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Elezione di domicilio presso difensore di ufficio non osta a rescissione del giudicato (Cass. 31201/20)

9 novembre 2020, Cassazione penale

E' incompatibile con i parametri costituzionali e convenzionali  desumere in maniera automatica l'ignoranza colpevole ostativa alla rescissione dal fatto l'elezione di domicilio presso il difensore di ufficio nel corso delle indagini preliminari.

L'onere della prova sull'intenzione dell'imputato non comparso di sottrarsi alla giustizia o che la sua assenza non dipenda da cause di forza maggiore non può gravare sullo stesso, evidenziandosi altresì come in caso di contestazione non manifestamente infondata sulla conoscenza della data del processo da parte dell'imputato, è compito delle autorità interne procedere agli accertamenti necessari.

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

(ud. 15/09/2020) 09-11-2020, n. 31201

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria - Presidente -

Dott. PISTORELLI Luca - rel. Consigliere -

Dott. SCORDAMAGLIA Irene - Consigliere -

Dott. MOROSINI Elisabetta M. - Consigliere -

Dott. BORRELLI Paola - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

R.N., nato in (OMISSIS);

avverso l'ordinanza del 26/9/2019 della Corte d'appello di Firenze;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PISTORELLI Luca;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CORASANITI Giuseppe, il quale ha richiesto il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Con l'ordinanza impugnata la Corte d'appello di Firenze ha rigettato l'istanza di rescissione del giudicato proposta da R.N. avverso la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Lucca il 6 febbraio 2017.

2. Avverso l'ordinanza ricorre l'imputato, sollevando quale unico motivo, eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 629-bis c.p.p., comma 1, in relazione all'art. 24 Cost., comma 2, artt. 111 e 117 Cost., quest'ultimo con riferimento al parametro interposto di cui all'art. 6, comma 3 CEDU, nella parte in cui esclude la rescindibilità del giudicato nei confronti del condannato la cui assenza sia dipesa da colpevole ignoranza della sua celebrazione e nella parte in cui impone al medesimo di provare la sussistenza dei presupposti per l'accesso al rimedio restitutorio. Osserva il ricorrente come la Corte territoriale abbia respinto l'istanza rilevando esclusivamente che il R., avendo eletto domicilio presso il difensore d'ufficio all'atto dell'identificazione, si è poi astenuto dal mantenere i contatti con il difensore medesimo, versando dunque in stato di colpevole ignoranza in merito alla celebrazione del giudizio e ricorrendo conseguentemente la condizione ostativa alla rescissione prevista dallo stesso art. 629-bis. In tal senso la questione sollevata assumerebbe allora rilevanza, posto che la disposizione citata si pone in contrasto con la consolidata interpretazione dell'art. 6, comma 3 CEDU fornita dalla Corte di Starsburgo, nonchè con la giurisprudenza costituzionale, in merito alla compatibilità del diritto a partecipare al processo e di quello al contraddittorio con il giudizio in absentia esclusivamente a condizione che la mancata partecipazione sia frutto di una scelta consapevole e volontaria dell'imputato, risultando invece sempre ostativa alla celebrazione del processo il fatto che egli non ne abbia avuto conoscenza, a prescindere che ciò sia dovuto o meno a sua colpa. Parimenti in contrasto con i parametri costituzionali evocati sarebbe poi l'onere probatorio posto a carico dell'istante dalla disposizione impugnata ed espressamente richiamato dal provvedimento impugnato.

