In tema di consenso informato non integra il reato di lesioni personali, né quello di violenza privata la condotta del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento terapeutico in relazione al quale non sia stato prestato il consenso informato, nel caso in cui questo, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, essendo da esso derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute del paziente, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte dello stesso.
In una situazione di emergenza in cui la paziente, per la patologia psichiatrica e per la contingenza emotiva del momento, non è condizione di esprimere alcun consenso il medico, titolare di una posizione di garanzia rispetto allo stesso, ha l’obbligo di procedere alle cure necessarie, predisponendo i presidi e i trattamenti atti a prevenire conseguenze pregiudizievoli o, addirittura, letali.
L’ambito dell’obbligo di garanzia gravante sul medico di pronto soccorso può in generale ritenersi definito dalle specifiche competenze che sono proprie di quella branca della medicina che si definisce medicina d’emergenza o d’urgenza. In tale ambito rientrano l’esecuzione di taluni accertamenti clinici, la decisione circa le cure da prestare e l’individuazione delle prestazioni specialistiche eventualmente necessarie.
Le dimissioni di un paziente non hanno affatto un carattere meramente formale perché sul medico che vi provvede grava l’obbligo di esaminare la cartella clinica del paziente, né la circostanza che la paziente fosse stata presa in carico da altro medico esime dall’esprimere osservazioni e critiche sui trattamenti praticati o non praticati.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. IV PENALE - SENTENZA 11 luglio 2018, n.31628
Pres. Di Salvo – est. Dawan
Ritenuto in fatto
1. S.A. e T.G.F. , a mezzo dei rispettivi difensori, con due distinti atti, interpongono ricorso per cassazione avverso la sentenza, resa in data 8 marzo 2017, dalla Corte di appello di Napoli, sez.1, che, in riforma della sentenza del Tribunale di Avellino, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di entrambi gli imputati per intervenuta prescrizione del reato loro ascritto, confermando le statuizioni civili del primo grado di giudizio e condannando gli imputati, in solido con il responsabile civile Azienda Ospedaliera (omissis) , al pagamento delle spese sostenute nel grado dalle parti civili.
2. Ai ricorrenti - entrambi in servizio il (omissis) , giorno del ricovero di D.G. - era ascritto il reato di cui agli artt. 113 e 589 cod. pen. perché il S. , quale sanitario del Pronto Soccorso e il T. , quale sanitario dello stesso nosocomio, per colpa ne cagionavano la morte che sopravveniva il (omissis) , presso l’Ospedale (omissis) , per grave insufficienza respiratoria conseguente a grave infezione tetanica non trattata presso l’Ospedale (...) durante il primo ricovero.
Gli imputati sono stati condannati (concesse le attenuanti generiche ad entrambi, il S. a mesi sei di reclusione, il T. a mesi quattro) dal Tribunale di Avellino per avere omesso i comportamenti sanitari dagli stessi dovuti in ragione della posizione di garanzia assunta nelle diverse fasi del ricovero e della dimissione di D.G. ivi giunta per diverse ferite da taglio all’addome e ai polsi auto inferte.
Il S. , medico che aveva avuto in cura la paziente al Pronto Soccorso, praticandole le medicazioni e le suture necessarie, aveva omesso di praticare la profilassi antitetanica e antibiotica ritenuta necessaria data la natura delle ferite che erano risultate profonde e sporche di terra.
Al T. - che non aveva preso parte agli interventi terapeutici perché relativi ad altra branca ospedaliera e che si era attivato per ottenere un consulto psichiatrico per la ricoverata la cui condizione di depressa cronica faceva temere ulteriori atti di autolesionismo -veniva rimproverato di avere firmato la dimissione della paziente pur avendo constatato la mancata esecuzione di profilassi antitetanica.
3. Il primo Giudice, avvalendosi anche di consulenza tecnica, aveva individuato nell’omissione della condotta doverosa la causa dell’evento. Le conclusioni del Tribunale, corroborate da numerose prove orali e documentali, hanno trovato piena condivisione da parte della Corte di appello di Napoli. L’obbligo di prevedere e prevenire un’infezione, ben ipotizzabile alla luce delle lesioni riportate, era imposto, oltre che scienza ed esperienza, anche dalla circolare della Regione Campania n. 3358 del 07/03/97 e dalla n. 16 del 11/11/96: documenti che stabiliscono che, in caso di primo intervento nei confronti di pazienti 'traumatizzati', in situazione di emergenza, non si raccoglie alcun consenso informato per l’inoculazione del siero antitetanico dovendo il diritto dispositivo, nel quale si sostanzia il consenso, soccombere al cospetto dell’urgenza di intervenire.
