Nel reato di violenza privata, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo consistere sia in violenza fisica, propria, che si esplica direttamente nei confronti della vittima, o di violenza cd. impropria che sì attua attraverso l'uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione e che la coscienza e volontà di costringere taluno, mediante violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa.
La consapevolezza dell'illegittimità della costrizione rappresenta l'elemento differenziale della violenza privata rispetto al delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, che presuppone, invece, la coscienza di fare cosa giusta nella sostanza sebbene ingiusta nella forma.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
(ud. 20/12/2018) 30-01-2019, n. 4779
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORELLI Francesca - Presidente -
Dott. PEZZULLO Rosa - Consigliere -
Dott. CALASELICE Barbara - Consigliere -
Dott. TUDINO Alessandrina - Consigliere -
Dott. SCORDAMAGLIA Irene - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.M., nato a (OMISSIS);
C.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 20/04/2018 della CORTE APPELLO di MESSINA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere IRENE SCORDAMAGLIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. FIMIANI Pasquale, che ha concluso chiedendo;
Il Proc. Gen., previa riqualificazione del reato ai sensi dell'art. 392 c.p., conclude per l'annullamento senza rinvio per remissione di querela;
udito il difensore:
L'avv. K chiede l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. M.M. e C.A., chiamati a rispondere del delitto di violenza privata, commesso, dal primo, quale presidente del Consiglio di Amministrazione e, dal secondo, quale dirigente della "C Spa.", in pregiudizio di P.J., socia e consigliere di amministrazione della compagine in parola - cui veniva impedito di svolgere l'attività di "internal audit" e di controllo sull'andamento della gestione aziendale, nella giornata precedente alla revoca del suo incarico, inibendole l'accesso ai locali, ubicati in (OMISSIS), ove aveva sede la compagine imprenditoriale indicata, sostituendo, senza preventivo avviso e durante la pausa pranzo, la serratura della porta di ingresso -, con sentenza della Corte di appello di Messina, si vedevano confermato il giudizio di responsabilità, emesso in relazione all'addebito di cui in premessa dal Tribunale della stessa città in data 10 novembre 2015, e respinta - pur a fronte di una più benevola rideterminazione della pena - la richiesta di concessione delle attenuanti generiche ovvero di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
2. Avverso la pronuncia della Corte di appello i difensori degli imputati, in data 12 maggio 2018, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione, affidati, tuttavia, a ragioni di censura del tutto sovrapponibili, enunciate nei limiti imposti dall'art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo deducono il vizio di violazione di legge, in relazione all'art. 610 c.p., e il vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta sussistenza degli estremi del reato di violenza privata: tanto sul rilievo che gli imputati avevano agito - il C. su determinazione del M. - nel pieno esercizio dei loro poteri, che li abilitavano ad assumere ogni iniziativa utile a salvaguardare l'integrità dei locali (e di quanto vi era custodito), ove, sino a quel momento, aveva avuto sede la "C Spa" prima del trasferimento a (OMISSIS), come reso evidente dall'apposizione del cartello segnalante il cambio della serratura e i numeri di telefono cui rivolgersi in caso di necessità, del quale i prevenuti ben avrebbero potuto fare a meno se la loro condotta fosse stata animata da dolo eventuale di impedire alla P. di accedervi, piuttosto che dalla colpa cosciente, caratterizzata dal sicuro convincimento di riuscire ad evitare l'evento di impedimento.
2.2. Con il secondo motivo deducono l'erronea applicazione della legge penale quanto alla mancata derubricazione del delitto in quello di esercizio arbitrario delle private ragioni con violenza sulle cose, avendo i ricorrenti inteso esercitare in nome della società il diritto di tutelarne i beni: e ciò a prescindere dalla fondatezza della pretesa. Nondimeno l'indicata conclusione era quella da attendersi in applicazione del principio di specialità di cui all'art. 15 c.p., posto che, nella specie, il delitto di violenza privata era da considerarsi assorbito in quello di "ragion fattasi", in quanto la condotta degli agenti era direttamente ed esclusivamente finalizzata a tutelare le ragioni della società.
2.3. Con il terzo motivo e con i motivi nuovi, articolati nelle distinte memorie depositate nell'interesse di ciascun ricorrente in data 3 dicembre 2018, deducono il vizio di violazione di legge, in relazione agli artt. 62 bis e 131 bis c.p., e il vizio di motivazione, sul rilievo che il concesso beneficio agli imputati della sospensione condizionale della pena sarebbe in contrasto con il diniego delle circostanze attenuanti generiche e con la mancata applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, resa, palese, nell'attualità, dall'intervenuta remissione di querela da parte della persona offesa in data 14 settembre 2018, ritualmente accettata.
Motivi della decisione
I ricorsi sono inammissibili.
1. Le censure articolate nell'interesse di entrambi gli imputati con i primi due motivi di ricorso sono riconducibili ad un vizio non consentito, perchè si sostanziano in deduzioni sviluppate interamente sul piano del fatto e, comunque, sono manifestamente infondate.
1.1. La Corte territoriale con motivazione, completa e dotata di più che logica plausibilità, ha evidenziato come le circostanze di tempo - durante la pausa pranzo e il giorno prima dell'adunanza consiliare che aveva deliberato la revoca alla P. dall'incarico di "internal audit" e di consigliere di amministrazione -, nelle quali la sostituzione della serratura della porta di accesso ai locali di Messina della "C Spa" aveva avuto luogo, costituivano indici sicuri della volontà degli imputati di impedire alla P. - che già aveva denunciato gravi irregolarità - di controllare l'andamento della gestione sociale e non di quella di esercitare, per conto della società, il diritto di proteggere i locali stessi e quanto vi si trovava custodito.
