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Errore medico, quali danni risarcibili? (Tr. Rieti, 9/11/2018)

9 novembre 2018, Tribunale di Rieti

Tutte le fattispecie di responsabilità sanitaria ricadono nell'ambito della responsabilità contrattuale, con la conseguenza dell'applicazione dei correlativi regimi della ripartizione dell'onere della prova, del grado della colpa e della prescrizione, tipici delle obbligazioni da contratto d'opera professionale.

In tema di responsabilità civile, per l'accertamento del nesso causale tra condotta illecita ed evento di danno - che incombe al danneggiato - non è necessaria la dimostrazione di un rapporto di consequenzialità necessaria tra la prima ed il secondo, ma è sufficiente la sussistenza di un rapporto di mera probabilità scientifica. Ne consegue che il nesso causale può essere ritenuto sussistente non solo quando il danno possa ritenersi conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne risulti conseguenza "altamente probabile e verosimile", secondo la regola del "più probabile che non" o della "preponderanza dell'evidenza", da ritenersi criterio di giudizio non sovrapponibile a quello penalistico dell'"oltre ogni ragionevole dubbio".

Il risarcimento del danno alla persona ha struttura bipolare, ossia di danno patrimoniale e non patrimoniale e che quest'ultimo comprende il danno biologico in senso stretto (inteso come lesione all'integrità psicofisica della persona), il danno morale come tradizionalmente inteso (inteso come sofferenza morale, non necessariamente transeunte, turbamento dello stato d'animo del danneggiato), nonché tutti quei pregiudizi diversi e ulteriori, purché costituenti conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente protetto ovvero di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona: danno biologico, morale, esistenziale integrano solo voci o profili di danno, con contenuto descrittivo, considerando che, attesa la natura e la funzione puramente risarcitoria della responsabilità aquiliana, deve essere liquidato tutto il danno, evitando la duplicazione dello stesso.

Nell'adeguamento personalizzato del risarcimento per il danno non patrimoniale, il Giudice di merito non potrà limitarsi a liquidare la componente 'sofferenza soggettiva', cumulativamente al danno cd. biologico, mediante applicazione automatica di una quota proporzionale (di regola pari ad 1/3) del valore del danno biologico (...) ma dovrà preliminarmente verificare se e come tale specifica componente del danno non patrimoniale sia stata allegata e provata dal soggetto che ha azionato la pretesa risarcitoria, provvedendo successivamente -in caso di esito positivo della verifica - ad adeguare la misura della reintegrazione del danno non patrimoniale, indicando il criterio di 'personalizzazione' nella specie adottato, che dovrà risultare coerente logicamente con gli elementi circostanziali ritenuti rilevanti ad esprimere la intensità e la durata della sofferenza psichica.

Il danno morale, conseguente alle lesioni, va sempre provato, sia pure per presunzioni, non sussistendo alcuna automaticità parametrata al danno biologico patito. E' pertanto il danneggiato ad essere onerato dall'allegazione di tutte le circostanze utili ad apprezzare la concreta incidenza della lesione patita in termini di sofferenza/turbamento e della prova degli stessi, anche mediante lo strumento delle presunzioni.

Sicchè il giudice, sulla base delle allegazioni e delle prove acquisite al processo e/o delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, se reputa che la "voce" del danno non patrimoniale intesa come "sofferenza soggettiva" non sia adeguatamente ristorata, in considerazione del complessivo danno non patrimoniale subito dal soggetto, con la sola applicazione dei predetti valori monetari, è tenuto ad operare un' "adeguata personalizzazione" del danno non patrimoniale , liquidando, congiuntamente ai valori monetari di legge, una somma ulteriore che risarcisca integralmente il pregiudizio patito dalla vittima.

Va risarcito il danno non patrimoniale iure proprio del congiunto, evidenziandone la risarcibilità non solo in caso di perdita ma anche di mera lesione del rapporto parentale: esso però consiste non già nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità, bensì nello sconvolgimento dell'esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, nonchè nella sofferenza interiore derivante dal venir meno del rapporto. Il risarcimento, pertanto, può essere riconosciuto e liquidato, anche in via equitativa, solo se sia stata fornita la prova che il decesso o la lesione abbiano inciso negativamente sulla salute dei congiunti, determinando una qualsiasi apprezzabile permanente patologia o l'aggravamento di una patologia preesistente.

Va fatto il distinguo netto fra danno non patrimoniale alla capacità lavorativa generica e danno patrimoniale alla capacità lavorativa specifica, precisandosi che, in caso di illecito lesivo della integrità psicofisica della persona, la riduzione della capacità lavorativa generica, quale potenziale attitudine alla attività lavorativa da parte di un soggetto che non svolge attualmente attività produttive di reddito, né sia in procinto presumibilmente di svolgerla, sarebbe risarcibile come danno biologico nel quale dovrebbero essere ricompresi tutti gli effetti negativi del fatto lesivo che incidono sul bene della salute in sé considerato (Cass. civ., sez. III, 25 agosto 2014, n. 18161; Cassazione civile sez. III, 01 dicembre 2009; Cassazione civile sez. III, 14 giugno 2012, n. 9708, secondo cui "nella nozione di danno biologico rientrano tutte le ipotesi di danno 'non reddituale', compresi i danni alla vita di relazione e i danni da riduzione della capacità lavorativa generica").

Ebbene, con riguardo al caso di specie, può dirsi provata solo la circostanza per cui, al momento dell'incidente, il R.E. svolgesse attività lavorativa nel campo dell'edilizia, mentre appare logicamente plausibile la circostanza che, per effetto e in conseguenza dell'evento lesivo, non abbia più potuto svolgerla in seguito.

Quello che, tuttavia, non è stato provato dal danneggiato è la perdita della capacità di attendere ad altri lavori confacenti alle sue attitudini personali. Come si è detto, infatti, non è sufficiente, ai fini dell'assolvimento dell'onus probandi richiesto al danneggiato in tema di perdita di capacità lavorativa specifica, limitarsi ad affermare che l'odierno attore è ad oggi disoccupato, essendo la perdita di capacità lavorativa generica già ricompresa nel danno biologico e nella sua personalizzazione.

