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Dichiarzioni spontanee equivalgono ad interrogatorio solo se .. (Cass. 45272/22)

28 novembre 2022, Cassazione penale

Se la persona sottoposta ad indagini si presenta spontaneamente al pubblico ministero al fine di rilasciare dichiarazioni, l'atto può valere come interrogatorio ed è utilizzabile in sede procedimentale e nella fase cautelare solo se: a) il fatto di reato attribuito è contestato in modo chiaro e preciso, con l'enunciazione degli elementi di prova a carico e l'indicazione delle fonti, se non può derivarne pregiudizio per le indagini; b) le dichiarazioni spontanee si limitino ad esporre elementi a discarico o quant'altro utile per la difesa del dichiarante stesso; c) le dichiarazioni in parola siano precedute dagli avvisi difensivi e dalla contestuale nomina ed assistenza di un difensore di fiducia o, in mancanza, d'ufficio, con avviso allo stesso del compimento dell'atto almeno ventiquattro ore prima.

 

Corte di Cassazione

sez. II penale, ud. 7 ottobre 2022 (dep. 29 novembre 2022), n. 45272
Presidente Beltrani – Relatore Pellegrino

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza in data 21/04/2022, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo, accogliendo parzialmente la richiesta della pubblica accusa, disponeva la misura cautelare dell'obbligo di presentazione periodica alla polizia giudiziaria nei confronti di B.F.P. in relazione al capo 4) della rubrica (artt. 110,648 c.p.), respingendo ogni altra richiesta di misura cautelare avanzata, per i reati di tentata rapina aggravata di cui ai capi 1), 2) e 3) della rubrica nei confronti degli indagati M.A. (capo 1), C.A. (capo 1), B.S. (capi 2 e 3), L.R.B. (capi 2 e 3), B.F. (capi 2 e 3) e L.V. (capi 1, 2 e 3) sulla base della ritenuta inutilizzabilità del verbale di spontanee dichiarazioni rese da L.V. in data 23/04/2021, già indagato a quella data, in quanto rese senza l'assistenza del difensore.

2. Avverso la predetta ordinanza, il pubblico ministero ha proposto ricorso per cassazione, per il seguente formale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p.: violazione di legge con riferimento agli artt. 374,64,65,364 e 191 c.p.p. nonché vizio di motivazione.

Nell'esposizione congiunta dei motivi, il ricorrente evidenzia come risulta del tutto arbitraria ed indimostrata la pretesa di applicare la sanzione dell'inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee ove le stesse siano state rese in difformità rispetto ai presupposti indicati dal comma 2 dell'art. 374 c.p.p.: infatti, il mancato verificarsi degli elementi costitutivi della fattispecie causale speciale di cui al comma 2 dell'art. 374 c.p.p., in quanto caratterizzata da specialità per aggiunta rispetto a quella di cui al comma 1 qualificabile come generale, non comporta null'altro se non il "riespandersi" dell'ambito di operatività della fattispecie generale, pacificamente applicabile al caso di specie. Erroneamente il giudice a quo pretende di applicare l'istituto dell'inutilizzabilità al di fuori delle coordinate normative: in tal senso, vale la pena di evidenziare come l'art. 374 c.p.p., comma 2, non richiama anche l'art. 63 c.p.p., comma 2, ossia quella specifica disposizione dalla quale il codice fa discendere espressamente l'inutilizzabilità delle dichiarazioni non spontanee ma sollecitate, rese da una persona a carico della quale vi sono elementi di reità, in assenza delle garanzie associate alla qualità di indagato o imputato.

Considerato in diritto

1. I ricorsi del pubblico ministero nei confronti di tutti gli indagati sono infondati e, come tali, risultano immeritevoli di accoglimento.

