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COVID-19 non legittima sospensione del canone (Tr. Pisa, 30/6/20)

30 giugno 2020, Tribunale di Pisa

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La legislazione emergenziale COVID-19 non ha affatto introdotto il diritto del conduttore alla sospensione del pagamento del canone locativo nella locazione di immobili destinati ad uso diverso dall'abitazione, ma ha consentito di valutare l’incidenza dell’emergenza sanitaria sub specie misure emergenziali esclusivamente sotto il profilo della scusabilità dell’inadempimento contrattuale ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c. 

L’art. 1218 c.c. si occupa della responsabilità del debitore e prescrive che “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

Invece, l’art. 1223 si occupa del risarcimento del danno derivante dall’inadempimento.

La parte che invoca  risoluzione per eccessiva onerosità o scusabili dell'inadempimento deve fornire dati obiettivi da cui desumere un peggioramento della propria condizione patrimoniale tale da precludergli – in quanto eccessivamente oneroso- il pagamento del canone concordato, non essendo sufficiente discorrere sempre e solo in termini astratti dell’aggravamento delle propria situazione patrimoniale. 

 

Tribunale di Pisa

sez. Civile, ordinanza 30 giugno 2020 
Giudice Golia

Con ricorso depositato in data 1.6.2020, FG Retail srl chiedeva all’intestato Tribunale di ordinare, inaudita altera parte a C srl, di non escutere od incassare alcun pagamento da B banca in forza della fideiussione n. 13/2031613 del 18.12.2013 e alla B banca di non pagare nemmeno in parte la somma garantita di Euro 14.700,00, in caso di escussione di detta fideiussione e comunque di non esercitare il regresso o la surroga contro la ricorrente. 
A sostegno del ricorso adduceva: 
-di aver stipulato in data 27/11/2013, con scrittura privata autenticata per notaio FT di Firenze rep. n.28647 – racc. 8918 contratto di affitto di ramo di azienda del settore abbigliamento, con Ro. Pa., titolare della ditta individuale C, 
- che a garanzia dell’esatto adempimento delle obbligazioni assunte con il contratto, l’affittuario forniva una fideiussione bancaria pari a tre mensilità del canone di affitto, rilasciata dalla B soc. Coop.va (BPER) con la quale la stessa si costituiva fideiussore solidale della soc. ***s.r.l. in favore della C di Ro. Pa., fino alla concorrenza di Euro 14.700,00 con contestuale rinuncia al beneficio della preventiva escussione di cui all’art.1944 c.c. e ad ogni eccezione anche in caso di opposizione del debitore principale; 
-che il F, in ragione della crisi del settore, tentava inutilmente di rivedere più volte l’importo del canone; 
-che in data 01/01/2020 consegnava racc.ta comunicando il recesso dal contratto alla C s.r.; 
- di aver corrisposto anche il canone di Febbraio 2020 nonostante fra i mesi di gennaio e febbraio 2020 la crisi delle vendite e l’insostenibilità dei complessivi costi di gestione aziendale, si fosse aggravata in ragione degli effetti della pandemia da Covid-19; 
- che dagli inizi di marzo 2020 l’esercizio dell’attività era stato completamente interdetto per effetto dei provvedimenti del contenimento del contagio epidemico, aggravando ancora di più la condizione economica dell’affittuario; 
- che con PEC 11/03/2020 il F informava la C che a causa delle ricadute disastrose sulla propria attività non poteva sostenere i costi gestionali dell’azienda, per cui sospendeva il pagamento del canone; 
-che, ciononostante, in data 22/05/2020 la C dava incarico al suo legale Avv. Ra. Si. di intimare con Raccomandata PEC in pari data il pagamento IMMEDIATO della somma di Euro 18.494,49, per canoni di marzo – aprile e maggio 2020; 
-di aver avvisato delle predette circostanze la B, invitandola, qualora il beneficiario avesse escusso la fideiussione, di non aderire alla richiesta di pagamento dell’importo garantito. 

Con decreto dell’8.06.2020 questo Giudice, ritenuto di instaurare il contraddittorio prima di ogni provvedimento, assegnava al ricorrente termine per la notifica del ricorso nei confronti delle controparti e disponeva lo svolgimento mediante trattazione in forma scritta del procedimento in epigrafe, assegnando a tal fine termine per il deposito di note autorizzate. 

Con comparsa depositata in data 24.06.2020 si costituiva la resistente C srl che concludeva, preliminarmente, per l’inammissibilità del ricorso per difetto di strumentalità e nel merito per il rigetto della domanda cautelare in quanto infondata in fatto e in diritto per le ragioni meglio indicate nell’atto introduttivo. 
Non si costituiva, invece, nonostante la regolarità della notifica, la B Soc. Coop.va BPER di cui, pertanto, va dichiarata la contumacia. 
Depositavano, poi, entrambe le parti costituite nei termini concessi le note autorizzate. 