 

TRIBUNALE di RIETI - SEZIONE CIVILE

Tribunale Rieti, Sent., 09/11/2018

Dott. Verico

Il Tribunale, in composizione monocratica in persona del giudice dott. Gianluca Verico, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. 54 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2016 vertente tra:

R.E., D.S.G. sia in proprio che nella qualità di esercente la potestà sui minori R.L. e R.N., R.L., R.E., R.M., R.A., con l'avv. CC , giusta procura in atti

ATTORI

E

AZIENDA U.S.R., in persona del legale rappresentante p.t., con l'avv. PA , giusta procura in atti

CONVENUTO

E

AZIENDA P.U. I, in persona del legale rappresentante p.t., con l'avv. MR, giusta procura in atti

CONVENUTO

OGGETTO: risarcimento danni da responsabilità medica

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con atto di citazione ritualmente notificato gli attori indicati in epigrafe convenivano, innanzi a questo Tribunale, Azienda U.R. e l'Azienda P.U. I per sentire accogliere le seguenti conclusioni:

"Piaccia all'On.le Tribunale adito, contrariis reiectis, per tutte le motivazioni espresse in narrativa, accogliere la presente domanda e, per l'effetto - accertata e dichiarata la condotta professionale colposa tenuta dai sanitari del reparto di Medicina Interna del P.R. e dell'U.O. del P. "U. I" di R., che ebbero in cura il sig. R.E., sotto l'eventuale profilo della negligenza, per non aver approntato tempestivamente una corretta terapia farmacologica che il caso richiedeva, al fine di limitare il danno in occhio sinistro ed evitare l'interessamento della NOIA all'occhio controlaterale, così come stabilito dalla CTU espletata dalla dr.ssa M.A.C. nell'ambito del giudizio per A.T.P. iscritto al n.1560/2014 R.G., Pres. Istr. Dott. Oddi - condannare le convenute al pagamento in favore degli attori di tutte le somme dovute a titolo di risarcimento del danno, biologico, morale, esistenziale, di vita di relazione, e patrimoniale, quantificati nella misura meramente indicativa di Euro 260.000,00 per il R.E., ed in Euro 100.000,00 per ciascun congiunto, o in quella maggiore o minore che risulterà di giustizia anche a seguito di espletanda CTU, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data del fatto illecito, nonché al rimborso dei costi (Consulenza Tecnica d'Ufficio e spese legali) sostenuti nell'ambito del giudizio di accertamento tecnico preventivo n.1560/2014, Pres. Istr. Dott. Oddi. Con vittoria di spese e competenze di giudizio, ivi compreso quello di A.T.P. svoltosi presso l'intestato Tribunale (iscritto al n.1560/2014 R.G., Pres. Istr. Dott. Oddi), ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, oltre IVA, CAP e rimborso spese generali come per legge, da distrarsi in favore del sottoscritto procuratore che si dichiara antistatario".

La domanda svolta dagli attori ha ad oggetto, in estrema sintesi, la condanna di Azienda U.R. e l'Azienda P.U. I al risarcimento dei danni patiti in conseguenza degli interventi sanitari effettuati nei confronti del R.E., innanzitutto, presso il P.S.D. dove si recava in data 30 marzo 2011 a causa di riduzione dell'acuità visiva dell'occhio sinistro (il 5 aprile 2011 veniva dimesso "in buone condizioni cliniche" con la diagnosi " neuropatia ottica ischemica sinistra, Cataratta ODX, Diabete mellito malcontrollato, iniziale retinopatia diabetica, dislipidemia mista") e, successivamente, presso il P.S. del P.U. I di R., dove si recava in data 8 aprile 2011 a causa della persistenza della riduzione del visus (veniva formulata la diagnosi "sospetta otticopatia ischemica anteriore in paziente con cataratta evoluta in od"). Deduceva il R.E. che presso quest'ultima struttura si recava numerose volte nei mesi successivi per eseguire controlli e sottoporsi ad intervento alla cataratta e, inoltre, stante l'insorgenza di disturbi del tono dell'umore conseguenti al suo quadro clinico, si rivolgeva al Centro di Salute Mentale di S. Elpidio (A. di R.), che certificava che il paziente era affetto da "depressione maggiore e marcata sindrome ansiosa. Il quadro psicopatologico compromette fortemente le abilità del paziente". Successivamente, si sottoponeva a numerose visite mediche da parte di diverse strutture, da ultimo il "Centro de oftalmologìa Barraquer" di Barcellona (Spagna), per una ulteriore visita specialistica. Rilevava, parte attrice, che le molteplici visite effettuate confermavano l'aggravamento delle condizioni del visus e deduceva, pertanto, la grave responsabilità dei sanitari che lo ebbero in cura presso la Azienda U.R. e l'Azienda P.U. I.

Sulla scorta delle suesposte considerazioni, parte attrice concludeva come sopra riportato, in particolare precisando nella comparsa conclusionale il risarcimento dei seguenti danni: "- per il sig. R.E. nella misura di Euro 434.796,25 per il danno biologico ed Euro 341.220,00 per il danno patrimoniale, derivante dal mancato guadagno, o nella somma maggiore o minore che verrà di giustizia secondo il prudente apprezzamento del Giudice adito; - per la sig.ra D.S.G., in Euro 28.440,00 da maggiorarsi della personalizzazione del danno (max 49%), a titolo di danno biologico, oltre ad Euro 100.000,00, a titolo di danno esistenziale, o nella somma maggiore o minore che verrà ritenuta di giustizia, secondo il prudente apprezzamento del Giudice adito, a titolo di danno esistenziale/morale e di relazione subito e subendo; - per ciascun figlio, in Euro 100.000,00, a titolo di danno esistenziale, o in quella maggiore o minore che risulterà di giustizia secondo il prudente apprezzamento del Giudice adito per il risarcimento, personalizzato, del danno esistenziale/morale e di relazione subito e subendo; - il tutto maggiorato degli interessi legali e rivalutazione monetaria dalla data del fatto illecito".

Si costituiva in giudizio Azienda U.R. che, contestata la prospettazione avversaria, chiedeva l'accoglimento delle seguenti conclusioni: "...rigettare ogni domanda attorea in quanto infondata in fatto ed in diritto e comunque, non provata. In via subordinata, nella denegata ipotesi di accoglimento anche parziale della avversa domanda, valutata la responsabilità dei sanitari della A.R. e di quanti altri presso ulteriori strutture eventualmente ritenuti responsabili esclusivi o concorrenti ex art. 1227, comma II e I, c.c., escludere o ridurre l'entità del risarcimento del danno a carico della convenuta A.R. nei limiti percentuali di effettiva dovuta attribuzione. Vittoria di spese, competenze ed onorari di giudizio".