2. Va premesso come, nella fattispecie, il chiamante L.V. abbia reso dichiarazioni spontanee agli inquirenti in due distinte occasioni: la prima, in data 08/04/2021, innanzi ad ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, venendo le predette dichiarazioni trasfuse in una "annotazione di polizia giudiziaria" recante la firma dei soli agenti che l'hanno redatta (dichiarazioni del tutto inutilizzabili, v. Sez. 6, n. 56995 del 06/11/2017, Riselli, Rv. 271747); la seconda, in data 23/04/2021, innanzi al pubblico ministero, ove le dichiarazioni venivano rilasciate senza l'assistenza del difensore pur in presenza di preventiva contestazione "in maniera chiara e precisa" dei reati addebitati alla persona sottoposta alle indagini e del materiale investigativo raccolto, con contestuali avvisi ex artt. 64 e 65 c.p.p..

Alcune considerazioni di carattere preliminare s'impongono con riferimento all'inquadramento dell'istituto dell'art. 374 c.p.p..

2.1. La norma prevede che al soggetto che sia a conoscenza dell'esistenza di un procedimento penale a suo carico, è riconosciuta la facoltà di instaurare - di sua volontà - un contatto con l'autorità giudiziaria procedente, presentandosi innanzi alla stessa al fine di rilasciare le dichiarazioni che ritiene opportune. Se l'iniziativa del contatto con l'inquirente è rimessa alla volontà dell'indagato, è tuttavia rimessa alla discrezionalità del pubblico ministero non solo la scelta del "valore" da far assumere alle informazioni rese, contestando o meno l'addebito, ma anche, se consentire lo stesso colloquio con l'inquisito.

Con riferimento al primo aspetto, va detto che è rimessa alla discrezionalità del pubblico ministero la "conversione" della presentazione spontanea in interrogatorio, a seguito della contestazione del fatto, così come previsto dal comma 2. Il pubblico ministero può decidere di non procedere alla contestazione dell'addebito: in tale ipotesi, egli si limita ad assumere le dichiarazioni rilasciate dall'indagato che spontaneamente si è presentato: dichiarazioni che, stante l'omesso rinvio all'art. 364 c.p.p., possono essere rese solo a discarico del dichiarante (con esclusione, quindi, delle situazioni nelle quali il propalante si autoaccusa del fatto), sono acquisibili anche senza la presenza del difensore e, con le limitazioni testè dette, possono essere utilizzate anche a fini cautelari. Detta utilizzabilità, peraltro, non esclude che le dichiarazioni in parola debbano soggiacere ai criteri di valutazione di attendibilità intrinseca ed estrinseca di ogni fonte dichiarativa e sottostare alla regola di cui all'art. 192, comma 3, c.p.p. per il caso di dichiarazioni di correità.

2.2. Nell'ipotesi opposta, il pubblico ministero procede alla contestazione del fatto oggetto di indagine, facendo assumere all'atto la medesima valenza dell'interrogatorio, con conseguente applicazione della disciplina di cui agli artt. 64,65 e 364 c.p.p., stante il richiamo contenuto nell'ultima parte del comma 2. Inoltre, il relativo verbale, oltre a poter essere utilizzato per le contestazioni dibattimentali di cui all'art. 503, comma 3, c.p.p., potrà essere acquisito al fascicolo del dibattimento ai sensi del comma 5 della medesima disposizione.