Motivi della decisione

1. Il ricorso deve essere accolto nei limi di seguito esposti.

2. Va anzitutto ricordato come per l'orientamento maggioritario nella giurisprudenza di questa Corte è ammissibile il ricorso per cassazione che abbia ad oggetto, come motivo, la sola questione di legittimità costituzionale di una disposizione di legge applicata in sede di merito, purchè essa sia rilevante per la definizione del giudizio (Sez. 1, n. 45511 del 11/11/2009, Papandrea, Rv. 245509; Sez. 6, n. 31683 del 31/03/2008, P.M. in proc. Reucci, Rv. 240780) e che trae origine in una risalente - ma non per questo meno attuale - pronunzia delle Sezioni Unite, per cui il ricorso per Cassazione, come tutte le impugnazioni, tende ad ottenere un risultato più favorevole rispetto alla situazione prevista dal provvedimento impugnato, sicchè la doglianza, incentrata unicamente su questioni di legittimità costituzionale d'una norma, a tale risultato si correla mediante la rimozione della norma impugnata, investendo la doglianza - "sia pure in forma ellittica" - il capo o il punto del provvedimento regolato dalla stessa (Sez. U, n. 2958 del 24/03/1984, Galli, Rv. 163410). Nella specie la rilevanza della disposizione impugnata è fuori discussione, giacchè il giudice del merito non ha escluso che l'imputato non abbia avuto conoscenza della celebrazione del processo, ma ha rigettato l'istanza in ragione della ritenuta negligenza del medesimo, colpevole di non aver mantenuto i contatti con il proprio difensore, presso il quale aveva eletto domicilio, senza aver fornito prova alcuna che ciò non sia da imputarsi a causa diversa dalla sua volontà. Non è dubbio pertanto che l'art. 629-bis c.p.p., laddove configura l'ignoranza incolpevole quale presupposto della rescissione del giudicato ed onera l'imputato della prova di tale circostanza, legittima la decisione impugnata - posto che a sua volta il ricorrente non ha negato la contestata negligenza o ha prospettato di aver provato la sua insussistenza - e che, allorquando la disposizione citata dovesse ritenersi in contrasto con le norme costituzionali evocate nel ricorso, conseguentemente verrebbe meno la sua base di legittimazione.

3. Ciò premesso, l'eccezione di legittimità costituzionale proposta è manifestamente infondata.

Quello della compatibilità del processo in absentia con i principi del giusto processo sanciti dall'art. 6 della CEDU e recepiti nell'ordinamento nazionale è problema risalente, che negli anni ha costretto il legislatore a ripetute messe a punto del codice di rito al fine di adeguarlo alle decisioni della Corte EDU. In proposito non è peraltro ultroneo ricordare quale sia la disciplina convenzionale sul punto e quali gli approdi della giurisprudenza dei giudici Europei.

In tal senso è innanzi tutto necessario ricordare come il citato art. 6 CEDU - al contrario dell'art. 14 p.3 d) del Patto internazionale sui diritti civili e politici, non menzioni espressamente il diritto dell'imputato a partecipare all'udienza e al processo. Non di meno il giudice sovranazionale ha costantemente ritenuto che tale diritto debba ritenersi implicitamente tutelato dalla menzionata disposizione a seguito del riconoscimento allo stesso imputato di ulteriori diritti il cui effettivo esercizio presuppone la sua garanzia, com'è per quello di difendersi personalmente o di ottenere l'assistenza di un interprete o, ancora, di interrogare i testimoni (v. tra quelle che hanno riguardato l'ordinamento processuale italiano Corte EDU Sejdovic c. Italia 1/3/2006; Id. Somogy c. Italia 18/5/2004; Id. F. C. B. c. Italia 28/8/1991; Id. Colozza c. Italia 12/2/1985).

Peraltro ciò non ha mai significato, secondo la Corte di Strasburgo, l'incompatibilità tout court delle procedure contumaciali o del processo in absentia con la Convenzione (v. Corte EDU Colozza c. Italia, cit.), quanto piuttosto il conflitto delle stesse con il diritto di partecipazione solo qualora non vengano assicurate determinate condizioni. La prima riguarda la garanzia dell'effettiva informazione dell'imputato sulla data del processo, la seconda la previsione di strumenti che gli consentano, qualora venga condannato, di ottenere un riesame del merito delle accuse una volta che egli sia venuto a conoscenza della condanna (v. ex multis Corte EDU Einhorn c. Francia 16/10/2001).