Per quanto attiene più specificatamente alla condotta del dottor T. , la Corte distrettuale evidenzia che questi consentì la dimissione (volontaria) della paziente nella medesima giornata, pur nella consapevolezza che si trattava di tagli inferti con un oggetto tagliente non identificato, in un ambiente malsano; che le ferite erano descritte in modo tale da rendere chiara la presenza di sporcizia. Egli non svolse i dovuti accertamenti in ordine alla terapia atta a prevenire un evento altamente prevedibile in base di un ordinario bagaglio di conoscenza scientifica.
Entrambi, pertanto, rivestivano posizione di garanzia.
Il Giudice di appello sostiene che l’elevata probabilità logica, parametro stabilito nella recente, autorevole, pronuncia delle Sezioni Unite (Sez. U., n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 26110301), è stata nel caso di specie ampiamente dimostrata.
4. Col suo atto di ricorso, S.A. deduce manifesta illogicità della motivazione, nullità per vizio di motivazione e violazione di legge.
È principio di diritto che presupposto di liceità del trattamento medico-chirurgico è rappresentato dal consenso del paziente. Non si comprende allora perché il S. avrebbe dovuto disattenderlo alla luce delle menzionate due circolari della Regione Campania, le quali non assurgono certo al rango delle norme di legge, nazionali e convenzionali.
L’impugnata sentenza non ha motivato sulle specifiche doglianze formulate con l’atto di appello e che concernevano, tra le altre cose, la condotta dell’imputato, l’entità e validità del suo intervento, la tipologia delle ferite, la prescrizione della terapia antitetanica.
5. T.G.F. , nel suo ricorso, censura violazione degli artt. 40, 43, 589, 113 cod. pen. e 192 cod. proc. pen..
La contraddittorietà e incertezza del riscontro probatorio sulla reale efficacia eziologica della condotta omissiva avrebbero dovuto condurre la Corte di merito a negarne l’esistenza. Il T. non si era effettivamente occupato della paziente, potendo il suo adempimento, di genere amministrativo, ritenersi meramente formale e non sostanziale, tenuto conto che egli non aveva preso in carico la paziente né mai l’aveva visitata. La posizione del T. è equiparabile a quella, archiviata, dell’ortopedico R. . La condanna del ricorrente si fonda pertanto su una responsabilità oggettiva estranea ai principi del nostro diritto penale.
Considerato in diritto
1. Entrambi i ricorsi sono infondati e vanno, pertanto, rigettati.
2. La necessità del consenso informato, così come prospettata dal ricorrente S. , è del tutto inconferente al caso di specie nel quale il rimprovero mosso ad entrambi i sanitari ciascuno rispetto agli incombenti svolti e alle rispettive fasi del ricovero e della dimissione - è di non aver praticato alla persona offesa la necessaria terapia antitetanica, comportamento doveroso che, se attuato, avrebbe evitato l’insorgenza dell’infezione per la quale la donna successivamente moriva. Esattamente la Corte di appello di Napoli afferma che la profilassi antitetanica ed antibiotica risultava necessaria proprio in considerazione della natura delle ferite, all’evidenza immediata profonde e sporche di terra, così come peraltro aveva rilevato l’ortopedico R. il quale, intervenuto su richiesta del S. per accertare eventuali lesioni tendinee, aveva consigliato di eseguire una profilassi antitetanica.
In tema di consenso informato, peraltro, in linea con il principio da tempo autorevolmente espresso dalle Sezioni Unite (Sez. U, sent. n. 2437 del 18/12/2008 Ud. (dep. 21/01/2009), Giulini, Rv. 241752), non integra il reato di lesioni personali, né quello di violenza privata la condotta del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento terapeutico in relazione al quale non sia stato prestato il consenso informato, nel caso in cui questo, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle legesartis, si sia concluso con esito fausto, essendo da esso derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute del paziente, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte dello stesso.