Così brevemente ricostruiti i fatti e lo svolgimento del processo occorre ricordare che i provvedimenti di urgenza hanno natura strumentale e funzione cautelativa del tutto provvisoria, in quanto volti ad evitare che la futura pronunzia del giudice possa restare pregiudicata nel tempo necessario per ottenerla. 

Tale essendo la ratio, nel ricorso devono indicarsi a pena di inammissibilità del ricorso stesso non soltanto la causa petendi ed il petitum mediato, ma anche le specifiche conclusioni della futura causa di merito. 

L’indicazione degli elementi costitutivi dell’instauranda azione di merito assolvono alla specifica funzione di consentire al giudice adito in sede cautelare di verificare la competenza e di valutare il carattere anticipatorio o meno del richiesto provvedimento cautelare nonchè di tutelare il soggetto destinatario del provvedimento cautelare anticipatorio, il quale deve poter essere in grado di intraprendere il giudizio di merito attraverso il mero richiamo al provvedimento ed al ricorso cautelare, chiedendo il rigetto della domanda di controparte già virtualmente formulata nello stesso ricorso. 

Ecco perché “In caso di omissione o incompletezza degli elementi oggettivi di identificazione della domanda cautelare e della mancata indicazione della domanda di merito il ricorso cautelare deve ritenersi inammissibile ed insuscettibile di sanatoria ai sensi dell’art. 164 c.p.c”. (cfr. ex multis Ordinanza - Tribunale di Torino, 15.10.2018 ) 

L’indagine sulla individuazione della causa di merito, funzionale alla verifica del postulato nesso di strumentalità, è rimasta infatti inalterata pur dopo la riforma introdotta dalla legge n. 80/2005, che ha reso soltanto eventuale, per i procedimenti ante causam, l’introduzione del giudizio di merito. 

Ebbene nel caso di specie il ricorrente, pur non con la compiutezza dovuta e solo nel corpo del ricorso, ha dichiarato di riservarsi la facoltà di richiedere la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità, così lasciando intendere, ancorché non limpidamente, che sarebbe stata questa la successiva azione di merito. 

Da ciò consegue l’ammissibilità del ricorso. 

Ad ogni modo ai fini della concessione della misura cautelare d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c. è necessario che ricorrano gli ulteriori seguenti requisiti: a) il diritto azionato in sede cautelare è possibile oggetto di un giudizio ordinario di cognizione Trib. Civ. Civitavecchia, 03/08/2007; Trib. Civ. Bari, 30/03/2006; b) il diritto non è tutelabile mediante l’esperimento di una misura cautelare tipica; c) la sussistenza del fumus bonis iuris, consistente nell’apparente titolarità del diritto azionato all’interno del processo ordinario di cognizione, e del periculum in mora, concretantesi nel pregiudizio che l’istante subirebbe qualora non venisse concessa l’agognata misura cautelare nelle more dell’ottenimento della tutela di merito. 
Ebbene, nel caso di specie, sembrano difettare tanto il fumus boni iuris quanto il periculum in mora. 

Infatti, la sussistenza del fumus rispetto al diritto alla risoluzione del contratto a norma dell’art. 1467 cc (come invocato a pag. 3 del ricorso) non risulta provata. 
È noto, infatti, che l’eccessiva onerosità comporta una notevole alterazione del rapporto originario fra le prestazioni, determinando una situazione di squilibrio di valori. Tale situazione si verifica allorquando gli avvenimenti straordinari ed imprevedibili determinino un aggravio patrimoniale che altera l’originario rapporto di equivalenza, incidendo sul valore di una prestazione rispetto all’altra, ovvero facendo diminuire l’utilità della controprestazione. 

Invero, nei contratti a prestazioni corrispettive, ad esecuzione continuata o periodica o differita, ciascuna parte assume su di sé il rischio che gli eventi alterino il valore economico delle rispettive prestazioni, entro i limiti rientranti nell’alea normale del contratto, da tenersi pertanto presenti da ciascun contraente al momento della stipulazione, alla stregua della dovuta diligenza.

Ne consegue che non assume al riguardo rilievo la sopravvenienza di circostanze prevedibili che rendano comunque eccessivamente gravoso – e pertanto inesigibile l’adempimento della prestazione- vertendosi in tal caso non già in tema di alterazione dell’economia contrattuale bensì d’inadempimento (cass. 12235/2007). 

In detta prospettiva, l’alea normale di un contratto che a norma dell’art. 1467 co. 2 cc non legittima la risoluzione per sopravvenuta onerosità, è il rischio non prevedibile né espressamente assunto dalle parti che il contratto comporta a causa delle sue caratteristiche e comprende anche le oscillazioni di valore delle prestazioni prodotte dalle regolari e normali fluttuazioni del mercato. 
Spetta, dunque, a chi invoca l’eccessiva onerosità sopravvenuta a dimostrare i presupposti di cui all’art. 1467 cc per tutto l’arco di tempo intercorrente tra il momento in cui doveva avvenire l’esecuzione del contratto e quello in cui viene richiesto l’accertamento dell’eccessiva onerosità. 