Si costituiva in giudizio anche l'Azienda P.U. I, chiedendo dichiararsi, in via preliminare, l'improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria e, nel merito, il difetto del nesso causale tra quanto lamentato da parte attrice e l'attività posta in essere dai sanitari del P.U. I di R. per i fatti di causa, con conseguente rigetto di tutte le domande. In via subordinata, nella denegata ipotesi in cui venisse riconosciuta una sua qualche responsabilità nella vicenda, accertarsi la responsabilità esclusiva o concorrente della convenuta A. di R..

In corso di causa, disposta l'acquisizione del fascicolo dell'ATP r.g. n. 1560/2014 in cui veniva depositata la relazione peritale svolta dal CTU nominato sulla persona del R.E., veniva altresì espletata CTU medico-legale sulla persona di D.S.G..

All'udienza del 3/7/2018, la causa veniva trattenuta per la decisione previa assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

1.La domanda è parzialmente fondata e va accolta per quanto di ragione.

Deve in primo luogo rilevarsi che la consolidata giurisprudenza di legittimità e di merito, a partire dagli anni novanta, ha gradualmente fatto confluire tutte le fattispecie di responsabilità sanitaria nell'ambito della responsabilità contrattuale, con la conseguenza dell'applicazione dei correlativi regimi della ripartizione dell'onere della prova, del grado della colpa e della prescrizione, tipici delle obbligazioni da contratto d'opera professionale, quanto alla struttura sanitaria, ravvisando la fonte di tale tipo di responsabilità nella conclusione, al momento della "accettazione" del paziente nella struttura, di un contratto di prestazione d'opera atipico di spedalità avente ad oggetto l'obbligo della struttura di adempiere sia prestazioni principali di carattere sanitario che prestazioni secondarie ed accessorie quali quelle assistenziali e lato sensu alberghiere.

La responsabilità dell'ente ha, così, assunto carattere contrattuale in relazione sia a fatti di inadempimento propri della struttura che alle condotte dei medici dipendenti, in applicazione dell'art. 1228 c.c. sulla responsabilità del debitore per fatti dolosi o colposi degli ausiliari. Quanto al medico dipendente, la giurisprudenza, valorizzando la sussistenza di un rapporto in cui il paziente si affida alle cure del medico ed il medico accetta di prestargliele, ha accolto la qualificazione della fonte del rapporto medico dipendente-paziente in termini di "contatto sociale".

La Corte di Cassazione con sentenza del 22.01.1999 n. 589 ha affermato, infatti, che "l'obbligazione del medico dipendente dal servizio sanitario per responsabilità professionale nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul "contatto sociale" ha natura contrattuale".

L'affermata natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria, ha poi trovato l'ulteriore conforto delle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione, le quali con la ormai notissima sentenza dell'11 gennaio 2008, n. 577 hanno prestato sostanziale adesione a tale opzione ermeneutica, affermando che, "per quanto concerne la responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente è irrilevante che si tratti di una casa di cura privata o di un ospedale pubblico in quanto sostanzialmente equivalenti sono a livello normativo gli obblighi dei due tipi di strutture verso il fruitore dei servizi, ed anche nella giurisprudenza si riscontra una equiparazione completa della struttura privata a quella pubblica quanto al regime della responsabilità civile anche in considerazione del fatto che si tratta di violazioni che incidono sul bene della salute, tutelato quale diritto fondamentale dalla Costituzione, senza possibilità di limitazioni di responsabilità o differenze risarcitorie a seconda della diversa natura, pubblica o privata, della struttura sanitaria"(cfr. anche Cass. 25.2.2005, n. 4058).

Tale inquadramento giuridico non viene meno neanche a seguito dell'entrata in vigore della L. n. 189 del 2012 c.d. legge Balduzzi che, con riferimento alla disciplina della responsabilità penale del medico fa salvo "l'obbligo di cui all'art. 2043 c.c.".

Innanzitutto la legge non contiene alcuna specificazione relativa alla natura della responsabilità della struttura sanitaria che, pertanto, rimane quella delineata dalla giurisprudenza richiamata, avendo espressamente limitato il riferimento all'art. 2043 c.c.al solo "esercente la professione sanitaria". Deve ritenersi, inoltre, in generale, che con tale inciso il legislatore non abbia inteso imporre una qualificazione giuridica della responsabilità del sanitario come extracontrattuale (con applicazione della disciplina conseguente soprattutto in termini di prescrizione e di onere della prova), ma semplicemente fare salvo il diritto al risarcimento del danno in sede civile. Rimane quindi possibile per il giudice qualificare tale responsabilità come contrattuale ove si fondi su un contatto giuridico qualificato.

Occorre, infine, evidenziare che anche la recentissima Legge di Riforma della Responsabilità Sanitaria L. n. 24 del 8 marzo 2017(inapplicabile al caso di specie ratione temporis) ribadisce che la struttura sanitaria risponde ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c.(mentre afferma che i sanitari rispondono del loro operato in base all'art. 2043 c.c. a meno che non abbiano agito nell'adempimento di una obbligazione direttamente assunta con il paziente).

Si ritiene, pertanto, che nel caso in esame, concernente un'ipotesi di responsabilità di una struttura sanitaria e del sanitario ivi operante debbano applicarsi i criteri propri della responsabilità contrattuale.

Si tratta, in particolare:

a) di un contratto atipico, con effetti protettivi nei confronti del terzo, che fa sorgere a carico della casa di cura privata o dell'ente ospedaliero pubblico, accanto ad obblighi lato sensu alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, di quello paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni;

b) di un contratto a prestazioni corrispettive in quanto fa sorgere anche l'obbligazione di versare il corrispettivo per la prestazione resa dalla struttura sanitaria (pubblica o privata), restando irrilevante che questa obbligazione sia estinta dal paziente, dal suo assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente.

La responsabilità contrattuale di tale struttura nei confronti del paziente può dunque derivare, a norma dell'art. 1218 c.c., sia dall'inadempimento di quelle obbligazioni che sono direttamente a carico dell'ente debitore, sia, a norma dell'art. 1228 c.c., dall'inadempimento della prestazione medico - professionale svolta direttamente dal sanitario, che assume la veste di ausiliario necessario del debitore.