Con riguardo alla prima condizione, va invece rammentato come l'effettività dell'adempimento informativo sia considerato dai giudici di Strasburgo essenziale alla garanzia del diritto di partecipazione in ragione della ritenuta rinunciabilità di quest'ultimo da parte dell'imputato.

In altri termini, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte EDU, il punto di equilibrio tra l'esigenza di evitare la paralisi della pretesa punitiva statuale (che è alla base della previsione delle procedure in absentia) e quella di tutelare il suddetto diritto è costituito dalla volontarietà della rinunzia a comparire al processo per esercitare personalmente i diritti di difesa (v. ex multis Corte EDU Seliwiak c. Polonia 21/7/2009; Id. Kwiatkowska c. Italia 30/11/2000).

E' però necessario che tale volontà, qualora non espressa, risulti in maniera non equivoca (v. Corte EDU Colozza c. Italia, cit.; Id. Battisti c. Francia, 12/12/2006; Id. Jones c. Regno Unito, 9/9/2006). Ed in tal senso il primo presupposto della compatibilità convenzionale di procedure celebrate sulla base della rinuncia implicita dell'imputato a comparire è, per la Corte, che questi sia stato debitamente informato della data del processo e sia messo nelle condizioni di prevedere le conseguenze della sua decisione di non parteciparvi (Corte EDU Boheim c. Italia 22/5/ 2007; Id. Battisti c. Francia, cit.; Id. Zaratin c. Italia 23/11/2006; Id. Jones c. Regno Unito 9/9/2003; Id. Craxi c. Italia 5/12/2002).

La Corte ha avuto modo di affrontare una ampia casistica in proposito, stabilendo ad esempio che, pur non essendo vietato dalla Convenzione che l'avviso dell'udienza venga notificato al difensore e non anche personalmente all'imputato, è in tal caso necessaria una particolare diligenza nella valutazione della volontarietà della rinunzia (v. Corte EDU Yavuz c. Austria 27/5/2004). Ha altresì chiarito che, in mancanza di una notifica all'imputato della data del processo, la rinunzia a comparire non possa essere dedotta dalla semplice dichiarazione di latitanza ovvero dalla sua assenza dal proprio domicilio abituale (Corte EDU Sejdovic c. Italia, cit.; Id. Colozza c. Italia, cit.).

Più in generale è stato affermato il principio per cui l'onere della prova sull'intenzione dell'imputato non comparso di sottrarsi alla giustizia o che la sua assenza non dipenda da cause di forza maggiore non può gravare sullo stesso (v. Corte EDU Previti c. Italia 8/12/2009; Id. Hermi c. Italia 18/10/2006; Id. Somogy c. Italia, cit.; Id. Sejdovic c. Italia, cit.), evidenziandosi altresì come in caso di contestazione non manifestamente infondata sulla conoscenza della data del processo da parte dell'imputato, è compito delle autorità interne procedere agli accertamenti necessari (v. Corte EDU Hermi c. Italia, cit.).

Per contro i giudici sovranazionali hanno in diversi casi ritenuto legittima la deduzione della volontarietà della rinunzia a comparire da comportamenti concludenti tenuti dall'imputato a seguito della provata conoscenza da parte dello stesso della pendenza di un procedimento a suo carico e delle accuse mosse nei suoi confronti. In tal senso è stata ad esempio apprezzata la fuga al momento dell'esecuzione dell'arresto (v. Corte EDU Iavarazzo c. Italia, 4/12/2001) ovvero la ripetuta nomina di difensori di fiducia in corso di processo da parte del latitante con atti a sua firma contenenti la specifica indicazione del numero del procedimento (v. Corte EDU Battisti c. Francia, cit.).

