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Edificio pericolante, condanna per i chiamati all'eredità (Cass. 10549/19)

11 marzo 2019, Cassazione penale

Il reato contravvenzionale di omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina ha carattere permanente, in quanto lo stato di consumazione perdura fino a che il pericolo per la incolumità pubblica non sia cessato per fatto volontario dell’obbligato o per altra causa, oppure con la pronuncia della sentenza di primo grado, quando la condotta antigiuridica si protragga nel corso del procedimento penale, come nelle situazioni nelle quali il capo di imputazione abbia fatto riferimento solo alla data dell’accertamento del reato.

Vi è rilevanza penale per i chiamati all'eredità che comprenda un edificio pericolante, quando dalla situazione di rovina dell’immobile derivi pericolo per la persona:  deve trattarsi di un pericolo concreto, secondo il canone interpretativo della concreta offensività.

 

Corte di Cassazione

sez. I Penale, sentenza 7 novembre 2018 – 11 marzo 2019, n. 10549
Presidente Tardio – Relatore Liuni

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 5/11/2014, il giudice monocratico del Tribunale di Latina (ex sez. dist. di Terracina) condannava F.L. , R.G. e F. , e M.G. e M. alla pena di Euro 309 di ammenda ciascuno, oltre al risarcimento del danno morale subito dalla costituita parte civile, liquidato nella misura complessiva di Euro 5.000, per la contravvenzione ex art. 677 c.p. (perché,quali proprietari dell’immobile sito in (…), omettevano di far eseguire i lavori necessari alla tutela dell’incolumità pubblica. In (omissis) ).
2. Avverso tale sentenza ricorrono per cassazione F.L. , R.G. e R.F. , con atti a loro firma, e con memoria depositata il 19/10/2018; nonché M.G. e M.M. , a mezzo del difensore avv. Enrico Orlandi, avanzando i seguenti analoghi motivi di impugnazione.

2.1 Per F.L. , R.G. e R.F. : vizio di motivazione dell’impugnata sentenza, in ordine alla qualità di proprietari dell’immobile dei medesimi ricorrenti, erroneamente ritenuta sussistente.

2.2 Violazione di legge in merito all’art. 460 c.c., per insussistenza dell’obbligo dei chiamati all’eredità di provvedere alla conservazione del bene.

2.3 Violazione di legge in merito all’art. 157 c.p., per omessa rilevazione dell’intervenuta prescrizione del reato contravvenzionale.

2.4 Vizio della motivazione - contraddittoria e manifestamente illogica - sul punto della liquidazione del danno morale riconosciuto alla parte civile, del quale si censura la qualificazione di danno in re ipsa.

2.5 Peri ricorrenti M.G. e M.M. , si lamenta violazione della legge penale e di altre norme giuridiche presupposte dalla legge penale, in relazione all’art. 677 c.p. e art. 480 c.c., e correlato vizio di motivazione risultante dal testo della sentenza e da altri atti specificamente indicati.
I due ricorrenti non dovevano considerarsi eredi e quindi proprietari dell’immobile di Fondi, il quale era appartenuto al padre di R.I. madre dei M. - ma non era stato ereditato da costei, in quanto la medesima non aveva integrato comportamenti espressi o taciti tali da far presumere la volontà di ricevere detto bene in successione. Invero, il diritto di accettare l’eredità ex art. 480 c.c. era prescritto prima della morte della sig.ra R.I. .
Poiché l’art. 677 c.p. configura un reato proprio, l’assenza della qualità di proprietari dell’immobile in capo ai ricorrenti M. esclude la loro responsabilità penale.

Considerato in diritto

1. I ricorsi sono inammissibili.

1.1 I motivi di impugnazione riguardanti la mancanza di qualificazione soggettiva sono manifestamente infondati.
Entrambi i gruppi di ricorrenti contestano la loro "legittimazione passiva", affermando di non rivestire la qualificazione soggettiva di proprietari dell’immobile che minaccia rovina, e, pertanto, di non essere destinatari del precetto.
F.L. ed i figli R.G. e F. rivendicano di essere meri chiamati all’eredità.
M.G. e M.M. richiamano complesse vicende successorie dalle quali discenderebbe che a loro volta non hanno mai conseguito la titolarità proprio di quel cespite per via ereditaria, ma di tali evoluzioni non hanno offerto alcuna evidenza documentale, nulla essendo allegato al ricorso in esame.
Pertanto, la motivazione resa sul punto dal giudice di primo grado - che,evidenzia come la documentazione prodotta attesti la rinuncia all’eredità esclusivamente da parte di Francesco M. e M.M. , e non degli odierni ricorrenti - non appare viziata nel senso indicato, e corretto appare il rilievo che, alla stregua della documentazione visionata da quel giudice, gli unici riflessi derivino dalla retrodatazione della cessata permanenza della contestata contravvenzione ex art. 677 c.p., da fissarsi allo spirare del termine decennale per l’accettazione dell’eredità materna, cioè al 22/1/2012, essendosi la successione aperta il 22/1/2002.