In tal senso, la Suprema Corte ha già affermato che le dichiarazioni spontanee rese all'autorità giudiziaria equivalgono ad ogni effetto all'interrogatorio ex art. 374, comma 2, c.p.p. solo quando vi sia stata una contestazione chiara e precisa del fatto addebitato (cfr., Sez. 1, n. 39352 del 31/10/2002, Sarno, Rv. 222846; Sez. 5, n. 6054 del 22/04/1997, Greco, Rv. 208089, in cui la S.C. ha osservato con riferimento al presupposto della contestazione del fatto ed alla facoltà attribuita al propalante di esporre le sue difese che l'atto deve contenere esplicazione, da parte dei preposti organi statuali, della volontà di esercitare il diritto punitivo in relazione ad un fatto-reato ben individuato e rivolto alla conoscenza dell'incolpato). Il principio della necessaria contestazione specifica del fatto a chi si presenta è stato ribadito dalla Suprema Corte nella sua massima espressione (Sez. U, n. 5838 del 28/11/2013, dep. 2014, Citarella, Rv. 257824) laddove ha statuito che le dichiarazioni rese in sede di presentazione spontanea all'autorità giudiziaria, equivalgono "ad ogni effetto" all'interrogatorio, purché l'indagato abbia ricevuto una contestazione chiara e precisa del fatto addebitato (nello stesso senso, Sez. 3, n. 47012 del 13/07/2018, Rossi, Rv. 274198).

2.3. L'art. 347 c.p.p., pertanto, introduce due fattispecie del tutto autonome e diverse sotto il profilo causale ed ontologico e che non possono caratterizzarsi per un rapporto tra "genere" a "specie", con conseguente impossibilità di riconoscere la fondatezza della tesi del ricorrente secondo cui "... il mancato verificarsi degli elementi costitutivi della fattispecie causale speciale di cui al comma 2 dell'art. 374 c.p.p., in quanto caratterizzata da specialità per aggiunta rispetto a quella di cui al comma 1 qualificabile come generale, non comporta null'altro se non il "riespandersi" dell'ambito di operatività della fattispecie generale, che risulterà pacificamente applicabile al caso di specie, caso che non presenterà pure tutte le caratteristiche richieste dalla fattispecie speciale ma mantiene comunque le più limitate e meno dettagliate caratteristiche richieste da quella generale, in cui rimane pacificamente sussumibile".

Proprio nella sentenza n. 47012/2018, cit., la Suprema Corte ha chiarito come il legislatore abbia "normativamente previsto due ipotesi totalmente diverse nelle quali può concretizzarsi la presentazione spontanea, situazioni che ha poi disciplinato in modo diverso. Nell'ipotesi di cui al comma 1, la presentazione spontanea si distingue chiaramente da quella disciplinata dal comma 2 per l'assenza della contestazione del fatto a chi si presenta spontaneamente.

Nell'ipotesi di cui al comma 2, l'atto così compiuto (è) equivalente all'interrogatorio e deve essere compiuto con l'assistenza delle garanzie difensive.

Dal chiaro tenore normativo si ricava che il semplice rilascio di dichiarazioni non può ontologicamente identificarsi con l'atto disciplinato ex art. 64 c.p.p., dovendosi distinguere la situazione di colui che ha notizia che si sono svolte indagini nei suoi confronti, notizia che può essere comunque appresa anche a seguito del compimento di atti quali perquisizioni e sequestri contenenti l'addebito provvisoriamente mosso, dal caso nel quale in sede di presentazione il Pubblico Ministero contesta il fatto a chi si è presentato spontaneamente. La Corte di cassazione ha avuto modo di statuire che le dichiarazioni spontanee rese all'autorità giudiziaria equivalgono "ad ogni effetto" all'interrogatorio ex art. 374, comma 2, c.p.p. solo quando vi sia stata una contestazione chiara e precisa del fatto addebitato (cfr., Sez. 1, n. 39352 del 31/10/2002, Sarno, Rv. 222846; Sez. 5, n. 6054 del 22/04/1997, Greco, Rv. 208089). In quest'ultima pronuncia, la Corte ha osservato, con riferimento al presupposto della contestazione del fatto ed alla facoltà attribuita al propalante di esporre le sue difese, che l'atto deve contenere esplicazione, da parte dei preposti organi statuali, della volontà di esercitare il diritto punitivo in relazione ad un fatto-reato ben individuato e rivolto alla conoscenza dell'incolpato.

