sez. IV n. 344 del 1966, n. 1996 del 2000, n. 3826 del 2007, nn. 3404 e 3405 del 2018, n. 2752 del 2020).

15.2. In tale contesto ordinamentale, il potere di valutazione riconosciuto al Ministro dall'art. 698, co. 1 c.p.p. cit., rispetto al rischio concreto che il cittadino sia sottoposto nello Stato richiedente "a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona", è tutto inserito nella seconda fase del procedimento. La libertà personale, sulla quale pure è destinato ad incidere, può essere oggetto solo di tutela indiretta, e solo nella misura in cui risulti favorevole all'estradando la discrezionale valutazione dei valori costituzionali (artt. 10, 11 e 26 Cost.) posti a presidio dell'inserimento dello Stato Italiano nell'ordinamento internazionale, che tutelano il cittadino estradando, ma solo nel suddetto ambito.

15.2.1. Volendo individuare un caso concreto di valutazione dell'interesse pubblico protetto in via diretta, ma favorevole al singolo estradando, si può ipotizzare che, a fronte di una pronuncia del giudice ordinario la quale, sulla base di valutazioni tecnico-giuridiche dell'ordinamento dello Stato richiedente, non abbia rinvenuto un rischio concreto di lesione di diritti fondamentali, il Ministro ritenga di ravvisarlo in presenza di una situazione in atto (ad es. una guerra civile o simili) che, secondo l'esclusiva valutazione ministeriale, potrebbe esporre ad un rischio concreto il diritto fondamentale tutelato. In tali casi, l'estradando non avrebbe interesse a dolersi essendo stata negata la sua estradizione per decisione discrezionale del Ministro.

Ma, nel caso in cui, pur esistendo simile situazione ostativa di fatto - ragionevolmente non valutata dal giudice ordinario - il Ministro avesse concesso l'estradizione solo facendo proprie le determinazioni negative del giudice ordinario, l'interessato ben potrebbe far valere la lesione del proprio interesse legittimo, collegato alla lesione di diritti fondamentali, davanti al giudice amministrativo, lamentando la mancata valutazione della situazione in atto, proprio sulla base dell'art. 698 co. 1 in argomento.

15.2.2. Volendo, poi, individuare un analogo caso estremo, ipotizzando che il profilo centrale in questo giudizio non fosse proprio emerso dinanzi al giudice ordinario per ragioni oggettive, quale potrebbe essere un radicale mutamento in senso peggiorativo dell'ordinamento sanzionatorio e/o processuale dello Stato richiedente nelle more del rilascio dell'estradizione - e sempre che la questione ipotizzata non fosse stata dedotta dall'interessato nella prima fase del procedimento - si potrebbe sostenere la possibilità di dedurlo per la prima volta dinanzi al giudice amministrativo in sede di impugnazione di un decreto concessivo che non lo avesse valutato. Tuttavia, per scrutinarlo, il giudice amministrativo - potendo svolgere il proprio sindacato di legittimità del provvedimento impugnato secondo i parametri che regolano l'azione ministeriale anche con riguardo alla legalità costituzionale (cfr. Corte cost. n. 223 del 1996) - dovrebbe necessariamente sollevare una questione di legittimità costituzionale per l'assenza nell'ordinamento di una legge attributiva della giurisdizione su materia che, sia pure in via eccezionale, involge la possibile violazione di diritti fondamentali senza consentire la tutela assicurata al privato dall'art. 13 Cost., o, quantomeno, per l'assenza di una norma che consentisse la rimessione della valutazione al giudice ordinario, la cui fase si sia ormai conclusa.

15.2.3. All'evidenza, si tratta di ipotesi non integrate nella fattispecie concreta all'esame del Collegio.

15.3. L'art. 698 co. 1 in esame si inserisce perfettamente nell'ambito dei poteri di valutazione analoghi che fanno capo al Ministro in tema di estradizione.

15.3.1. In primo luogo si rinvengono nel corpo dello stesso comma 1 dell'art. 698: - rispetto al reato politico, la valutazione è di esclusiva valutazione del Ministro, anche in ragione di norme speciali del codice penale che subordinano la punizione alla richiesta del Ministro (art. 8 co. 3); rispetto "ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche", la valutazione è del giudice ordinario e del Ministro.