Dalla identificazione della responsabilità oggetto di causa quale responsabilità contrattuale discende l'applicazione della relativa normativa, in particolare sotto il duplice profilo del regime del riparto dell'onere della prova e del termine prescrizionale.

2. Ciò posto, va ribadito che trattasi di responsabilità professionale per la quale la giurisprudenza è ormai pacifica nel ritenere che, ai fini del riparto dell'onere probatorio, il paziente danneggiato deve limitarsi a provare il contratto o contatto sociale e l'aggravamento della patologia o l'insorgenza di un'affezione ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante.

Deve, peraltro, ritenersi necessario scindere il momento della verifica della relazione eziologica tra la condotta e l'evento, da un lato, e la verifica dell'evitabilità del fatto lesivo e/o dell'inadempimento ad opera della condotta diligente o perita esigibile nella data situazione concreta.

In altre parole, solo dopo aver riscontrato l'esistenza di un nesso eziologico deve essere affrontato il tema della esistenza della colpa.

E' necessario preliminarmente, dunque, secondo i principi generali di cui all'art. 2697 cod. civ., che il paziente dimostri il nesso di causalità tra l'evento lesivo della sua salute e la condotta del medico, dovendosi dimostrare che il peggioramento delle condizioni di salute è connesso causalmente al comportamento del medico. Solo successivamente all'accertamento del nesso eziologico tra l'evento dannoso e la prestazione sanitaria, andrà valutato il profilo soggettivo della sussistenza di una condotta colposa o dolosa in capo al convenuto.

Ebbene, è appena il caso di ricordare che in tema di responsabilità civile il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano - ad una valutazione "ex ante" - del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", mentre nel processo penale vige la regola della prova "oltre il ragionevole dubbio".

Invero, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di responsabilità civile, per l'accertamento del nesso causale tra condotta illecita ed evento di danno non è necessaria la dimostrazione di un rapporto di consequenzialità necessaria tra la prima ed il secondo, ma è sufficiente la sussistenza di un rapporto di mera probabilità scientifica. Ne consegue che il nesso causale può essere ritenuto sussistente non solo quando il danno possa ritenersi conseguenza inevitabile della condotta, ma anche quando ne risulti conseguenza "altamente probabile e verosimile", secondo la regola del "più probabile che non" o della "preponderanza dell'evidenza", da ritenersi criterio di giudizio non sovrapponibile a quello penalistico dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" (cfr. sul punto Cass. 26 giugno 2007, n. 14759 e Cass. 11 maggio 2009, n. 10745).

Ne deriva che, con riguardo alla responsabilità professionale del medico, essendo quest'ultimo tenuto a espletare l'attività professionale secondo canoni di diligenza e di perizia scientifica, il giudice, accertata l'omissione di tale attività, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell'evento lesivo e che, per converso, la condotta doverosa, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell'evento stesso (Cass. civ. n. 16123/2010).

Risulta, dunque, necessario accertare che il comportamento diligente e perito del sanitario avrebbe avuto la probabilità di prevenire o elidere le conseguenze dannose concretamente verificatesi. Probabilità, ovviamente, non meramente statistica, ma di natura logico - razionale.

In definitiva, deve ritenersi sussistente un valido nesso causale tra la condotta colposa del sanitario e l'evento lesivo, allorché, se fosse stata tenuta la condotta diligente, prudente e perita, l'evento dannoso non si sarebbe verificato: giudizio da compiere non sulla base di calcoli statistici o probabilistici, ma unicamente sulla base di un giudizio di ragionevole verosimiglianza, che va compiuto alla stregua degli elementi di conferma (tra cui soprattutto l'esclusione di altri possibili e alternativi processi causali) disponibili in relazione al caso concreto.

Ritiene il Tribunale, inoltre, che nel caso di incertezze sulla ricostruzione del nesso eziologico, andrà applicata la regola del riparto dell'onus probandi nel senso che, atteso che l'onere della prova della causalità incombe comunque sul danneggiato, sarà questi a dover fornire la dimostrazione dell'efficacia sull'eziologia reale della malattia o dell'evento pregiudizievole per la integrità psicofisica. Ne consegue che se, all'esito del giudizio, permanga incertezza sull'esistenza del nesso causale tra condotta del medico e danno, tale incertezza ricada sul paziente e non sul medico (così Cass. civ. n. 4792 del 26/02/2013).

Ad ulteriore sostegno dell'approdo interpretativo da ultimo descritto, infatti, si è recentemente affermato che "nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, secondo l'orientamento consolidatosi in sede di legittimità, compete al paziente che si assuma danneggiato dimostrare l'esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno del quale chiede il risarcimento. Ne consegue che se al termine dell'istruttoria non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno lamentato dal paziente rimasta incerta, la domanda deve essere rigettata" (Cassazione civile, sez. III, 19/07/2018, n. 19204).

Ciò posto, provata la sussistenza del nesso causale, in base alla presunzione relativa alla imputabilità per colpa (negligenza o imperizia professionale) di tale omissione al convenuto- professionista sanitario, sarà quest'ultimo, a dover provare, al fine di vincere tale presunzione semplice, la correttezza delle modalità diagnostiche e terapeutiche seguite, ossia della non imputabilità a colpa dell'inadempimento (omissione diagnostica o terapeutica) o, ancora, della insussistenza della omissione addebitata (effettuazione di ogni azione, manovra o prescrizione, in concreto e data la situazione del paziente e le emergenze cliniche disponibili e accertabili con la ordinaria diligenza del professionista appartenente alla categoria).

In applicazione di tutti i suesposti principi va, dunque, esaminata la domanda attorea tenendo conto che è onere di parte attrice dimostrare l'esistenza del contratto con la struttura sanitaria ed allegare l'inadempimento (o comunque l'inesatto adempimento) delle prestazioni medico professionali rese nei suoi confronti dai convenuti (struttura e sanitari), e provare il nesso causale tra la condotta ed il danno restando, invece, a carico dei convenuti la prova che le medesime prestazioni sono state eseguite in modo diligente e che il danno è stato determinato da un evento imprevisto, imprevedibile ovvero inevitabile.

3. Orbene, va rilevato che è incontestato tra le parti ed è documentalmente provata la sussistenza di un contratto atipico di spedalità tra le parti convenute e R.E., il quale veniva sottoposto ad intervento sanitario da parte, innanzitutto, del P.S.D. dove si recava in data 30 marzo 2011 e, successivamente, del P.S. del P.U. I di R., dove si recava in data 8 aprile 2011.

