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La pipì del cane sui muri è reato solo se ..(Cass. 7082/15)

18 febbraio 2015, Cassazione penale

 La possibilità che un cane condotto sulla pubblica via possa fare la pipì, imbrattando beni di proprietà di terzi, è frutto di un rischio certamente prevedibile ma non altrimenti evitabile, non essendo ipotizzabile che l'animale sia costretto ad espletare i propri bisogni fisiologici all'interno di luoghi di privata dimora (o comunque di ambienti chiusi) privi di pertinenze esterne (cortili, giardini, ecc.).

Ciò che si può quindi richiedere a chi è necessitato a condurre un cane sulla pubblica via per tali incombenze è solo un corretto governo di taie (inevitabile) rischio, governo realizzabile, ad esemplo, attraverso la possibilità di una attenta vigilanza sul comportamenti dell'animale, attraverso la possibilità di limitarne la totale libertà di movimento (se dei caso tenendolo legato con un guinzaglio) o comunque intervenendo con atteggiamenti tali da farlo desistere "quantomeno nell'immediatezza" dall'azione.

E' un dato di comune esperienza che li condurre un cane sulla pubblica via apre la concreta possibilità che l’animale possa imbrattare con l’urina o con le feci beni di proprietà pubblica o privata: ci troviamo quindi certamente di fronte ad una indubbia probabilità dell’evento che quisque de populo non può non rappresentarsi e che certamente anche l’odierno Imputato non poteva non essersi rappresentato accettandone quindi la situazione di rischio;

E' però anche un dato di comune esperienza che, per quanto l’animale possa essere stato bene educato, il momento in cui io stesso decide di espletare i propri bisogni fisiologici è talvolta difficilmente prevedibile trattandosi di un istinto non altrimenti orientabile e, comunque, non altrimenti sopprimibile mediante il compimento di azioni verso l’animale che si porrebbero al confine del maltrattamento nei confronti dello stesso;

E' ancora, è un dato di comune esperienza che i cani non esplicano i propri bisogni fisiologici all’interno degli appartamenti o degli altri luoghi chiusi di privata dimora, con la conseguenza che i possessori dei predetti animali che risiedono in agglomerati urbani si vedono necessitati a condurli sulla pubblica via con tali finalità: non sempre le Autorità locali sono in grado di predisporre luoghi appositi ove detti animali possano espletare i loro bisogni fisiologici e comunque non può essere escluso che gir animali decidano (con tempi e modalità che, come detto, non è possibile inibire) di espletare tali bisogni altrove o prima del raggiungimento dei luoghi a ciò deputati.

Cassazione penale

sez. II, 18 febbraio 2015, n. 7082

 

RITENUTO IN FATTO

 

Con sentenza in data l5/2/2013 il giudice monocratico dei Tribunale di Firenze accoglieva l’appello proposto dall’imputato i avverso la sentenza con la quale, In data 30/11/2010, ii Giudice dì Pace della medesima città, io aveva dichiarato colpevole del delitto di cui all’art. 639, comma 2, cod. pen. e, per l’effetto, lo assolveva dal reato ascrittogli perché il fatto non costituisce reato, revocando il capo relativo alle statuizioni civili.
L’azione contestata al consiste nel fatto di avere, permettendo ai proprio cane dì orinare sulla facciata di un edificio dichiarato di notevole interesse storico architettonico posto in via con facciata laterale su via de imbrattato il predetto edificio di proprietà i Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza ed ai soli effetti civili difensore della sopra Indicata parte civile deducendola violazione dell’art. 639 cod. pen. per avere il giudice ritenuto che, nella fattispecie, non fosse ravvisabile il dolo generico (anche eventuale) necessario per configurare I) reato in contestazione, nonostante il fatto conclamasse l’esatto contrario. Infine, Il giudice, erroneamente, avrebbe sostenuto che non vi era prova alcuna dell’imbrattamento.


CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non è fondato per le ragioni di seguito indicate.

L’imputato, come detto, nel giudizio di primo grado, è stato condannato per violazione dell’art. 639, comma 2, cod. pen.