1.2 Si osserva che la contravvenzione ex art. 677 c.p. è collocata nel Libro III del codice penale, sezione II riguardante l’incolumità pubblica e paragrafo I che specifica trattarsi delle contravvenzioni concernenti l’incolumità delle persone nei luoghi di pubblico transito.
Tale figura contravvenzionale, attualmente costruita nei primi due commi come illecito amministrativo a seguito di depenalizzazione D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507 ex art. 52, mantiene nel comma 3 rilevanza penale nel caso in cui dalla situazione di rovina dell’immobile derivi pericolo per la persona. Deve trattarsi di un pericolo concreto, secondo il canone interpretativo della concreta offensività, trattandosi del residuo dell’originaria disposizione, integralmente di natura penale, che vedeva nella previsione dell’art. 677 c.p., u.c. la forma aggravata di responsabilità (Sez. 1, 8 marzo 2000, n. 5966). Nella specie tale è stata ritenuta, essendo il giudizio sorto a seguito di un intervento urgente originariamente disposto dal comune di Fondi nell’anno 2003, con diffida agli odierni ricorrenti a provvedere in via definitiva, e con successivo intervento di un privato - signor L.N. , costituitosi parte civile - che nel 2006 segnalava la protrazione della situazione di pericolo concreto per i passanti.

1.3 Il soggetto attivo indicato dall’art. 677 c.p. non è soltanto il proprietario dell’immobile, ma anche "chi è per lui obbligato alla conservazione o alla vigilanza dell’edificio o della costruzione".

La giurisprudenza ha sempre affermato la natura di reato proprio della fattispecie penale dell’art. 677 c.p., ma ha variamente indicato la seconda ipotesi di destinatario del precetto, ad esempio nell’amministratore di condominio (Sez. 4, sentenza n. 46385 del 23/10/2015, Rv. 265374 - 01, Antonazzo; Sez. 1, sentenza n. 6596 del 17/1/2008, Rv. 239127, Corona e altri), o nel condomino anche se la minaccia di rovina non provenga dalla sua porzione di proprietà individuale e indipendentemente dall’attribuibilità al medesimo dell’origine della stessa (Sez. 1, sentenza n. 15759 del 6/2/2001, De Marco, Rv. 219488), o ancora nel tutore dell’incapace (Sez. 1, sentenza n. 4032 del 10/10/2003 - dep. 2004, Rv. 227823 - 01, Conforti), quindi in figure che sebbene non riconducibili a quella cui spetta l’insieme delle situazioni soggettive di cui si compone il diritto di proprietà - purtuttavia siano tenute ad un obbligo di manutenzione del bene, nella prospettiva della tutela dell’interesse pubblico all’incolumità delle persone nei luoghi di pubblico passaggio, che è proprio quella che viene in rilievo nella presente fattispecie.

Orbene, deve affermarsi che, alla stregua del bene "incolumità pubblica" tutelato dalla disposizione in esame, e dell’intervento già in precedenza attuato in via di urgenza (e di supplenza) dal comune di Fondi, che concretizza nel caso specifico la finalità perseguita dal legislatore, è inappropriato opporre sottili distinzioni civilistiche sulle qualità successorie degli imputati, trattandosi in entrambi i casi di soggetti tenuti a provvedere ai lavori necessari sull’immobile onde scongiurarne il rischio di rovina, salvo poi a verificare nell’appropriata sede civilistica a chi sarebbe effettivamente spettato l’onere di spesa in merito a tali opere necessarie ed urgenti, alla stregua delle rispettive posizioni civilistiche in ordine al bene (infatti, la giurisprudenza richiamata nella memoria depositata il 19/10/2018 dai ricorrenti R. e F. attiene esclusivamente ai profili civilistici e tributari).


Appigli in tal senso discendono dalla disposizione dell’art. 460 c.c. che, nel disciplinare i poteri del chiamato all’eredità, gli attribuisce la facoltà di esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari, senza bisogno di materiale apprensione; nonché quella di compiere atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea, potendo anche farsi autorizzare dall’autorità giudiziaria a vendere i beni che non si possono conservare o la cui conservazione importa grave dispendio. Trattasi di poteri espressi in termini di mera facoltà, quando sono rivolti alla cura di un interesse privato dello stesso soggetto, ma che devono intendersi come obblighi nei loro riflessi funzionali alla tutela di un interesse pubblico, nella specie consistente nell’incolumità pubblica e sanzionato dalla disposizione dell’art. 677 c.p..