Pertanto, occorre a questo punto accertare, innanzitutto, la sussistenza del nesso causale tra la condotta e l'evento di danno verificatosi e, quindi, valutare se quella condotta causalmente rilevante abbia avuto o meno natura colposa o dolosa.

Come si è detto, infatti, solo dopo aver riscontrato l'esistenza di un nesso eziologico si rende necessario valutare il profilo soggettivo della sussistenza di una condotta colposa o dolosa in capo ai convenuti.

Per quanto, dunque, attiene al nesso causale deve rilevarsi che la CTU della dott.ssa Corrieri acquista nel presente giudizio ed espletata nel procedimento di ATP r.g. n. 1560/2014 - le cui conclusioni sul punto possono essere recepite in questa sede essendo fondate su un compiuto esame anamnestico ed obiettivo e su di uno studio ed una valutazione approfondita e coerente degli elementi desunti da tale esame e dalla documentazione sanitaria prodotta - abbia preliminarmente confermato a carico del sig. R., paziente diabetico da circa 10 anni, la diagnosi di neurite ottica ischemica anteriore (NOIA) bilaterale, associata ad una sindrome ansioso depressiva, evidenziando la negligenza dei sanitari di entrambe le strutture convenute.

Più nello specifico, la relazione peritale ha compiuto l'accertamento della sussistenza del nesso eziologico distinguendo, da un lato, l'efficienza causale della mancata prescrizione farmacologica di insulina rispetto al peggioramento del visus nell'occhio sinistro e, dall'altro, il nesso causale della predetta omissione dei sanitari rispetto all'insorgenza della NOIA all'occhio destro.

Ebbene, relativamente alla NOIA in OSx, il CTU ha preliminarmente sottolineato che "per quanto riguarda la terapia, si precisa che la NOIA non risponde efficacemente ad alcuna terapia... nella fase acuta si può provare a somministrare steroidi per via sistematica, o per via locale (iniezione retrobullare) ma nelle forme di neurite ottica non artritica, lo scopo è solo quello di ridurre l'edema della papilla, perché comunque non si ottiene un miglioramento della funzionalità visiva" (pag.7 elaborato datato 11 febbraio 2015).

Peraltro, il principio di irrilevanza della NOIA ad ogni trattamento terapeutico, ha trovato conferma anche da parte del consulente degli stessi attori, dott.ssa A., la quale in sede di relazione del 08.04.2014, allegata in fascicolo del ricorrente in ATP (doc 15 -pag. 21), chiarisce che seppur instaurata tempestivamente una corretta terapia farmacologica nell'evento del marzo 2011, il Sig. R. avrebbe con ogni verosomiglianza perso in gran parte l'acuità visiva in OS".

Pertanto, alla luce di quanto reso noto sia dal CTU, dott.ssa Corrieri, sia dalla consulente di parte avversa, dott.ssa A., considerato che l'evoluzione della patologia ischemica oculare non ha natura recessiva, risultando indifferente a terapia farmacologica ed evolvendo inevitabilmente verso la perdita del visus, deve ritenersi escluso il rapporto eziologico tra l'aggravamento del danno all'occhio SX del R.E. e la condotta dei sanitari di entrambe le strutture convenute.

A diversa conclusione giunge il CTU, invece, relativamente all'insorgenza della NOIA nell'occhio controlaterale DX, ritenuta eziologicamente riconducibile alla condotta negligente dei soli sanitari del P.U. I convenuto.

Osserva la dott.ssa Corrieri, infatti, che sebbene la NOIA non risponda efficacemente ad alcuna terapia, "di estrema importanza è invece la prevenzione di NOIA, come secondo evento, nell'occhio controlaterale".

Dalla relazione peritale, pertanto, emerge che vanno tenuti distinti i due profili della cura e della prevenzione: il primo rivolto ad un "male" già sorto da curare e il secondo ad un "male" futuro da prevenire.

Sicchè, mentre non può assumere alcuna rilevanza causale l'omessa terapia farmacologica rispetto all'occhio SX, perché non avrebbe ragionevolmente avuto alcun esito "curativo", a diversa conclusione perviene il CTU con riguardo all'occhio DX, poiché una tempestiva terapia insulinica - nella specie omessa - avrebbe assunto efficacia causale in un'ottica di "prevenzione", quindi avrebbe ragionevolmente evitato la comparsa della NOIA in ODx.

Orbene, nella relazione integrativa del 27/5/2015, il CTU ha escluso che la predetta negligenza del nosocomio reatino abbia verosimilmente causato l'insorgenza della NOIA in occhio DX, anche in considerazione del fatto che il ricovero del R.E. presso tale struttura si è protratto per appena cinque giorni (dal 30 marzo 2011 al 5 aprile 2011, data in cui veniva dimesso), di talchè la terapia doverosa omessa non avrebbe ragionevolmente assunto rilevanza causale sotto l'aspetto della prevenzione nel senso sopra chiarito.

Di converso, per quanto concerne la condotta dei sanitari del P. di R., il CTU ribadisce "il riscontro di una netta negligenza a carico degli stessi per la mancata prescrizione della terapia insulinica al R.. Ciò è maggiormente grave in quanto trattasi di un reparto specialistico (...). Tenuto conto che la NOIA è una patologia che nel 25-50% compare nell'occhio collaterale pur in presenza di adeguato controllo dell'assetto metabolico, si ritiene che la restante quota del 50% risenta in modo positivo del controllo metabolico stesso (iperglicemia). Sulla scorta di quanto sopra, si ritiene che secondo il criterio del 'più probabile che non' la responsabilità dei sanitari dell'U. I di R. sia valutabile nella misura del 50%"(cfr. relazione integrativa del 27/5/2015).

Sulla scorta delle esaustive motivazioni del CTU, il Tribunale ritiene che, alla luce di un giudizio di ragionevole verosimiglianza compiuto alla stregua degli elementi di conferma disponibili in relazione al caso concreto, debba ritenersi preponderante, nella causazione dell'evento lesivo, l'omissione del trattamento medico doveroso da parte dei sanitari del P. rispetto ai fattori causali alternativi.

Accertata, dunque, la sussistenza del nesso causale, sebbene con esclusivo riferimento ai sanitari del P. di R., occorre passare all'analisi del profilo della colpa sotto forma di negligente o imperita prestazione medica.