15.3.2. La stessa logica è alla base del potere ministeriale, di non dare corso alla domanda di estradizione, previsto dall'art. 697 c.p.p.:

a) quando l'estradizione "può compromettere la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato" (co. 1-bis);

b) quando "Fermo quanto previsto dal comma 1-bis", se "un accordo internazionale prevede il potere di rifiutare l'estradizione di un cittadino senza regolarne l'esercizio, il Ministro della giustizia rifiuta l'estradizione tenendo conto della gravità del fatto, della rilevanza degli interessi lesi dal reato e delle condizioni personali dell'interessato" (co. 1-ter).

15.3.3. Come pure, la stessa logica appare alla base della disposizione presente nell'art. 699 co. 3 c.p.p., dove, nell'ambito della regolazione del "principio di specialità", si prevede che "il ministro può ... subordinare la concessione dell'estradizione ad altre condizioni che ritiene opportune".

15.4. Sono questi i poteri di valutazione ministeriali che la Corte di cassazione, nella sentenza del 2019, fa salvi rimettendoli alla valutazione del Ministro, e tra essi non rientra, come erroneamente sostenuto dall'appellante, la rivalutazione delle condizioni per l'estradizione esaminate dall'autorità giudiziaria ordinaria.

15.5. Con riferimento alla non sussistenza di procedimenti penali pendenti o nei quali sia stata pronunciata una condanna irrevocabile, per gli stessi fatti oggetto dell'estradizione, nei confronti del cittadino, l'art. 705 co.1 c.p.p. attribuisce l'esclusivo potere di valutazione al giudice ordinario; mentre, rispetto a procedimenti pendenti o condanne pronunciate su fatti diversi, l'art. 709, co. 1 c.p.p. attribuisce al Ministro la facoltà di sospendere l'estradizione; in tal caso il potere è esercitato mediante un atto di alta amministrazione, essendo conferito in funzione dell'interesse dello Stato italiano a giudicare, in presenza, il soggetto nei cui confronti pendono procedimenti penali per altri fatti, ovvero a far eseguire nei suoi confronti una pena (Cons. Stato, Sez. IV n. 2752 del 2020).

15.6. Infine, nel sistema normativo, si inserisce perfettamente la previsione di cui al comma 1-quater dello stesso art. 697 c.p.p., secondo il quale "Il Ministro della giustizia concede l'estradizione della persona che ha prestato il consenso a norma dell'articolo 701, comma 2, sempre che non sussistano le ragioni ostative di cui all'articolo 705, comma 2."

Del tutto ragionevolmente, nel sistema come delineato, il potere ministeriale si espande e diventa esclusivo quando l'estradando - avendo dato il consenso all'estradizione - ha rinunciato alla valutazione delle ragioni di libertà personale da parte dell'autorità giudiziaria ordinaria.

16. Il decreto impugnato, quale atto conclusivo del procedimento bifasico descritto, fotografa per così dire, l'esercizio dei poteri coinvolti, come emerge chiaramente dal contenuto dello stesso (cfr. 3 e sottopartizioni).

Così, prioritariamente, dà atto dell'esistenza della condizione indispensabile, costituita dal passaggio in giudicato della sentenza del giudice ordinario, che dichiara l'esistenza delle condizioni per l'accoglimento della domanda di estradizione; nonché della condizione, ivi posta, della limitazione dell'estradizione alle condotte per le quali non è prevista l'irrogazione della pena dell'ergastolo (art. 701 co. 3).

Poi, passa in rassegna tutti gli ambiti di valutazione che si ricollegano: - ai poteri propri del Ministro (artt. 697 co. 1-bis, la compromissione della sovranità, sicurezza, altri interessi essenziali dello Stato; 698, co. 1, i reati politici); - ai poteri esclusivi dell'autorità giudiziaria (art. 698 co. 2, pena capitale); - ai poteri diversificati del Ministro e dell'Autorità giudiziaria (artt. 705 e 709, in riferimento ai procedimenti penali pendenti e alle sentenze emesse); - ai poteri sovrapposti del Ministro e dell'Autorità giudiziaria (art. 698 co. 1 e 705 co. 2 lett. c), rispetto agli altri profili oltre che a quelli oggetto della controversia in esame).