Tanto, peraltro, secondo l'argomentare della Corte territoriale, avrebbe trovato conferma nello stesso dire dei testimoni addotti dalla difesa, che, a differenza della P., erano stati o informati dal C. del cambiamento di sede e da costui accompagnati a prelevare quanto loro appartenente o muniti delle nuove chiavi; nè sarebbe rimasto smentito dall'apposizione del cartello recante l'indicazione dei numeri di telefono utili, visto che il C. stesso, chiamato dalla P. che intendeva accedere ai locali in tempo utile per recuperare la documentazione necessaria all'espletamento delle sue funzioni, si era reso indisponibile a provvedere nel senso indicato dal cartello.
Ne viene che, al cospetto di un siffatto impianto giustificativo del rigetto delle doglianze di gravame in punto di sussistenza del fatto e di qualificazione giuridica dello stesso, i rilievi articolati dai ricorrenti si traducono in una inammissibile richiesta di sindacato sull'accertamento di fatto compiuto dal giudice di appello. Alla Corte di cassazione è, infatti, preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno (tra le altre, Sez. U., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362). Resta, dunque, esclusa, pur dopo la modifica dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o, comunque, di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 in data 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
1.2. Nondimeno, è jus receptum che, ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione, potendo consistere sia in violenza fisica, propria, che si esplica direttamente nei confronti della vittima, o di violenza cd. impropria che sì attua attraverso l'uso di mezzi anomali diretti ad esercitare pressioni sulla volontà altrui, impedendone la libera determinazione (Sez. 5, n. 41311 del 15/10/2008, La Rocca, Rv. 242328; Sez. 5, n. 1195 del 27/02/1998, PG in proc. Piccinin ed altri, Rv. 211230, in fattispecie in cui è stata affermata la sussistenza del reato di cui all'art. 610 c.p., nella condotta del soggetto che, apponendo una catena con lucchetto ad un cancello, aveva impedito all'avente diritto di entrare nella propria abitazione) e che la coscienza e volontà di costringere taluno, mediante violenza o minaccia, a fare, tollerare od omettere qualcosa con la consapevolezza dell'illegittimità di tale costrizione, rappresenta l'elemento differenziale della violenza privata rispetto al delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, che presuppone, invece, la coscienza di fare cosa giusta nella sostanza sebbene ingiusta nella forma (Sez. 5, n. 23923 del 16/05/2014, Demattè, Rv. 260584).
In linea con tale lezione ermeneutica, dunque, i giudici di appello hanno ravvisato nella condotta degli imputati gli estremi del delitto di violenza privata in luogo di quello del delitto di esercizio arbitrario delle private ragioni con violenza sulla cosa, il preteso diritto esercitato - la chiusura dei locali per ragioni di sicurezza - non essendo, invero, oggetto di precedente contestazione da parte della P., trovatasi di fronte al fatto compiuto (Sez. 6, n. 25372 del 10/01/2012, Nastasi e altri, Rv. 253015; Sez. 6, n. 11381 del 14/07/1994, Massimino, Rv. 199373) ed essendosi risolta l'iniziativa degli imputati in un'ingiusta coartazione della libertà di determinazione della persona offesa, impedita di esercitare la facoltà di accesso nel luogo in cui ella esercitava la propria attività, indipendentemente da ogni profilo di fondatezza giuridica del relativo diritto.
2. Manifestamente infondate sono anche le doglianze articolate con il terzo motivo di ciascun ricorso e con i motivi nuovi sviluppati nell'interesse di entrambi i ricorrenti.
2.1. Non sussiste il denunciato contrasto logico tra la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena e il diniego delle attenuanti generiche, posto che secondo la costante linea interpretativa di questa Corte regolatrice i due istituti sono caratterizzati da diversi presupposti e da differenti finalità, in quanto il secondo è volto a considerare la personalità del reo ai fini della proporzionalità e dell'adeguatezza della pena, mentre il primo si fonda su un giudizio prognostico strutturalmente diverso da quello posto a fondamento delle attenuanti generiche perchè è orientato a prevenire, in funzione condizionale e quindi disincentivante, la commissione di ulteriori attività criminose (Sez. 4, n. 39475 del 16/02/2016, Tagli, Rv. 267773; Sez. 1, n. 6603 del 24/01/2008, P.G. in proc. Stumpo, Rv. 239131; Sez. 3, n. 12828 del 18/10/1999, Dal Pont, Rv. 215636).
2.2. Non vi è neppure incompatibilità tra la concessione del beneficio ex art. 163 c.p., e il rigetto dell'applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, anche alla luce dell'intervenuta remissione di querela da parte della persona offesa.
Si è, infatti, condivisibilmente affermato, in seno alla giurisprudenza di vertice, che i giudizi posti a fondamento dell'uno e dell'altra devono essere tenuti distinti, anche sul piano motivazionale (Sez. 4, n. 7905 del 07/01/2016, Vinci, Rv. 266065), perchè il primo si riferisce ad una valutazione prognostica circa la capacità dell'autore del reato di astenersi in futuro dalla commissione di nuovi fatti di rilevanza penale, mentre i parametri di valutazione previsti dall'art. 131 bis c.p., comma 1, si riferiscono alla struttura e alla natura del fatto (con riferimento alla pena edittale, alla modalità e particolare tenuità della condotta, all'esiguità del danno) e al profilo psicologico di esso ovvero a tipizzate connotazioni di propensione al crimine.
3. Ne viene che, per le suesposte ragioni, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2019