Sul punto, va evidenziato che dalla lettura della documentazione allegata, come anche esaminata dal consulente, emerge che la condotta doverosa omessa, segnatamente la pronta prescrizione di una terapia insulinica, fosse certamente esigibile da parte di un reparto specialistico quale quello di O. del P.U. I di R., pertanto deve ritenersi provata la "netta negligenza" a carico degli stessi, come riconosciuta dal CTU.

Si ritiene, pertanto, che alla luce dell'onere probatorio come sopra delineato che imponeva al convenuto di provare che l'evento sia stato causato da un fatto a lui non imputabile in quanto imprevedibile ed inevitabile nonostante tutti gli accorgimento del caso, siano ravvisabili profili di colpa imputabili alla condotta dei medici del P. romano convenuto.

4.Accertata, dunque, la responsabilità esclusiva del P. convenuto, va a questo punto esaminato il profilo della quantificazione dei danni patiti da R.E. alla luce della ormai consolidata interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 2043 e 2059 c.c. e tenendo presente la bipolarità tra danno non patrimoniale e danno patrimoniale.

Questo Tribunale, infatti, condivide l'orientamento espresso dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione n. 26972/2008 secondo cui il risarcimento del danno alla persona ha struttura bipolare, ossia di danno patrimoniale e non patrimoniale e che quest'ultimo comprende il danno biologico in senso stretto (inteso come lesione all'integrità psicofisica della persona), il danno morale come tradizionalmente inteso (inteso come sofferenza morale, non necessariamente transeunte, turbamento dello stato d'animo del danneggiato), nonché tutti quei pregiudizi diversi e ulteriori, purché costituenti conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente protetto ovvero di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona.

Danno biologico, morale, esistenziale integrano solo voci o profili di danno, con contenuto descrittivo, considerando che, attesa la natura e la funzione puramente risarcitoria della responsabilità aquiliana, deve essere liquidato tutto il danno, evitando la duplicazione dello stesso (cfr. sul principio dell'integralità del risarcimento e, tuttavia, del carattere unitario della liquidazione anche Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361; sez. III, 16 maggio 2013, n. 11950, sez. III, sent. 20 novembre 2012, n. 20292).

Facendo applicazione degli esposti principi al caso di specie, occorre considerare, quanto al danno non patrimoniale, che all'esito della espletata CTU è emerso che il R.E. abbia riportato a seguito della condotta colposa della struttura un danno valutabile in termini di postumi permanenti invalidanti (danno biologico permanente), costituiti da severo deficit dell'acuità visiva in atrofia ottica bilaterale e una sindrome ansioso-depressiva "più che giustificabile", quantificati dal CTU nella misura del 45-50%. Il CTU, inoltre, ha determinato una invalidità temporanea quantificata "in giorni 20 di inabilità lavorativa".

Ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale, si ritiene di fare riferimento alle tabelle previste dal Tribunale di Milano, in conformità all'orientamento dominante della giurisprudenza di legittimità secondo cui "i parametri delle 'Tabelle' predisposte dal Tribunale di Milano sono da prendersi a riferimento da parte del giudice di merito ai fini della liquidazione del predetto danno ovvero quale criterio di riscontro e verifica della liquidazione diversa alla quale si sia pervenuti" (cfr. da ultimo, Cassazione civile, sez. III, 28/06/2018, n. 17018).

Pertanto, sulla scorta della Tabella del 2018 del Tribunale di Milano, avuto riguardo all'età del danneggiato-attore all'epoca dei fatti (55 anni nell'aprile del 2011), il danno non patrimoniale risarcibile è pari ad Euro 286.466,00 (dei quali Euro 284.506,00 corrispondente al danno biologico permanente al 45% ed Euro 1.960,00 a titolo di invalidità temporanea totale di 20 giorni).

Deve essere, invece, esclusa la maggiorazione richiesta a titolo di personalizzazione del danno, atteso che l'elaborazione giurisprudenziale più recente ha evidenziato che, al precipuo scopo di scongiurare il rischio di effetti duplicatori perversi nella liquidazione del danno, "nell'adeguamento personalizzato del risarcimento per il danno non patrimoniale, il Giudice di merito non potrà limitarsi a liquidare la componente 'sofferenza soggettiva', cumulativamente al danno cd. biologico, mediante applicazione automatica di una quota proporzionale (di regola pari ad 1/3) del valore del danno biologico (...) ma dovrà preliminarmente verificare se e come tale specifica componente del danno non patrimoniale sia stata allegata e provata dal soggetto che ha azionato la pretesa risarcitoria, provvedendo successivamente -in caso di esito positivo della verifica - ad adeguare la misura della reintegrazione del danno non patrimoniale, indicando il criterio di 'personalizzazione' nella specie adottato, che dovrà risultare coerente logicamente con gli elementi circostanziali ritenuti rilevanti ad esprimere la intensità e la durata della sofferenza psichica" (cfr. ex plurimis, Cassazione civile, sez. III, 13/10/2017 n. 24075).

Dalle considerazioni che precedono deriva che il danno morale, conseguente alle lesioni, va sempre provato, sia pure per presunzioni, non sussistendo alcuna automaticità parametrata al danno biologico patito. E' pertanto il danneggiato ad essere onerato dall'allegazione di tutte le circostanze utili ad apprezzare la concreta incidenza della lesione patita in termini di sofferenza/turbamento e della prova degli stessi, anche mediante lo strumento delle presunzioni.

Sicchè il giudice, sulla base delle allegazioni e delle prove acquisite al processo e/o delle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, se reputa che la "voce" del danno non patrimoniale intesa come "sofferenza soggettiva" non sia adeguatamente ristorata, in considerazione del complessivo danno non patrimoniale subito dal soggetto, con la sola applicazione dei predetti valori monetari, è tenuto ad operare un' "adeguata personalizzazione" del danno non patrimoniale , liquidando, congiuntamente ai valori monetari di legge, una somma ulteriore che risarcisca integralmente il pregiudizio patito dalla vittima.

Nel caso de quo va rilevato che R.E. non ha né dedotto specificamente né provato di aver patito sofferenze ulteriori rispetto a quanto già risarcito a titolo di danno biologico. Il difetto di allegazione preclude inoltre il ricorso allo strumento probatorio presuntivo, posto che non è dato sapere quali siano i fatti noti in base ai quali il giudice possa risalire al fatto ignoto che intende provare.

Per le ragioni innanzi descritte la maggiorazione richiesta a titolo di personalizzazione non può essere accolta.