16.1. Rispetto ai poteri sovrapposti suddetti, in generale, può dirsi che, trattandosi di potere discrezionale collegato con la sfera di indirizzo politico-internazionale, il decreto che non ravvisi tali profili ostativi, come non li ha ravvisati il giudice ordinario (sia se nel processo relativo non siano emersi, sia che siano emersi e siano stati esclusi) può ben limitarsi a dare atto che non sono ravvisabili, senza ulteriore motivazione. Così come il Ministro può limitarsi a fare proprie, condividendole, le corrispondenti valutazioni del giudice ordinario -che hanno fondamento tecnico-giuridico - quando non ravvisa autonome valutazioni a carattere pubblicistico idonee a non dar corso all'estradizione. Tanto è proprio quanto avvenuto nel decreto oggetto della controversia.

17. Sulla base di tutte le argomentazioni che precedono, devono rigettarsi il secondo e il quarto motivo di appello ed è esclusa la percorribilità di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 698 co.1 c.p.p., come prospettata dall'appellante nel quarto motivo. Resta assorbita in quanto non rilevante la prospettata questione di illegittimità costituzionale.

18. Con il primo motivo di appello, si ripropone criticamente la censura (dedotta con primo motivo del ricorso originario e con il settimo dei relativi motivi aggiunti) attinente alla violazione dell'art. 697, co. 1-ter c.p.p.

La disposizione richiamata così testualmente recita:

"Fermo quanto previsto dal comma 1-bis, quando un accordo internazionale prevede il potere di rifiutare l'estradizione di un cittadino senza regolarne l'esercizio, il Ministro della giustizia rifiuta l'estradizione tenendo conto della gravità del fatto, della rilevanza degli interessi lesi dal reato e delle condizioni personali dell'interessato".

18.1. Il primo giudice ha fondato il rigetto sulla base delle essenziali argomentazioni che seguono:

a) la norma non pone in capo al Ministro "un obbligo di valutazione della gravità degli indizi", limitandosi ad attribuire una facoltà di rifiutare l'estradizione, la quale, solo se esercitata, genera in capo all'autorità procedente un obbligo di esternazione delle ragioni del diniego, da effettuarsi alla luce dei parametri indicati;

b) tale facoltà, alla luce di quanto previsto al comma 1-bis dello stesso articolo, espressamente richiamato, deve intendersi collegata ad un'esigenza di tutela della sovranità statale e non ad una garanzia dell'estradando, ulteriore rispetto a quella presidiata dalla fase davanti al giudice penale;

c) le "condizioni personali" dedotte dal ricorrente, quali l'essere cittadino incensurato, con normale vita familiare e titoli professionali, non sono di per sé idonee al rifiuto dell'estradizione in assenza di normativa specifica sul punto, dato il carattere discrezionale del potere di rifiutare l'estradizione;

c1) con la conseguenza, che il Ministro nello scegliere se concedere o meno l'estradizione, ove ritenga sussistere un'eventuale "compromissione della sovranità, della sicurezza o di altri interessi essenziali dello Stato" tutt'al più potrebbe valutare condizioni "particolari", strettamente legate a situazioni speciali che richiederebbero la permanenza in Italia dell'estradando nell'interesse nazionale, e non "ordinarie" come invece ritiene il ricorrente.

18.2. Il primo motivo di appello è infondato e va rigettato, anche sulla base delle recenti sentenze di questo Consiglio (Sez. IV, nn. 3404 e 3405 del 2018).

18.2.1. La riconducibilità dell'esercizio del potere del Ministro nell'ambito dei provvedimenti di alta amministrazione, in collegamento con la sfera dell'indirizzo politico-internazionale, risulta palese dal rinvio al precedente comma 1-bis contenuto nella disposizione in esame.

In tale ambito il decreto impugnato riconduce correttamente le "condizioni personali" addotte dall'interessato, quando argomenta che "non possano trovare accoglimento le argomentazioni dell'estradando contenute nell'istanza difensiva 30 luglio 2019" sulla base di "tutte le altre ragioni esposte".