Il giudice di appello, ha motivato l’assoluzione nei seguenti testuali termini: «dall’istruttoria svolta nel corso del giudizio di primo grado è risultato provato che iI cane di proprietà dell’odierno Imputato abbia orinato sul muro delia facciata dell’edificio di proprietà di edificio dichiarato di notevole interesse architettonico e lo abbia momentaneamente macchiato. Tuttavia va osservato che 11 reato contestato all’Imputato (art. 639 co. 2 c.p.) è un delitto, per la cui configurabilità è richiesta la sussistenza del dolo anche generico. Nella fattispecie in esame non è risultata provata la sussistenza del dolo. Invero non sono emersi elementi da cui desumere che tra il ed il proprietario dell’edificio vi fossero motivi di astio e di rancore, tali da indurre i a tenere ia condotta a lui ascritta In rubrica. Oltretutto è la stessa persona offesa che dichiara che dopo che il cane aveva orinato, si era preoccupato di ripulire la parte del muro imbrattata, versandovi dell’acqua, circostanza questa Incompatibile con ia volontà di imbrattare il muro.

A ciò va aggiunto che è del tutto inverosimile che il abbia indotto il suo animale a sporcare il muro con l’urina, in quanto da un iato è emerso pacificamente che l’imputato aveva con sé una bottiglietta ed ha usato li liquido ivi contenuto per pulire il muro ed inoltre viene In considerazione un istinto fisiologico del cane che il suo padrone non avrebbe potuto orientare. Tutto ciò Induce a ritenere Insussistente l’elemento soggettivo del reato ascritto all’imputato. È appena il caso di aggiungere che In dibattimento non è emersa prova certa che il muro per effetto dell’orina dei cane sia stato effettivamente imbrattato, in quanto era già piuttosto malandato».

Ritiene l’odierno Collegio che la motivazione della sentenza impugnata sia corretta in punto di diritto e che non presenta vizi logico-motivazionali emendabili in questa sede.

La questione merita un doveroso quanto accurato esame in punto di diritto non solo ai fini di giustizia nel caso in esame ma in quanto la stessa coinvolge interessi diffusi nella vita quotidiana nella quale si contrappongono i diritti e gli interessi di milioni di persone divisi tra la legittima tutela dei beni di proprietà e la posizione di chi accompagna animali da compagnia sulla pubblica via. Si tratta di rapporti, interessi ed esigenze talvolta contrapposti che si Inseriscono In un più ampio quadro di convivenza, di rispetto civile, di tolleranza ma anche di malcostume di fronte ad un fenomeno che non può essere sottaciuto in quanto parte della realtà quotidiana soprattutto nei grandi agglomerati urbani. Quanto al caso In esame che - come si avrà modo di evidenziare ulteriormente nei prosieguo - presenta però delle particolarità, deve, innanzitutto essere rilevato che non v'è contestazione sullo sviluppo del fatti che, quindi, possono essere considerati come assodati.

Nulla quaestio, inoltre, circa la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato In contestazione atteso che li fatto ben può essere correttamente qualificato come “imbrattamento”, azione che consiste nell’ insudiciamento, prodotto con qualsiasi mezzo ed in qualsiasi modo idoneo, della cosa altrui - essendo irrilevante che l’alterazione sia temporanea o superficiale e che la res possa essere facilmente reintegrabile nel suo aspetto originario anche con modesta spesa (Cass. Sez. 2, sent. n. 5828 del 24/10/2012, dep. 06/02/2013, Rv. 255241; Sez. 2, sent. n. 28793 del 16/06/2005, dep. 29/07/2005,Rv. 232006).

In tal senso si è espressa anche la dottrina che non ha mancata di sottolineare come la norma di cui all’art. 639 cod. pen. tutela l’interesse pubblico all’inviolabilità del patrimonio contro quei fatti che, pur non determinando un danneggiamento del bene (punibile al sensi dell’art. 635 cod. pen.), colpiscono l’estetica o la nettezza delio stesso che vengono offese da condotte che ledono pur sempre il valore d?uso o di scambio del patrimonio altrui (In tal senso anche Cass. Sez. 1, sent. n. 4816 dei 14/01/1972, dep. 05/07/1972,Rv. 121556). In tempi più recenti la dottrina ha ulteriormente precisato che ie due condotte descritte dalla norma (quella dei “deturpare” e quella dell’”imbrattare”) incidono nel primo caso nel rendere disarmonica una cosa pregiudicandone l’estetica e, nel secondo, nel far diventare sudicia una cosa pregiudicandone la pulizia e la nettezza.