3. Come noto, l'esigenza di assicurare un rimedio effettivo al contumace "inconsapevole" è stata la causa della profonda riforma subita dall'istituto della restituzione nel termine ad opera del D.L. n. 17 del 2005 (conv. con modificazioni nella L. n. 60 del 2005), dopo che il previgente testo dell'art. 175 c.p.p., era stato oggetto di ripetute censure da parte della Corte Europea (v. Corte EDU Sejdovic c. Italia, cit.; Id. Somogy c. Italia, cit.), che aveva individuato evidenti punti di frizione tra lo statuto originario della contumacia e i principi convenzionali in merito all'accertamento dei presupposti del processo contumaciale e, soprattutto e per l'appunto, all'effettività dei rimedi concessi all'imputato che non abbia volontariamente rinunziato a presenziare la proprio processo.

3.1 L'intervento normativo menzionato, nel dichiarato intento di recepire le censure mosse dal giudice sovranazionale, oltre che di armonizzare l'ordinamento interno ai contenuti della Decisione Quadro n. 2002/584/GAI in tema di mandato arresto Europeo, ha profondamente modificato lo statuto originario della contumacia e, nel ridisegnare l'art. 175 c.p.p., comma 2, ha svincolato il contumace "inconsapevole" dall'onere - previsto dal testo previgente della norma - di dimostrare la propria "incolpevole ignoranza" del procedimento o del provvedimento per poter accedere alla restituzione nel termine per impugnare la sentenza emessa in sua assenza ed ha contestualmente trasferito all'autorità procedente il compito di compiere ogni necessaria verifica in merito all'effettività di tale ignoranza.

3.2 Dopo l'entrata in vigore della novella del 2005 la Corte di Strasburgo ha avuto modo di pronunziarsi nuovamente sulla tenuta convenzionale del rito contumaciale italiano. Un giudizio non pienamente positivo è stato quello espresso da Corte EDU Kollcaku c. Italia 8/2/2007, la quale ha ritenuto che, seppur riveduta, la disciplina dell'art. 175 c.p.p. (come quella dell'art. 670 dello stesso codice) non possa essere stimata un rimedio idoneo ad offrire sufficiente grado di certezza sulla possibilità per l'imputato di accedere ad un nuovo processo in cui esercitare nella sua pienezza il proprio diritto di difesa. Una posizione diversa è stata successivamente assunta da Corte EDU Cat Berro c. Italia 25/11/2008, che nel dichiarare irricevibile il ricorso ha sottolineato come il legislatore italiano avesse sopperito ad alcune delle criticità in passato censurate e che sarebbe stato necessario attendere l'interpretazione giurisprudenziale della norma così come modificata per valutare la compatibilità convenzionale della nuova disciplina.

Negativo è stato invece il responso nel 2016 del giudizio intentato dall'imputato nel procedimento deciso da Sez. U, n. 6026 del 31/01/2008, Huzuneanu, Rv. 238472, la quale aveva statuito che l'impugnazione proposta dal difensore, di fiducia o di ufficio, nell'interesse dell'imputato contumace, preclude a quest'ultimo, una volta che sia intervenuta la relativa decisione, la possibilità di ottenere la restituzione nel termine per proporre a sua volta impugnazione, in quanto l'astratta configurabilità di una duplicazione di impugnazioni, promananti le une dal difensore, e le altre dall'imputato, rappresenterebbe una opzione palesemente incompatibile con l'esigenza di assegnare una "ragionevole durata" al processo, sulla base di quanto imposto dall'art. 111 Cost. e dall'art. 6 della CEDU.

Ma dopo che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 317 del 2009 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 175 c.p.p., comma 2, - proprio nella parte in cui non consentiva la restituzione nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale all'imputato che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, quando analoga impugnazione sia stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato - si è registrato un giudizio sostanzialmente positivo da parte del giudice sovranazionale sull'effettività del rimedio previsto dalla disposizione citata, seppure con specifico riferimento al caso giudicato (Corte EDU Baratta c. Italia, 13/10/2016).