18.2.2. Peraltro, nella fattispecie è assorbente una ulteriore considerazione.

La disposizione in esame attribuisce tale potere al Ministro solo allorquando "un accordo internazionale prevede il potere di rifiutare l'estradizione di un cittadino senza regolarne l'esercizio".

Invece, il Trattato italo-statunitense sopra richiamato prevede: - il reciproco obbligo di estradare per reati che danno luogo a estradizione (art. 1); - che danno luogo a estradizione i reati se punibili da entrambe le leggi con pena superiore a un anno; anche se tentativo o concorso con altri nell'ipotesi di ogni forma di associazione (art. 2); - che la parte richiesta fornirà i motivi di rigetto, anche parziale (art.13).

In definitiva, il Trattato regola e vincola ex ante, per questo profilo, l'esercizio del potere di rifiutare l'estradizione, con conseguente non applicabilità della disposizione invocata dall'appellante.

19. Con il terzo motivo di appello, si ripropone criticamente la censura (dedotta con l'ottavo motivo aggiunto dinanzi al T.a.r.) attinente la violazione dell'art. 708 c.p.p. per l'omessa indicazione nel decreto di estradizione della data e del luogo di consegna dell'estradando, assunta come rilevante rispetto all'efficacia dello stesso.

19.1. Il primo giudice ha rigettato la censura rilevando che dalla lettera dell'art. 708 emerge chiaramente come le citate indicazioni non integrano un contenuto necessario del decreto di estradizione, perché, ai sensi del comma 4, formano oggetto di apposita e successiva comunicazione dello Stato italiano allo Stato richiedente.

Ha aggiunto che, semmai, attengono alla efficacia del decreto, da valutare in sede esecutiva, ma non alla sua legittimità da vagliare in sede di legittimità.

19.2. L'appellante valorizza quest'ultima affermazione del T.a.r. e deduce una sostanziale omessa pronuncia sul profilo dell'incidenza delle omissioni del decreto sulla efficacia dello stesso, ai sensi del comma 6 dell'art. 708 c.p.p., rinvenendo una contraddizione rispetto all'ordinanza istruttoria del T.a.r. di acquisizione di documentazione attinente alla consegna dell'estradando.

19.3. La censura è infondata.

L'appellante non censura la ratio decidendi del primo giudice, il quale, richiamando il comma 4 dell'art. 708, ha messo in rilievo come le comunicazioni inerenti alla data e al luogo della consegna ineriscono al rapporto tra i due Stati.

Ed infatti, proprio al rapporto tra gli Stati, si riferisce il comma 6, in riferimento alla perdita di efficacia del decreto.

Peraltro, la consegna dell'estradando è regolata dall'art. XIII, paragrafo 3 del Trattato bilaterale con gli USA, il quale prevede un accordo in ordine alla data e al luogo di consegna. Come risulta dalla documentazione acquisita con l'ordinanza istruttoria del T.a.r., la consegna era stata concordata e poi rinviata per effetto del decreto presidenziale di sospensione del decreto di estradizione. Come prima precisato, il decreto di estradizione è stato nuovamente sospeso dopo la sentenza di rigetto.

Resta da aggiungere che è del tutto fuori dal perimetro di questo giudizio il rapporto tra la pendenza del giudizio amministrativo avverso il decreto di estradizione e le eventuali misure coercitive nei confronti dell'estradando, rispetto alle quali l'art. 714, comma 4-bis c.p.p. individua un periodo massimo di efficacia.

20. Infine, va dato atto che in appello non è stata riproposta una censura rigettata dal primo giudice, con conseguente passaggio in giudicato della relativa statuizione.

20.1. Si tratta della dedotta mancata specifica motivazione sull'istanza di diniego presentata al Ministro dall'estradando (quarto motivo di ricorso al T.a.r.)

21. In conclusione, alla luce delle considerazioni esposte, l'appello va rigettato.

22. In ragione della complessità e novità delle questioni esaminate, sono integralmente compensate le spese processuali del grado.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Compensa integralmente le spese processuali del grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l'appellante.

Così deciso dal Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2020, ai sensi dell'art. 84 del D.L. n. 18 del 2020, con l'intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi, Presidente

Daniela Di Carlo, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Alessandro Verrico, Consigliere

Giuseppa Carluccio, Consigliere, Estensore