Né, al riguardo, va trascurata la circostanza che, nel caso di specie, si trattava di una situazione di emergenza in cui la paziente, per la patologia psichiatrica e per la contingenza emotiva del momento, non era condizione di esprimere alcun consenso. Di fronte ad una situazione di pericolo per l’integrità fisica del paziente, il medico, titolare di una posizione di garanzia rispetto allo stesso, ha l’obbligo di procedere alle cure necessarie, predisponendo i presidi e i trattamenti atti a prevenire conseguenze pregiudizievoli o, addirittura, letali.
3. L’ambito dell’obbligo di garanzia gravante sul medico di pronto soccorso può in generale ritenersi definito dalle specifiche competenze che sono proprie di quella branca della medicina che si definisce medicina d’emergenza o d’urgenza. In tale ambito rientrano l’esecuzione di taluni accertamenti clinici, la decisione circa le cure da prestare e l’individuazione delle prestazioni specialistiche eventualmente necessarie.
Delineata entro tale ambito la posizione di garanzia del medico di pronto soccorso, la mancata prestazione di presidi terapeutici fondamentali per la vita del paziente si configura come la negligenza, l’imperizia e l’imprudenza che integrano la colpa grave, non ponendosi, pertanto, un problema di successione di leggi nel tempo.
4. L’anzidetta profilassi, che avrebbe dovuto essere praticata all’atto del ricovero dal sanitario preposto - a nulla rilevando la circostanza sull’autenticità o meno della prescrizione di un trattamento antitetanico nel referto - una volta accertata la condizione di pessima igiene delle ferite, avrebbe con elevata probabilità logica evitato l’infezione e il conseguente decesso. Entrambi i medici, invece, omisero di valutare la possibilità dell’infezione tetanica la quale, tuttavia, data la condizione delle ferite, poteva dirsi assolutamente prevedibile secondo scienza ed esperienza.
La sentenza impugnata, nel richiamarsi alle conclusioni cui era pervenuto il Giudice del primo grado, dà altresì ampiamente conto della sussistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva ascritta ai sanitari e l’evento. Detto nesso è configurabile qualora esso sia stato accertato con giudizio controfattuale che, sebbene non fondato su una legge scientifica di spiegazione di natura universale o meramente statistica - per l’assenza di una rilevazione di frequenza dei casi esaminati - ma su generalizzate massime di esperienza e del senso comune, sia stato comunque ritenuto attendibile secondo criteri di elevata credibilità razionale, in quanto fondato sulla verifica, anche empirica, ma scientificamente condotta, di tutti gli elementi di giudizio disponibili, criticamente esaminati (Sez. 4, n. 29889 del 05/04/2013 Ud. (dep. 11/07/2013), De Florentis, Rv. 257073).
3. Quanto alla condotta del ricorrente T. , la valutazione e la motivazione della Corte distrettuale sono corrette, congrue e condivisibili. Le dimissioni di un paziente non hanno affatto un carattere meramente formale perché sul medico che vi provvede grava l’obbligo di esaminare la cartella clinica del paziente. Da detta lettura, il T. avrebbe appreso del tipo di lesioni riportate dalla povera D.G. , delle terapie praticatele e dell’omessa somministrazione dell’apposita terapia per prevenire l’insorgenza dell’infezione tetanica. Né la circostanza che la paziente fosse stata presa in carico dal S. esimeva il T. dall’esprimere osservazioni e critiche sui trattamenti praticati o non praticati. Si tratta di comportamento che il medico preposto a dimettere il paziente deve tenere per impedire il verificarsi dell’evento dannoso.
4. La responsabilità per colpa del T. scaturisce proprio dal fatto che egli disponeva di tutte le informazioni e dei dati clinici sulle condizioni del paziente, ossia dei dati che avrebbero consentito di evidenziare l’omessa somministrazione della terapia necessaria e ciò non di meno non è intervenuto per porre rimedio o per evidenziare la necessità della profilassi in questione.
5. In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese di giudizio in favore delle parti civili B.E. , B.G. , B.S. e B.K. , liquidate in complessivi Euro 4000,00 oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese di giudizio in favore delle parti civili B.E. , B.G. , B.S. e B.K. che liquida in complessivi Euro 4000,00 oltre accessori come per legge.