3.3 Il giudice delle leggi, nella citata pronunzia n. 317 del 2009, ha peraltro provveduto ad individuare il contenuto sovranazionale essenziale del diritto di difesa dell'imputato nei cui confronti si procede comunque in absentia. In particolare, la Corte, mutuandone le componenti proprio dal diritto vivente elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, ha evidenziato come l'imputato abbia il diritto di esser presente al processo svolto a suo carico e di rinunciare volontariamente all'esercizio di tale diritto, ma che a tal fine deve essere consapevole dell'esistenza di un processo nei suoi confronti e che in ogni caso devono esistere strumenti preventivi o ripristinatori, per evitare processi a carico di contumaci inconsapevoli o per assicurare in un nuovo giudizio, anche mediante la produzione di nuove prove, il diritto di difesa che non è stato possibile esercitare personalmente nel processo contumaciale già concluso.

4. Le riserve comunque espresse dal giudice sovranazionale sulla tenuta complessiva dell'istituto della contumacia per come previsto dall'ordinamento italiano e, soprattutto, sulla sua applicazione nei casi concreti esaminati, hanno alfine convinto il legislatore a procedere alla sua radicale sostituzione attraverso la L. 28 aprile 2014, n. 67, con la quale è stato rimodulato in maniera innovativa l'intero assetto del processo in assenza e non solo il segmento relativo ai rimedi ripristinatori, come invece avvenuto nel 2005.

In tal senso la novella ha configurato un modello per cui l'imputato deve essere portato direttamente e personalmente a conoscenza della vocatio in ius, conservando la facoltà di non partecipare al processo, nel qual caso lo stesso si svolge in sua assenza ed egli viene rappresentato dal suo difensore.

Principio cardine della riforma, per come emerge dalla rinnovata formulazione degli artt. 420-bis e ss. c.p.p., è dunque quello per cui il giudice può procedere solo qualora abbia acquisito la certezza della conoscenza originaria del processo da parte dell'imputato, dovendo altrimenti sospenderlo. Come evidenziato di recente da Sez. U., sentenza n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, Ismail Darwish "questo è il rilevante punto di diversità rispetto al processo in contumacia, che si svolgeva comunque, sulla sola base della notifica formalmente regolare, riconoscendosi all'imputato inconsapevole il solo diritto alla impugnazione". Conseguentemente, come già prima avevano sottolineato Sez. U, n. 28912 del 28/02/2019, Innaro, il processo in assenza non prevede "alcuna forma di "conoscenza presunta" ma solo, a determinate condizioni, la "volontaria sottrazione" alla conoscenza".

Il profondo mutamento della prospettiva ha conseguentemente costretto il legislatore a rimodulare di conseguenza anche gli strumenti "riparatori" e la loro stessa funzione, non più limitata alla restituzione dell'imputato rimasto assente nel termine per impugnare la sentenza pronunziata in sua assenza, come previsto dall'art. 175 c.p.p., ma mirata a garantirgli un nuovo giudizio qualora la sua mancata partecipazione al processo non sia stata volontaria.

5. Ricostruita per sommi capi l'evoluzione del quadro normativo e la giurisprudenza sovranazionale che l'ha influenzata, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 629-bis c.p.p., sollevata dal ricorrente deve, come già accennato, ritenersi manifestamente infondata.

5.1 Le argomentazioni svolte dal ricorrente poggiano infatti su presupposti erronei.

Egli muove anzitutto dal pedissequo confronto fra la formulazione dell'art. 175 c.p.p., comma 2, introdotta nel 2005 e quella dell'art. 629-bis (già art. 625-ter) dello stesso codice. Confronto che invero non può essere effettuato isolando le due disposizioni citate dal rispettivo contesto normativo e cioè dal diverso statuto del processo in assenza di riferimento.

La prima disposizione citata, come ricordato, configura un istituto funzionale a garantire l'imputato nei cui confronti si sia proceduto in contumacia sulla base di una mera presunzione fondata sulla conoscenza legale del processo in ragione della riscontrata regolarità formale della notificazione della citazione a giudizio.