Quanto al danno patrimoniale, il R.E. ha richiesto la complessiva somma di Euro 341.220,00 a titolo di incapacità lavorativa specifica.

In disparte il rilievo ex se dirimente della tardività della domanda, proposta solo in comparsa conclusionale, valga osservare per completezza che, in questo contesto, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che non può farsi discendere in modo automatico dall'invalidità permanente la presunzione del danno da lucro cessante, atteso che tale danno deriva solo da una lesione che abbia prodotto una riduzione della capacità lavorativa specifica. Detto danno patrimoniale deve essere accertato in concreto attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse - o presumibilmente in futuro avrebbe svolto - un'attività lavorativa produttiva di reddito, ed, inoltre, attraverso la prova della mancanza di persistenza, dopo l'infortunio, di una capacità generica di attendere ad altri lavori, confacenti alle attitudini e condizioni personali ed ambientali dell'infortunato, ed altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte (Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2014, n. 25211; Cassazione Civile sez. III, 19 luglio 2012 n. 12463).

Sul punto, infatti, è invalsa l'opzione interpretativa che opera un distinguo netto fra danno non patrimoniale alla capacità lavorativa generica e danno patrimoniale alla capacità lavorativa specifica, precisandosi che, in caso di illecito lesivo della integrità psicofisica della persona, la riduzione della capacità lavorativa generica, quale potenziale attitudine alla attività lavorativa da parte di un soggetto che non svolge attualmente attività produttive di reddito, né sia in procinto presumibilmente di svolgerla, sarebbe risarcibile come danno biologico nel quale dovrebbero essere ricompresi tutti gli effetti negativi del fatto lesivo che incidono sul bene della salute in sé considerato (Cass. civ., sez. III, 25 agosto 2014, n. 18161; Cassazione civile sez. III, 01 dicembre 2009; Cassazione civile sez. III, 14 giugno 2012, n. 9708, secondo cui "nella nozione di danno biologico rientrano tutte le ipotesi di danno 'non reddituale', compresi i danni alla vita di relazione e i danni da riduzione della capacità lavorativa generica").

Ebbene, con riguardo al caso di specie, può dirsi provata solo la circostanza per cui, al momento dell'incidente, il R.E. svolgesse attività lavorativa nel campo dell'edilizia, mentre appare logicamente plausibile la circostanza che, per effetto e in conseguenza dell'evento lesivo, non abbia più potuto svolgerla in seguito.

Quello che, tuttavia, non è stato provato dal danneggiato è la perdita della capacità di attendere ad altri lavori confacenti alle sue attitudini personali. Come si è detto, infatti, non è sufficiente, ai fini dell'assolvimento dell'onus probandi richiesto al danneggiato in tema di perdita di capacità lavorativa specifica, limitarsi ad affermare che l'odierno attore è ad oggi disoccupato, essendo la perdita di capacità lavorativa generica già ricompresa nel danno biologico e nella sua personalizzazione.

Ne consegue, pertanto, che nulla può essere riconosciuto al R.E. a titolo di risarcimento del danno patrimoniale da perdita di incapacità lavorativa specifica.

Sull'originario importo totale dovuto a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale devalutato all'aprile 2011 di Euro 267.475,26 che si ottiene mediante ricorso al noto deflattore ISTAT, sono dovuti gli interessi a titolo di danno da lucro cessante ex art. 2056 c.c., secondo il più recente ed accreditato orientamento giurisprudenziale (cfr. SS.UU. Cass. del 17.2.1995 n. 1712), per il mancato godimento della somma equivalente al danno subito.

Tale danno può essere calcolato applicando gli interessi, nella misura, ritenuta congrua, del tasso legale (secondo le variazioni via via intervenute), non già alla somma rivalutata, bensì, in sintonia con il principio enunciato dalle SS.UU. della Suprema Corte (sent. del 17.2.1995 n. 1712), sulla "somma capitale" rivalutata di anno in anno, secondo i noti coefficienti ISTAT per un totale da risarcire di Euro 309.129,87.

5.Con riferimento ai danni lamentati iure proprio dalla D.S.G., coniuge del R., e patiti "di riflesso" in conseguenza dell'evento lesivo causato dalla condotta colposa dei sanitari del P. romano, occorre compiere alcune precisazioni preliminari.

Orbene, in tema di risarcimento del danno a soggetto diverso da colui che sia stato vittima di gravi lesioni per il fatto illecito altrui, si deve riconoscere rilevanza giuridica all'esistenza di un rapporto affettivo, non necessariamente assimilabile ad un rapporto di coniugio, purché già instaurato alla data di verificazione dell'illecito ed avente caratteri di serietà e stabilità.

In particolare, è stato chiarito che il riferimento fatto ai "prossimi congiunti" della vittima c.d. primaria quali soggetti danneggiati iure proprio a cagione del carattere plurioffensivo dell'illecito, deve essere inteso nel senso che, in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra questi ultimi e la vittima, è proprio la lesione che colpisce tale peculiare situazione affettiva a connotare l'ingiustizia del danno ed a rendere risarcibili le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate, se ed in quanto queste siano allegate e dimostrate quale danno-conseguenza, e a prescindere dall'esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali (Cassazione civile, sez. III, 21/03/2013, n. 7128).

In questo contesto, il recente orientamento giurisprudenziale ha affermato che tale pregiudizio va qualificato come danno non patrimoniale iure proprio del congiunto, evidenziandone la risarcibilità "non solo in caso di perdita ma anche di mera lesione del rapporto parentale" (Cassazione civile, sez. III, 28/09/2018, n. 23469).

Più nello specifico, esso consiste non già nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità, bensì nello sconvolgimento dell'esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, nonchè nella sofferenza interiore derivante dal venir meno del rapporto.

Il risarcimento, pertanto, può essere riconosciuto e liquidato, anche in via equitativa, solo se sia stata fornita la prova che il decesso o la lesione abbiano inciso negativamente sulla salute dei congiunti, determinando una qualsiasi apprezzabile permanente patologia o l'aggravamento di una patologia preesistente (Cassazione civile, sez. III, 10/05/2018, n. 11275).

Ciò posto, dalla ctu medico-legale espletata nel presente giudizio sulla persona di D.S.G. - le cui risultanze, siccome frutto di valutazioni logiche, coerenti ed esenti da profili di censura sotto l'aspetto motivazionale, vengono interamente fatte proprie da questo Tribunale - è emerso lo sviluppo di un grave disturbo psicopatologico a causa dell'evento lesivo del coniuge.