Tanto posto, nel caso di specie il ricorrente ha, innanzitutto, affermato “dall’inizio del contratto di aver sempre adempiuto regolarmente e puntualmente al pagamento del canone di affitto, anche se particolarmente oneorso” (cfr. pag. 1 n. 3) così lasciando intendere che l’onerosità del contratto non sia circostanza sopravvenuta, essendo invece le condizioni economico contrattuali note e consapevolmente accettate dal contraente, odierno ricorrente, fin dalla stipulazione del contratto in esame. 
In secondo luogo, la medesima Fsrl ha invocato l’avvento della crisi del settore, nonostante la quale avrebbe comunque sempre regolarmente adempiuto, circostanza, questa, che di certo può farsi rientrare per quanto sopra esposto nella normale alea contrattuale di cui all’art. 1467 co. 2 cc. 

Da ultimo, l’istante ha richiamato la sopravvenuta emergenza sanitaria da Covid-19 che avrebbe reso tra Gennaio e Febbraio 2020 insostenibili i costi di gestione aziendale. 

Ebbene, anche tale ultima circostanza non pare corroborare il fumus boni iuris posto che nel periodo invocato (Gennaio-Febbraio) non vi era alcuna conclamata emergenza sanitaria che sarebbe stata infatti dichiarata solo il successivo mese di Marzo con tutti i ben noti effetti pregiudizievoli sotto il profilo economico-commerciale. 

D’altronde lo stesso ricorrente afferma di aver corrisposto anche il canone di Febbraio e di aver sospeso il pagamento da Marzo, invocando peraltro quale norma legittimante tale condotta l’art. 3 dl 6/2020 ove afferma che “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 cc, della responsabilità del debitore anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati od omessi adempimenti” . 

Si osserva, in proposito, che l’intervento normativo de quo non ha affatto introdotto il diritto del conduttore alla sospensione del pagamento del canone locativo nella locazione di immobili destinati ad uso diverso dall'abitazione, ma ha consentito di valutare l’incidenza dell’emergenza sanitaria esclusivamente sotto il profilo della scusabilità dell’inadempimento contrattuale ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c. 

Ebbene, anche se si volesse valorizzare tale la novella, il ricorrente non ha offerto alcun dato obiettivo da cui desumere un peggioramento della propria condizione patrimoniale tale da precludergli – in quanto eccessivamente oneroso- il pagamento del canone concordato, discorrendo sempre e solo in termini astratti dell’aggravamento delle propria situazione patrimoniale. 

Per converso, parte resistente ha affermato, fornendo documentazione anche fotografica a sostegno- rimasta incontestata dal ricorrente- che quest’ultimo avrebbe non solo riaperto la propria attività dal 18 maggio 2020, ma anche, di aver trasferito da giugno 2020, il negozio in altri locali commerciali. 

Se, dunque, il ricorrente si fosse effettivamente trovato in sopravvenute difficoltà economiche- allo stato non documentate- non avrebbe verosimilmente continuato a svolgere la propria attività in altri locali, onerandosi dei costi del relativo trasferimento e del pagamento di un altro canone di locazione. 

Non appare, pertanto, sussistere l’invocato fumus boni iuris né rispetto al diritto alla risoluzione per eccessiva onerosità di cui all’art. 1467 cc né rispetto alla scusabilità dell’inadempimento ex art. 3 co. 6 dl 17/2020 con la conseguenza che la domanda cautelare già solo per questo andrebbe rigettata. 

Difetta in ogni modo anche il periculum in mora solo genericamente individuato in quei danni che verrebbero a prodursi a suo carico in aggiunta a quelli ingenti e irrecuperabili (quali?) già prodotti dall’emergenza sanitaria con “ricadute nefaste sia per la stessa sopravvivenza dell’impresa che per l’attività lavorativa delle sue dipendenti.”. 
Per i motivi esposti, la domanda cautelare va rigettata e le spese di lite seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente e liquidate come dispositivo, tenuto conto dei parametri di cui al D.M. 55/2014, in favore del resistente C srl. 
Stante, invece, la contumacia della B, posso compensarsi nel rapporto tra questa e il ricorrente.

P.Q.M.

RIGETTA il ricorso proposto da ** SRL; 
CONDANNA il ricorrente al pagamento in favore del resistente C srl delle spese di lite che si liquidano in 1618,00 Euro, oltre rimb. forf. 15%, IVA e CPA come per legge; 
COMPENSA le spese tra il ricorrente e B. 
Manda la Cancelleria per le comunicazioni e gli adempimenti di rito.