La seconda, invece, è prevista a chiusura di un sistema che già impone al giudice, nella fase preliminare della verifica della costituzione delle parti, di accertare che la mancata comparizione dell'imputato sia dovuta ad una sua libera scelta. Ed in tal senso già Sez. U, n. 36848 del 17/07/2014, Burba, hanno messo in evidenza l'intimo legame esistente tra l'art. 629-bis e art. 420-bis c.p.p. e come sia dunque necessario ricavare dal coordinamento tra queste due disposizioni e dalla stessa funzione assegnata all'istituto della rescissione nel quadro complessivo della disciplina del processo in assenza le coordinate per ricostruire l'effettivo significato delle formule dispiegate nel testo del primo articolo citato.

5.2 In secondo luogo il ricorrente esclude in maniera apodittica la possibilità di giungere ad una interpretazione della disposizione impugnata conforme ai parametri costituzionali e convenzionali evocati, prescindendo dal necessario confronto con la ratio che ha ispirato la configurazione dell'istituto della rescissione (ovviamente in riferimento alla originaria collocazione dell'istituto nell'art. 625-ter c.p.p.) e con la stessa opera nomofilattica intrapresa da questa Corte.

In tale prospettiva va anzitutto rammentato che la dichiarata intenzione del legislatore del 2014, per come emerge dalla relazione che ha accompagnato la proposta da cui è scaturita la L. n. 67 del 2014 (n. C331), è stata quella di riformare il processo in assenza in modo da renderlo compatibile con i principi sanciti dalla giurisprudenza Europea. Ne consegue che la formulazione dell'art. 625-ter c.p.p., prima, e art. 629-bis c.p.p., poi, non può essere semplicemente liquidata dall'interprete come un "passo indietro" rispetto a quella dell'art. 175, comma 2, come novellato nel 2005, tanto più alla luce della già evidenziata erroneità di un processo esegetico che si riduca al confronto tra la lettera delle diverse norme citate. Il significato dei termini impegnati per descrivere i presupposti della rescissione deve invece essere calibrato sull'intenzione legislativa e, come ricordato, sulla funzione assegnata ai rimedi ripristinatori nel rinnovato sistema configurato dal legislatore sul centro di gravità costituito dall'accertamento preliminare della conoscenza del processo da parte dell'imputato che poi non vi abbia partecipato.

5.3 E' allora evidente che il requisito della "incolpevole mancata conoscenza delle celebrazione del processo" non assume altro significato se non quello di escludere all'assente pur sempre volontario l'accesso ad un nuovo giudizio, a colui cioè che si sia volontariamente posto nelle condizioni di non ricevere adeguata notizia del processo, dimostrando così implicitamente di non volervi partecipare. Dunque, l'art. 629-bis c.p.p., attribuisce al giudice della rescissione il compito di valutare la sintomaticità in tal senso dei comportamenti tenuti all'imputato rimasto assente nel corso dell'intero processo, soprattutto nel caso in cui questi abbia avuto cognizione della pendenza del procedimento, senza instaurare però alcun automatismo in riferimento alle condizioni che, ai sensi dell'art. 420-bis c.p.p., autorizzano il giudice della cognizione a procedere in sua assenza. Automatismo a cui peraltro, come chiarito dalle citate Sezioni Unite Ismail Darwish, nemmeno quest'ultimo può ricorrere, dovendo per l'appunto, nella ricorrenza di tali condizioni comunque accertare l'effettiva adeguata conoscenza del processo ricevuta dall'assente e comunque l'eventuale volontaria sottrazione a tale conoscenza.

Se questa è, come ritiene il Collegio, la corretta lettura della disposizione di cui il ricorrente chiede l'impugnazione, non si ravvisano nella sua formulazione effettivi punti di attrito con i parametri costituzionali e convenzionali invocati, posto che, come illustrato in precedenza, la stessa Corte EDU ha in più occasioni evidenziato come la volontaria sottrazione alla conoscenza del processo costituisca legittimo presupposto per procedere in assenza dell'imputato.

