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Dichiarazioni scritte nel processo civile. indizio o prova? (Cass. 24976/17)

23 ottobre 2017, Cassazione civile

Le dichiarazioni scritte provenienti da terzi estranei alla lite sui fatti aventi relazione con questa non possono esplicare efficacia probatoria nel giudizio se non siano convalidate attraverso la testimonianza ammessa ed assunta nei modi di legge, ma possono unicamente assumere il valore di semplice indizio, l'utilizzazione del quale costituisce non già un obbligo del giudice del merito, bensì una facoltà, il cui mancato esercizio non può formare oggetto di utile censura in cassazione, sia sotto il profilo della violazione dell'art. 115 c.p.c., sia sotto quello dell'omesso esame su punto decisivo della controversia.

 

 

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Ord., (ud. 09/05/2017) 23-10-2017, n. 24976

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio - Presidente -

Dott. FEDERICO Guido - Consigliere -

Dott. COSENTINO Antonello - rel. Consigliere -

Dott. SABATO Raffaele - Consigliere -

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8256-2013 proposto da:

D.S.C., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, **, presso lo studio dell'avvocato **, rappresentato e difeso dall'avvocato MG;

- ricorrente -

contro

D.M.M., D.M.L., elettivamente domiciliati in ROMA, **, presso lo studio dell'avvocato P*** che lo rappresenta e difende;

- controricorrente -

e contro

C.G.;

- intimato -

avverso la sentenza n. 2502/2012 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 09/05/2012;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 9/5/17, dal consigliere relatore Dott. COSENTINO ANTONELLO;

La Corte, udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9/5/2017 dal consigliere rel. dott. Antonello Cosentino,

Svolgimento del processo

che D.S.C. ricorre, con cinque motivi, per la cassazione della sentenza con cui la corte di appello di Roma confermando la sentenza del tribunale di Roma - ha rigettato la domanda da lui proposta nei confronti di D.M.L. e C.G. (il quale nel corso del giudizio di primo grado ha trasferito la sua proprietà a D.M.M., conseguentemente intervenuto in giudizio ai sensi dell'art. 111 c.p.c.) avente ad oggetto l' usucapione di un terreno sito in (OMISSIS) - catastalmente identificato come particella (OMISSIS) - facente parte di una maggior estensione pervenuta ai convenuti per decreto di trasferimento immobiliare del 20 gennaio 2000;

che D.M.L. e D.M.M. hanno depositato controricorso;

che non sono state depositate memorie per l'adunanza di camera di consiglio ex art. 180 bis c.p.c., comma 1 del 9.5.17, in cui la causa è stata decisa.

Motivi della decisione


che i primi tre motivi - rispettivamente riferiti alla violazione degli artt. 159 e 176 c.p.c. e art. 82 disp. att. c.p.c., alla violazione dell'art. 345 c.p.c. e alla violazione degli artt. 354 e 356 c.p.c. si fondano tutti sul presupposto di fatto che nel giudizio di primo grado, all'udienza dell'1.7.03, fissata per lo sfogo delle prove orali, era comparso il teste M.F., indotto dall'attore (odierno ricorrente) e regolarmente ammesso; il giudice, non avendo potuto esaurire l'assunzione dei testi, aveva fissato per la prosecuzione della prova l'udienza del 9.12.03; quest'ultima udienza non era stata celebrata, essendo stata la causa rinviata di ufficio all'udienza del 9.12.04; di tale rinvio di ufficio nè l'attore, nè il teste M. avevano ricevuto avviso, conseguentemente non comparendo; quindi l'udienza del 9.12.04 era stata celebrata nell'incolpevole assenza dell'attore e del teste M.;

che, sulla scorta del suddetto presupposto di fatto, il ricorrente censura la sentenza gravata:

col primo mezzo, per non aver annullato la sentenza di primo grado;

col secondo mezzo, per non aver ammesso la dichiarazione resa dal teste M. in data 2.11.05 davanti all'impiegato delegato del Comune di Casape;

- col terzo mezzo, per non aver esaminato il teste M. nel giudizio di appello;

- che i tre motivi vanno disattesi perchè non attingono la ratio decidendi della sentenza gravata, ossia che nella precisazione delle conclusioni dell'attore in primo grado non era stata eccepita la nullità dell'attività processuale espletata all'udienza del 9.12.04, nè era stata riproposta l'istanza di ammissione della testimonianza M.;

che peraltro la statuizione della corte territoriale sull'onere del D.S. di riproporre la istanza di assunzione del teste M. in sede di precisazione delle conclusioni è in linea con la giurisprudenza di questa Corte (da ultimo 16290/16);

che, infine, la doglianza relativa alla mancata ammissione del documento contenente le dichiarazioni rese dal geom. M. davanti ad un impiegato comunale è inammissibile per carenza di autosufficienza (essendo formulata senza l'indicazione del contenuto di tali dichiarazioni) e, comunque, infondata, giacchè le dichiarazioni scritte provenienti da terzi estranei alla lite sui fatti aventi relazione con questa non possono esplicare efficacia probatoria nel giudizio se non siano convalidate attraverso la testimonianza ammessa ed assunta nei modi di legge, ma possono unicamente assumere il valore di semplice indizio, l'utilizzazione del quale costituisce non già un obbligo del giudice del merito, bensì una facoltà, il cui mancato esercizio non può formare oggetto di utile censura in cassazione, sia sotto il profilo della violazione dell'art. 115 c.p.c., sia sotto quello dell'omesso esame su punto decisivo della controversia (cfr. Cass. 2948/62);

che il quarto mezzo di ricorso - con cui si lamenta la violazione dell'art. 116 c.p.c., in relazione agli artt. 1140 e 1158 c.c. in cui la corte territoriale sarebbe incorsa giudicando non raggiunta la prova dell'animus possidendi del D.S. - è inammissibile, essendosi il ricorrente limitato a dolersi della conclusioni a cui è approdato il libero convincimento della corte territoriale, senza individuare eventuali vizi del percorso formativo di tale convincimento ma riproponendo in questa sede argomentazioni di puro merito, mentre questa Corte ha più volte affermato (cfr. sent. n. 7972/07) che nel giudizio di cassazione la deduzione del vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5 non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito;

che il quinto mezzo - con cui si torna a lamentare, sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, la mancata escussione del teste M. - è inammissibile, perchè non attinge l'argomento della sentenza gravata relativo alla mancata riproposizione della relativa istanza istruttoria in sede di precisazione delle conclusioni.

che quindi, in definitiva, il ricorso va rigettato in relazione a tutti i motivi in cui esso si articola;

che le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere ai contro ricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.500, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2017