In particolare, il CTU ha precisato che "la sintomatologia sviluppata dalla sig.ra G.D.S., verosimilmente in relazione alla malattia del marito, ha assunto rilevanza clinica tanto da poter essere inquadrata nella diagnosi di 'Disturbo dell'adattamento con ansia e umore depresso cronicizzato', condizione morbosa correlabile alle sopra citate vicende. In relazione alla documentazione sanitaria esaminata presente agli atti, alla visita effettuata e dai risultati della valutazione psicodiagnostica, esiste il nesso di causalità tra la malattia del coniuge e lo sviluppo del disturbo psicopatologico diagnosticabile come 'disturbo dell'adattamento con ansia e umore depresso cronicizzato' al momento tale sintomatologia appare ancora presente. La sig.ra G.D.S. ha vissuto in modo particolarmente stressante ed angosciante il periodo successivo alla malattia del coniuge, anche per le dinamiche emotive in cui lo stesso si è verificato, evenienza che può di fatto giustificare il riconoscimento di un periodo di inabilità temporanea ragionevolmente qualificabile".

Il CTU ha pertanto quantificato le conseguenze dannose non patrimoniali in questi termini:

"La lesione di cui sopra comportò una inabilità temporanea così quantificabile:

- Parziale al 75%: giorni: 30 (trenta).

- Parziale al 50%: giorni: 60 (sessanta).

- Parziale al 25%: giorni: 90 (novanta).

L'invalidità permanente, intesa quale menomazione della primitiva integrità fisico-psichica (danno biologico), può essere valutata nella misura del 10% (dieci per cento).

La perizianda non svolgeva attività lavorativa al momento della malattia del marito. Per tale motivo, i postumi non possono incidere sull'attività lavorativa.

Non sono documentate in atti spese sanitarie".

Pertanto, sulla scorta della predetta Tabella del 2018 del Tribunale di Milano, avuto riguardo all'età della D.S. all'epoca dei fatti (50 anni nell'aprile del 2011), il danno non patrimoniale risarcibile è pari ad Euro 28.440,00 (dei quali Euro 21.090,00 corrispondente al danno biologico permanente al 10% ed Euro 7.350 a titolo di danno biologico temporaneo).

Sull'originario importo totale dovuto a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale devalutato all'aprile 2011 di Euro 26.554,62, che si ottiene mediante ricorso al noto deflattore ISTAT, sono dovuti gli interessi a titolo di danno da lucro cessante ex art. 2056 c.c., secondo il più recente ed accreditato orientamento giurisprudenziale (cfr. SS.UU. Cass. del 17.2.1995 n. 1712), per il mancato godimento della somma equivalente al danno subito.

Tale danno può essere calcolato applicando gli interessi, nella misura, ritenuta congrua, del tasso legale (secondo le variazioni via via intervenute), non già alla somma rivalutata, bensì, in sintonia con il principio enunciato dalle SS.UU. della Suprema Corte (sent. del 17.2.1995 n. 1712), sulla "somma capitale" rivalutata di anno in anno, secondo i noti coefficienti ISTAT per un totale da risarcire di Euro 30.690,05.

6.Con riferimenti ai danni asseritamente patiti "di riflesso" dai figli in conseguenza dell'evento lesivo oggetto di causa, si ritiene che non possa essere riconosciuto alcun risarcimento.

Invero, come si è chiarito in precedenza, il danno da perdita o lesione del rapporto parentale non può considerarsi in re ipsa, in quanto ne risulterebbe snaturata la funzione del risarcimento, che verrebbe ad essere concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno ma in chiave lato sensu sanzionatoria.

Tale danno, pertanto, va dal danneggiato allegato e provato, secondo la regola generale ex art. 2697 c.c. L'allegazione a tal fine necessaria deve concernere fatti precisi e specifici del caso concreto, essere cioè circostanziata e non già purchessia formulata, non potendo invero risolversi in mere enunciazioni di carattere del tutto generico e astratto, eventuale ed ipotetico (v. Cass., n. 16992/15; Cass., 13/5/2011, n. 10527; Cass., 25 settembre 2012, n. 16255).

Nel caso di specie, ritiene il Tribunale che la predetta allegazione non sia stata puntualmente dimostrata con riscontri probatori specifici, di talchè la domanda risarcitoria spiegata per conto dei figli minori deve essere rigettata.

7.Quanto alle spese di lite comprensive del giudizio di ATP (r.g. n. 1560/2014), si ritiene che le spese di parte attrice, da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario, seguano la soccombenza e pertanto debbano essere poste a carico dell'AZIENDA P.U. I di R. nella misura liquidata in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

Le spese di AZIENDA U.S.R. vanno invece poste a carico di parte attrice, siccome soccombente sul punto, da liquidarsi in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014.

Le spese della CTU dell'odierno giudizio devono essere poste definitivamente a carico dell'AZIENDA P.U. I di R..

P.Q.M.
Il Tribunale di Rieti in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda in epigrafe, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattese, così provvede:

1. accoglie parzialmente la domanda proposta da parte attrice e, per l'effetto, condanna l'AZIENDA P.U. I di R., in persona del legale rappresentante p.t., al risarcimento del danno in favore di R.E. liquidato in Euro 309.129,87 nonché al risarcimento del danno in favore di D.S.G. iure proprio liquidato in Euro 30.690,05, il tutto oltre interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo;

2. rigetta la domanda attorea nei confronti di AZIENDA U.S.R., in persona del legale rappresentante p.t.;

3. condanna AZIENDA P.U. I di R., in persona del legale rappresentante p.t., alla rifusione delle spese processuali in favore di parte attrice che liquida in Euro 14.736,00 per compensi, oltre Euro 2.000,00 per spese e oltre al rimborso forfettario di spese generali e accessori come per legge, da distrarsi in favore dell'avv. CC dichiaratosi antistatario;

4. condanna parte attrice alla rifusione delle spese processuali in favore di AZIENDA U.S.R., in persona del legale rappresentante p.t., che liquida in Euro 9.500,00 per compensi, oltre al rimborso forfettario di spese generali e accessori come per legge;

5. pone definitivamente a carico di AZIENDA P.U. I di R., in persona del legale rappresentante p.t., le spese di CTU del presente giudizio.

Così deciso in Rieti, il 7 novembre 2018.

Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2018.