Pertanto, deve affermarsi che sotto il profilo penalistico, in relazione all’oggettività giuridica della disposizione dell’art. 677 c.p., sono obbligati alla conservazione dell’edificio anche i chiamati all’eredità, in funzione della loro relazione con il bene pericolante, sia pure in via provvisoria e salva diversa ripartizione degli oneri economici in sede civilistica.

2. Inammissibile per manifesta infondatezza è anche il motivo di ricorso fondato sull’intervenuta prescrizione del reato.
La contravvenzione di omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina ha carattere permanente, in quanto lo stato di consumazione perdura fino a che il pericolo per la incolumità pubblica non sia cessato per fatto volontario dell’obbligato o per altra causa, oppure con la pronuncia della sentenza di primo grado, quando la condotta antigiuridica si protragga nel corso del procedimento penale, come nelle situazioni nelle quali il capo di imputazione abbia fatto riferimento solo alla data dell’accertamento del reato (Sez. 1, sentenza n. 12721 del 07/03/2007, Rv. 236382 - 01, Orza).
La contestazione, quanto al tempus commissi delitti, è stata effettuata in forma aperta, indicando nell’imputazione "dal giugno 2006", nè risultano dalla motivazione dell’impugnata sentenza elementi che consentano di ritenere cessata la condotta omissiva degli imputati F.L. , R.G. e R.F. in un momento precedente alla pronuncia giudiziale.
Quanto agli imputati M.G. e M.M. , richiamando le considerazioni effettuate in precedenza, la cessazione della permanenza al 22/1/2012 non spiega effetti in termini di prescrizione del reato, la quale non era maturata alla data della sentenza impugnata.
Pertanto, non si apprezza la dedotta causa estintiva del reato.

3. Infine, è manifestamente infondata anche la doglianza relativa al ritenuto vizio della motivazione sul punto della liquidazione del danno morale riconosciuto alla parte civile.
La sentenza impugnata ha riconosciuto tale danno, ancorandolo al dato che L.N. è titolare di uno studio professionale per accedere al quale è necessario passare sotto le strutture lesionate e pericolose per la pubblica incolumità. La riportata motivazione è immune dai vizi denunciati nei ricorsi: invero, insegna la giurisprudenza di legittimità che la liquidazione del danno morale è affidata ad apprezzamenti discrezionali ed equitativi del giudice di merito il quale ha, tuttavia, il dovere di dare conto delle circostanze di fatto considerate in sede di valutazione equitativa e del percorso logico posto a base della decisione, senza che sia necessario indicare analiticamente i calcoli in base ai quali ha determinato il quantum del risarcimento (Sez. 4, sentenza n. 18099 del 01/04/2015, Rv. 263450 - 01, Lucchelli e altro). Ciò che il giudice di merito nel caso di specie ha puntualmente fatto.
Non era necessario che il giudice indicasse anche precisi profili causali tra la condotta ed il ritenuto danno, in quanto la responsabilità da danno ex delicto discende dal reato stesso, essendo stato già affermato da questa Corte che il riconoscimento della penale responsabilità comporta per l’imputato la responsabilità civile per il danno "ex delicto" che, pur non identificandosi con l’evento, è conseguenza necessaria dell’evento stesso (Sez. 5, sentenza n. 43363 del 21/10/2010, Mameli, Rv. 248952; in motivazione, si sono richiamate Sez. Un. civ. n. 26972 dell’11/11/2008, Rv. 605489).
La liquidazione del danno medesimo è avvenuta in base a criteri equitativi come reso necessario nel caso in esame, avendo chiarito questa Corte che è legittimo il ricorso del giudice a criteri equitativi nella quantificazione del danno risarcibile ove in esso non siano rinvenibili componenti patrimoniali suscettibili di precisa determinazione (Sez. 5, n. 43053 del 30/09/2010, Arena, Rv. 249140).
4. In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro duemila ciascuno alla cassa delle ammende, ex art. 616 c.p.p., non risultando l’assenza di profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, ai sensi della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.
I ricorrenti sono altresì tenuti alla rifusione delle spese processuali sopportate dalla costituita parte civile intervenuta nel presente procedimento, secondo la liquidazione effettuata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara l’inammissibilità dei ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro duemila ciascuno alla cassa delle ammende.
Condanna altresì i ricorrenti alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre spese generali, Cpa e Iva come per legge.