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Denunciare falso smarrimento carta di identità è reato (Cass. 33848/18)

19 luglio 2018, Cassazione penale

La falsa denuncia di smarrimento della carta d’identità è reato, considerato che essa costituisce presupposto necessario per attivare il procedimento amministrativo di rilascio del duplicato e che l’ordinamento prevede a carico di colui che smarrisce un documento di identità l’obbligo di presentare denuncia.


CORTE DI CASSAZIONE

SEZ. V PENALE - SENTENZA 19 luglio 2018, n.33848

Presidente Fumo – Relatore Miccoli

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile.

È anzitutto opportuno ricordare come questa Corte abbia già in passato affermato la configurabilità del reato di cui all’art. 483 cod. pen. nel caso di falsa denuncia di smarrimento della carta d’identità, considerato che essa costituisce presupposto necessario per attivare il procedimento amministrativo di rilascio del duplicato e che l’ordinamento prevede a carico di colui che smarrisce un documento di identità l’obbligo di presentare denunzia (Sez. 5, n. 7995 del 15/11/2012, Facchinetti, Rv. 255216; Sez. 5, 16/05/2000, n. 8891, Callegari; nonché, nello stesso senso, Sez. 5, 14/10/2001, n. 45208, Orrù).

Stando alle prospettazioni difensive l’imputata, in ragione di evidenti difficoltà linguistiche, non avrebbe compreso che il documento di identità le era stato ritirato dalle Forze dell’Ordine in occasione della notifica del provvedimento di rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno; per tale motivo difetterebbe, nell’ipotesi in esame, l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 483 cod. pen.

Tale censura, formulata già con i motivi di appello, è stata presa in esame dalla Corte territoriale, la quale ha osservato che la carta d’identità era stata personalmente ritirata alla Z. dagli operanti della Polizia di Stato; con motivazione assolutamente logica e coerente, il giudice di secondo grado ha affermato che 'l’imputata non poteva dunque non essere a conoscenza di tale circostanza nel momento in cui (in data 9/12/11) dichiarava lo smarrimento, in data e luogo sconosciuti, di detto documento'.

Alla luce di ciò, la Corte ha correttamente ritenuto che l’imputata avesse la piena consapevolezza e volontà della falsità delle proprie dichiarazioni.

D’altronde il dolo integratore del delitto di falsità ideologica di cui all’art. 483 cod. pen. è costituito dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero (Sez. 2, n. 47867 del 28/10/2003, Ammatura, Rv. 227078; Sez. 5, n. 315 del 25/03/1968, Buo, Rv. 10827001); non è dunque richiesto il dolo specifico, sicché i giudici di merito non erano tenuti a dimostrare positivamente quale fosse la finalità perseguita in concreto dall’imputata (ravvisata dalla Corte territoriale nell’ottenimento di un duplicato del documento di identità).

Non è revocabile in dubbio che l’imputata, alla quale il documento di identità era stato ritirato personalmente, fosse consapevole di dichiarare il falso nel momento in cui denunciava lo smarrimento del proprio documento asserendo che esso fosse avvenuto in 'data e luogo sconosciuti'.

In conclusione, il primo motivo di ricorso si presenta inammissibile in quanto reiterativo di censure già formulate in appello e compiutamente esaminate dalla Corte territoriale, la quale, con valutazione assolutamente conforme rispetto a quella resa dal Giudice di primo grado, ha ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi, del reato contestato.

Parimenti inammissibile si presenta il secondo motivo di ricorso: l’esercizio del potere discrezionale del giudice di merito in sede di valutazione dei presupposti per il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. risulta congruamente argomentato, essendosi basato sulla valutazione delle peculiarità della fattispecie concreta, ed in particolare sull’apprezzamento della complessiva gravità - sia pure contenuta e, come tale, non ostativa ai benefici di legge in primo grado già concessi - del fatto di reato in contestazione.

Il giudice di appello, nella specie, ha infatti evidenziato che 'il fatto in contestazione non può certo dirsi di particolare tenuità, avendo ad oggetto una dichiarazione falsa relativa ad un documento di identità, finalizzata peraltro, come si è detto, all’ottenimento di un duplicato del documento, che l’imputata non aveva più titolo per detenere'.

Va in proposito ricordato che, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo. (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). Si richiede, in breve, una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta; e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso proposto nell’interesse di Z.X. segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla sua volontà - al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 2.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della cassa delle ammende.