5.4 Nè si pone in contrasto con i suddetti parametri l'onere probatorio da cui l'assente viene onerato. Sempre alla luce del contesto normativo in cui tale previsione deve essere calata, la pur ambigua terminologia utilizzata dal legislatore non può infatti essere interpretata nel significato più rigoroso paventato dal ricorrente, come cioè onere di fornire la "prova", nel senso tecnico-processuale inteso, della propria mancata conoscenza del processo, con contestuale liberazione del giudice da qualsivoglia accertamento in caso di mancato assolvimento dello stesso.

In tal senso, pervero, già si sono sostanzialmente espresse le Sezioni Unite con la citata sentenza Burba, laddove, seppure incidentalmente, il Supremo Collegio ha precisato come il suddetto onere probatorio sostanzialmente "implica l'allegazione di una documentazione a sostegno" e non preclude al giudice investito dalla richiesta di rescissione l'acquisizione "di documentazione integrativa, potendo essere necessario chiarire aspetti ambigui o colmare possibili lacune o verificare la rispondenza della documentazione esibita alla realtà processuale".

In definitiva ciò da cui deve intendersi gravato l'assente involontario è un onere di allegazione delle specifiche ragioni che giustificano la richiesta di rescissione e degli elementi che vengono indicati a sostegno delle medesime, la cui fondatezza spetta al giudice verificare, ma anche accertare attraverso le necessarie integrazioni istruttorie che si rivelassero necessarie. Conclusione che a maggior ragione deve ritenersi asseverata dalla scelta compiuta con la L. n. 103 del 2017 - cui si deve l'abrogazione dell'art. 625-ter e l'introduzione dell'art. 629-bis - di trasferire l'incidente di rescissione dalla competenza del giudice di legittimità alle Corti d'appello e che, come si legge nella relazione di accompagnamento al relativo progetto (n. C2978), è stata determinata dalla constatazione che "i poteri che tale attribuzione comporta siano di cognizione di profili esclusivamente di merito".

Non solo nel riproporre nell'art. 629-bis, comma 1, quello che era stato l'art. 625-ter, comma 1, il legislatore del 2017 ha operato una sola modifica lessicale, prevedendo l'istante non ha semplicemente il diritto di "richiedere" la rescissione del giudicato, scelta indubbiamente più ambigua sul piano della definizione degli oneri probatori, bensì di "ottenere" tale rescissione. Verbo questo che in maniera più esplicita evoca la necessità che il giudice, una volta investito dell'incidente, accerti comunque l'oggettiva fondatezza della mancata conoscenza del processo.

6. Alla manifesta infondatezza dell'eccezione di legittimità costituzionale non può conseguire il rigetto del ricorso. Ed infatti il ricorrente ha sollevato la questione sulla base di una lettura del sistema normativo di riferimento operata dal giudice del merito che certamente contrastata con le condizioni della sua compatibilità con i parametri costituzionali e convenzionali evocati, avendo egli sostanzialmente desunto in maniera automatica "l'ignoranza colpevole" ostativa alla rescissione dal fatto che, nel corso delle indagini preliminari, il R. aveva eletto domicilio presso il difensore d'ufficio assegnatogli all'atto della sua identificazione.

Automatismo che, come illustrato, non è insito nel sistema, tanto più con riguardo alla tipologia di evento processuale considerato nel caso di specie alla luce del principio di recente affermato dalla già menzionata sentenza Ismail Darwish delle Sezioni Unite, per cui, ai fini della dichiarazione di assenza non può considerarsi presupposto idoneo la sola elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio, da parte dell'indagato, dovendo il giudice, in ogni caso, verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata l'effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l'indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest'ultimo abbia avuto conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla stessa.

Ne consegue dunque che il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio alla Corte d'appello di Firenze per nuovo esame.

P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte d'appello di Firenze. Dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 629 bis c.p.p..

Così deciso in Roma, il 15 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020