Alla luce di quanto appena evidenziato, pur prendendo atto che certamente la condotta di cui all’imputazione non pare idonea (come era richiesto da una parte delia dottrina e della giurisprudenza più risalenti nel tempo) a pregiudicare il valore d'uso o di scambio del patrimonio altrui, ciò non toglie che detto elemento materiale del reato può ben essere integrato dalla condotta consistita nel consentire al proprio cane di orinare sul muro di un edificio di proprietà altrui così pregiudicandone la pulizia e ia nettezza.

Quanto, poi, all’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 639 cod. pen., appare doveroso premettere che, come ha già avuto modo di precisare già In tempi remoti questa Corte Suprema, “ai fini dell’accertamento dell’elemento psicologico del soggetto agente, essendo la volontà ed i moti dell’anima interni al soggetto, essi non sono dall’interprete desumibili che attraverso le loro manifestazioni, ossia attraverso gli elementi esteriorizzati e sintomatici della condotta. - ne deriva che i singoli elementi e quindi anche quelli soggettivi attraverso cui si estrinseca l’azione, inerenti al fatto storico oggetto del giudizio, impongono una loro analisi la quale, essendo pertinente ad elementi di fatto, costituiscono appannaggio del giudizio di merito, non di quello delia legittimità che può solo verificare ia Inesistenza di vizi logici, la correttezza e la compiutezza della motivazione, l’assenza di errori sul piano del diritto, così escludendosi in tale sede un terzo riapprezzamento del merito” (Cass. Sez. 1, sent. n. 12726 del 28/09/1988, dep. 21/09/1989, Rv. 182105),

Come correttamente rilevato dai Tribunale, Il reato di cut all’art. 639 cod. pen., essendo un delitto ed in assenza di diversa previsione, è punibile a titolo di dolo. La diposizione di legge in esame non richiede, poi, un dolo specifico o diretto (problema che nel caso di specie non si pone poiché non v'è alcuna ragione per ritenere che l’imputato abbia volutamente fatto orinare il proprio cane sull’immobile di proprietà delia persona offesa per ragioni di sfregio o di rancore nei confronti delia stessa) con la conseguenza che appare sufficiente ad integrare ii reato anche il mero dolo generico od eventuale.

A questo punto appare doveroso porsi il problema che ha formato oggetto di vasto dibattito dottrinale e si è ripetutamente proposto nei la giurisprudenza italiana dei rapporti tra “dolo eventuale” e “colpa cosciente” Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema con una recente sentenza (Sez. U, sent. n. 38343 del 24/04/2014,dep, 18/09/2014,Rv. 261104) hanno chiarito che "in tema di elemento soggettivo del reato, il dolo eventuale ricorre quando l’agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell’evento concreto e ciò nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso In cui si verifichi; ricorre invece la colpa cosciente quando la volontà dell’agente non è diretta verso l’evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l’evento illecito, si astiene dall’agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo".

Scorrendo i passi salienti della decisione appena citata si evince come le Sezioni Unite hanno ritenuto di prediligere - in conformità a larga parte delia giurisprudenza di merito - l’approccio volontaristico alla problematica de qua che dedica grande attenzione alla lettura dei dettagli fattuali che possono orientare alla lettura dei moto interiore che sorregge ia condotta.

SI è, infatti, sottolineato come un dato testuale desunto dall’art. 43 cod. pen. è sicuramente decisivo per discernere tra dolo e colpa: l’essere o non essere della volontà.

Sotto tale profilo - proseguono ie Sezioni Unite - assai complessa ed oscura è ia contingenza che si designa come dolo eventuale, caratterizzata, dall’accettazione delle possibili conseguenze collaterali, accessorie delle proprie condotte. Qui II momento rappresentativo riguarda un evento dal coefficiente probabilistico non tanto significativo da risolvere II dubbio sull’essere o meno dell’atteggiamento doloso.

Il quadro è senza dubbio aperto all’incertezza e richiede di definire quale sia, In tali contingenze, l’atteggiamento psichico rispetto all’evento collaterale che possa essere considerato equivalente della volontà, ad essa assimilabile; in modo che, come è stato suggestivamente suggerito, si riveli una diversa declinazione del concetto di volontà entro un unitario nucleo di senso capace di conservare a ciascuna delle configurazioni del dolo un "analogo concetto di volontà".

Il dolo eventuale deve dunque essere configurato In guisa tale che possa esser letto sensatamente e senza forzature come una forma di “colpevolezza dolosa”; in ossequio al fondante principio di legalità.
Dolo e colpa - hanno evidenziato le Sezioni Unite - sono forme di colpevolezza radicalmente diverse, per certi versi antitetiche. Alla luce di tale diversità va pure letta la distinzione di cui si discute. Si vuol dire che le due figure, il dolo eventuale e colpa cosciente, appartengono a due distinti universi e da tale radicale diversità delle categorie ai cui interno si collocano traggono gli elementi che ie caratterizzano e ie distinguono: la struttura della previsione è diversa; diverso è l’evento; diverso è io scenario dell’agire umano; diverso infine è l’animus.

Alcune teorie sul punto sottendono una non realistica semplificazione ed idealizzazione della realtà: un agente che lucidamente analizza, discerné e si persuade nel senso delia negazione dell’evento. Si tratta secondo le Sezioni Unite di una visione delle cose molto lontana dalla varietà delle contingenze che si verificano nella vita.

Le cose non mutano guardandole nella prospettiva del dolo eventuale: secondo la teoria in esame esso si configurerebbe tutte quante volte l’agente si determini In presenza di un dubbio irrisolto circa la verificazione dell’evento e quindi in presenza delle mera percezione di una situazione rischiosa. Una tale soluzione interpretativa svuota tale imputazione soggettiva di ogni reale contenuto volitivo che coinvolga la relazione tra condotta ed evento; la allontana in modo Inaccettabile dalla categoria del dolo come atto di volontà; da luogo ad una sorta di presunzione» Certamente il dubbio accredita l’ipotesi di un agire che Implichi una quaJche adesione all’evento, ma si tratta appunto solo di un'ipotesi che deve confrontarsi con tutte le altre contingenze dei caso concreto. Dunque, ciò che risulta dirimente - secondo le Sezioni Unite - èun atteggiamento psichico che indichi una qualche adesione all’evento per caso che esso si verifichi quale conseguenza non direttamente voluta della propria condotta.

In breve, la previsione dell’evento può essere ben diversa nel dolo eventuale e nella colpa cosciente; e ciò costituisce il riflesso della diversità di fondo tra "colpevolezza dolosa" e "colpevolezza colposa". Nel dolo si è In presenza dell’agire umano ordinato, organizzato, finalistico. Un processo intellettuale che, lungamente elaborato o subitaneamente sviluppatosi e concluso, sfocia pur sempre in una consapevole decisione che determina la condotta antigiuridica. Qui il rimprovero giuridico coglie la scelta d?azione, o d?omissione, che si dirige nel senso della offesa dei bene giuridico protetto. Il dolo esprime la più intensa adesione interiore ai fatto, costituisce la forma fondamentale, generale ed originaria di colpevolezza; la più diretta contrapposizione all’imperativo della legge.

Se cosi è, ne consegue che nel dolo non può mancare la puntuale, chiara conoscenza di tutti gli elementi del fatto storico propri dei modello legale descritto dalla norma incriminatrice. In particolare, le Istanze di garanzia in ordine al rimprovero caratteristico delia colpevolezza dolosa richiedono che l’evento oggetto delia rappresentazione appartenga al mondo dei reale, costituisca una prospettiva sufficientemente concreta, sia caratterizzato da un apprezzabile livello di probabilità.
Solo in riferimento ad un evento cosi definito e tratteggiato si può istituire la relazione di adesione interiore che consente di configurare l’Imputazione soggettiva. In breve, l’evento deve essere descritto in modo caratterizzante e come tale deve essere oggetto, di chiara, lucida rappresentazione; quale presupposto cognitivo perché possa, rispetto ad esso, configurarsi l’atteggiamento di scelta d?azione antigiuridica tipica di tale forma d'imputazione soggettiva.

L’evento deve costituire concretizzazione del rischio che la cautela era chiamata a governare.

Nella colpa cosciente la verificazione dell’illecito da prospettiva teorica diviene evenienza concretamente presente nella mente dell’agente. L’agente ha concretamente presente la connessione causale rischiosa; il nesso tra cautela ed evento. L’evento diviene oggetto di una considerazione che disvela tale istanza cautelare, ne fa acquisire consapevolezza soggettiva. Di qui il più grave rimprovero nei confronti di chi, pur consapevole della concreta temperie rischiosa in atto, non si astenga dalle condotte doverose volte a presidiare quel rischio. In questa mancanza, in questa trascuratezza, è ii nucleo della "colpevolezza colposa" contrassegnata dalla previsione dell’evento: si è, consapevolmente, entro una situazione rischiosa e per trascuratezza, Imperizia, insipienza, Irragionevolezza o altra biasimevole ragione ci si astiene dai l’agire doverosamente.

Tale situazione è tutt'affatto diversa da quella prima delineata a proposito della puntuale conoscenza del fatto quale fondamento del rimprovero doloso, basato, lo si rammenta ancora, sulla positiva adesione all’evento collaterale che, ancor prima che accettato, è chiaramente rappresentato.

Concludono ai riguardo le Sezioni Unite affermando che le più volte ripetute sottolineature delle differenze tra dolo eventuale e colpa cosciente consentono di rimarcare ulteriormente la fallacia dell’opinione che identifica ii dolo eventuale con l’accettazione del rischio.

In primo luogo trovarsi in una situazione di rischio, avere consapevolezza di tale contingenza e pur tuttavia regolarsi in modo malaccorto, trascurato, irrazionale, senza cautelare ii pericolo, è tipico delia colpa che, come si è visto, è malgoverno di una situazione di rischio e perciò costituisce un distinto atteggiamento colpevole. Inoltre, il Codice stabilisce nei dolo una essenziale relazione tra la volontà e la causazione dell’evento: qui è il nucleo sacramentale dell’istituto.

Un atteggiamento interno in qualche guisa ad esso assimilabile va rinvenuto pure nel dolo eventuale. In tale figura - sottolineano ancora le Sezioni Unite - non vi è finalismo, non vi è rappresentazione di un esito immancabile o altamente probabile, in breve, traspare poco della sfera interna, non vi è volontà In azione, esteriorizzata. Si tratta allora di andare alla ricerca della volontà o meglio di qualcosa ad essa equivalente nella considerazione umana, In modo che possa essere sensatamente mosso li rimprovero doloso e la colpevolezza quindi si concretizzi. Taie essenziale atteggiamento difetta assolutamente nella mera accettazione dei rischio, che trascura l’essenziale relazione tra condotta volontaria ed evento: ciò che è di decisivo rilievo è che nella scelta d'azione sia ravvisabile una consapevole presa di posizione di adesione all’evento, che consenta di scorgervi un atteggiamento ragionevolmente assimilabile alla volontà, sebbene da essa distinto: una volontà indiretta o per analogia, si potrebbe dire. In questo risiede propriamente la rimproverabilità, la colpevolezza dell’atteggiamento interno che si denomina dolo eventuale.

Traslando ora detti condivisibili principi nel caso concreto alcuni ulteriori aspetti dello stesso debbono essere evidenziati:
a) è un dato di comune esperienza che li condurre un cane sulla pubblica via apre la concreta possibilità che l’animale possa imbrattare con l’urina o con le feci beni di proprietà pubblica o privata: ci troviamo quindi certamente di fronte ad una indubbia probabilità dell’evento che quisque de populo non può non rappresentarsi e che certamente anche l’odierno Imputato non poteva non essersi rappresentato accettandone quindi la situazione di rischio;
b) è però anche un dato di comune esperienza che, per quanto l’animale possa essere stato bene educato, il momento in cui io stesso decide di espletare i propri bisogni fisiologici è talvolta difficilmente prevedibile trattandosi di un istinto non altrimenti orientabile e, comunque, non altrimenti sopprimibile mediante il compimento di azioni verso l’animale che si porrebbero al confine del maltrattamento nei confronti dello stesso;
c) ancora, è un dato di comune esperienza che i cani non esplicano i propri bisogni fisiologici all’interno degli appartamenti o degli altri luoghi chiusi di privata dimora, con la conseguenza che i possessori dei predetti animali che risiedono in agglomerati urbani si vedono necessitati a condurli sulla pubblica via con tali finalità: non sempre le Autorità locai sono in grado di predisporre luoghi appositi ove detti animali possano espletare i loro bisogni fisiologici e comunque non può essere escluso che gir animali decidano (con tempi e modalità che, come detto, non è possibile inibire) di espletare tali bisogni altrove o prima del raggiungimento dei luoghi a ciò deputati.

Ecco che allora l’unica limitata sfera di azione che compete a chi è chiamato a condurre sulla pubblica via detti animali è quella agire al fine di ridurre il più possibile il rischio che questi possano lordare i beni di proprietà di terzi quali -come è tipicamente il caso - i muri di affaccio degli stabili od i mezzi di locomozione ivi parcheggiati.

Sia chiaro che ciò, al di là dei possibili aspetti sanzionatori (in chiave penale od amministrativa) delle condotte, deve essere frutto primario del rispetto dei principi di civiltà e di educazione che debbono più in generale caratterizzare le condotte di chiunque è chiamato ad interagire con terzi ed a convivere con essi in società.


La possibilità che un cane condotto sulla pubblica via possa quindi imbrattare beni di proprietà di terzi è frutto di un rischio certamente prevedibile ma non altrimenti evitabile, non essendo ipotizzabile che l’animale sia costretto ad espletare i propri bisogni fisiologici all’Interno di luoghi di privata dimora (o comunque di ambienti chiusi) privi di pertinenze esterne (cortili, giardini, ecc.). Ciò che si può quindi richiedere a chi è necessitato a condurre un cane sulla pubblica via per tali incombenze è solo un corretto governo di taie (inevitabile) rischio, governo realizzabile, ad esemplo, attraverso la possibilità di una attenta vigilanza sul comportamenti dell’animale, attraverso la possibilità di limitarne la totale libertà di movimento (se dei caso tenendolo legato con un guinzaglio) o comunque intervenendo con atteggiamenti tali da farlo desistere - quantomeno nell’immediatezza - dall’azione.

Il fatto che si verifichi un azione come quella oggetto dell’imputazione che in questa sede ci occupa, in assenza di elementi che denotino una volontà di segno contrario, può quindi essere qualificato come attività di malgoverno del rischio stesso dipendente da disattenzione, sciatteria o più semplicemente da imperizia nella conduzione dell’animale, situazioni comunque riconducibili alla sfera delia colpa ma non certo dei dolo (neppure nella forma del dolo eventuale).

Un ulteriore elemento appare poi meritevole di essere evidenziato In quanto sottolineato pure dalla parte ricorrente a sostegno della propria tesi finalizzata all’affermazione delia sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo eventuale in capo all’imputato il fatto che questi avesse con sé una bottiglietta d'acqua che versò sul muro dello stabile al fine di ripulire nell’immediatezza la parte di esso lordata con l’urina dei cane.

Anche tale elemento che - va detto con chiarezza denota una attenzione dei conduttore dell’animale che purtroppo non è altrettanto diffusa come la buona educazione ed il rispetto del terzi imporrebbero - tutt'altro che denotare una "colpevolezza dolosa" (nel senso in cui taie terminologia è stata utilizzata nella sentenza sopra citata delie Sezioni Unite di questa Corte Suprema) del deve per contro essere letta - come ha fatto il Tribunale - nel chiaro intento di questi di evitare (o quantomeno di annullare con un Intervento immediato) il danno derivante al terzo proprietario dei muro dall’imbrattamento dello stesso.
Trattasi di un ulteriore elemento specializzante della vicenda che rafforza l’affermazione della correttezza delia decisione assunta ai riguardo dal giudice monocratico dei Tribunale di Firenze in ordine alla insussistenza in capo all’Imputato dell’elemento psicologico richiesto per la confìgurabllità del contestato reato di cui all’art. 639 cod. pen.
Per le ragioni indicate iI ricorso della parte civile deve essere respinto. Naturalmente resta impregiudicata la possibilità per ii ricorrente di adire il Giudice civile qualora sia in grado di dimostrare che la vicenda de qua gli ha provocato un danno per fatto colposo del soggetto agente.
Il rigetto del ricorso in esame comporta la condanna della parte civile ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Ne discendono, altresì, le correlative statuizioni di seguito espresse in ordine alia rifusione delle spese del grado in favore dell’imputato che ne ha fatto richiesta, la cui liquidazione tenuto conto delle caratteristiche e della complessità della vicenda viene operata secondo l’importo ritenuto equo in dispositivo meglio enunciato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alia rifusione di quelle sostenute nei grado dall’imputato liquidate in € 1.000,00 oltre accessori come per legge.