3. Fermo quanto precede, evidenzia il Collegio la discrasia esistente tra la richiesta di misura cautelare (laddove, a pag. 34, il pubblico ministero precisa che è stata effettuata la contestazione in forma chiara e precisa dei reati per i quali vi erano indizi di colpevolezza per il propalante L. , nuovamente presentatosi all'autorità giudiziaria per rendere spontanee dichiarazioni) ed il ricorso per cassazione (ove l'instante afferma che le spontanee dichiarazioni sono state rese "senza una previa contestazione in forma chiara e specifica").

Pur volendo "mettere da parte" tale rilevante profilo di contrasto, ritiene il Collegio come le dichiarazioni del L. , nella parte in cui rivelano contenuti autoaccusatori, sono del tutto inutilizzabili in sede di indagini ex art. 374 cod. proc.pen., norma che presuppone, come detto, il rilascio e la successiva piena utilizzabilità nei confronti del propalante delle sole dichiarazioni a contenuto a sé favorevole.

Per quanto attiene, invece, all'utilizzabilità contra alios delle predette dichiarazioni - fermo che le dichiarazioni devono comunque essere spontanee e non sollecitate, in quanto le dichiarazioni "sollecitate" non sono in alcun modo utilizzabili, neanche a favore del dichiarante (cfr., Sez. 2, n. 14320 del 13/03/2018, Basso, Rv. 272541; Sez. 2, n. 3930 del 12/01/2017, Fiolo, Rv. 269206) - diventa decisivo il dato dell'esistenza di una contestazione di reato preesistente in forma chiara e precisa. Come detto, questo dato, nella fattispecie, è rimasto equivoco, sebbene la presenza di (taluni) avvertimenti di rito faccia propendere per l'esistenza di una presumibile e del tutto logica contestazione preventiva. Peraltro, come riconosciuto dalla giurisprudenza (Sez. 3, n. 47012/2018, cit.) "non è corretto ritenere che la semplice contestazione di un fatto di reato avvenuta nel corso delle indagini preliminari... determini per ciò solo l'applicazione della disciplina del comma 2 dell'art. 374 c.p.p. e ciò in quanto, per espresso tenore normativo, le garanzie difensive trovano applicazione solo in presenza di una contestazione, chiara e precisa come ha chiarito la giurisprudenza di legittimità, a colui che si presenta, restando confinate nel comma precedente le dichiarazioni spontanee rese dalla persona che sa che nei suoi confronti vengono svolte indagini".

Dette conclusioni appaiono del tutto coerenti con la parallela disciplina legislativa in tema di utilizzazione delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria ex art. 350, comma 7, c.p.p. che sono utilizzabili nell'area procedimentale e, dunque, nella cognizione cautelare, anche se acquisite senza le garanzie: invero, si tratta pur sempre di dichiarazioni che hanno un perimetro di utilizzabilità circoscritto alla fase procedimentale e, dunque, all'incidente cautelare ed ai riti a prova contratta, che non hanno alcuna efficacia probatoria in dibattimento (Sez. 2, n. 26246 del 03/04/2017, Distefano, Rv. 271148) e sempre che sia incontestabile che l'indagato abbia scelto di renderle liberamente, ossia senza alcuna coercizione o sollecitazione (Sez. 2, n. 14320 del 13/03/2018, Basso, Rv. 272541), non di meno confermano il principio che, pur a determinate condizioni, siffatte dichiarazioni siano utilizzabili nel caso in cui l'indagato scelga di offrire la propria versione dei fatti, sia che questi decida di rivolgersi alla polizia giudiziaria, sia che lo stesso si presenti al pubblico ministero come previsto dall'art. 374 c.p.p..

