L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica: a) se l’evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si è verificato per colpa (anche "lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali; c) se l’evento si è verificato per colpa (anche "lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto; d) se l’evento si è verificato per colpa "grave" da Imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni, di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico".
Risulta più favorevole in relazione alle contestazioni per comportamenti del sanitario - commessi prima della entrata in vigore della legge Gelli-Bianco - connotati da negligenza o imprudenza, con configurazione di colpa lieve, che solo per il decreto Balduzzi erano esenti da responsabilità quando risultava provato il rispetto delle linee-guida o delle buone pratiche accreditate.
L’errore del sanitario, ex se, non vale a tradursi nell’immediato riconoscimento della responsabilità penale. Nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, deve necessariamente farsi luogo ad un ragionamento controfattuale che deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività richiesta al sanitario (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale.
Corte di Cassazione
sez. IV Penale, sentenza 11 dicembre 2020 – 3 febbraio 2021, n. 4063
Presidente Ciampi – Relatore Bruno
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 7/5/2019, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Ivrea, ha concesso a V.G. , radiologo in servizio presso l’ospedale di Chivasso, i doppi benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato penale, confermando nel resto la pronuncia di responsabilità a carico del sanitario per il reato di omicidio colposo in danno del paziente R.D. , occorso in data (omissis) a causa di una emorragia cerebrale.
Era contestato all’imputata, medico radiologo in servizio presso l’ospedale di (…), di non avere evidenziato nel referto dalla stessa stilato, all’esito della TAC effettuata sul paziente in data (…), la presenza di lesioni encefaliche, di edema cerebrale e di sanguinamento intracranico. Tale comportamento avrebbe indotto il medico di pronto soccorso che aveva richiesto l’esame diagnostico a dimettere il paziente, senza provvedere ad ulteriori approfondimenti. Sarebbe stato invece necessario il ricovero del R. in un reparto specializzato di neurochirurgia ed una consulenza neurologica.
2. Avverso la sentenza di condanna ha proposto ricorso per cassazione l’imputata a mezzo del difensore, lamentando quanto segue.
2.1 Mancata applicazione del D.L. n. 158 del 2012, art. 3 convertito in L. n. 189 del 2012.
La pronuncia di responsabilità, lamenta la difesa, attribuisce alla ricorrente una colpa dovuta a negligenza, per non avere individuato nella TAC la lesione encefaica presente nel paziente, pur prendendo atto che essa era sfuocata e che soltanto un radiologo di grande esperienza e specializzato avrebbe potuto individuare tale patologia. In atti anche lo specialista radiologo, Dott. F. , chiamato a visionare la TAC per conto del perito C. , ha dichiarato di non avere la specialità adeguata per compiere una valutazione di quell’esame.
La Corte di merito, nell’esame della penale responsabilità dell’imputata non avrebbe considerato i parametri normativi di cui all’art. 3 della cd. legge Balduzzi, ascrivendo alla imputata una colpa non individuabile alla stregua del comportamento serbato (la imputata sarebbe stata negligente se si fosse rifiutata di refertare l’esame) ed omettendo anche di valutare il grado della colpa ascrivibile alla imputata.
Come evidenziato nell’atto di appello, la dottoressa V. era stata chiamata a refertare una TAC senza metodo di contrasto. Ogni successiva decisione in ordine alla gestione del paziente era di competenza del medico di pronto soccorso.
Erano assenti dal comportamento della imputata anche profili di responsabilità ascrivibili ad imprudenza o imperizia. La V. infatti ha spiegato le ragioni per cui non aveva individuato il lieve spandimento emorragico attraverso l’esame strumentale ed ha riferito che il paziente accusava una semplice cefalea, la quale, era anche in regressione dopo la somministrazione di un antidolorifico.
Dagli atti emerge inoltre che la condotta della ricorrente era stata assolutamente conforme alle linee guida vigenti che regolano l’attività del medico radiologo.
La responsabilità sarebbe dunque da ascriversi al comportamento imperito del sanitario del Pronto soccorso che aveva in carico il paziente, il quale, investito per primo della conoscenza del caso, non ha applicato le linee guida vigenti le quali prevedono, in caso di sospetta ESA (emorragia subaracnoidea), l’esecuzione di una rachicentesi anche al cospetto di una TAC negativa.
La Corte di merito non avrebbe tenuto conto che il medico radiologo non ha partecipato all’attività di anamnesi del paziente, non essendo suo compito effettuarla. La ricorrente si sarebbe attenuta alle linee guida, effettuando l’accertamento richiesto dal medico del pronto soccorso. L’esecuzione di una puntura lombare ed il consulto con uno specialista erano di esclusiva competenza di quest’ultimo, il quale avrebbe dovuto procedervi anche in caso di TAC negativa, essendo tale evenienza possibile.
2.2 Mancata applicazione della L. n. 24 del 2017, art. 6.
La difesa lamenta come la Corte di appello, nella valutazione del caso, non abbia tenuto conto della norma citata, mancando di valutare il comportamento della imputata in relazione alle linee guida a cui doveva attenersi. Un’attenta lettura delle risultanze della perizia rivela che i due specialisti, a cui il medico legale aveva demandato l’incarico di valutare la TAC, hanno fornito pareri discordanti. Ciò avrebbe dovuto indurre la Corte di merito a considerare più attentamente la responsabilità della prevenuta. Il radiologo Dott. F. , il cui parere è riportato nella perizia della Dott.ssa C. , ha sottolineato come l’esame, se non analizzato da un esperto in nEuroradiologia poteva indurre in errore un radiologo generalista.
Avrebbe dovuto quindi trovare applicazione l’ipotesi di non punibilità contemplata nell’art. 6 dalla legge Gelli-Bianco.
medico di pronto soccorso che ebbe in carico il R. non esplicitò al radiologo alcun sospetto clinico. La decisione di sottoporre ad esame TAC il R. aveva immesso il paziente in un perocorso diagnostico che avrebbe dovuto risolversi in una TAC positiva o in un successivo approfondimento rappresentato dalla puntura lombare (tali sono anche le indicazioni che si ricavano dalle linee guida Spedali Civili di Brescia in caso di TC negativa per sospetta ESA).
L’errore di refertazione di cui si tratta è possibile e ampiamente previsto in letteratura scientifica e nelle linee guida relative ai pazienti affetti da ESA.
2.3 Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
La Corte di appello di Torino, nel rigettare le argomentazioni poste a fondamento dell’atto di appello e dei successivi motivi aggiunti, non ha tenuto conto delle numerose contraddizioni emergenti nel corpo della perizia. I due esperti radiologhi si sono espressi in termini diversi circa la possibilità di individuare la emorragia. Sulla base di tale opposta lettura, appare inspiegabile la conclusione a cui perviene il perito in ordine alla condotta professionale della V. .
La Corte di merito escluderebbe l’operatività delle linee guida citate e prodotte dalla difesa, afferenti al caso di specie, affermando laconicamente che non vi sono linee guida che consentano "omissioni di approfondimenti in presenza di referto Tac sfuocato e tanto più se non letto da radiologo esperto".
La lettura degli "Appunti del Consiglio Superiore di Sanità", nella seduta del 27/1/09, fornita dal perito in ordine al comportamento del sanitario di turno al pronto soccorso non sarebbe condivisibile: tali appunti prevedono una serie di attività da compiersi a cura del medico di pronto soccorso. Nulla dicono in ordine alla formazione e informazione dei medici radiologi. Di qui la contraddizione delle conclusioni a cui perviene la perizia.
La impugnata sentenza sarebbe contraddittoria sotto il profilo motivazionale: si configura come negligente la condotta della prevenuta che redige un referto negativo, pur dandosi atto - sulla base delle risultanze peritali - come il rischio di una TAC negativa sia ampiamente previsto e documentato nelle linee guida internazionali e nazionali sopra citate. Sul punto si evidenzia che la stessa Dott.ssa C. , a pag. 21 della perizia, scrive "in una percentuale media del 10% circa dei casi in cui si sospetta per la sintomatologia un’emorragia subarcanoidea, l’accertamento diagnostico specifico, l’angiografia cerebrale può risultare negativo", "...se questo non dovesse mostrare l’evento emorragico e la sintomatologia clinica risultasse caratteristica, è necessario eseguire una puntura lombare che è in grado di evidenziare l’eventuale presenza di liquor nel sangue".
La lettura di tutte le risultanze processuali sopra citate in combinato tra loro, ragionevolmente avvalorerebbe la contraddittorietà motivazionale evidenziata e l’erronea attribuzione alla dottoressa V. di compiti e competenze non di sua pertinenza. Come recentemente affermato dalla Corte di Cassazione, il compito del radiologo è di eseguire l’esame radiografico ed interpretarlo, mentre ogni altra decisione sull’eventuale esecuzione di ulteriori esami spetta al medico che ha in cura il paziente.
3. Nei termini di legge hanno rassegnato conclusioni scritte per l’udienza camerale senza discussione orale (D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8) il P.G., la difesa di parte civile e la difesa dell’imputato.
Il P.G. ha chiesto il rigetto del ricorso.
La difesa di parte civile ha chiesto il rigetto del ricorso dell’imputato, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese legali relative al presente grado di giudizio.
La difesa dell’imputato, nel riportarsi ai motivi di ricorso, ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto nei termini di seguito precisati.
2. Il fatto, come descritto nelle sentenza di merito, può essere così riassunto. In data (omissis), R.D. era trasferito, a bordo di un’ambulanza, presso l’Unità operativa del Pronto Soccorso di (…), in quanto affetto da cefalea retronucale e cervicalgia. A seguito di tomografia computerizzata, la radiologa, dottoressa V. , attestava quanto segue: "non si rivelano lesioni focali encefaliche sovra e sottotentoriali, nè raccolte ematiche sottotecali in atto. I ventricoli sono regolari per ampiezza e morfologia. Le strutture della linea mediana sono in asse".
Il R. era dimesso dal medico di Pronto soccorso con prescrizione di terapia analgesica e miorilassante. Successivamente, in data (omissis) , veniva colpito da un’acuta cefalea che lo portava ad uno stato di coma. Le sue condizioni si aggravavano, nonostante l’intervento chirurgico praticato sulla sua persona, con esito mortale causato da una emorragia cerebrale massiva.
La Corte di merito, condividendo le giustificazioni espresse da primo giudice, ha confermato la pronuncia di responsabilità a carico della imputata, osservando che tutti gli specialisti che si erano occupati della vicenda avevano concordato sull’erroneità della lettura della tomografia encefalitica da parte dell’imputata ed aggiungendo che la constatazione del Dott. F. - radiologo che aveva affiancato la Dott.ssa C. nell’espletamento della perizia sul caso - il quale aveva ammesso che non era in grado di interpretare correttamente quella tomografia computerizzata, benché avesse una lunga esperienza quale primario radiologo, dimostrava come l’imputata fosse stata negligente nel rilasciare la certificazione.
La sua negligenza, si legge in motivazione, era accresciuta dai fatto che la ricorrente aveva ammesso che il risultato della TAC era sfuocato e che solo un radiologo esperto e specializzato avrebbe potuto individuare tale patologia.
In altro passaggio della motivazione si accenna alla grave imperizia e alla grave la negligenza della ricorrente. Si afferma pure che il richiamo alle linee guida nel presente caso sono del tutto inconferenti.
3. Fatta tale premessa, occorre rilevare come la Corte territoriale, nella disamina dei fatti, non abbia offerto un quadro soddisfacente della vicenda nella parte in cui si è occupata di illustrare gli aspetti riguaranti i profili di colpa emergenti in capo al sanitario ed il grado della colpa, il rapporto di causalità tra condotta ed evento, il giudizio controfattuale.
L’introduzione, ad opera del D.L. 13 settembre 2012, n. 158 (convertito, con modificazioni, dalla L. 8 novembre 2012, n. 189, c.d. decreto Balduzzi) del parametro di valutazione dell’operato del sanitario costituito dalle linee-guida e dalle buone pratiche clinico-assistenziali, con la successiva conferma di tale parametro ad opera della L. 8 marzo 2017, n. 24, ha modificato i termini del giudizio penale imponendo al giudice, non solo una compiuta disamina della rilevanza penale della condotta colposa ascrivibile al sanitario alla luce di tali parametri ma, ancor prima, un’indagine che tenga conto dei medesimi parametri allorché si accerti quello che sarebbe stato il comportamento alternativo corretto che ci si doveva attendere dal professionista, in funzione dell’analisi controfattuale della riferibilità causale alla sua condotta dell’evento lesivo.
La motivazione ha tralasciato di indicare se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali. Ha poi trascurato di considerare il nesso di causa, tenendo conto del comportamento salvifico indicato dai predetti parametri e di specificare chiaramente se si sia trattato di colpa per imperizia, negligenza o imprudenza.
Ha quindi mancato di indicare il grado della colpa, in relazione al quale viene in considerazione l’aspetto, appena lambito, della difficoltà di lettura della TAC, ammesso peraltro da uno dei componenti del collegio peritale esperto in radiologia.
Proprio dall’imprescindibile grado della colpa discendono conseguenze rilevantissime, come ha messo in evidenza la difesa.
Il grado della colpa, alla luce del decreto Balduzzi, è la premessa indispensabile per discernere l’ambito del penalmente rilevante nella materia della colpa medica (L. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3: "L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve").
In seguito all’entrata in vigore della legge Balduzzi, accanto a sentenze nelle quali si ritiene necessario accertare "se vi sia stato un errore determinato da una condotta negligente o imprudente" pur a fronte del rispetto di linee guida accreditate presso la comunità scientifica (Sez. 4, n. 18430 del 05/11/2013 - dep. 2014, Loiotila, Rv. 261294), ve ne sono altre secondo le quali la disciplina di cui all’art. 3 della legge Balduzzi, pur trovando terreno d’elezione nell’ambito dell’imperizia, può tuttavia venire in rilievo anche quando il parametro valutativo della condotta dell’agente sia quello della diligenza (Sez. 4, n. 47289 del 09/10/2014, Stefanetti, Rv. 260739), o comunque in ipotesi di errori connotati da profili di colpa generica diversi dall’imperizia (Sez. 4, n. 23283 del 11/05/2016, Denegri, Rv. 266903).
Con l’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco, il parametro dell’imperizia ha assunto maggior rilievo. Dopo una travagliata vicenda interpretativa, la questione della corretta interpretazione da conferire alla L. n. 24 del 2017, art. 6 (introduttivo dell’art. 590-sexies c.p.) è stata devoluta alle Sezioni Unite, le quali hanno affermato il seguente principio di diritto: "L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica: a) se l’evento si è verificato per colpa (anche "lieve") da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si è verificato per colpa (anche "lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali; c) se l’evento si è verificato per colpa (anche "lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto; d) se l’evento si è verificato per colpa "grave" da Imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni, di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico" (Sez. U, n. 8770 del 21/12/2017, dep. 22/02/2018, ric. Mariotti).
In conseguenza di tale assetto normativo ed interpretativo, si dovrà anche verificare in concreto quale sia la legge penale più favorevole, in relazione a fatti risalenti ad epoca antecedente all’ultimo intervento legislativo, come nel presente caso.
Ciò, evidentemente, in virtù di quanto previsto dalle disposizioni che stabiliscono la retroattività della legge più favorevole.
Con riferimento a tale ultimo profilo" sempre la pronuncia delle Sezioni Unite, Mariotti e altro, recependo approdi già delineatisi, ha precisato che il precetto di cui alla L. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3 "risulta più favorevole in relazione alle contestazioni per comportamenti del sanitario - commessi prima della entrata in vigore della legge Gelli-Bianco - connotati da negligenza o imprudenza, con configurazione di colpa lieve, che solo per il decreto Balduzzi erano esenti da responsabilità quando risultava provato il rispetto delle linee-guida o delle buone pratiche accreditate. In secondo luogo, nell’ambito della colpa da imperizia, l’errore determinato da colpa lieve, che sia caduto sul momento selettivo delle linee-guida e cioè su quello della valutazione della appropriatezza della linea-guida era coperto dalla esenzione di responsabilità del decreto Balduzzi (v. Sez. 4, n. 47289 del 09/10/2014, Stefanetti, non massimata sul punto), mentre non lo è più in base alla novella che risulta anche per tale aspetto meno favorevole. In terzo luogo, sempre nell’ambito della colpa da imperizia, l’errore determinato da colpa lieve nella sola fase attuativa andava esente per il decreto Balduzzi ed è oggetto di causa di non punibilità in base all’art. 590-sexies, essendo, in tale prospettiva, ininfluente, in relazione alla attività del giudice penale che si trovi a decidere nella vigenza della nuova legge su fatti verificatisi antecedentemente alla sua entrata in vigore, la qualificazione giuridica dello strumento tecnico attraverso il quale giungere al verdetto liberatorio" (così in motivazione la già citata Sez. U n. 8770 del 21/12/2017, dep. 22/02/2018, Mariotti e altro, Rv. 272174 - 01).
In conclusione, la Corte di merito avrebbe dovuto verificare la esistenza di linee guida, stabilire il grado di colpa tenendo conto del discostamento da tali linee guida o, comunque, del grado di difficoltà dell’atto medico, stabilendo la qualità della colpa (imprudenza, negligenza imperizia) ed il suo grado al fine di verificare se il caso rientri in una delle previsioni più favorevoli.
4. Parimenti carente è l’aspetto riguardante il profilo del giudizio controfattuale, che non viene percorso dal giudice d’appello il quale non si interroga, come avrebbe dovuto, sulle conseguenze salvifiche di un intervento appropriato del sanitario.
L’errore, ex se, non vale a tradursi nell’immediato riconoscimento della responsabilità penale. Nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, deve necessariamente farsi luogo ad un ragionamento controfattuale che deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività richiesta al sanitario (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale (Sez. 4, Sentenza n. 30469 del 13/06/2014, Rv. 262239 - 01).
5. Ne deriva l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte di appello di Torino cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti nel presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello di Torino cui demanda anche la regolamentazione fra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.