4. Fermo quanto precede, è possibile affermare il seguente principio di diritto: "allorquando la persona sottoposta ad indagini si presenti spontaneamente al pubblico ministero al fine di rilasciare dichiarazioni, l'atto può valere come interrogatorio ed è utilizzabile in sede procedimentale e nella fase cautelare solo se: a) il fatto di reato attribuito è contestato in modo chiaro e preciso, con l'enunciazione degli elementi di prova a carico e l'indicazione delle fonti, se non può derivarne pregiudizio per le indagini; b) le dichiarazioni spontanee si limitino ad esporre elementi a discarico o quant'altro utile per la difesa del dichiarante stesso; c) le dichiarazioni in parola siano precedute dagli avvertimenti di cui all'art. 64, comma 3, c.p.p. e dalla contestuale nomina ed assistenza di un difensore di fiducia o, in mancanza, d'ufficio, con avviso allo stesso del compimento dell'atto almeno ventiquattro ore prima."

5. Nella specie, il pubblico ministero, come correttamente rilevato nel provvedimento impugnato, ha proceduto ad una sorta di "ibrido", in quanto alla contestazione del fatto e agli avvertimenti di cui agli artt. 64 e 65 c.p.p. non è stata fatta seguire la nomina del difensore con l'avviso a quest'ultimo del giorno e del luogo dell'acquisizione delle dichiarazioni almeno ventiquattro ore prima (in forza del richiamo contenuto nell'art. 374 all'art. 364 c.p.p.), attribuendosi all'atto così formato il contenuto, la forma ma soprattutto la valenza "alternativa" prevista dai primi due commi dell'art. 374 c.p.p.: in particolare, si è, del tutto ingiustificatamente, rimesso al giudice il compito di qualificare l'atto, o come interrogatorio ai sensi del comma 2 dell'art. 374 c.p.p. ovvero come verbale di spontanee dichiarazioni ai sensi del comma 1 della medesima disposizione normativa. Una simile "alternità" discrezionale non fa parte del sistema, in quanto la valenza di interrogatorio ed i suoi consequenziali effetti di utilizzabilità derivano dalla simultanea e cumulativa ricorrenza dei tre suindicati presupposti, nella specie - come si è visto - solo in parte ricorrenti. Dette mancanze, in uno con il modus procedendi adottato che ha sostanzialmente invitato il decidente "a sciogliere la riserva della questione tecnica", hanno determinato una palese violazione di legge, stigmatizzata dal giudice del provvedimento impugnato, che ha ritenuto imprescindibile l'assistenza del (mancato) difensore di fiducia o d'ufficio, evidenziando, peraltro, come quest'ultimo fosse già stato nominato in sede di convalida del sequestro in data 27/02/2021, non potendo supplire in tal senso il fatto che in data 23/04/2021, il pubblico ministero avesse nuovamente sollecitato il L. a spendere la facoltà di avvalersi di un difensore di fiducia, ottenendo come risposta la scelta da parte del dichiarante di riservarsi la spendita di tale facoltà per il futuro. Nè, infine, costituisce argomento giustificativo il fatto che non potrebbe riverberarsi a carico del pubblico ministero la scelta discrezionale del dichiarante, non potendo l'Ufficio di Procura vaticinare se e quando l'indagato si sarebbe presentato per rendere spontanee dichiarazioni con queste modalità, trattandosi di evento sì imprevedibile ma non certo eccezionale e comunque pienamente regolamentato dal sistema.

Quindi, sia ricomprendendole nell'alveo del comma 1 che del comma 2 dell'art. 374 c.p.p., le dichiarazioni del L. non possono essere utilizzate in sede cautelare.

6. Va infine detto come, in ogni caso, le dichiarazioni del L. , sempre in considerazione dei loro contenuti, non sono utilizzabili per un ulteriore decisivo rilievo: le stesse, infatti, risultano prive di valutazione sulla loro attendibilità intrinseca ed estrinseca, pur dovendo necessariamente soggiacere, al pari di ogni altra fonte dichiarativa, alla regola di cui all'art. 192, comma 3, c.p.p.inspiegabilmente disattesa per il caso di dichiarazioni di correità.

7. La qualità di parte pubblica del ricorrente lo esonera, nonostante la soccombenza, dal pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi.